Auguri inizio anno scolastico. – Da surnia a sornione – Simili ma non uguali. – Incontrare. me stesso. – Lapalissiano! – Res Gestae Favriesi, la passione per il ballo- Lorem ipsum …LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

L’odore dei libri nuovi, e la curiosità per quello che sarebbe successo durante il nuovo anno scolastico, mi tenevano sempre sveglio la notte prima dell’inizio della scuola. Spero che lo stesso entusiasmo animi gli studi di chi domani inizia la scuola. Certo ci saranno voti belli e brutti, gite divertenti e lezioni noiose. Tra alti e bassi trascorrerai un nuovo sui libri. Ma ricordate la cosa più importante che state costruendo le basi del Vostro futuro! In bocca al lupo per l’inizio della scuola a tutti gli studenti ed ancora di più a tutti gli insegnanti che Vi prenderanno durante l’anno per mano, Vi toccherà il cuore e Vi aprirà la mente. Insegnanti che hanno in affido dai genitori la cosa più preziosa che possiede ogni figlio, il cervello, perché lo trasformino in un oggetto pensante. Ma l’insegnante è anche la persona alla quale lo Stato affida la sua cosa più preziosa: la collettività dei cervelli, perché diventino il paese di domani.

Da surnia a sornione
L’origine del lemma sornione pare derivi surnia civetta, per la caratteristica di una persona vigile e astuta. Fra le lingue europee può essere affine allo spagnolo e al portoghese surna inerzia o perfino al francese sorner prendere in giro o sornett, tonteria. Esiste in dialetto l’espressione fe’ la gnornia col senso di sornioneggiare. Sono persone indecifrabili o volutamente indecifrabile che coi gesti posati e le espressioni sibilline frappongono un diaframma di comprensione, e quindi, generano una certa diffidente soggezione. La parola civetta è di origine onomatopeica dal verso dell’animale notturno, chiu-chiu .Nell’antica Grecia, la civetta era considerata sacra per la dea Atena, da qui il nome del genere Athene noctua, cioè «notturna, dea della sapienza ed ancora oggi è raffigurata in molti portafortuna. Durante il periodo medievale la civetta fu associata alla stregoneria, era credenza diffusa che le streghe si servissero di questi uccelli, considerati loro demoni, come il gatto, per realizzare malvagi sortilegi. Le streghe pare avessero la capacità di trasformarsi in civette per girare indisturbate la notte in cerca di erbe velenose, per spiare le persone, per cacciare animali, soprattutto topi, rospi e pipistrelli, che sarebbero serviti loro per realizzare diabolici filtri. Oggi con il termine civetta si intende anche una donna vanitosa, leggera, che ama farsi corteggiare attraendo ammiratori con atti e vezzi per lo più leziosi e poco naturali. Questa usanza è data dal fatto che questo rapace, quando veniva usato dai cacciatori come richiamo per ingannare i piccoli passeriformi, li attraeva con un particolare modo di battere le ali, con inchini, ammiccamenti e altri atteggiamenti simili che costituisce un irresistibile spettacolo per le potenziali prede. Oppure auto civetta, automobile priva di particolari contrassegni su cui prendono posto agenti in borghese per poter svolgere, non riconosciuti, un più efficace servizio di controllo. Nave civetta, nave militare o mercantile, camuffata in modo da non essere riconosciuta quale unità armata, usata nella prima guerra mondiale contro i sommergibili. Foglio civetta, locandina, che contiene stampati i titoli degli articoli più importanti di un giornale e che viene esposto nelle edicole per attrarre l’attenzione dei passanti. Articolo civetta, merce che un negoziante vende a un prezzo inferiore a quello commerciale per attirare nuovi clienti. In politica il candidato civetta, candidato fittizio presentato alle elezioni per scoprire il gioco degli altri gruppi e potere così più facilmente far eleggere poi il vero candidato, ma questa è un’altra storia.
Favria, 12.09.2016 Giorgio Cortese

L’abilità del nulla! Non tutte le parole messe insieme formano un pensiero, nonostante tutto, compongono una frase che non ha alcun senso, ma che tu hai appena letto… scherzetto!

Simili ma non uguali.
Si dice che tutti si abbiamo un noi stesso in qualche angolo del pianeta. La cosa non mi ha mai stupito finché resta astrazione e non intacca la mia unicità. In questi caldi giorni di agosto ho visto una persona che attraversava la strada. Sono rimasto schoccato era il sosia di un carissimo amico scomparso prematuramente da tempo. Con la velocità di un bradipo metto la freccia all’auto ed accosto al primo parcheggio libero. Ritorno indietro a piedi e lo vedo da lontano che si incamminava per la strada con lo stesso modo di camminare. La tentazione di chiamarlo per nome è forte, ma trattengo appena l’istinto di chiamarlo e il suo nome di battesimo mi muore ingola. Mi domando e, se fosse proprio lui? Supero questo sosia con passo svelto, sudando non poco, con l’opprimente calura estiva, e finalmente lo vedo negli occhi. Certo è impressionante, stessa faccia, stessa barba e stessi capelli, ma sono gli occhi che non sono uguali. Con i veri amici gli sguardi, come gli abbracci, sono emozioni senza tempo. Ed è vero il detto che gli occhi sono lo specchio dell’anima, riflettono tutte le mie emozioni e anche quelle di chi incontro. Gli occhi trasmettono ciò che vorrei urlare con forza, ma che non riesco a dire per paura di sbagliare. Nella vita di ogni giorno ci sono sono sguardi che rimangono in superficie e sguardi che sanno vedere fino in fondo al mio animo. Gli occhi hanno il dono dell’estrema sintesi, infatti narrano concetti complessi in un paio di battiti di ciglia, trasformano pensieri inaccessibili dallo stato emozionale a quello liquido. Che potere smisurato ha uno sguardo, a volte leggo la vita di chi incontro attraverso gli occhi e spesso mi rattristo nel comprendere quanto sanguina il suo o cuore, ma soprattutto mi rattristo quando vorrei aiutare e non viene capito il mio gesto.
Favria, 13.09.2016 Giorgio Cortese

Ciò che è invisibile è più importante di ciò che visibile. Infatti, quel che dà inizio a un libro è un’idea, quel che fa nascere un figlio è l’amore, ciò che dà vita a un sorriso è il buonumore. Quel che impariamo plasma il nostri pensieri, tutte cose che noi non vediamo ma che sono all’origine del nostro mondo.

Incontrare… me stesso.
Trovo sempre una scusa pronta per rinviarlo, un impegno improvviso o le scarpe sbagliate. Per un appuntamento così importante devo dare tempo e attenzione, e mi manca l’uno e l’altro. Così prendo un appunto sull’agenda mentale senza precisare la data. Questo incontro è quello che mi imbarazza di più, quello con me stesso. Mi sento più goffo ed impacciato del solito, sono timoroso e ho paura di fare brutta figura. L’aspetto di questo incontro che mi spaventa è il fatto che non posso nascondermi niente, è un incontro dal sapore acre e dolce, uguale e diverso da tutti quelli che l’hanno preceduto. Un dialogo dove a parlare è uno solo, l’“altro” mi ascolta e basta e come uno specchio riflette la mia immagine, gli occhi stanchi o svegli, i pensieri che nessuna foto riesce ad imprimere che conosco solo io e “lui”. Nell’incontro i pensieri mi portano ad rivedere tutto il mio mondo così com’è, prima o poi i conti con “lui” bisogna farli e purtroppo il bilancio non è mai come me lo aspetto. Ecco che allora cerco di tirare per le lunghe il più possibile perché per affrontare me stesso ci vuole sano coraggio e una buona dose di umiltà. Quando affronto questo appuntamento so già fin dal principio che ne uscirò sconfitto. C’è sempre qualche ombra di troppo nella mia storia, qualche strada sbagliata che non dovevo imboccare. Qualcosa che, tornassi indietro, non rifarei. Per uscire più forte da questo incontro devo mettere a verbale la confessione, ammettere gli errori e ripartire. Sono convinto che sono le umane debolezze a darmi forza, quelle che, magari, non riuscirò mai a correggere ma contro le quali lotterò come un forsennato. Penso che la mia esistenza è come un campionato lungo tutta una vita con le vittorie, i pareggi e le sconfitte. E per queste ultime non darò la colpa all’arbitro o al terreno pesante. La sfida con me stesso comincia quando ammetto che posso perdere. Certo le debolezze, magari, non le posso accettare ma capire, sicuramente, sì. Quando arrivo al confronto che ho cercato di rinviare mi scorrono davanti anche i volti di chi ha percorso un pezzo di strada con me. Gli incontri con persone cordiali e simpatiche e altre che non avrei mai voluto incontrare e camminare insieme, gli uni e gli altri mi fanno soffrire e gioire.
Favria 14.09.2016 Giorgio Cortese

Molte volte vorrei tornare indietro per trovare le parole che non ho mai detto o cambiare una frase sbagliata in un momento che non era quello giusto. Il confronto con me stesso è come guardare un film, ma se voglio posso ancora cambiare il finale. E poi ho sempre l’occasione di una parte seconda, un remake, con gli stessi attori ma con le facce diverse facendo tesoro degli errori precedentemente commessi.

Lapalissiano!
Di una verità ovvia, evidente, lampante, inequivocabile, diciamo che si tratta di una verità lapalissiana. Lapalissiano significa che è tanto evidente che è quasi ridicolo enunciarlo. La storia della parola è molto curiosa e ha origine da quattro versi di una vecchia canzone che i soldati francesi composero subito dopo la battaglia di Pavia il 24 febbraio 1525, in onore del loro comandante, caduto gloriosamente sul campo. Dicevano i versi: Il signor de La Palisse è morto. / Morto dinanzi a Pavia; / un quarto d’ora prima di morire / era ancora in vita. Nella sua semplicità la strofetta voleva soltanto dire che il valoroso capitano aveva combattuto fino all’ultimo momento. La poesia non aveva perciò nulla di satirico, ma l’ingenuità degli ultimi due versi ispirò a un erudito del Settecento, un certo Bernard la Monnye, una canzoncina comica che ebbe grande fortuna e così nacque la leggenda della stupidità del povero La Palisse, che diceva di bagnarsi quando pioveva e di tacere quando stava zitto. Ma Jacques de Chabannes, signore de La Palisse, noto ai più come Monsieur de La Palisse, era tutt’altro che uno sciocco e un inetto: aveva al suo attivo una brillantissima carriera piena di gesta mirabolanti. Figlio di Geoffroy de Chabannes e di Charlotte de Prie, appena quindicenne entra come enfant d’honneur al servizio del re Carlo VII di Francia, ultimo re della linea diretta dinastica dei Valois. Riceve il “battesimo del fuoco” alla battaglia di Saint-Aubin-du-Cormier il 2 luglio del 1488 che vede la disfatta dei brétoni. Nel 1493 segue il re in Italia, chiamato in soccorso da Ludovico il Moro e, e combatte a Valenza, Tortona e ad Alessandria. Nel 1495, ritirandosi il re con l’esercito in Francia, partecipa alla battaglia di Fornovo. Partecipa tra il 1499 ed il 1500 alle battaglie in Lombardia contro quello stesso Ludovico il Moro, già alleato del precedente re di Francia e poi scende su Napoli. Nel 1502 viene nominato viceré degli Abruzzi.. Subisce l’assedio di Ruvo di Puglia ad opera dello spagnolo Gonzalo Fernandez de Cordoba e, sconfitto, viene fatto prigioniero: verrà rilasciato solo nel 1504. Nel 1507 comanda l’avanguardia dell’esercito francese all’assedio di Genova nel corso del quale viene gravemente ferito. Nel 1509 partecipa all’assedio di Treviglio e alla battaglia di Agnadello e diviene comandante delle truppe francesi in Lombardia. Nel 1515 Francesco I lo nomina maresciallo di Francia. In fine dopo aver partecipato a numerose battaglie muore sotto le mura di Pavia il 25 febbraio del 1525 dove Francesco I viene fatto prigioniero. La sua salma viene trasferita al castello di La Palice ove viene tumulata. La sua tomba venne in seguito saccheggiata e danneggiata durante i moti rivoluzionari. Insomma un eroe, il nostro Palisse, che, pur non avendo lasciato notevoli tracce nelle pagine della storia, si è però guadagnalo un posto importante nel vocabolario della gente del suo paese. Vennero infatti chiamate lapalissades o verités de M. de La Palisse, cioè verità lapalissiane, le battute ovvie. A proposito di ovvio, si tratta di una parola derivata dal latino, preso a sua volta dalla locuzione obviam, che significa letteralmente, davanti , ob, alla strada, viam, e quindi, che si incontra che si presenta chiaramente davanti a noi. Della famiglia di ovvio sono ovviare, che significa “rimediare, riparare”, ovviare a una difficoltà; ovvietà, cioè evidenza, e ovviamente, cioè logicamente, naturalmente, evidentemente. Tra i sinonimi di lapalissiano abbiamo citato anche lampante. Si tratta di un vocabolo derivato dall’antico verbo lampare, che voleva dire ‘lampeggiare’. Di qui il significato concreto di lucente e poi quello figurato di evidente, chiaro.
Favria 15.09.2016 Giorgio Cortese

Il segreto del successo è di fare della mia vocazione la mia vacanza.

Res Gestae Favriesi, la passione per il ballo.
La danza ha avuto in passato e conserva ancora presso la popolazione favriese un’importanza grandissima, in quanto e sempre stata strettamente legata alle cerimonie religiose, alle priorate nelle borgate ai carnevali e alle feste di leva. Ma quali sono stati i balli e le danze, che si effettuavano una volta a Favria e nei paesi limitrofi? Solo con pazienza certosina si e potuto, attraverso i racconti di diversi ottuagenari, sentire dalla loro voce e risalire nel tempo prima che l’oblio s’impossessasse per sempre di quelle notizie, episodi, usanze, riguardanti il modo in cui i nostri avi si divertivano nelle feste popolari, rimaste per noi curiose e interessanti. Il più vecchio ballo che si ricordi e il “RIGODONE” detto comunemente “RIGUDUN”: ballo e musica di origine francese, in yoga nel 1800. Chi di noi non ha sentito dire: “Se torni a casa tardi, ti faro ballare io il Rigudun!” Questo avvertimento era fatto dai genitori ai figli ribelli, non come minaccia, ma perchè non dovessero provare al ritorno l’effetto di ballare per forza il Rigudun a causa del ritardo. Da questa espressione, si ha chiaramente l’idea, di Quale teoria fosse composto questo ballo. Al dire della memoria di qualche anziano, era un ballo molto faticoso e soprattutto manesco. I ballerini si scambiavano certi strattoni, che spesse volte scatenavano delle risse. Si ballava in gruppo e anche in coppia e, naturalmente, tutto questo sulle aie delle case rurali, dove non mancava mai l’occhio vigile dei genitori. Ma le giovani coppie approfittavano di queste occasioni per scambiarsi occhiate, strette di mano e promesse nascoste. Agli inizi del novecento vennero introdotte, sempre dalla Francia, “la Correnta, la Giga e la Siciliana”. La Siciliana, cosi chiamata, era imparentata con la Tarantella, infatti, dopo molte variazioni, il cavaliere, con un ginocchio a terra, attendeva che la dama, tutta dritta e seria, compisse vari giri attorno a lui, sbattendo la gonna e lanciando urla di gioia. Giunse in seguito l’evento del famoso ballo a palchetto, conosciuto da tutti, anche dai non ballerini; questo porta molte novità nei balli e nelle feste popolari. Chi fu l’inventore non si e mai saputo. Cosi con questa pista da ballo viaggiante nacquero le prime orchestrine, come si chiamavano allora i complessi, formate da fisa, tromba, clarino e batteria. I balli in voga furono per molto tempo il valzer, la polca e la mazurca e nel 1920 si affaccia alla ribalta il “tango”. Infine emerge una costumanza particolare ormai persa nel novecento ma ancora viva nell’ottocento ed era in relazione con il Comune di S.Giorgio, e forse una precedentemente collegata anche con il Comune di Rivara, nata forse dalla comune sudditanza con i Marchesi del Monferrato: nelle feste patronali veniva aperto a S. Giorgio da favriese e fa Favria da un sangiorgese.
Favria, 16.09.2016 Giorgio Cortese

Ogni giorno mi devo ricordare che per certe persone l’intelligenza è un dono, l’ignoranza è una loro scelta.

Lorem ipsum
Lorem Ipsum è un testo segnaposto utilizzato nel settore della tipografia e della stampa. Lorem Ipsum è considerato il testo segnaposto standard sin dal sedicesimo secolo, quando un anonimo tipografo prese una cassetta di caratteri e li assemblò per preparare un testo campione. È sopravvissuto non solo a più di cinque secoli, ma anche al passaggio alla videoimpaginazione, pervenendoci sostanzialmente inalterato. Fu reso popolare, negli anni ’60, con la diffusione dei fogli di caratteri trasferibili “Letraset”, che contenevano passaggi del Lorem Ipsum, e più recentemente da software di impaginazione. È universalmente riconosciuto che un lettore che osserva il layout di una pagina viene distratto dal contenuto testuale se questo è leggibile. Lo scopo dell’utilizzo del Lorem Ipsum è che offre una normale distribuzione delle lettere, al contrario di quanto avviene se si utilizzano brevi frasi ripetute, ad esempio “testo qui”, apparendo come un normale blocco di testo leggibile. Molti software di impaginazione e di web design utilizzano Lorem Ipsum come testo modello. Molte versioni del testo sono state prodotte negli anni, a volte casualmente, a volte di proposito, ad esempio inserendo passaggi ironici. Al contrario di quanto si pensi, Lorem Ipsum non è semplicemente una sequenza casuale di caratteri. Risale ad un classico della letteratura latina del 45 AC, cosa che lo rende vecchio di 2000 anni. Richard McClintock, professore di latino al Hampden-Sydney College in Virginia, ha ricercato una delle più oscure parole latine, consectetur, da un passaggio del Lorem Ipsum e ha scoperto tra i vari testi in cui è citata, la fonte da cui è tratto il testo, le sezioni 1.10.32 and 1.10.33 del “de Finibus Bonorum et Malorum” di Cicerone. Questo testo è un trattato su teorie di etica, molto popolare nel Rinascimento. La prima riga del Lorem Ipsum, “Lorem ipsum dolor sit amet..”, è tratta da un passaggio della sezione 1.10.32. Il brano standard del Lorem Ipsum usato sin dal sedicesimo secolo è riprodotto qui di seguito per coloro che fossero interessati. Anche le sezioni 1.10.32 e 1.10.33 del “de Finibus Bonorum et Malorum” di Cicerone sono riprodotte nella loro forma originale, accompagnate dalla traduzione inglese del 1914 di H. Rackham. Esistono innumerevoli variazioni dei passaggi del Lorem Ipsum, ma la maggior parte hanno subito delle variazioni del tempo, a causa dell’inserimento di passaggi ironici, o di sequenze casuali di caratteri palesemente poco verosimili. Se si decide di utilizzare un passaggio del Lorem Ipsum, è bene essere certi che non contenga nulla di imbarazzante. In genere, i generatori di testo segnaposto disponibili su internet tendono a ripetere paragrafi predefiniti, rendendo questo il primo vero generatore automatico su intenet. Infatti utilizza un dizionario di oltre 200 vocaboli latini, combinati con un insieme di modelli di strutture di periodi, per generare passaggi di testo verosimili. Il testo così generato è sempre privo di ripetizioni, parole imbarazzanti o fuori luogo è Lorem ipsum
Favria 17.09.2016. Giorgio Cortese

L’ignoranza è madre dell’arroganza. Certe persone sono “SS” che è la sigla che li contraddistingue, ovvero la Simplissità, la riduzione del complesso a semplice e Supponenza.