Dalla satira a satiri – Che idiota! – L’arpa discordata, Res Gestae Favriesi – Facciamo una scelta di vita! – All’improvviso ti fanno vedere la luna nel pozzo.! – Dalla carruba alla serqua! – L’amico è metà del mio animo…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Dalla satira a satiri
La parola satira deriva dal latino, satura lanx, che era il vassoio riempito di offerte agli dei. Da questa parola, satira, deriva un genere letterario che è stato ed è ancora lo strumento per deridere personaggi e vizi pubblici. Oggi con il termine satira ci si riferisce non solo a un’opera letteraria, ma anche ad altre forme espressive con le quali si impiega l’arma del ridicolo come le vignette. Il genere satirico è per sua natura difficile da definire, poiché si situa a metà tra comico e serio, tra realismo e grottesco, distinto forse soprattutto dalla propensione a scardinare anche con violenza forme e usi propri della cultura ufficiale. La satira si distingue dalla comicità e dallo sfottò, la presa in giro bonaria, nei quali l’autore non ricorda fatti rilevanti e non propone un punto di vista ma fa solo del “colore”. La satira a mio giudizio, deve essere divertente e costruttiva. Ma irridere su di una tragedia non è satira ma cattiveria allo stato puro. La satira del giornale francese mi sembra sgradevole e fuori luogo ma umanamente li posso capire. Questi giornalisti invece di fare satira sui problemi di casa loro, che sono tanti, hanno trovato che fosse divertente irridere sio problemi dei loro cugini d’oltralpe e da satirici sono diventati dei satiri. I satiri erano nella mitologia del mondo greco e romano degli esseri che vivevano nei boschi circondati da una natura selvaggi, immaginati dai Greci,in forma umana, ma con orecchie, coda e talvolta zoccoli di cavallo. Esiodo li definisce buoni a nulla che giocano dei tiri ai mortali e, conformemente al loro aspetto semianimalesco, sono sensuali, aggressivi, ma anche vili. Questa volta il giornale satirico invece di giocare sull’arma del ridicolo per rivelare e colpire con lo scherno o con il ridicolo concezioni, passioni, modi di vita e atteggiamenti comuni a tutta l’umanità, o caratteristici di una categoria di persone ha pubblicato una becera, sgradevole e imbarazzante vignetta con delle didascalie di dubbio gusto morale, e forse meritano loro adesso una satira feroce per essersi comportati da vili satiri.
Favria, 5.09.2016 Giorgio Cortese

Una delle ricchezze che conservo gelosamente nel mio animo sono le parole dei grandi uomini perché esse sono perle di luce, che continuano a ruotare attraverso i miei pensieri ed illuminano di nuova luce ogni giorno la mia banale esistenza.

Che idiota!
Alzi la mano a chi non è scappa questa denigrante espressione nel vedere il comportamento privo di senso dei nostri simili. La parola deriva dal greco, idiotes uomo privato, da idios proprio. Certo è un dispregiativo, sì, ma di grande nobiltà. Ma quali sono le caratteristiche dell’uomo privato? Per approssimazione rispetto all’uomo pubblico, egli ha un’ottica circoscritta al proprio orticello, ai propri interessi, incompetente circa i grandi meccanismi che muovono il mondo, sprezzante verso contesti e necessità più ampie e meno provinciali. Il passo che porta ad associare questo status alla stupidità è brevissimo e molto antico. Ma ritengo che sia è necessaria una nota ulteriore, poiché non ogni idiozia è assolutamente dispregiativa. L’uomo che ignori tutto il male e che sia di bontà integerrima, senza nessun cedimento morale e perciò, rifacendomi alla radice, che ignori e non concepisca le bassezze e le ipocrisie cui tutti vediamo ogni quotidiano giorno intorno a noi, anche quest’uomo, dico, è un idiota. Ma che idiota? Da qui prende le mosse l’omonimo capolavoro di Dostoevskij, “L’idiota” che Vi invito a legger. Buona lettura
Favria, 6.09.2016 Giorgio Cortese

Certi giorni vivere la vita, significa recuperare i colori perduti durante il tragitto per poter disegnare una nuova strada.

L’arpa discordata, Res Gestae Favriesi
Il 7 settembre del 1706 avvenne aa Torino un fatto durante la guerra di successione spagnola. Quel giorno avvenne la battaglia che liberaca Torino dall’asseddio delle truppe francesi da parte delle truppe imperiali guidate da qurl genio della guerra Eugenio di Savio di Soisson alleato del ducca di Savoia poi re di Sicilia, molto prima della spedizione dei mille nell’ottocento da parte di Garibaldi. Quella mattina gli eserciti che si affrontavano erano numericamente equivalenti. Le perdite francesi furono di 10.000 soldati uccisi o morti annegati cercando di attraversare la Dora, le perdite austro piemontesi di circa 3.500 soldati, e vennero catturati anche 186 cannoni. Fu una guerra che coinvolse l’Europa continentale e anche il Brasile fini nel 1714. A Torino in memoria di quella splendida vittoria venne eretta la Basilica di Superga. Ma quello che voglio ricordare oggi è quanto scrisse un nostro concittadino favriese Francesco Antonio Tarizzo, prete in Torino sulla guerra vista dal basso da parte dei cittadini e non dei famosi generali che poi ne scrivevano gli avvenimenti attraverso le loro memorie. La presentazione della scena risulta estremamente vivace attenta ad ogni particolare e sembra quasi di riviverla, con l’evocazione delle grandinate di bombe, del sangue versato durante gli assalti, della guerra delle mine e delle contro mone nel sottoscuolo, dove norirà da ero Pietro Micca, ecco un breve stralcio del testo: “all’è pur venù el cas/ al me caval Pegas/De parlè da la Tragedia en suscint/ dell’ann millesim sett centim quint, /De pieme un po de spass/ Esponend el tremolass/ a l’arrif dj Francesis/ Vers Civass e la montagna, /Pais antic de cucagna. O Dio! Chi podria raccontè/ La gran furia de menè el pè./ Tutt’el mond era de trott/ Per emballè i so fagott,/ Camise e lingiarìa/ Con la pecitta famià,/ A dè partì a la mojer,/ Chi per le bande de Cher,./ Chi per Carmagnola,/ Al Mondovì e Salussola./ En Somma i pì gottos/Deventavano generos./ Noli se vedia che de calessant/ / su e giù andè girant/ Con la patrona e la reada; E smiava che la Fojada/ Ai camminass darè/ Per spareje quale mortè…..traduzione: “E’ dunque capitato/ al mio cavallo Pegaso/ di parlare succintamente della Tragedia/dell’anno 1705, / di prendermi un po’ di svago/ raccontando del tremito/ della mano dei Torinesi/ all’arrivo dei Francesi/ dalle parti di Chivasso e della collina, / antico paese della cuccagna/ O Dio! Chi potrebbe raccontare/ la grande fretta di fuggire./ Tutti si davano un gran da fare/ per imballare le proprie cose, / camice e biancheria/ con la famigliola, / a dare ordini di partire alla moglie, / chi per le parti di Chieri, / chi per Carmagnola, / Mondovì e Salussola./ Insomma i più gottosi diventavano generosi. / non si vedevano che vetturali / andar girando su e giù/ con la padrona e la cameriera; / e sembrava che la Feuillade, comandante dei Francesi /li inseguisse/ per sparare qualche colpo di mortaio…..
Favria 7 settembre Giorgio Cortese

I pensieri positivi sono simili a fiori che dormono timidi nelle loro gemme, ma che esplodono in tutta la loro bellezza se vengono baciati dalla luce di uno splendido mattino.

Facciamo una scelta di vita!
Nel 1639 Amatrice fu gravemente danneggiate dal terribile terremoto nei giorni 7, 14 e 17 ritengo con uno scenario molto simile a quello odierno. Successivi terremoti si verificarono nel 1672, 1703, 1730 1916. Adesso mi sembra che sia giunta l’ora di dire basta di soffrire davanti ai morti e alle distruzioni . Davanti al tragico evento del sisma dove non è il terremoto che uccide ma la casa che crolla addosso. E non solo case antiche , ma anche edifici recentissimi. Ritengo che non sia accettabile che crollino le case moderne. No, i nuovi fabbricati e quelli ristrutturati non possono crollare e uccidere, non devono! In questi tragici momenti sono orgoglioso di essere italiano quando leggo e vedo sui media l’Italia sana che non polemizza su cose idiote, ma che non aspetta e parte, che da subito scava, che si sporca le mani, che non guarda orari e fatiche. L’Italia degli uomini in divisa e dei volontari. Si volontari veraci che da generazione in generazione hanno nel DNA la voglia di aiutare e di soccorrere, di aiutare i terremotati , chi raccoglie fondi, di chi soccorre i migranti di donare il sangue a chi ne ha bisogno, per fare del bene per edificare dei sani mattoni di Bene Comune. Certo che per cuore e altruismo non ci batte nessuno. Ma preveniamo i terremoti con case antisismiche, preveniamo le alluvione proibendo certe costruzione vicino ai fiumi insomma, per favore, non facciamole crollare più, ci costerebbe di meno e salverebbe molte vite. Facciamo finalmente una scelta vita, una scelta per il futuro delle nuove generazioni
Favria, 8.09.2016 Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno la felicità è un virus contagioso, e allora non devo avere mai paura di diffonderlo come portatore sano.

All’improvviso ti fanno vedere la luna nel pozzo.!
In latino la locuzione ex.abrupto può tradotta con “ di punto in bianco”, o con “all’improvviso.2 Nell’arte oratoria, ben conosciuta dagli antichi Romani, iniziare un discorso pubblico con “ ex-abrupto”, voleva dire entrare subito in argomento, sorvolando sulle rigide tecniche retoriche. Famoso è l’attacco di Cicerone nella Prima Catalinaria, con cui l’oratore manifesta al nemico, intenzionato ad ucciderlo in una congiura segreta, di essere a conoscenza del piano. Lascio a Cicerone il suo celebre esordio “Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra…Ma molto più semplicemente sono infastidito come tanti connazionali che certi politici o manager di farci vedere la luna nel pozzo.. L’immagine già per se è evocativa, ci prendono sempre per degli sprovveduti pensando che la luna del cielo che si rispiecchia nel pozzo sia a portata di mano. Facendo leva sulla nostra bonomia ci pensino sempre sprovveduti ed ingenui.
Favria, 9.09.2016 Giorgio Cortese

Purtroppo ogni giorno come tutte le merci di valore, la verità viene spesso contraffatta.

Dalla carruba alla serqua!
Leggendo un libro mi sono imbattuto in questa parola che significa, dozzina, grande quantità. Il lemma deriva dal latino sìliqua che significa, baccello, carruba. Da carruba deriva la parola carato misura di peso delle pietre preziose, usato anche come indice di purezza delle leghe auree, per l’oro si va dal un ventiquattresimo al quattordicesimo. La parola carato deriva dall’arabo, qirat ventiquattresima parte di una moneta, il dirham, a sua volta dal greco keration carruba, i cui semi venivano usati per pesare preziosi – diminutivo di keras corno, per via della forma. La cultura popolare attribuiva ai semi del carrubo la qualità di essere tutti identici: quindi quale migliore metro per pesare oggetti piccoli e preziosi, pietre e metalli? E, facendo una media, attualmente il peso del carato, nel sistema metrico decimale, è individuato in 0,2 grammi. Tornando a serqua, non è la più comune delle parole, anzi, e proprio per questo incuriosisce. Come detto prima in latino siliqua era un nome che descriveva genericamente baccelli e legumi e, più in particolare, la carruba. Oggi al termine serqua, sono però ricondotti i significati di dozzina, una serqua d’uova, e in generale di grande quantità, ho speso una serqua di soldi, allo stadio c’era una serqua di tifosi, certe persone ogni giorno compiono una serqua di azioni inutili spendendo una serqua di soldi. Ma come si passa da un’unità di misura modesta come il seme di carruba al significato di grande quantità? Non è difficile immaginarlo: essendo i semi minuti (ricordiamo che il carato sono circa 0,2 grammi), quando si vogliano usare su una bilancia ne servono davvero parecchi. Serqua una parola ricercata ma non aulica, anzi piacevolmente popolare, e di sonorità espressiva; non sarà una risorsa spendibile sempre e ovunque, ma può essere quel tocco di colore che dà smalto al discorso come il carato, perché per ponderare la caratura di un’idea, di una persona, di un’opera, resta il giudizio importante del suo concreto valore, meticoloso come quello del gioielliere e qualcuno ha zero di carati e di idee, senza nessuna qualità.
Favria 10.09.2016 Giorgio Cortese

È veramente bello battersi con persuasione, abbracciare la vita e vivere con passione. Se poi perdo, perdere con classe ma sperando di vincere osando sempre perché il mondo appartiene a chi osa! La vita è troppo bella per essere insignificante.

L’amico è metà del mio animo
Scriveva Aristotele che :”L’amicizia reciproca è un dono di Dio. Tutti gli uomini, infatti, provano grande gioia quando godono d’una sincera amicizia. Invece, se gli amici sono lontani o assenti, avvertono grande dispiacere” L’amicizia ci rende felici ed è un bene grandissimo, se manca, niente è piacevole e bello. Ma oggigiorno si abusa del temine amicizia, vera, quella dove l’amico si perfeziona con l’amico correggendo i difetti dell’altro, una amicizia disinteressata e sincera e poi le amicizia di convenienza che più che amici sono conoscenti che fanno solo un comune cammino ma senza fusione di animi, senza provare sinceri rispetto l’uno per l’altro.secondo gli antichi romani l’amico è pronto a dare persino la sua vita per aiutare il suo amico ed è cosi anche oggi. Interessante è quello che scrive P. Virgilio Marone a proposto di Eurialo e due bellissimi giovani troiani. Essi, legati dal dolce vincolo dell’amicizia, non esitarono a morire insieme. Niso, infatti, quando Eurialo stava per morire circondato da una folla di nemici, pur consapevole di andare incontro alla morte con il suo vano tentativo, non esitò a gettarsi nella mischia per difendere l’amico. Pertanto Q. Orazio Flacco disse giustamente che Virgilio era la metà della sua anima, perché sentiva che le loro anime erano una sola in due corpi
Favria 11.09.2016 Giorgio Cortese

Osservando gli alberi secolari del vicino parco mi viene da pensare che gli alberi racchiudono tutto il loto vigore ed ogni più piccola risorsa nelle proprie radici, e c osì conservano, inalterata, la prodigiosa capacità di rinnovarsi ogni anno. Se noi piccoli bipedi fossimo capaci di imitarli tutta la nostra vita, raccogliendo in noi stessi tutta la loro forza nel patrimonio culturale di chi ci ha preceduto per trasmetterli alle future generazioni, non perderemmo mai le nostre millenarie radici e conserveremmo sempre la straordinaria capacità di rigenerarci.