Caldo afoso luglio. – Res gestae favriesi dal Berry a berroviere.- Il piccoletto! – Se potessi avere le braccia di Briareo – Le cariatidi rifatte!… Le pagine di Giorgio Cortese

Caldo afoso luglio.
Luglio con il Tuo caldo afoso e le lunghe notti di sudore. Siamo in Estate e vivo l’attimo di quello che succede tra una doccia e l’altra.Luglio saresti un mese perfetto a metà strada tra giugno e agosto, non è inizio estate quando ancora sei incerto sul futuro, né agosto quando iniziano le preoccupazioni per l’imminente settembre, luglio è in mezzo, non c’è via di scampo nei pensieri: o è estate o è estate. Questa sera ho letto alcuni post qua e là, di gente che non conoscevo. “Letto” è un parolone, diciamo che mentre invocavo il dio della pioggia, immerso in una sauna da foresta tropicale ho pigramente fatto ballare l’occhio sul computer acceso. Mi ha colpito una frase, in particolare, contestualizzata in un post devo dire molto bello, poetico, profondo. “Il mio amico mare”. E ho pensato, come oggi, con quanta facilità la gente riesca a instaurare rapporti d’amore con oggetti, cose, entità e animali. Mentre invece tra di noi questa cosa risulta difficilissima. Sarà colpa del caldo che straparlo, ma cosa sarebbe un anno senza estate, una grigia vita senza amore. A questa stagione invidio l’orgoglio. Arriva all’improvviso, e se ne va soltanto quando nell’animo gli imploro di restare. Tutto l’anno aspetto l’estate anche questa qui caldissima e afosa, ma mi spaventano i nomi idioti degli anticicloni. Meno male che è sera con la sua notte stellata, la notte estiva è simile ad una perfezione del pensiero e da sollievo al fisico dopo una giornata afosa
Favria, 11.07.2015 Giorgio Cortese

Nella vita, succeda quel che succeda, cerco di non abbassare lo sguardo alla vita, ma la guardo sempre con forza e speranza nel futuro che deve arrivare, cercando di conservare sempre la gioia di vivere e con l’animo sempre colmo di ottimismo

Res gestae favriesi dal Berry a berroviere.
Il lemma berrovière o birrovière deriva dal provenzale berrovier, a sua volta dall’antivco francese . berruier, forse per indicare un soldato della regione francese del Berry. Altri voglioni che derivi dal longobardo birro, sgherro,, così erano chiamati nei sec. 13° e 14° gli uomini armati che venivano assegnati ai priori per l’esecuzione degli ordini, o che i podestà, i bargelli, i capitani del popolo portavano con sé quando si recavano a esercitare la loro carica in un comune: Il berroviere (beroerius) era una figura molto interessante nel panorama piemontese del XIII secolo. Noto negli statuti di diversi comuni, come quelli bresciani col nome di “bertolotto” prestava il suo servizio in guerra militando a cavallo nell’esercito cittadino. In alcune località erano esonerati da alcune tasse (gli honera rusticana) tutti coloro che, aventi una rendita annuale superiore alle 300 lire, si impegnavano a mantenere costantemente un cavallo e l’equipaggiamento da cavaliere. Lo stato sociale del berroviere va ricercato quindi nella fascia medio-ricca della popolazione cittadina e del contado; essi infatti erano figli di agricoltori o mercanti agiati, artigiani benestanti o nobili del contado con una discreta possibilità economica. Non mancava però che, in alcuni periodi dell’anno, queste persone abbandonassero le proprie attività quotidiane per servire come truppe mercenarie al soldo di altri comuni. Essi venivano ingaggiati dai rappresentanti del comune richiedente con dei contratti ad personam redatti da un notaio (notarius) e della durata di tre mesi rinnovabili In alcuni casi (se il contratto lo prevede), il berroviere poteva essere risarcito per la perdita di cavalcatura ed equipaggiamento mediante una stima preventiva del valore dell’armamento. L’incremento che ebbe l’impiego di berrovieri mercenari nelle guerre comunali del Nord Italia fece si che questi combattenti, di propria volontà e non più su richiesta, prendessero armi e bagagli per accorrere, anche non voluti, ad ogni sentore di guerra in vista di ricchi bottini e facili guadagni, operando quasi ai margini della legalità. Nel Canavese del XIII secolo venne istituita la lega contro il brigantaggio, infatti, l’endemico stato di guerriglia fra i signori locali nonché i frequenti attriti fra le maggiori città dell’Italia nordoccidentale, fra Ivrea e Vercelli, Pavia e Milano, Vercelli e Novara, ecc., determinarono uno stato di grave tensione, in cui le alleanze fra tali piccole e medie potenze si alternavano in un crescente e pericoloso gioco d’interessi e di rivalità.In questa situazione s’inquadra la costituzione della “grande lega del Canavese”, della quale facevano parte non solo i conti delle varie casate ma anche il forte comune d’Ivrea, suggellata dalla “Carta Concordiae” del 1213. L’alleanza fra canavesani ed eporediesi doveva dissuadere la politica espansionistica intrapresa dal Marchese del Monferrato e sostenuta da Vercelli, ma, già nel 1231, le rinate rivalità fra i conti ed il comune d’Ivrea, in un primo tempo neutralizzate con un nuovo accordo del 1229, compromisero irrimediabilmente il futuro della lega. La comunità di Favria, posta sotto il controllo dei Monferrato, non era certamente in grado di vivere in prima persona queste controversie. Tuttavia almeno un atto del consortile deve aver interessato anche il borgo favriese. Si tratta della convenzione dell’11 marzo 1263, stipulata da Vercelli ed il Marchese del Monferrato con i conti del Canavese, per l'”estirpamento dei berrovieri e dei ladri”. (A.Bertolotti, “Convenzioni e statuti nell’estirpamento dei berrovieri e dei ladri dal Monferrato, Canavese, vercellese e Pavese nei secoli XIII e XIV”, in “Miscellanea di storia italiana”, tomo XII, Torino, 1871, pp. 735.-761 e G. Frola, “Classificazione degli statuti”, B.S.B.S., Torino, 1905, p. 144). Infatti, il fenomeno del brigantaggio, causato dall’imperversare delle guerre e dalle sopraffazioni dei signori, aveva assunto proporzioni tali da richiedere interventi straordinari per la sicurezza delle strade e la difesa dei piccoli borghi rurali come la costruzione di recinti e luoghi fortificati. Ricetti, per racchiudere i raccolti.
Favria 12.07.2015 Giorgio Cortese

I donatori di sangue sono angeli convinti che il loro amore non sia una goccia nel mare!

Il piccoletto!
In una calda sera di fine giugno, a ridosso della festa Patronale del paese dove abito, andavo dai miei suoceri in auto. Arrivando vicino alla cascina dove abitano, mi sono imbattuto in un piccoletto. Ho incontrato il piccoletto, vicino alla cascina in una curva della strada bianca di campagna. Il piccoletto, basso e tarchiato mi osservava immobile nel centro della strada, ed io mi sono fermato per non investirlo. Il piccoletto è li immobile come una statua e mi osserva con aria di sfida, ed io per evitare malintesi suono il clacson affinché si sposti e lui con regale nonchalance arriva fino davanti al muso dell’auto e, poi sparisce alla mia vista. Già il suo atteggiamento mi è sembrato distaccato e apatico, proprio come il lemma nonchalance che deriva dall’antico verbo francese chaloir, importare, con l’aggiunta davanti alla parola di “non”. Allora, preso da un leggero panico, mi chiedo dove sia finito il piccoletto? Suono ancora una volta il clacson e abbasso il finestrino e non lo vedo e mi dico, ma vuoi vedere che è sotto l’auto? Avanzo lemme lemme e dopo circa un metro lo rivedo con lo specchietto laterale ai bordi del campo. Ops ma che cosa avete capito? Il piccoletto è un magnifico esemplare di bulldog, cane dall’indole pacifica, dotato di una bassa reazione agli stimoli esterni, ed è per questo che non si è preoccupato del mio arrivo in auto. Pensate che la razza di questo cane risale all’epoca delle invasioni barbariche, quando le popolazioni nomadi provenienti dalla steppa euroasiatica portarono nuove razze canine di tipo molossoide nelle terre dell’impero romano. Rispetto al mastino da guerra da guerra già abbondantemente diffusosi nel bacino Mediterraneo, i barbari ricorrevano spesso ad una tipologia di cane dalle mascelle potenti ma dal fisico capace di reggere i rigori dell’inseguimento e della lotta con il bisonte europeo e l’uro, antenato degli attuali bovini domestici, allora animali allora diffusi nella steppa dell’Europa Orientale, fuori dai confini dell’impero Romano .Da questi cani sarebbero discesi i bulldog britannici e altre razze simili. Questo cane pare che sia stato selezionato in Inghilterra e pare che sia il frutto dell’incrocio nella prima metà dell’ottocento tra i molossi impegnati nei combattimenti con altri cani o contro i tori, la tauromarchia, con il carlino importato dalla Cina, che divenne in seguito un cane da compagnia. Ritornando all’episodio successomi, mi viene da pensare che nella vita di ogni giorno deve sempre riuscire e ad andare oltre. Oltre le apparenze, oltre la sofferenza, oltre le sensazioni, oltre ogni logica, oltre tutto. Questo vuol dire saper vivere, infatti il piccoletto era molto più attento del sottoscritto e diligentemente si era messo sul lato strada mentre io avevo inteso il suo atteggiamento una pericolosa apatia. La vita è una continua sorpresa vissuta con lieti attimi di piacevole stupore e mai sottovalutare i piccoletti!
Favria,, 13.07.2015 Giorgio Cortese
Il dono è sempre gratuito, un atto di scelta che è un impegno e una promessa, un desiderio di con-passione e di con-divisione
Nella vita tanti sanno partire ma pochi sanno arrivare.

Se potessi avere le braccia di Briareo
Briareo è una figura della mitologia greca, figlio di Urano e Gea. Era uno dei mostri con cinquanta teste e cento braccia, gli Ecatonchiri o Centimani. Gli uomini lo chiamavano Aegaeon, Egeone, mentre gli dèi Briareo. Esiodo nella Teogonia narra che Poseidone vista la gran forza di questo gigante gli concesse di sposare sua figlia Cimopolea. Ovidio narra di come sia riuscito ad uccidere l’Ofiotauro il mostro che avrebbe permesso la vittoria sugli dei bruciandone le viscere. Briareo, però, non riuscì a bruciarle, poiché gli furono sottratte da un nibbio inviato da Zeus. Quando Apollo, Era e Poseidone cercarono di detronizzare Zeus, esasperati dai suoi capricci, Teti domandò il suo aiuto. Oggi è rimasto il modo di dire è rimasto “bisognerebbe avere le braccia di Briareo” quando magari siamo impegnati a fare molte cose nello stesso tempo. Nella Divina Commedia, nell’Inferno, canto XXXI, Briareo è posto alla guardia del lago di ghiaccio, Cocito, che costituisce il Nono Cerchio. Nel Purgatorio, canto XII, invece, tra gli esempi di superbia punita, Dante Alighieri raffigura Briareo, che prese parte alla battaglia dei Titani contro Giove, scolpito nella roccia, quale esempio di superbia punita, in quanto egli si è rivoltato contro la divinità. Viene inoltre citato nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, dicendo che “attesoché l’humana malitia per sé sola bastar non dovrebbe a resistere a tanti Heroi, che con occhij d’Argo e braccj di Briareo si vanno trafficando per li pubblici emolumenti”, dal momento che la malignità umana da sola non dovrebbe bastare a resistere a tanti eroi, che con occhi d’Argo e braccia di Briareo si danno da fare per il bene comune.
Favria, 13.07.2015 Giorgio Cortese

L’acidità di certe persone non va misurata col ph, bensì con quanto fiele buttano addosso agli altri con le loro gole profonde.

Le cariatidi rifatte!
Con la bella stagione assisto ogni anno al rito estetico delle rifatte! Le rifatte se non ci fossero si dovrebbero inventare. Ritengo le rifatte una piacevole distrazione alla noia quotidiana nei luoghi di villeggiatura. Quando sulla spiaggia arriva una rifatta è impossibile non osservare che sfidi la legge di gravità con glutei scolpiti e d i seni marmorei che per un’azione contronatura hanno un innalzamento apicale. Le rifatte non hanno problemi ad entrare in acqua anche se non sono capaci a nuotare. Basta che tengano chiuse le labbra a canotto e sicuramente galleggiano. La cosa agghiacciante e che non sorridono mai per non rovinare il lifting e hanno sempre un’espressione glaciale a causo dell’uso massiccio del botox.
Favria, 14.07.2015

Quando sono sicuro di aver ragione al 100% su qualsiasi cosa, difendo fino in fondo la mia posizione per raggiungere il mio obiettivo con le unghie e con i denti. In poche parole non mollo.

Fra il “già” e il “non ancora”, ogni giorno siamo sempre sul filo della speranza.