Da piccoli uomini a silenziosi avvisi alla prudenza – W gli Alpini-Arancione! – L’acqua all’inizio di tutto. – Da greppina all’arte del riposare – Franchi tiratori – L’orda non è l’ordalia – Da turco a turchese…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Da piccoli uomini a silenziosi avvisi alla prudenza
A Favria ho visto con piacere comparire sagome di studenti in polistirolo nei pressi di scuole e municipio, volte a scoraggiare gli automobilisti da accelerazioni non compatibili con quei luoghi. Ciò grazie al personale impegno di una Consigliere Comunale, che con tenace impegno ha portato a termine una bella idea a dimostrazione che per Governare vale di più il passo della formica che il faraonico e mai concluso progetto. Spero come tutti i concittadini che gli automobilisti ne traggano un invito a guidare con prudenza e moderazione e non solo nelle ore di entrata e uscita degli studenti. Mi auguro che tali manufatti siano coperti dall’occhio elettronico della video sorveglianza e che durino nel tempo. Questa azione positiva mi ha fatto venire in mente il significato della parola manichino e sagoma. Il manichino è un manufatto che riproduce un essere umano, in parte o completamente, con le giuste proporzioni. La derivazione del nome è ancora incerta, pari che derivi dall’olandese manneken con significato di piccolo uomo, o dal francese manne, cesta, con riferimento ai cestai che con il vimini intrecciato realizzavano anche i manichini. Si hanno notizie scritte di manichini, in Europa, definiti come grandi bambole, già alla fine del 1300. A Venezia, nel Settecento, durante la festa dell’Ascensione, venivano esposte grandi bambole abbigliate all’ultima moda francese. Erano chiamate “Piavole de Franza”, bambole di Francia. Bambole abbigliate all’europea partivano da Parigi e da Londra per soddisfare le più ricche famiglie d’Oltreoceano, in modo che le signore potessero scegliere i loro vestiti all’ultima moda. Dalla seconda metà dell’Ottocento, vennero utilizzate piccole bambole sulle quali le grandi sarte confezionavano, in proporzioni ridotte, copie delle loro creazioni. Diverso è il discorso per la parola sagoma che deriva dal latino sacoma a sua volta dal greco dorico sakoma con il significato di contrappeso. Oggi la sagoma può essere un pezzo di carta, legno o altro materiale, che, riproducendone il contorno, serve per la costruzione di elementi architettonici, di mobili, di carrozzerie e di altre lavorazioni artigiane e industriali, ma è anche il modo di presentazione esteriore di un oggetto o di una persona, soprattutto riguardo alle sue dimensioni, sagoma snella o tozza, oppure anche un oggetto a forma umana che deve essere colpito nel tiro a segno e nei poligoni di tiro come bersaglio. Oggigiorno la vita quotidiana offre innumerevoli occasioni di agire e allora l’idea più bella, il valore più alto, il proposito più nobile, ha meno forza di una palla di neve al sole se non viene espresso con gesti concreti. La realtà quotidiana va intrisa di valori, va intessuta di piccole azioni che testimoniano l’orientamento di un pensiero che forse non cambia il mondo ma si aggancia concretamente alla realtà. Alla fine sono queste le idee che cambiano il mondo quando sanno trovare un collegamento concreto e costruttivo come questi manichini o sagome che hanno tradotto una idea in una azione concreta a vantaggio di tutti e che magari si completerà con il successivo passaggio un cartello all’ingresso nelle varie piazze con la scritta di rallentare perché a Favria dei bambini nell’era di internet giocano ancora in strada liberi di divertirsi all’aria aperta. Mi auguro infine che il prossimo passo siano i Safety Cross, detti anche “passaggi pedonali sicuri”, che sono impianti lampeggiati dotati di sensori in presenza di pedoni, che entrano in funzione quando una persona si trova alle estremità del passaggio pedonale, attivando le lampade a led su entrambi i lati della strada. questi dispositivi sono anche abbinati al segnale verticale di attraversamento pedonale ed alimentati da un pannello fotovoltaico, insomma abbinare la sicurezza ad uno sviluppo ecosostenibile. Nel mondo ci sono abbastanza risorse per soddisfare i bisogni di ognuno di noi ma non la nostra personale avidità, insomma siamo tutti come delle farfalle e la Terra è la nostra comune crisalide.
Favria, 18.09.2016 Giorgio Cortese

Ritengo che invecchio solo quando i rimpianti, in me stesso, superano i miei sogni

Susa forte come vigoroso è il sentimento alpino
Sono stato a Susa domenica 11 settembre per il Raduno Intersezionale del Primo Raggruppamento Alpini. Nell’inchiostro di queste poche e misere righe, scritte con il cuore, desidero condividere con Voi le mie riflessioni su questa straordinaria esperienza al raduno alpino per esprimere a modo mio il sentimento di gratitudine per quanto ricevuto in dono ogni volta che partecipo ad un raduno alpino. Trovarmi da alpino in mezzo a migliaia di alpini ogni volta mi viene da pensare che la solidarietà è simile ad una barca che non affonda mai perché naviga su un mare infinito fatto di mani di altri alpini che si stringono e Ti sorreggono. Penso che i valori alpini sono simili a quelle escursioni sulle cime più alte dove ci si rende conto che la neve, il cielo e l’oro hanno lo stesso valore. A Susa. chiamata Segusium in epoca romana, toponimo formato dalla radice della parola gallica sego che significa forte, il mio animo si è sentito ancora più forte per riprendere il quotidiano cammino. Nella vita di oggi sentirsi Alpini un sentimento, un qualcosa che trovo dentro il mio animo e non è facile da spiegare. I valori alpini sono una sensazione particolare nel poter toccare uno strano copricapo con la penna, un cappello, spazzolato e quasi coccolato, che mi chiede di essere custodito come un piccolo tesoro. Essere alpino è una a passione contagiosa che porta un patrimonio di principi e tradizioni dei quali come Alpini ne siamo sempre semplice testimonianza viva e indissolubile: il buon senso, la vita semplice, i sentimenti spontanei, la grande operosità, l’educazione dei giovani, il rispetto dell’altro, il concetto di Patria, il senso della disciplina, il senso del sacrificio e del dovere e l’amore per la propria famiglia. Ritengo che se seminassimo questi principi nella società, il raccolto sarebbe sicuramente migliore. Questi sentimenti sono il mio tesoro sempre dentro nel mio animo e che lo rigenerano ad ogni raduno, insomma una riserva di saggezza di fronte alle avversità della vita quotidiana.
W gli alpini
Favria 19.09.2016 Giorgio Cortese

Il personale grado di violenza verbale di certe persone è generato dal proprio livello di ignoranza.

Arancione!
In questi mesi estivi ho indossato una polo arancione e una persona che ho incontrato un sabato mattina mi ha fatto notare molto su questo colore ed il suo significato e ne è nato un bel dialogo. Innanzitutto l’etimologia del termine ci porta al frutto dell’arancio, in latino questo colore era chiamato aurantium, da aureum, cioè oro. La combinazione tra gli elementi di questa conoscenza dorata con quelli associati alle proprietà del rosso più vicine all’amore, collocano l’arancione sul versante dell’illuminazione spirituale, come dimostrano le vesti zafferano, dal persiano za’fran, che significa oro, illuminazione, saggezza rivelata, dei monaci buddisti oppure le numerose iconografie bizantine che raffigurano il Cristo. Rimanendo sulle valenze del rosso-amore, il colore arancione acquisisce anche un significato specifico e particolare: l’auspicio che la passione e l’ardore del rosso possano essere attenuati con la saggezza dorata del giallo. Già nell’antica Roma, infatti, arancione era il velo della Flaminica Dialis, la sposa di Flamen Dialis, il sacerdote di Giove, alla quale era inibito il divorzio. Gli antichi romani utilizzavano questo colore per il tessuto degli abiti nuziali delle donne, poiché esso è un colore caldo, adatto quindi a simboleggiare l’unione dei sentimenti nel matrimonio. Per tale ragione, durante i riti nuziali le spose indossavano un velo del medesimo colore, il flammeum, così rilevante che lo sposarsi, per la donna, era definito nubere, ossia prendere il velo, velarsi, ed avente l’importante funzione di contrastare gli eccessi delle passioni terrene. Per i primi cristiani l’arancione era identificato con la lussuria e, non a caso, rappresentava uno dei sette vizi capitali, i peccati di gola. Nella cultura giapponese e cinese, inoltre, l’arancione, soprattutto legato alle arance, è da sempre considerato espressione di buon augurio; fin dal XII secolo, infatti, il primo giorno di ogni anno, un carico di frutti partiva da Pechino diretto alle divinità della città di Foochow e le relative offerte di arance acquisivano l’auspicio di felicità. prosperità e abbondanza. L’arancione diviene anche il colore del sole al tramonto e delle foglie d’autunno, con i relativi vissuti di tristezza e nostalgia che accompagnano il termine delle giornate o la fine di un ciclo. Nell’araldica l’arancione denota forza, onore e generosità. Il suo impiego come colore araldico è relativamente raro, è il colore nazionale dei Paesi Bassi dal momento che la famiglia reale trae le sue origini dal principato di Orange Nassau, la nazionale di calcio Olandese è definita Oranje, il termine olandese per arancione, attualmente nella moderna bandiera del paese il rosso sostituisce l’originale arancione. L’arancione è un colore “moderno” e recente, poiché il termine arancio compare infatti solo a partire del XV sec., dopo l’importazione dei primi aranci Per questo viene adottato da recenti movimento politici come simbolo di cambiamento , ma non solo .In realtà l’arancione simboleggia il colore del sole, la luce che emana l’inizio di un nuovo giorno e dunque la speranza. E’ l’opposto del grigiore e della mancanza di vitalità e di gioia. L’arancione simboleggia anche la comprensione, la saggezza, l’equilibrio e l’ambizione. E’ un chiaro segnale di vitalità ed energia , associato alle persone ottimiste e comunicative, aperte agli altri e al nuovo. Ricorda il succo del frutto da cui prende il nome che non è mai uguale, ma diverso ad ogni nuovo spicchio che si assapora .Si associa facilmente all’energia, alla positività, alla passione del fare. E’ accogliente ed invitante,spesso associato al cambio di stagione e perciò mi accorgo sempre di più di essermi circondato di arancione, vi assicuro, in tempi non sospetti, scriveva un fatti Vincent Van Gogh che: “non c’è blu senza il giallo e senza l’arancione”
Buon arancione a tutti!
Favria 20.09.2016 Giorgio Cortese

Le quotidiane riflessioni simili a delle gocce d’acqua, mi dissetano l’uomo, alimentando la mia vita quotidiana

L’acqua all’inizio di tutto.
Nei giorni caldi di agosto ho incontrato l’amico Meo, un monumento vivente alla conoscenza e alla cultura, nei confronti del quale mi sento pieno di una immensa ignoranza. Abbiamo parlato di vari discorsi per poi arrivare a Richard Wagner. Personalmente mi piace ascoltare le sue opere. Ritengo il Crepuscolo degli dei che si conclude il Ring, e con il leitmotiv della redenzione d’amore, si trovi una sorta di riscatto nell’imponenza del Parsifal sulle note della “Redenzione al Redentore”, anche se ho dei dubbio che in Wagner la sua concezione religiosa collimi in pieno con una visione cristiana ma sia invece intrisa di molteplici venature.. Ma quello che amo in questa Tetratologia è l’inizio con l’acqua, che sta il principio di tutto. L’ha cantato Omero, lo ha ribadito Talete, lo ha in parte condiviso Empedocle e pure Aristotele. Nella mitologia nordica il mondo intero scaturirebbe dagli opposti: acqua e fuoco. Ma all’acqua è riservato il ruolo di elemento purificatore, rigeneratore, forza vitale e fecondante. Il fiume, portatore perenne di acqua e di vita, separa il mondo buono di uomini e dei, da quello cattivo delle potenze del male. Il Reno è il fiume germanico per eccellenza. Da esso scaturisce la vita e prende corpo l’intera vicenda nibelungica. Il suo fluire accompagna i destini di uomini, dei e potenze maligne. Le sue acque, alla fine, riporteranno la vita, nonostante tutto. Come nell’antica civiltà mesopotamica ad ogni entità corrispondeva un tema musicale, anche nella tetralogia ad ogni elemento, vivente o meno, corrisponde un motivo musicale caratteristico che partecipa alla grande e complessa narrazione. E’ dai leitmotiv che si possono dedurre i pensieri non espressi dei diversi protagonisti, oppure le implicazioni psicologiche dei ragionamenti, oppure ancora le avvisaglie portate dalla natura o dal destino. L’intera vicenda che inizia dall’acqua, dal Reno, dal fluire morbido e costante della sostanza primordiale, tutto sembra in armonia. Acqua, fuoco, terra ed aria, elementi di memoria empedoclea, costituiscono stabilmente un equilibrio fondato sull’amore, l’amore cosmico, quello, per intenderci, che trova il suo contrario nell’odio e nella disarmonia. Il Reno custodisce l’oro, simbolo di perfezione. Nella mitologia nordica l’oro è un bene condiviso da terra ed aria, delle quali sintetizza le migliori qualità: la fecondità e la purezza. L’oro rappresenta la saggezza degli dèi, e per questo è bramato dalle forze del male. Le acque del Reno lo rendono inaccessibile a chiunque. Come se non avessero una vera fiducia nel potere protettivo delle acque fluviali, gli dei hanno posto a protezione dell’oro tre Ondine, figlie del Reno. Quando giunge il nibelungo Alberich ne nasce un gioco di maliziosa seduzione. Le tre ondine si prendono gioco di Alberich. I nibelunghi sono gli abitanti del sottosuolo abili nel forgiare i metalli perciò sfruttata dagli dei. Non voglio tediarvi con resto della storia ma le vicende di dei, nani, ondine, demoni e giganti assumono un particolare sapore di attualità nel clima politico nel Belpaese. Wagner incentra tutta la storia sul potere, rappresentato dall’anello, il Ring, sinonimo di corruzione della purezza primordiale, e sui modi in cui i giochi di potere condizionano gli equilibri fra le diverse componenti di quella singolarissima società. C’è il capitalismo spietato e sfruttatore del nano nibelungo che inscena delle lusinghe “elettorali” sul fondo del Reno per sottrarre l’oro alle ondine, rinnegando l’amore in favore della sua inesauribile sete di potere; ci sono le vertenze contrattuali fra i giganteschi imprenditori e la dirigenza divina che pensa di poter sempre fare come le pare senza rispettare i patti, e poi c’è la poderosa industria metallurgica che si regge sulle condizioni di schiavitù degli operai. Insomma ci sono trucchi, sotterfugi, promesse non mantenute; e c’è anche il geniale semidio Loge che esprime il proprio disagio nel mettere momentaneamente da parte l’innato istinto rivoluzionario e anticonformista per accettare un’alleanza scomoda ma necessaria, l’attuale fenomeno elettorale del votare tappandosi il naso. Insomma le vicende ambientate da Wagner sulle rive del Reno non rappresentano contesti e situazioni poi così lontani dalla scena pubblica che si svolge al giorno d’oggi sulle rive delle nostre Comunità, nihil sub sole novum, nulla di nuovo sotto il sole. Frase biblica, contenuta nel libro dell’Ecclesiaste che significa l’eterno ripetersi degli eventi nella storia del mondo.
Favria, 21.09.2016 Giorgio Cortese

Ogni giorno mi sforzo di ascoltare non solo quello che si dice, anche quello che non si dice, ma soprattutto quello che non si fa!.

Da greppina, cisolnga a sedia a dondolo a sedia a sdraio, l’arte del riposare
La greppina, anche detta sislonga cislonga o chaise longue, è una poltrona allungata, simile al canapè, ma dotata di un unico appoggio rialzato per la testa. Nella Grecia antica, la greppina era il seggio normalmente utilizzato dai filosofi durante le lezioni e fu adottata nel mondo romano, ove era chiamata cathedra supina o più semplicemente longa, termine dal quale discende la definizione francese chaise longue, sedia lunga, poi italianizzato in “cislonga o sislonga”. Il lemma “greppina”, invece, deriva dal fatto che tale seggio è simile a quello realizzato per la statua di Flavia Giulia Elena, custodita nei musei capitolini, per molti secoli ritenuta erroneamente la raffigurazione di Agrippina moglie di Germanico. Dopo un lungo periodo d’oblio, questo tipo di mobile tornò di gran moda in Francia intorno al XVI secolo. I primi modelli ricalcarono la tipologia della poltrona bergère, caratterizzato però da un sedile piuttosto profondo e da una spalliera inclinata che permettevano una posizione allungata. Nei primi anni de XVIII secolo vennero introdotti nuovi tipi di chaise longue, tra i quali una bergère estesa con due sgabelli quadrati, chiamati bouts de pied; la duchesse invece era formata da due bergères unite da una specie di ponte e aventi due schienali di altezza differente; infine, la duchesse brisée era costituita da una bergères, il cui piano di sedile trovava prosecuzione in una panchetta imbottita. Appena prima la metà del Settecento, un altro tipo di cislonga, detto la veilleuse venne progettato come un divanetto contraddistinto da fianchi di altezza diversa. Con il trionfo del gusto neoclassico, iniziato ai tempi di Luigi XVI, le chaise longue realizzate all’epoca subirono alcune modifiche come la perdita dei braccioli e il riequilibrio dell’altezza degli schienali delle due poltrone. Successivamente con la Restaurazione tale mobile richiamò la più antica tipologia di chaise longue, nei periodi successivi, invece, si assistette ad una continua evoluzione del prodotto, come evidenziarono la baigneuse dai fianchi arrotondati e la flâneuse, ossia una lunga poltrona in legno e lo schienale in canna d’India, divenuta un prodotto durevole nel tempo visto che ha conservato una certa popolarità ancora nella seconda metà del Novecento, grazie ad una sua variante americana chiamata rocking chair o sedia a dondolo. Nel XX secolo si introdussero il modello transatlantique, o sedia a sdraio, e la derivazione inglese detta relaxation, ossia sedili allungati con un’intelaiatura di inclinazione regolabile. Quando mi sento stanco o voglio semplicemente riposare, non basta una sedia per far riposare le gambe ed il letto ritengo che sia adatto per dormire. Ma una sedia a sdraio è puro relax. Personalmente faccio sempre qualcosa di rilassante prima di prendere una decisione importante nella mia vita. Durante le vacanze, appena trascorse che bello leggere un buon libro ed osservare come tutto quello che mi circonda di muove come una danza armoniosa e rilassata. Certo tutto ma in maniera rilassata e solo noi umani ci muoviamo con affanno ed ansia. Osservo e vede che stagione dopo stagione gli alberi crescono, gli uccelli cinguettano, i fiumi scorrono, le stelle ruotano, tutto avviene in una maniera molto rilassata. Non c’ è fretta, furia, preoccupazione o spreco come per noi miseri bipedi. Se potessi vivere nuovamente la mia vita nella prossima cercherei di commettere più errori, cercherei di essere meno perfetto ma più rilassato, e meno male che la vita è una sola e meravigliosa se no nella prossima cambierei la sdraio per una greppina. Premetto il mio non è ozio che lo considero una ruggine che corrode l’animo. Il mio in vacanza è stato un rilassamento attivo che mi ha aiutato a rinfrescare e ristorare la mente, mantenendola flessibile e in tono per pensare
Favria, 22.09.2016 Giorgio Cortese

Solo le persone che trasportano la propria acqua, conoscono il valore di ogni goccia rovesciata al suolo.

Franchi tiratori
Franchi Tiratori furono istituiti in Francia per difendere con una guerra di imboscate e azioni di guerriglia la regione dei Vosgi, ripetutamente invasa nel 1792, 1815 e 1870 dai prussiani. Oggi il termine definisce ora un politico che, in segreto, vota in modo differente rispetto al proprio partito. Il lemma franco tiratore è attestato nell’italiano scritto dal 1870, all’interno di cronache giornalistiche sulla guerra franco-prussiana. I Francs-Tireurs rappresentarono la prima ossatura dell’ esercito dei Vosgi che , sotto la guida di Giuseppe Garibaldi, , combatté nell’ultima fase della guerra franco-prussiana del 1870. Fu al ritorno in Patria dei volontari italiani che la traduzione “franchi tiratori” si diffuse nel nostro Paese. Non a caso: franco tiratore ricalca il francese franc-tireur, da cui riprende il significato storico: “Guerrigliero che opera, per lo più isolato o in piccoli gruppi, contro forze regolari, soprattutto nei centri abitati che il nemico cerca di occupare o sta evacuando”.Vocabolario della lingua italiana Treccani. In Fancia, nella regione dei Vosgi, fu istituito un corpo di milizie volontarie denominate per l’appunto Franc-Tireurs, che difese la nazione quando questa fu invasa nel 1792, nel 1815 e nel 1870. Il lemma cecchino era usato per indicare i soldati austro-ungarici, i tiratori scelti che appostati sparavano con fucili di precisione su obiettivi singoli. Il lemma deriva da da Cecco Beppe, nome con cui era chiamato in Italia l’imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria, che regnò sull’Impero Austro-ungarico fino al 1916. Questo termine militare, oggi molto diffuso, indica quel tipo di tiratore che, appostato in luoghi adatti, riparati ma con buona visuale, spara sul nemico a sorpresa o in passaggi obbligati, con colpi precisi e fatali. Come detto prima questo nome entrò in voga durante la prima guerra mondiale, furono chiamati cecchini i soldati dell’Impero Austro-ungarico, essendo sudditi di Francesco Giuseppe, alias Cecco Beppe. Un nome che deve la sua fortuna sia alla sua ironia, che è sempre uno straordinario volano per il successo delle parole-, sia alla vaga assonanza col suono degli scatti di un fucile che spara, sia, forse, al fatto che il cecchino, per sparare, chiude un occhio, come se fosse… ciechino. È anche sinonimo di franco tiratore che a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, nel linguaggio politico e giornalistico italiano, in senso figurato franco tiratore è il rappresentante di un partito o di uno schieramento che, in votazioni segrete di organi collegiali, vota in modo diverso da quello concordato o ufficialmente deciso dal proprio partito o schieramento. Nel franco tiratore politici, oggigiorno c’è, riflessa, l’immagine del cecchino che, nascosto, tira all’improvviso. In centocinquant’anni, il franco tiratore da eroe è passato a traditore.
Favria 23.09.2016

Ma cosa sono le parole? Cosa sono le frasi? Non sono altro che un paio di parole fuse in una melodia stupenda. Cos’è la musica? È l’espressione dell’amore in rima, in rima di parole provenienti dall’anima, dal cuore. Cos’è la scrittura? Un paradiso che può essere descritto da colui che ha percezione, che sente l’emozione scorrergli nelle vene.

L’orda non è l’ordalia
La parola orda deriva dal turco orda , urdu, , tenda del khan, esercito. Questa parola è passata in occidente attraverso le lingue slave e il persiano con le invasioni mongoliche, via via estendendo il proprio significato da generico accampamento, a quartier generale, a esercito, al significato attuale. Questo lemma evoca una massiccia valanga di gente, confusionaria, caotica, inarrestabile. Così come le orde delle babele di turisti che sciamano per le strade e i vicoli dei centri storici, orde di persone che addollano i centri commerciali nel primo giorno dei saldi. Strano che poi le vere orde del passato nessuno le abbia mai viste, ed è bello immaginarsi come apparissero le pesanti falangi della cavalleria mongola che fanno tremare la terra delle steppe russe, mentre i cavalieri alzati sulle staffe lanciano grida feroci, un’energia violenta e viva che allagò di sangue l’Asia intera, che piegò al vassallaggio perfino l’eroe russo Aleksandr Nevskij, talmente potente che riecheggia ancora nel nostro parlare, a secoli e secoli di distanza. Infatti in italiano ha un significato negativo, identificando un’accozzaglia di uomini armati, caratterizzata dalla violenza e da un accentuato disordine e mancanza di disciplina. Famosa nella storia è l’ Orda d’oro, in turco Sira Ordu,campo giallo o Altin Ordu, campo d’oro che ha regnato nella prima metà del sec. 14 nelle steppe dell’Asia centrale. Nell’esercito ottomano, turco, il termine ordu designava una formazione equivalente all’armata. Diversa è l’origine di ordalia che deriva dal latino medievale, ordalium giudizio, dal longobardo ordail giudizio di Dio, di origine germanica, nel tedesco moderno “das Urteil” è il giudizio, la condanna. In passato, per dirimere controversie giudiziarie, fu molto in voga l’ordalia, dove piuttosto che affidarsi a noiose indagini circa l’innocenza o la colpevolezza dell’accusato, si procedeva a sottoporlo a prove terrificanti da cui la divinità, se innocente, lo avrebbe fatto uscire non solo vivo, ma illeso. Così l’Europa per secoli è stata tutta un fermento di pietroni al collo, e giù nel fiume, ripescaggi a mani nude di oggetti da pignatte di acqua bollente o piombo fuso e lunghe passeggiate sui carboni ardenti. Inutile dire che a quanto pare c’erano un sacco di colpevoli, ai quei tempi. Per estensione l’ordalia ha indicato anche duelli giudiziari, com’era rapida la magistratura, allora, e prove lievemente meno truculente, ma sempre vòlte a determinare se il favore divino stesse o meno dalla parte di qualcuno. Oggi, che per certe questioni siamo meno inclini a rimettere tutto nelle mani di divintà sonnacchiose, l’ordalia resta una prova di deciso, ed ironico, sapore epico, che si può contestualizzare in una partita di calcio, in un esame, in una tornata elettorale, e da cui si può ancora far scherzosamente dipendere la benevolenza del dio.
Favria 24.09.2016 Giorgio Cortese

In questi anni ho raccolto le pietre che mi hanno gettato addosso r ho scritto un libro.

Da turco a turchese
La galassia dei nomi delle pietre preziose è affascinante, l’etimologia di questi nomi talvolta si perde nella notte dei secoli, altre volte ne è documentata l’origine. Possono derivare dalle divinità a cui le pietre si credevano collegate, o semplicemente dal colore o da quelli che ne erano eccellenti luoghi di provenienza, e proprio a quest’ultimo caso si riconduce la nascita del termine turchese. Infatti, nonostante si tratti di una pietra conosciuta e usata fino dall’antichità, gli Egizi la estrevano dalle miniere del Sinai, in Europa la sua fama, a partire dalla Francia, si è legata all’errata idea di una sua provenienza turca. Il nome moderno, turchese, è in qualche modo un nome errato da quando fu portato in Francia da un commerciante veneziano, venne chiamato “pierre turquois”, ossia “pietra turca”, nonostante la sua origine fosse persiana. Questo nome non fu però l’unico: in Persia era denominato “ferozah”, che significa “vittorioso”. Ancora oggi una delle località migliori per estrarre il Turchese rimane Nishapur, in Iran. Ulteriori zone estrattive sono gli Stati americani dell’Arizona e del Nevada e la Cina. Prima in Europa fino dal 13. secolo era conosciuta come callais, , che significa gemma bella, nome che deriva probabilmente dall’antico greco kallainos, così come il latino callaina. Il turchese come colore, si riferisce a una sfumatura così tipica di azzurro-verde del turchese, pietra, da averne assimilato il nome. Insomma turco, turchese e turchino hanno tutte la stessa origine, turca, appunto. Inoltre in molte lingue dei Balcani e del centro-nord Europa, turco si dice turkish. In italiano però la parola turchese si è specializzata per indicare solo la pietra e il suo colore, con un prestito adattato dal francese turquoise. Così importante è stata l’influenza francese che persino nella lingua turca, il turchese, pietra, si chiama turkuaz. Il turchese essendo una delle più delicate fra le pietre preziose, o meglio, fra le pietre dure, intorno ad essa sono nate molte superstizioni riguardanti il suo decadimento, tanto che, fin dall’epoca romana, è stata credenza diffusa che fossero innanzitutto gli influssi del vizio e di una condotta corrotta a sciuparla. Ma bastano profumi, oli e balsami per rovinarla irreparabilmente. Tanto celebre è stata questa pietra e tale il suo fascino che il suo meraviglioso colore verde-azzurro è indicato col suo stesso nome, e oggi lo riconosciamo in golfi, occhi e cieli
Favria 25.09.2016 Giorgio Cortese

Certe volte basta poco in molte cose che facciamo nella vita, per dar senso a ciò che facciano o vorremmo. Se guardiamo una goccia cosa fa quando cade in un po’ di acqua possiamo capire che una piccola cosa può fare molto.