Aduggiarsi dell’adèspoto. – Sambajon. – W sempre le donne. – Gli Unni. – Che bella la donazione del plasma – Il sonno. – La Beidana. – Cavolo – La marcia più lunga grazie a buone scarpe … LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Aduggiarsi dell’adèspoto. L’adèspoto, parola che deriva dal greco con il significato di senza

padrone, viene usato per indicare un testo senza autore, ma in senso lato una persona anonima. Queste persone a volte provocano irritazione ai chiappanuvoli di turno. Chiamo con questa parola ormai poco usata i boriosi, malati di protagonismo egocentrico che soffrono di una malattia che imperversa sempre di più sui social, l’albagia. L’albagia quando colpisce le persone le rende vanitose e il lemma che deriva forse dal vento dell’alba rende bene su quanta alta presunzione hanno di sè stessi. Poi patiscono tantissimo nel loro smisurato ego quando adèspoto gli nuoce l’immagine facendo ombra, che per loro diventa opprimente e li intristisce, ecco che vengono presi dall’adduggiare, parola che è un compostoparasintetico di uggia. Preciso che il termine parasinteticosi riferisce a parole formate col simultaneo combinarsi a una base di un prefisso e di un suffisso, o di un processo di conversione ove non esiste una parola contenente o solo quel prefisso o solo quel suffisso, per esempio le parole come accoppiare, addensare, impastare, innervosire, sbriciolare, scaldare dicui non i nomi come innervo, accoppia, impasta. Dopo questa precisazione la lingua italiana, ha questo termine aduggiare dal significato preciso di nuocere facendo ombra. Già questo è meraviglioso, ma notare che questo verbo, a dispetto della ricercatezza, è facilissimo da usare. Pare che questa parola come l’altra l’uggia deriva dal latino odia e odiosus per arrivare all’uggia e all’uggioso prendendoli dai significati di noia. Ma Secondo altri è da udus, cioè umido che si dovrebbe partire, per procedere dal bagnato e ombroso, in effetti, il primo significato con cui appare l’uggioso, fino al noioso. Altre ricostruzioni contemplano un percorso che scaturisce dal verbo uro, bruciare, impoverire, e si intreccia con le prime due in una trama torbida di concetti e suoni che però infine ci rende limpidamente l’uggia, l’uggioso e l’aduggiare che oggi conosciamo. Quello che è cetro che il suo animo diviene atrabile, parola che arriva dal francese atrabile, a sua volta dal latino atra bilis, bile nera che nella medicina ippocratica era uno dei quattro umori dell’organismo umano, connesso al temperamento o allo stato malinconico della persona che gli svuota le energie. In conlusione perdonate il mio anfare, e si sono un irrimedianile anfanatore, che parlo a vanvera.
Favria,  6.03.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita è possibile realizzare i nostri sogni solo se continuiamo a crederci. felice martedì.

Sambajon.

Il Sambajon la delizia del palato, una poesia degli ingredienti, il giusto equilibrio di uova e marsala, caldo o freddo, sopra il panettone o di una torta evviva il Samabjon! Mi è stata recentemente narrata una storia al riguardo di questa crema gialla dalla straordinaria dolcezza. Si narra che una volta a Torino, abitava un in un convento di  frati francescani, lo spagnolo Pasquale de Baylon. Si diceva allora che il frate era molto conosciuto, specialmente dal gentil sesso. Non pensate subito male, la sua notorietà era dovuta ad una ricetta di una crema all’uovo che avrebbe avuto la capacità di rinvigorire i mariti più spenti. Nella Torino del tardo Medioevo le donne andavano al convento dove risiedeva padre Pasquale per chiedere aiuto deluse del vigore dei mariti, e lui  prescriveva questo portento meglio di qualsiasi afrodisiaco composto di tuorlo d’uovo, zucchero e marsala: “Il Sambajon, lo zabaione”. Il Sambajon ebbe un tale successo che travalicò dai confini sabaudi e si diffuse in tutto il mondo. La parola sambajon, per indicare la crema di zabaglione deriverebbe proprio dal nome del frate di Baylon. Venne poi santificato, ma non certo per il solo merito della prodigiosa ricetta e  San Pasquale Baylonne venne chiamato il protettore delle donne,  invocato dalle nubili in cerca di marito e dalle donne in generale,  e anche protettore dei cuochi e dei pasticceri, perché inventò lo zabaione. Beh la versione ufficiale è che lo zabaglione pare sia nato  nelle cucine di Caterina de’ Medici, mentre altre fonti riportano la prima ricetta dello Zabaglione alla corte dei Gonzaga. Del Sambajon ho il ricordo da ragazzo in quanto veniva considerata una merenda robusta nella sua versione più rudimentale…dolci ricordi d’infanzia! In pasticceria si trasforma in una farcitura leggera, liquorosa e spumosa che impreziosisce tanti dolci.

Favria, 7.03.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. ogni giorno non dobbiamo solo sperare che la giornata sia facile, ma che noi siamo più forti delle avversità.  Felice mercoledì

W sempre le donne.

Giornata internazionale dei diritti della donna”, questo è il nome ufficiale della Festa della donna celebrata ogni 8 marzo e volta a favorire la piena integrazione femminile. L’esatta origine della festività, espressione delle istanze femministe e riconosciuta dall’Onu nel 1977, resta però dubbia. Incertezze temporali. Nei primi due decenni del XX secolo, sia in Europa sia negli Usa, furono organizzate diverse giornate dedicate ai diritti delle donne, ma in date diverse dall’8 marzo. Questa s’impose infatti in ambito sovietico, per ricordare il giorno in cui, nel 1917, con una manifestazione femminile, era iniziata la Rivoluzione russa. Dal 1921 tale data fu gradualmente adottata da più nazioni, ma nel secondo dopoguerra si diffuse una versione alternativa delle origini della ricorrenza, forse per scollegare la festa da ogni riferimento all’Urss. Esse furono infatti ricondotte all’incendio di una fabbrica newyorkese in cui, nel 1911, morirono decine di lavoratrici donne, senza badare al fatto che l’incidente avvenne in realtà il 25 marzo. Dubbi cronologici a parte, è certo che nel corso degli anni la festa della donna ha assunto una notevole importanza quale momento fondamentale nelle rivendicazioni sociali per la parità di genere. Detto questo ricordiamoci sempre che nel giardino della vita sorgono gli occhi di una donna che ti sanno dire tutto senza alcun cenno di una sola parola, esprimono gioie e sofferenze facendosene una ragione, nell’insieme vivono tra lacrime e sorrisi andando avanti con quella forza innata accompagnata dal loro spirito temerario, affrontano e superano le intemperie del destino con una volontà da fare invidia a chiunque. Ritengo che la  festa della donna senza ombra di dubbio sia da festeggiare tutti i giorni, per la sua incontrastata leadership, bellezza, intelligenza, eleganza. Non c’è cosa eguale al mondo che possa misurarsi con una “mamma”. La donna è l’amore è la vita di ognuno di noi e allora auguri a tutte le donne che hanno il coraggio di combattere per la loro dignità e la propria persona, a quelle donne che hanno il coraggio di denunciare abusi e soprusi. Auguri  a quelle donne che sono padri ancor prima di essere madri, a quelle donne che non si accettano e per quelle che meritano un pizzico di stima in più. Auguri a quelle donne in cui vengono tolti i diritti e per quelle che non ne hanno mai avuti, per quelle che attendono di essere amate ma più delle volte usate e abusate. Auguri alle donne che donano vita e per quelle a cui viene tolta la vita…e auguri a tutte le donne che sopportano i capricci di noi poveri uomini. Auguri a tutte le donne, ogni giorno, non solo oggi,  il domani e nelle Vostre  mani.

Favria, 8.03.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. Auguro a tutte le donne di festeggiare l’8 marzo ogni giorno, avendo vicino solo persone che le amino e le rispettino sempre! Auguri a tutte le Donne, felice mercoledì.

Gli Unni.

Tra tutti i popoli che a partire dal IV secolo si affacciarono all’orizzonte romano, il più temuto era probabilmente quello degli Unni. Originari dell’Asia Centrale, si stanziarono intorno al 376 tra le coste settentrionali del Mar Nero e le rive del Danubio, sottomettendo i popoli confinanti e spingendone alcuni, come i Goti, a varcare il confine con l’impero.
Verso il 420 superarono il Danubio per stanziarsi in Pannonia, dove diedero vita a un’entità statale garantendo in cambio all’impero la vigilanza lungo il turbolento limes e contingenti militari di supporto contro altre genti “barbariche”, come avvenne tra il 436 e il 439 contro i Burgundi e i Visigoti. La loro fama di inarrestabili arcieri a cavallo era
leggendaria e divenne palpabile quando il loro capo Attila, approfittando delle crescenti difficoltà in cui versava l’impero, sconfisse Teodosio II e lo costrinse a versare un ingente tributo e ad evacuare il Danubio. Nel 451 Attila invase la Gallia, ma il 20 giugno fu battuto da Ezio presso Troyes ai Campi Catalaunici e ricacciato in Pannonia. Già nella primavera seguente il condottiero unno riprese a devastare la pianura padana, deciso a puntare verso Roma: venne fermato sul Mincio, secondo la leggenda dall’intervento di papa Leone I, ben più verosimilmente dalla scarsità di vettovaglie e dal colera che decimava, insieme alla malaria, le truppe. Tornato in Pannonia, Attila pianificò un nuovo attacco contro Costantinopoli, ma morì nei primi mesi del 453 prima di poterlo concretizzare. La storiografia tradizionale, basandosi sui resoconti del tempo, ha a lungo attribuito l’azione violenta degli Unni alla loro innata ferocia e sete di bottino e quest’idea resta nell’immaginario collettivo ancora oggi. Un nuovo studio attribuisce la causa delle incursioni a un responsabile ben preciso: la crisi climatica che tra gli anni Trenta e Cinquanta del V secolo mise a dura prova le pianure dell’Europa centro-orientale. A dirlo sono le ricerche sugli isotopi stabili presenti negli anelli degli alberi, che forniscono preziose informazioni sulle interazioni tra ambiente e piante e sul clima del passato. Analizzando le linee di accrescimento su campioni di legno di quercia rinvenuti tra Repubblica Ceca, Ungheria e Baviera databili alla prima metà del V secolo, i ricercatori hanno scoperto che quegli anni furono caratterizzati da estati molto secche. Benché conoscessero l’agricoltura, gli Unni erano soprattutto pastori semi-nomadi e avevano bisogno di pascoli rigogliosi per sfamare l’enorme quantità di bestiame. Secondo lo studio, gli Unni tentarono di adattarsi alle difficoltà cambiando in parte la loro dieta, ma furono infine spinti ad aggredire le provincie romane orientali dalla siccità estrema, che impedì approvvigionamenti adeguati, scatenando nella giovane compagine statale, governata da un’élite militare, violenti contraccolpi politici, economici e sociali. Fu dunque la crisi climatica, e non la rapacità fine a se stessa, a determinare le impetuose razzie di Attila e dei suoi guerrieri, le cui vicende assumono ora una luce diversa

Favria, 9.03.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella nostra vita l’amore e la compassione sono sentimenti necessari, perché senza di loro perdiamo la nostra umanità. Felice giovedì

Che bella la donazione del plasma.

Mi viene da chiedere ma i donatori di sangue ed in primis  le donne cosa ne sanno sul plasma? Da donatore i dottori mi hanno spiegato che il plasma è la parte liquida del sangue, riconoscibile per il suo colore giallo paglierino e composto per ben il 92% da acqua, per il 7% da proteine come albumina, fibrinogeno, immunoglobuline e fattori per la coagulazione e per l’1% da molecole organiche, ad esempio, glucosio e amminoacidi  e vitamine. Il plasma è importantissimo, perché svolge diverse azioni utili a mantenere l’equilibrio dell’organismo e può essere utilizzato per la produzione di farmaci salvavita e trasfuso a scopo terapeutico in individui affetti da diverse patologie. Allora donare il plasma è una buona idea e la donazione del plasma si realizza attraverso il processo di plasmaferesi ed è destinata ad esempio a produrre farmaci salvavita, per trasfusioni  per persone che hanno delle complicazioni per alcuni tumori, pazienti  che hanno subito avvelenamento, per chi ha subito ustioni gravi. Dovete sapere che diversamente dalla donazione del sangue, durante la quale il sangue prelevato dal braccio finisce direttamente in una sacca, nella plasmaferesi si preleva il sangue intero, si separa la componente liquida e si restituisce la componente corpuscolare, o cellulare, durante la donazione stessa.  il prelievo per la plasmaferesi viene effettuato attraverso una macchina e, poiché il procedimento è più elaborato,  richiede un tempo maggiore rispetto alla donazione del sangue dai 30 ai 50 minuti, e consiglio di bere tanto prima e durante la donazione. In ogni caso, per donare il sangue e il plasma è indispensabile aver compiuto 18 anni ed essere in buona forma fisica, oltre a essere in perfette condizioni di salute. Per le donne in età fertile è ideale donare il pèlasma. Le donne in età fertile possono donare il sangue due volte all’anno, in media ogni sei mesi, mentre per gli uomini l’intervallo tra una donazione e l’altra è di 90 giorni. Questa differenza è resa necessaria dal ciclo mestruale e dall’evidenza che le donne sono maggiormente soggette a bassi livelli di emoglobina, condizione che non le rende donatrici ideali.  Pensate che l’intervallo tra una donazione plasma e l’altra è di 15 giorni. La plasmaferesi, al contrario della classica donazione, non incide sui globuli rossi e nemmeno sui livelli di ferro dell’organismo, proprio perché vengono rimessi in circolo nell’organismo subito dopo l’estrazione del plasma. Per questo motivo, le donne corrono meno rischi donando il plasma, donazione che non incide su fattori importantissimi quali i livelli di emoglobina e ferro.   La donazione di plasma è spesso sottovalutata. In realtà è un elemento prezioso, con sempre più campi di applicazione terapeutica. Adatta anche ai donatori con valori bassi di emoglobina, la donazione di plasma rappresenta una delle nuove frontiere della medicina. Con il valore aggiunto dell’etica e della solidarietà. Per info  e prenotazione donazione plasma cell. 333 17174827 Gruppo Favria. Vi ricordo che nella vita non è detto che possiamo fare grandi gesti, ma sempre piccole azioni come donare il plasma e accenderci di amore per i nostri simili

Favria,  10.03.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Se nella vita manteniamo la giovinezza nell’animo avremo sempre la capacità di vedere la bellezza. E se vediamo la bellezza in quello che ci circonda non diventeremo mai vecchi. Felice sabato

Il sonno.

Oggi 11 marzo è la Giornata mondiale del sonno.

La giornata mondiale del sonno è un evento annuale che ha lo scopo di richiamare l’attenzione sull’importanza del sonno per la salute e il benessere. Tale giornata inoltre ha come obiettivo di sensibilizzare le persone sui danni che può causare la mancanza di sonno, un’attività di profonda importanza che occupa un terzo della nostra vita.

Il sonno può sembrare un aspetto così normale della vita che potrebbe sembrare sciocco anche solo parlarne. Può essere uno degli aspetti più banali e sottovalutati della vita delle persone. Ma per coloro che hanno problemi di sonno ricorrenti, dormire a sufficienza può essere una vera sfida e influenzare tutto il resto della vita. Il sonno è importante per noi esseri umani, una necessità fondamentale per la salute e per il benessere fisico e mentale, ma spesso viene trascurato a causa dei ritmi di vita frenetici, ritornare allora ad un sonno di qualità, una mente sana ed u mondo felice.

Favria,11.03.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. Chi ha vissuto soffrendo, resta fatto della sua sofferenza; se pretendiamo di togliergliela, non è più lui. Felice

La Beidana.

Nata nelle valli valdesi del Piemonte – in particolare le Valli Pellice, Chisone e Germanasca – tra il Duecento e il Cinquecento, la beidana è un’arma manesca simile ad una sciabola ma deriva dalla roncola, il che spiega perché conservi diversi caratteri dell’attrezzo contadino. Lunga in genere dai 50 ai 60 cm, ma alcuni esemplari superano abbondantemente i 70, presenta una lama stretta in prossimità dell’impugnatura ma larga in punta e un traforo con il codolo che si ripiega a fungere da guardamano.

Favria,  11.03.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita tra l’essere e la fine dell’essere si frappone un abisso che rende grande il continuare a vivere. Felice sabato

Cavolo

I modi di dire legati all’ortaggio invernale, il cavolo, tra i più preziosi per la salute sono moltissimi. Se tante sono le varietà del cavolo, infatti, altrettante sono quelle nel linguaggio comune. Che cosa indichi il cavolo nel linguaggio comune figurato non ve lo stiamo a dire. Se a qualcuno dite che è una testa di cavolo gli state usando una cortesia, visto che meriterebbe un’altra parola, ben più esplicita ed efficace. Questo dimostra comunque che mantiene una sua raffinatezza se gli tocca fare le veci in maniera triviale dell’organo maschile. Povero cavolo, verrebbe da dire. Bistrattato, maltrattato, usato a sproposito, relegato all’infamia del linguaggio da suburra. Il termine deriva dal greco kaulos, che significa fusto, stelo. Inoltre nell’antichità, e non solo, la pianta del cavolo era considerata di scarso profilo, basso valore commerciale e, forse anche a causa del suo sgradevole odore, godeva di poca considerazione nella classifica dei gusti culinari. Tutti motivi che hanno tra l’altro posizionato il cavolo tra i cattivi presagi nella simbologia dei sogni antichi e moderni: sognare un cavolo sembra portare tristezza, malinconia, infelicità. Anche la simbologia si è occupata di esso. Basti pensare che nell’universo onirico degli antichi , ma anche dei moderni, quelli che ci credono almeno, il sogno animato dal cavolo implicava cattivo presagio, malumore tristezza, caduta della felicità. E questo perché il rango della pianta era ed è  ritenuto di scarsissimo profilo. Probabilmente anche il suo non del tutto gradevole odore ha contribuito al declassamento inesorabile da quella misteriosa agenzia di gradimento del gusto attiva da secoli. Fare una “cavolata” significa commettere una sciocchezza, al pari di portarla al tavola. Infatti per dire che una cosa è  fuori posto si dice che ci sta “come i cavoli a merenda”. Un’azione maldestra si porta appresso l’immancabile: “che cavolo fai?”. Una parola inopportuna un bel “fatti i cavoli tuoi” e le responsabilità che non si possono schivare diventano “cavoli amari”. Il suo legame con il mondo sessuale, comunque, ha a che fare sulle presunte capacità afrodisiache del cavolo. Nel mondo latino l’infuso di foglie era consigliato ai maschi lievemente spenti. Provateci, non si sa mai.  Si presume che curasse anche una quantità di malattie. Qua e là si legge che un medico greco di nome Crisippo (IV secolo a.C.) abbia dedicato un intero libro al cavolo che peraltro era considerata una pianta sacra, nata dal sudore di Zeus. Da bambini, infine, ci hanno insegnato che i neonati si vanno a prendere sotto i cavoli. Forse perché la Brassica oleracea, sferica, spunta dalla terra madre come la testa di un bimbo dal grembo materno. Può darsi. Fatto è, in conclusione, che questi benedetti cavoli in tutte le varietà che conosciamo hanno finalmente bisogno di essere promossi, di resuscitare dal triste limbo in cui sono caduti. Vanno riscoperti e mangiati. Evitando accuratamente “i cavoli e cavoletti amari”.

Favria, 12.03.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno con fiducia proseguo nella direzione dei mei sogni, cercando di vivere la vita che ho immaginato.  Felice domenica

La marcia più lunga grazie a buone scarpe

Quando seppe che Asdrubale, nel 207 a.C., stava per congiungersi al fratello Annibale, il console Claudio Nerone, che si trovava a fronteggiare il generale cartaginese a Canosa, decise di prendere con sé gli uomini migliori (6.000 legionari e 1.000 cavalieri): voleva unirsi all’esercito del collega, Livio Salinatore, a Senigallia, ossia a più di 300 miglia (435 km) di distanza. Mantenendo il segreto più assoluto, fece marciare i suoi soldati senza bagagli, ordinando alle popolazioni di rifornire l’esercito lungo il cammino con viveri e carri, in modo che potessero viaggiare anche di notte per ingannare le spie nemiche. I legionari di Claudio Nerone coprirono le 300 miglia in sette giorni, percorrendo oltre 42 miglia (62 km) al giorno, una media che risultò ineguagliata nell’intera, millenaria storia dell’esercito romano. I formidabili legionari di Claudio Nerone, sconfitti i Punici di Asdrubale alla battaglia del Metauro, tornarono altrettanto rapidamente a Canosa, riprendendo il loro posto di fronte ad Annibale, inconsapevole di essere stato abilmente ingannato.

Favria, 13.03.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata, Nella vita quotidiana sonando, si riceve; perdonando si è perdonati. Felice lunedì.