Dedicato a…- La storia delle mutande, – La dipladenia, mandevilla. – Comuneros. – Lo schiaffo di Agnani. -La noce metella. – Il capitano della squadra di calcio.. – FESTA SOCIALE FIDAS FAVRIA…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Dedicato a…Dedicato a chi non perde mai la speranza, a chi sa guardare ad un domani migliore, a chi

crede sia possibile un mondo più coerente e più sensibile alle sofferenze del prossimo. Dedicato a chi con forza e determinazione si rialza sempre ed ha sempre una parola di conforto per il prossimo. Dedicato a chi anche se cade ha tanta voglia di vivere, di farcela, di ricominciare. Dedicato a chi ha tanta voglia di amare, di sognare, di lottare. Dedicato a chi nonostante tutti gli ostacoli, i pianti e le delusioni continua con dignità il suo cammino per raggiungere la felicità!
Favria, 3.09.2024    Giorgio Cortese

Buona giornata. La vita quotidiana  è una tela bianca ma la speranza ce la rende allegra e colorata come un dipinto. Felice martedì.

La storia delle mutande

Oggi le indossiamo ogni giorno, potendo scegliere tra un’infinità di modelli femminili e maschili, ma nei secoli passati le mutande così come le conosciamo, pur essendo indumenti molto semplici, non esistevano o quasi. I moderni slip e boxer, pensati per coprire la zona intima maschile, hanno infatti visto la luce solo nel XX secolo, mentre in precedenza si ricorreva a soluzioni meno pratiche e più ingombranti. Torniamo allora indietro nel tempo per scoprire come sì è evoluto il principale elemento della nostra biancheria intima, ai giorni nostri considerato indispensabile per ragioni igieniche prima ancora che di pudicizia. Tralasciando le bibliche foglie di fico di Adamo ed Eva, le prime tracce di indumenti vagamente simili a mutande risalgono all’antico Egitto, dove si usavano fasce coprenti realizzate in lino e simili a delle piccole sottovesti. Accessori di questo genere, finemente decorati con materiali preziosi, sono stati per esempio rinvenuti nella tomba del faraone Tutankhamon nel XIV secolo a.C. Indumenti analoghi, consistenti in piccole tuniche con cui avvolgere la parte del corpo tra le cosce e il bacino, si diffusero quindi sia in Grecia, dove la nudità, specie maschile, era considerata la norma, sia nell’antica Roma. Tra i Romani questo tipo di veste era detta subucula, intima, ma nell’Urbe era in uso anche un tipo di mutanda più striminzita, adatta alla pratica sportiva o alle attività balneari e nota come subligaculum, da subligare, legare sotto. Questi antenati dei nostri slip erano pezzi di stoffa o lino in cui un lembo veniva legato attorno alla vita e l’altro passato intorno alle cosce, onde coprire appunto le parti intime. Di origine etrusca, il subligaculum era un capo sostanzialmente unisex, e seppure ne facessero maggior uso i maschi, è nella versione femminile che è divenuto celebre, grazie al mosaico tardo-imperiale delle “fanciulle in bikini”, nella romana Villa del Casale di Piazza Armerina in Sicilia. In varie aree del mondo, in epoche antiche videro infine la luce diversi antenati del moderno perizoma, dal greco, cingere attorno, in tessuto o in pelle, ma nel Medioevo l’intimo non conobbe novità degne di nota; vennero realizzate in lana, pelle o tessuto, e dette brache o braghe, termine usato anche per i pantaloni, di origine germanica, le mutande medievali arrivavano al ginocchio. E fu qui nella Medioevo che presero il loro  nome, dal latino mutare, cambiare. Fatta eccezione per i nobili, che si facevano confezionare intimo personalizzato, per secoli si andò avanti con la tradizione greco-romana, che prevedeva di non indossare nulla sotto gli abiti e di ricorrere a ingombranti sottovesti oppure di avvolgere le parti intime con fasce improvvisate e ben poco igieniche. Le cose iniziarono a cambiare nel Cinquecento, per merito, si racconta, di Caterina de’ Medici, moglie del sovrano Enrico II di Francia. La regina, abile cavallerizza, dopo aver introdotto un nuovo modo di cavalcare, detto all’amazzone, cioè con il piede sinistro nella staffa e l’altra gamba di traverso sulla sella, ideò comodi mutandoni che ben si adattavano a coprire sia le zone intime sia la parte alta delle cosce. Confezionati in cotone o fustagno, questi indumenti,  progenitori diretti della culotte, si diffusero tra le nobildonne, in Italia, ad anticipare i tempi fu Isabella d’Este, e questa moda  si impose negli ambienti aristocratici europei. Questi accessori cominciarono a diventare uno strumento di seduzione, confezionati con tessuti d’oro e d’argento e ornati con ricami e pietre preziose. Tuttavia, sempre nel XVI secolo, le braghesse, così erano dette le mutande nella versione lunga fino al ginocchio, divennero un indumento tipico delle prostitute, che usavano impreziosirle con nastri.  La Chiesa arrivò così a osteggiarle, reputandole un capo osceno e sconveniente: anche per questo, fino al XVIII secolo, mutandoni e affini andarono a riempire solo pochi selezionati guardaroba delle classi più elevate. L’Ottocento segnò una svolta nella storia delle mutande, che grazie alla Rivoluzione industriale cominciarono a essere prodotte in serie, divenendo più accessibili. Al principio del XIX secolo questi accessori erano ancora oversize, arrivando anche fino alle caviglie. Nel 1906 videro la luce i moderni slip, dall’inglese to slip, ossia far scivolare, infilare,  mutande corte e aderenti che iniziarono  a riscuotere successo tra gli anni Trenta e Quaranta, a partire dagli Usa, invadendo il mercato mondiale dagli anni Sessanta, in versione femminile e maschile. Nel decennio seguente cominciarono quindi a spopolare perizoma e tanga, di origine brasiliana, mini-mutandine, quasi invisibili, anche sotto gli abiti attillati. Negli anni Ottanta, per i gli uomini fu il turno dei boxer, simili ai calzoncini da pugile, da qui il loro nome, la cui origine risale però al 1925, anno in cui furono ideati dallo statunitense Jacob Golomb. Successivamente questi modelli furono realizzati anche con tessuti attillati, spesso con le griffe in vista sull’elastico, da porre, secondo la moda, fuori dai pantaloni a vita bassa. Dagli anni Novanta hanno fatto la loro comparsa anche mutande utili a sollevare il sedere, versione gluteo del reggiseno “push up”, nato nel 1961. A queste evoluzioni nella foggia, utili al comfort e ai capricci della moda, si sono inoltre accompagnati importanti sviluppi riguardanti i materiali per la biancheria intima, con un giusto equilibrio tra elementi sintetici e fibre naturali: tra i modelli più evoluti, si segnalano oggi quelli assorbenti.

Favria, 4.09.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana i problemi non finiscono mai, ma neanche le soluzioni. Felice mercoledì.

La dipladenia, mandevilla.

La dipladenia, conosciuta anche con il nome di mandevilla, è una pianta sempreverde rampicante appartenente alla famiglia delle Apocynaceae. Presenta delle foglie lisce, opposte, corpose, a margine intero dal colore verde intenso. I suoi fiori sono a forma di imbuto grandi e nei colori bianco, rosa o rosso. La dipladenia è una pianta originaria delle regioni tropicali dell’America centrale e meridionale, in stati come la Bolivia e il Brasile.  Il nome dipladenia deriva dal greco “diplos” ovvero “doppio” e “aden” cioè “ghiandola”, per la presenza di due ghiandole nell’ovario. Questa pianta è conosciuta anche  con il nome di Mandeville, che è il genere botanico a cui appartiene e che comprende più di 100 specie, tra cui Mandevilla Laxa, o la Mandevilla Sanderi, anche se tra te e me, è molto più conosciuto come gelsomino cileno, gelsomino cileno, gelsomino argentino o gelsomino Jujuy. Il nome scientifico ricorda sir Henry John Mandeville, 1773-1861, ambasciatore inglese presso il governo argentino, cui si deve l’introduzione del genere in Europa. Comunemente, queste piante sono conosciute anche come “gelsomino del Cile” o “gelsomino degli angeli”. Questa pianta è la diva del giardino, non passa mai inosservata. Con i suoi fiori rossi, rosa o bianco profumati e le foglie lucide come se fossero state lucidate da un team di truccatori, sa come attirare l’attenzione. Ma non lasciatevi ingannare dal suo aspetto sofisticato perché è una pianta tosta, capace di resistere al caldo estivo come una vera star durante un tour mondiale. Ama i riflettori del sole diretto e non teme i paparazzi, anzi, più luce riceve e più fiori produce, come se ogni petalo fosse un autografo per i suoi ammiratori.

Anticamente le foglie di Dipladenia o Mandevilla venivano utilizzate come ingrediente in una particolare bevanda utilizzata dai nativi centroamericani. Questa pianta con i suoi profumati fiori, è simbolo di bellezza, di quella bellezza che deve essere messa in mostra. Pensate che in alcune zone dell’India, il marito pone sul capo della sposa una corona fatta con fiori bianchi di Mandevilla, permettendo alle fanciulle di partecipare a tutti i sacri rituali e i festeggiamenti.

Questa bellissima pianta la troviamo in via  San Pietro a Favria sulla vetrina di  F.D. scavi e costruzioni.  Passate di lì perché meritano essere ammirati!

Favria, 5.09.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata .La decisione più coraggiosa che prendo ogni giorno è quella di essere di buon umore e con l’animo pieno di speranza. Felice giovedì.

Comuneros

Quando nel 1516 il giovane principe degli Asburgo, fiammingo di nascita, sbarcò in Spagna per cingere la corona con il nome di Carlo I, sarebbe poi diventato l’imperatore Carlo V, fu accolto con speranza in un Paese prostrato da carestie, tensioni sociali, instabilità politica, fame ed elevata pressione fiscale. Ma all’iniziale apertura di credito, subentrò rapidamente una convinta ostilità per quel sovrano che aveva portato a Corte fin troppi stranieri e promosso una fiscalità oltremodo oppressiva. Dal Consiglio comunale di Toledo fu proposto a quello di Avila un incontro di tutte le città con diritto di voto alle Corti, assemblee politiche. I membri si sarebbero poi chiamati “Comuneros”. Essi decisero di non attenersi a gran parte delle nuove richieste fiscali e di chiedere il ripristino di alcune libertà e incarichi per i castigliani ribelli. Già nel 1520 la rivolta divenne armata, capeggiata dal nobile e rivoluzionario Juan de Padilla, prima nelle città di Toledo e di Segovia, per estendersi poi praticamente a tutta la Spagna, costringendo Carlo V ad una politica mista di concessioni e repressioni. Ben presto, tuttavia, e soprattutto a seguito del mancato appoggio dell’influente aristocrazia fondiaria, tormentata da alcune richieste forse troppo democratiche e radicali avanzate dai comuneros ma poco incline a schierarsi contro il sovrano,  la ribellione perse a poco a poco vigore, per essere soffocata nel sangue dalle truppe regolari spagnole, dopo la battaglia di Villalar il 23 aprile 1521.

Favria, 6.09.2024   Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni volta che mi addormento è un caos, trovo sogni dappertutto, in ogni angolo di speranza. Felice  venerdì

Lo schiaffo di Agnani.

Questo episodio è avvenuto il 7 settembre del 1303. Con ogni probabilità però non si trattò di un vero schiaffo, bensì di un’umiliazione, subita da papa Bonifacio VIII, che ne uscì fiaccato nello spirito e nel fisico. Lo schiaffo secondo la tradizione sarebbe stato dato dal condottiero Giacomo Colonna, di una potente famiglia patrizia romana. Bonifacio VIII era infatti mal sopportato da ecclesiastici e nobili dell’epoca per il suo atteggiamento arrogante e accentratore e così alcuni cardinali, guidati da Giacomo e dal fratello cardinale, Pietro, nel 1297 lo dichiararono decaduto. Vendette. Per tutta risposta il pontefice li scomunicò, confiscò loro tutti i beni e fece radere al suolo la loro roccaforte, Palestrina. Rifugiatisi in Francia, con l’appoggio del re Filippo IV il Bello i Colonna misero il papa sotto accusa. I primi di settembre del 1303 gli eventi precipitarono: Giacomo, il consigliere di Stato francese e alcuni cardinali entrarono nella Cattedrale di Anagni, umiliarono il papa, forse con uno schiaffo, lo catturarono e lo fecero prigioniero. L’episodio segnò un duro colpo al potere temporale della Chiesa e contribuì ad aumentare il conflitto tra papato e autorità regale, rimanendo scolpito nella storia dei rapporti tra Chiesa e Stato.

Favria, 7.09.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni potere umano è composto di tempo e di pazienza. Felice sabato

La noce metella.

Camminando per le strade di alcuni paesi canavesani mi sono imbattuto nella noce metella, o stramonio metello,  una pianta annua di origine centroamericana presente come avventizia in quasi tutte le regioni d’Italia. Nome italiano: Datura metella,  Imbutone metello, Noce metella,  Stramonio metello . Cresce in ambienti lungo i muri  e in lughi incolti,  dal livello del mare a 600 m circa. La specie contiene atropina e alcaloidi altamente tossici quali scopolamina e iosciamina. Gli Aztechi usavano la pianta per vari scopi terapeutici e per provocare allucinazioni nei riti religiosi. L’intossicazione da Datura produce infatti una totale incapacità di distinguere la realtà dalla fantasia, ipertermia, tachicardia e grave midriasi con conseguente fotofobia dolorosa che può durare diversi giorni. L’ampio spettro di variazione nelle concentrazioni di principi attivi tra singoli individui della pianta rende particolarmente pericoloso il suo uso medicinale, che provoca ogni anno numerosi decessi. Il nome generico deriva da quello della pianta in indostano, dhatúra, fiorisce da giugno-settembre.  La Noce Metella, conosciuta anche come tromba del diavolo, è una pianta che affonda le sue radici in tradizioni antiche e rituali mistici. Conosciuta popolarmente come noce puzza o stramonio, questa pianta ha un’associazione predominante con l’energia femminile, il pianeta Saturno e l’elemento dell’acqua. Nelle credenze popolari e nelle pratiche esoteriche, la Noce Metella era rinomata per i suoi poteri di protezione, capacità di allontanare il malocchio e proprietà induttive del sonno. Il suo uso nei riti e nelle pratiche sciamaniche è ben documentato, soprattutto tra le culture indigene come gli Aztechi, che la consideravano una pianta sacra. La Noce Metella era spesso impiegata in rituali magici per spezzare maledizioni o malefici. Si credeva che spruzzare le sue foglie intorno alla casa possa creare una barriera protettiva contro le forze negative. Al di là del suo uso in rituali magici, è importante sottolineare che la Noce Metella è estremamente velenosa. Non deve essere ingerita in alcun modo, e persino il contatto diretto può causare irritazioni a pelli sensibili.

Favria, 8.09.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Quando pensiamo che sia finita ricordiamoci sempre che dentro di noi è sepolta la “speranza” pronta a risorgere. Felice  domenica

Il capitano della squadra di  calcio.

La figura di un rappresentante della squadra nasce praticamente col calcio. Al punto che a questa figura di riferimento toccava, all’epoca del pionieristico football giocato nelle  scuole inglesi, dove  fissava le regole con la controparte prima della partita, per la durata,  numero dei giocatori e misure del campo, e garantirne il rispetto. Quanto però al termine  “capitano” pare sia invece successivo e risalente all’epoca immediatamente susseguente la prima guerra mondiale. Si racconta che nell’esercito inglese fosse invalso, per dimostrare lo spirito sportivo anche in battaglia, l’uso di calciare dei palloni contro le linee nemiche al momento di dare il via all’assalto. L’episodio più celebre, dal quale il termine “capitano “sarebbe stato mutuato nel calcio, riguarda appunto un capitano, Wilfred (Billie) Nevill, 14 luglio 1894 – 1 luglio 1916. L’anno è il 1916, il teatro è la terribile battaglia della Somme. Neville era comandante di una compagnia dell’8. East Surreys. Nel corso della sua ultima licenza a Londra, comprò quattro palloni, uno per ogni plotone. Nell’imminenza dell’ora fatale, li distribuì ai suoi offrendo un premio al plotone che, all’inizio dell’assalto in corsa nei due chilometri di terreno scoperto, per primo calciasse il pallone oltre le linee tedesche. Neville secondo alcune ricostruzioni era noto come “il buffone del battaglione”, eppure nella circostanza si dimostrò particolarmente astuto: la piccola competizione sportiva da lui ideata ebbe l’effetto di persuadere i suoi uomini che l’attacco sarebbe stato, come i comandi supremi avevano pietosamente insistito alla vigilia, poco più che una passeggiata. Un testimone sopravvissuto che assistette da breve distanza ricordò così l’ora zero vide un fante scavalcare il parapetto e buttarsi nella terra di nessuno, incitando gli altri a seguirlo. Così facendo calciò un pallone. Un bel calcio. La sfera si alzò e viaggiò fino alle linee tedesche. Sembrò quello il segnale per l’avanzata. Il Capitano Neville venne istantaneamente ucciso, seguito da molti soldati, sotto il fuoco delle mitragliatrici. Ma i palloni continuavano a essere calciati in avanti, tra rauche grida di incoraggiamento e di sfida, finché non scomparvero nel fumo denso dietro il quale sparavano i tedeschi. Poi, dopo che le bombe e le baionette ebbero compiuto il proprio lavoro e il nemico fu debellato, due di quei palloni furono recuperati dagli uomini del Surrey per essere conservati in un museo come trofei di quella vincente partita contro la Morte L’impresa del Capitano Nevill e dei suoi uomini rimase leggendaria, a simboleggiare a un tempo l’eroismo e lo spinto sportivo di quei soldati. Così il giocatore cui veniva delegata la rappresentanza della squadra nei rapporti con l’arbitro prese il nome di: capitano. Quanto alla fascia, il suo uso venne imposto nel secondo dopoguerra. In particolare, in avvio della stagione 1949-50. Fu allora che anche in Italia andarono in vigore alcune modifiche al regolamento organico. Una di queste recitava che il capitano deve portare un bracciale di colore diverso da quello della maglia, l’uso però era limitato ai club. Molto più tardi si estese alle rappresentative nazionali. Quella italiana esibì per la prima volta, al braccio del capitano Cesare Maldini, la fascia di riconoscimento l’11 novembre 1962 al Prater di Vienna contro l’Austria, nell’amichevole finita con la vittoria degli azzurri per 2-1. In Serie A la fascia fu introdotta solo nel 1949, per far sì che i capitani fossero più riconoscibili, ma a livello internazionale per molto tempo non ci furono regole precise: ai Mondiali in Messico del 1970 il Brasile vinse senza che Carlos Alberto, il suo capitano, ne portasse una al braccio; nella stessa edizione ne indossò invece una Giacinto Facchetti, il capitano dell’Italia che perse in finale proprio contro il Brasile Non ci sono molte informazioni sul perché, ma la Serie A introdusse le fasce di capitano nella stagione 1949-50: quella successiva alla strage di Superga, in cui l’Inter vinse per 6-5 un derby contro il Milan e che fu vinta dalla Juventus di Carlo Parola, noto per le sue rovesciate, una in particolare, ancora oggi simbolo delle figurine Panini. Sembra inoltre che la parola “fascia” si impose dopo, perché nell’Italia del secondo dopoguerra, con il periodo fascista appena finito, non era proprio un termine in grado di unire: all’inizio si parlava infatti di “bracciale”. Un’altra piccola curiosità sulla fascia da capitano è legata al perché, a parte qualche eccezione, la si porta al braccio sinistro: il motivo è per poter tenere libero il destro, tradizionalmente riservato alle fasce nere indossate in segno di lutto.

Favria, 9.09.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Negli occhi della vita, vi abita la speranza! Felice  lunedì.

Gruppo donatori di Sangue FidasADSP  Favria   TO

FESTA SOCIALE BIENNIO 2022- 2023

Cara/o  donatrice/donatore

Con la presente Ti avvisiamo della festa sociale che avverrà

domenica 22 settembre 2024

con il seguente programma:

ore 9,30 ritrovo in sede cortile interno del Comune.

Ore 10 avvio corteo e sfilata.

Ore 11 S.Messa , ore 12 premiazione donatori benemeriti.

Ore 12,30 pranzo sociale  presso Agriturismo La PRATERIA DI Rosanna e Giovanni. Via Conti  S. Martino fraz. San Giovanni- Castellamonte.

L’accompagnatore e l’alfiere dei gruppi invitati saranno graditi ospiti.

Hanno diritto al pranzo gratuito

tutte le medaglie oro,  Re Rebaudengo e tutti i premiati.

Costo pranzo euro per tutti gli altri euro 30,00, per  i bambini  0 -2 anni non pagano; 3/6 anni  euro 7,00. Per i bambini 7/12 anni Euro 12,00. Per tutti i donatori che hanno effettuato almeno una  donazione nel  Biennio 2022/2023,  e i nuovi donatori del 2022– 2023 il costo del pranzo è di Euro 15,00

Prenotate con urgenza ai seguenti recapiti:

Macri Nicodemo cell 3498889303 –

Varrese Vincenzo cell 3469651812 –

Cortese Giorgio 3331714827

Entro il  15 settembre sino ad esaurimento posti disponibili

DIPLOMI.

Annetta Lucia – Borgaro Giulia – Brunasso Diego Elena   – Bruno Aniello – Camerlingo Paolo – Cardamone Daniel – Carvelli Carmine Antonio -Costa Alberto – Cresto Giuliana – De Luca Giuseppe – De Rosa Francesco – Fila Robattino Martina – Frijia  Alessia – Gardetto Giacomino – Goitre Alberto – Hrihor Gheorghe – Iannizzi Stesj – Miletta Massimo Angelo – Mortara Valerio -Mosso Giacomo – Musto Stefano – Nobile Calogero – Peccolo Simone – Pretari Alessandro – Probo Nadia – Quaglio Giovanni Francesco – Rizza Tonio – Sbodio Noemi.

MEDAGLIA DI BRONZO

Amato Daniela – Baudino Sabrina – Bernardi Ghisla Elisa – Bollero Alessio – Caresio Denis Simone – Cat Berro GianLuca – Cesselli Maria Elena – Conta Silvio – Cresto Lucia – Defilippi Dario – D’Eredità Marco – Dorma Emanuele – Faletti Enrico Giuseppe – Ferrari Francesca – Ferrari Federico – Formento Livia – Giannone Mery – Mancuso Graziella – Miletta Maurizio Rosario – Nabili El Moustafa – Naretto Nicoletta – Polito Roberto – Salato Giacomo – Salfa Massimo – Trachi Bouzekri

 MEDAGLIA D’ARGENTO

Bacolla Dina Maria – Bellone Cappuccio Giuseppe – Ciullo Antonello – Curcio Ilaria

Eggert Hans Erich – Farinella Massimo – Feira Loris – Ferro Marco – Foresta Antonio

Mancuso Laura – Manzi Giovanni – Milano Andrea Giovanni – Quondamatteo Marco – Sisto Riccardo – Tocci Marco – Vigliaturo Maurizio Michele – Zaccaro Morena

PRIMA MEDAGLIA D’ORO (50 donazioni)

Appino Fulvio – Baima Besquet Roberto – Briscese Giuseppina – Campiglia Palmo Luca – Ciaglia Mario – Di Gloria Luca – Franceschin Sabrina – Iania Maurizio – Larosa Domenico Antonio -Mancuso Carmine – Piccoli Moreno – Sciarillo Simone – Spatafora Salvatore – Spezzati Domenica Lorenza

SECONDA MEDAGLIA D’ORO (75 donazioni)

Castagna Dario – Schillaci Michele – Sesto Mario – Varrese Serafina

TERZA MEDAGLIA D’ORO (100 donazioni)

Curto Francesco – Fratto Salvatore – Mazzaschi Massimiliano Mario

QUARTA MEDAGLIA D’ORO (125 donazioni)

D’Angelo Giovanni – Varrese Vincenzo

QUINTA MEDAGLIA D’ORO (150 donazioni)

Cortese Giorgio Domenico