Divisa e uniforme. – Il vaccino antirabbico. – Il bacio. – La Gaugazia. – Le ortensie. – L’ancora. – Quercia parlante… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Divisa e uniforme. Nonostante le due parole vengano utilizzate per delineare la

stessa cosa, in realtà l’etimologia è molto differente. La parola divisa proviene da “dividere” che significa separare, la divisa serviva, ai tempi delle giostre medievali, a distinguersi dai nemici grazie ai colori indossati. Era una particolare foggia d’abito, detta appunto divisa, che serviva a distinguere chi la indossava indicandone l’appartenenza. In araldica era il motto scritto su un listello posto sotto lo scudo o figura accompagnata da parole, che collocata per lo più sul cimiero e fa parte degli ornamenti esteriori dello stemma. Poi nel 1600 ad oggi viene confuso con la divisa del soldato che sino alla guerra dei Trent’anni, i dragoni o fanti d’allora si chiamavano gialli-blu, o altrimenti, non con riferimento al colore che indossavano. La parola uniforme deriva dal latino “uniformis”, che significa forma uguale, e nasce con l’idea di rendere, grazie a un capo d’abbigliamento, visibile l’appartenenza ad un esercito.
Favria,  4.07.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Che magnifiche scale verso il cielo sa fare, luglio, con quelle sue mani azzurre e leggere. Felice martedì.

Il vaccino antirabbico

Il 6 luglio del 1855 Joseph Meister, un bambino alsaziano di nove anni, divenne il primo essere umano a ricevere il vaccino antirabbica messo a punto dallo scienziato francese Louis Pasteur. Ripetutamente azzannato da un cane rabbioso, Joseph aveva il destino segnato: avrebbe contratto la malattia e trovato una morte orribile dopo poche settimane dalla comparsa dei primi sintomi. Fu la madre a non volersi arrendere e a condurlo dallo scienziato che aveva già svolto diversi esperimenti sull’uso di materiale biologico di animali infetti inoculato in individui sani al fine di immunizzarli. Le prove avevano dato esiti positivi, ma Pasteur si era limitato a coinvolgere nei suoi esperimenti soltanto animali. Pur temendo un clamoroso insuccesso che sicuramente avrebbe nuociuto alla sua fama, Pasteur si lasciò convincere dalla madre di Joseph. La terapia si sviluppò nell’arco di dieci giorni, durante i quali al bambino vennero praticate iniezioni di materiale infetto trattato in laboratorio per ridurne la carica patogena. Ogni giorno veniva inoculato un siero trattato per un tempo minore, quindi più ricco di carica patogena, finché al decimo giorno l’ultima iniezione conteneva praticamente il patogeno attivo. La profilassi ebbe successo e Joseph non sviluppò mai la malattia. In seguito avrebbe studiato e collaborato con lo stesso scienziato che gli aveva salvato la vita presso il suo istituto L’eco della vittoria sulla malattia ottenuta da Pasteur convinse centinaia di persone morse da cani rabbiosi a sottoporsi alla vaccinazione, che si risolse, tranne un solo caso in cui la malattia ebbe la meglio sulla terapia, con la completa guarigione dei pazienti

Favria, 5.07.2023   Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana sono  le persone più tristi quelle che fanno i sorrisi più belli, sono i sorrisi che cercano una speranza. Felice mercoledì.

 Il bacio.

Un bacio, insomma, che cos’è mai un bacio? Un apostrofo rosa fra le parole t’amo, così scriveva Edmond Rostand nella tragedia  Cirano di Bergerac ispirata alla figura storica di Savinien Cyrano de Bergerac una dei più estrosi scrittori del Seicento francese. Ma da quanto tempo gli esseri umani si baciano? La prima vera notizia di un bacio a sfondo romantico sessuale fra umani risale all’Età del Bronzo, la si ritrova in un manoscritto del Sud dell’Asia, rinvenuto in India e lo si potrebbe datare intorno a 1.500 anni prima di Cristo.  Si tratta di un  testo vedico indiano in sanscrito del 1500 a.C., appartenente già ad una precedente tradizione orale. Non si parla espressamente di bacio, ma di un antico modo di annusare con la bocca per descrivere l’atto di “toccare l’ombelico del mondo” con le labbra.  Il bacio era una pratica diffusa in Mesopotamia, oggi l’area che va dall’Iraq alla Siria,  2.500 anni a.C. Dai documenti trovati sulle tavolette si è capito subito che già allora  c’erano due modi di baciarsi,  che poi non è così diverso da quello che succede oggi, a pensarci bene,  baci fra famigliari, madre e figlia per esempio, oppure baci di tipo romantico sessuale; quest’ultima era un’abitudine diffusa in società complesse e organizzate in classi sociali. Ma allora perché gli esseri umani hanno cominciato a baciarsi? Secondo recenti studi il desiderio di baciarsi si è evoluto come un modo di conoscere l’altro. La saliva o l’alito aiutavano chi praticava il bacio a capire se ci fosse affinità con chi si incontrava  e questo avrebbe potuto facilitare un approccio che potremmo chiamare sentimentale e poi la successiva relazione sessuale vera e propria. In un articolo letto nei primi testi della lingua dei Sumeri il bacio sulle labbra era descritto proprio come un atto erotico e sembra fosse più frequente dopo un rapporto sessuale. Nella Bibbia, nell’Antico Testamento scrive di baci  ad esempio nel Cantico dei Cantici, nel Vangelo, famoso è il bacio di Giuda. L’antica tradizione greca, invece, sembra meno diretta al bacio erotico e sensuale, ponendo più attenzione a quello inteso come saluto o segno di devozione e supplica. Nell’Iliade viene descritto quello di Priamo, re di Troia, che bacia le mani di  Achille, suo nemico, per implorare la restituzione del corpo del figlio Ettore. Lo storico greco Erodoto, nelle sue Storie del I secolo d.C., fornisce un catalogo culturale del bacio nel mondo classico. Tra i persiani, per esempio, il punto in cui ci si baciava dipendeva dalla posizione sociale: gli uguali si salutavano con un bacio sulle labbra, una piccola differenza di rango spostava il bacio sulle guance, mentre una grande distanza sociale obbligava alla riverenza fino al bacio del piede. Alessandro Magno, il conquistatore nel V secolo d.C., scatenò uno dei più grandi dibattiti del mondo antico sul bacio, che introdusse alla sua corte come segno simbolico col quale si rendeva omaggio a un monarca, anche se questa pratica era molto disprezzata dai greci. Secondo gli storici anche i romani ebbero una grande cultura del bacio: i suoi più grandi esaltatori furono i poeti  Catullo e Ovidio. Nella sua opera, “L’arte di amare”, Ovidio fa emergere una tradizione di avidi baciatori della Roma imperiale, che indubbiamente esportarono questa tradizione dalle conquiste da parte dei legionari. Inoltre, il bacio in pubblico per due fidanzati aveva anche una valenza giuridica e attestava il loro stato di persone promesse l’una all’altra. Infatti, in caso di morte prematura prima del matrimonio, una legge assicurava agli eredi del defunto una parte dei doni ricevuti dall’amato. Nell’antica Roma poi esisteva “Ius osculi” che serviva per verificare se la donna avesse bevuto o meno del vino. Lo Ius osculi, ovvero il diritto al bacio, si trattava di un vero e proprio istituto giuridico che comportava il diritto dell’uomo di casa, marito, padre e fratello di baciare in bocca la propria famigliare o congiunta, e non era un gesto affettuoso. Pare che questa legge risaliva al mitico fondatore di Roma, Romolo. Secondo questa legge era vietato alle esponenti del genere femminile bere vino e le donne che la violavano potevano essere addirittura uccise a bastonate dai propri famigliari. La ragione di tale avversione risiedeva, a quanto pare, nella presunta corrispondenza tra ubriachezza e sessualità, al riguardo scriveva nel I secolo a.C  lo storico Valerio Massimo: “ La donna avida di vino chiude la porta alla virtù e la apre ai vizi”. Questo divieto per ovvi motivi non valeva per attrici, ballerine o intrattenitrici da taverna. Con l’ascesa del cristianesimo iniziarono tempi difficili per il bacio. Inizialmente consentito come bacio di pace, come scrive Paolo di Tarso nella Lettera ai romani: “salutatevi l’un l’altro con un santo bacio!”, uscì ben presto dal rituale cattolico insieme all’introduzione di una rigida divisione dei sessi nelle pratiche liturgiche che sentenziò il concilio di Cartagine del 397. Rimasto solo un segno di venerazione, come il bacio dell’anello e della pantofola papale, la Chiesa iniziò col tempo a concedere il bacio delle reliquie dietro compenso della “moneta del bacio” Tuttavia nonostante le proibizioni religiose il bacio continuò a diffondersi all’esterno della chiesa nel modo di salutarsi, soprattutto in Francia e Inghilterra, come attestato anche negli scritti di Erasmo da Rotterdam a seguito dei suoi frequenti viaggi nell’isola. Una pratica che però ebbe una drastica riduzione dopo la grande peste di Londra del 1665-66 e da cui prese inizio la tradizione di salutarsi solo con una stretta di mano o con inchini. Il mondo moderno, che iniziò con l’esplorazione dei nuovi continenti, incontrò le culture extraeuropee che non conoscevano il bacio nella sua forma erotico sensuale. Nelle descrizioni delle varie pratiche sessuali e di comportamento da parte degli esploratori, infatti, non vi era traccia dell’usanza del bacio che spesso gli indigeni trovavano una pratica sgradevole. Darwin  nel suo saggio “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali” del 1872, descrisse il bacio malese, che consisteva nello strofinarsi col naso tra due persone. Si trattava di una forma di saluto, simile al bacio, usata in varie modalità anche dai popoli polinesiani, esquimesi e alcune tribù africane. Tuttavia, nonostante queste diverse pratiche affettive, la cultura europea del bacio si diffuse velocemente imponendosi a livello planetario con l’avvento delle comunicazioni e soprattutto del cinema, rendendolo nel tempo un comportamento straordinariamente popolare. Ma allora che cosa è un bacio, una forma di linguaggio universale e i suoi migliori interpreti sono coloro che lo praticano celebrando l’emozione più grande e duratura nel tempo e nelle generazioni: l’amore. Un bacio impegna due persone in uno scambio di informazioni sensoriali basate su gusto, tatto, olfatto e tramite messaggeri chimici silenziosi detti fenormoni che si diffondono nell’aria ed hanno il potenziale chimico di darci informazioni di vario genere sull’altra persona. Durante un bacio i nostri vasi sanguigni si dilatano, il cervello riceve più ossigeno e respiriamo più a fondo. Aumentano i battiti e anche le pupille si dilatano, forse la ragione per cui molti chiudono gli occhi durante il bacio, e tutti i nostri sensi sono impegnati nel trasmettere informazioni e segnali di vario tipo da una cellula nervosa all’altra al cervello e al sistema limbico, che è la parte che ha a fare con l’amore, la passione e il desiderio. Questi impulsi neuronali producono una serie di ormoni come la dopamina, l’ossitocina, l’adrenalina, la serotonina oltre ad una cascata di endorfine prodotte dalla ghiandola pituitaria e dall’ipotalamo che inducono una sensazione di euforia e di eccitazione. Ma attenzione con il bacio si trasmettono dei batteri attraverso la saliva, in un bacio mediamente si trasferiscono quasi 300 colonie di batteri, anche se sono da considerarsi innocui per circa il 95% dei casi. Tuttavia, esistono alcune possibili complicanze con i batteri della carie, o di altri virus come quelli della mononucleosi o malattia del bacio che è frequente negli adolescenti. Condizioni fisiologiche che normalmente non creano paure o rischi che invece possono trasformarsi in una vera e propria patologia psicologica nella filemafobia,o paura del bacio, spesso accompagnata dalla filofobia ossia della paura di innamorarsi. In conclusione che cosa è un bacio? Un modo per mettere due persone così vicine da non vedere cosa c’è di sbagliato in loro e poi il rumore di un bacio non è forte come quello di un cannone, ma il suo eco dura molto più a lungo.

Favria, 6 luglio 2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. La speranza non è ottimismo. La speranza non è la convinzione che ciò che stiamo facendo avrà successo. La speranza è la certezza che ciò che stiamo facendo ha un significato. Che abbia successo o meno. Felice giovedì.

La Gaugazia.

Alzi la mano chi ha sentito parlare della Guagazia. Molti forse conosco l’effimera fama della vicina Transinistria in Moldavia abitata da una minoranza russofona con militari russi sul territorio e potenziale sponda attaccare l’ucraina e Odessa da  Occidente. La Guagazia è forse una delle nazioni più povere del nostro continente. Partiamo dal suo nome, gagauzo, che deriva dal nome Gok-Oghuz usato per descrivere i discendenti delle tribù turche Oghuz. I tatari di Crimea e gli uiguri usano la parola gok che significa cielo, o celeste, e quindi Gok-Oghuz letteralmente significa “Oghuz celesti”.  Gli antenati dei gauguzi  provenivano dalla profondità dell’Asia, dalla terra dei lupi vicino al Lago Bajkal per la precisione, secondo il loro mito. Poi nel corso dei secoli si sono gradualmente spostati fino ad arrivare qui, mescolandosi con altre popolazioni ma mantenendo la loro identità di figli di Turan della terra del sole., dalla mitica valle di Ergenekon,  da cui secondo la leggenda sarebbero provenuti i figli di Turan. E che sarebbe proprio “la valle dei lupi”. Questo mito pare che sia comune tra i popoli  turchi, che identificano questa sperduta valle in un luogo sperduto tra il Turkestan e la Mongolia, nella quale avrebbero trovato rifugio i progenitori della nazione turca, dopo il diluvio, ovverosia gli antenati dei cosiddetti turchi celesti gokturk,  i fondatori del primo khaganato. I gaugazi sono passati dall’animismo alla conversione del cristianesimo  ortodosso e l’alfabeto predominante è il cirillico. La loro storia inizia nel 1812, quando la Bessarabia,  fino allora parte ddel Principato di Moldavia, venne ceduta all’impero Russoll dopo la sconfitta degli Ottomani nella guerra russo- turca del 1806- 1812.   Con l’arrivo dei Russi, le popolazioni nomadi nogai, anche loro di ceppo turco di religione mussulmana, che abitavano nel Budjak,  la parte meridionale della Bessarabia, vennero scacciate. A ripopolare il territorio vennero chiamati dalla Bulgaria orientale i Gagauzi, che tra il 1812 e il 1846 s’insediarono nelle aree dove poi sorsero i villaggi di Comrat, Avdarma, Cismichioi, Congaz e Tomai.  Nello stesso periodo e nella medesima area s’insediò una numerosa comunità di bulgari. Con l’eccezione di un breve periodo di autonomia con la costituzione della repubblica di Comrat, durato appena cinque giorni nell’inverno del 1906, i gagauzi sono stati governati in successione dall’impero Russo, dalla Romania, dall’Unione Sovietica e dalla Moldavia. Dopo l’indipendenza moldava nel 1990 venne creata la Repubblica Gaugauza, e nel 1994 si arrivò ad un accordo che sancì una larga autonomia del territorio. La Gagauzia è un territorio non contiguo che si sviluppa nella parte meridionale della Moldavia. Confina in alcuni punti a est e a sud con l’Ucraina. Il territorio si compone di un corpo centrale che si sviluppa attorno alla capitale  Comrat, e tre enclavi nella Moldavia centrale, l’area di Vulcanesti, la più grande, nell’estremo sud della Moldavia, l’enclave di  Copceac, un piccolo rettangolo di terra, e l’enclave più piccola, quella di  Carbalia, dalla forma grossomodo romboidale. Il territorio della Gagauzia è completamente pianeggiante, con altitudini mai superiori ai 200 m s.l.m. e si sviluppa nel contesto della bassa Moldavia,  tra gli estuari dei fiumi Dniestr e Danubio-Prut. Oggi come si vede nell’’attuale Moldavia, a pochi chilometri dai caldi confini ucraini e non distanti dal limes atlantico della Romania, rivive sul fronte politico la linea di faglia tra mondo turco e mondo russoa lungo conteso nella “guerra infinita” che divise la Sublime Porta e San Pietroburgo dal XVII secolo dalla Grande Guerra e che oggi diviene tentativo di concorrenza per il controllo del cuore e delle menti dei Gagauzi che guardano a Mosca, strizzando l’occhio ad Ankara. Un mondo dove  si respira a più riprese un intenso odore di spezie turche e di kebab, i giardini dai toni orientali richiamano all’antico influsso ottomano e la rivendicazione etnica del popolo locale è chiara.

Favria, 7.07.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Certo che il timore a volte mette i brividi, ma la speranza almeno per me scalda il cuore. Felice  venerdì.

Le ortensie.

Nel giardino le ortensie oggi splendono di luce, la bellezza dei loro fiori dai colori delicati portano impressa l’essenza della vita. Sembra che in questi fiori siano quasi disegnati per contenere la luminosità estiva. Ad osservarle bene le ortensie paiono sontuose dame dalle barocche parrucche a doppia punta appena mosse da un lieve refolo di vento. Osservo con più attenzione, le ortensie, allora, mi ricordano solitari cavalieri che guardano la calura dell’estate appostate al vecchio muro di fronte dell’orto,  con le foglie languide e provate dal calore, aspettano con calma paziente l’arrivo del tramonto. Le ortensie simili ad un composto d’amore rassomigliano a fragili stelleche nella notte, lontano da occhi umani, si orientanodiscrete al chiarore della luna per diventare incredibilmente ancora più belle!

Favria, 8.07.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. Sono sempre ottimista  perché in mezzo al nulla c’è sempre una speranza. Felice  sabato.

L’ancora.

Agli albori della navigazione, per molti secoli, le navi venivano faticosamente trascinate in secco a forza di braccia. Poi, per circa 2mila anni, i marinai di tutto il mondo antico usarono grosse pietre, pesanti fino a 50 chili, con un foro in mezzo, che venivano legate alla nave con una cima, e con un forellino dove passava un’altra cima per disincagliarle prima di salpare. Non era un sistema comodo: costringeva a viaggiare con decine di queste àncore primitive, che dovevano poi essere tirate sugli scogli. Persino la nave di Ulisse nell’Odissea aveva ancore di questo tipo, come racconta Omero. Verso il 1000 a.C. i Fenici ebbero l’idea di attaccare due aratri e porvi in cima una sbarra trasversale di pietra. Così per una nave bastavano solo due ancore e si poteva navigare in modo più veloce e sicuro. Meglio ancora fecero i Romani, che, avendo accesso a diverse miniere di metalli, introdussero il ceppo di piombo. Anche grazie a questa innovazione navigatori fenici, greci e romani riuscirono ad arrivare fino alla Crimea, percorrendo anche i grandi fiumi europei,  il Rodano, il Po, il Reno e il Danubio, ampliando al massimo i commerci e portando prodotti e invenzioni dei popoli mediterranei fin nel cuore dell’Europa. Ma da dove viene il nome “àncora”? Dal greco antico: era detta ankura e questo termine è migrato in altre lingue europee, mantenendo la radice ank: in tedesco si dice ancora anker, in danese e norvegese ankeret, in svedese ankaret.

Favria, 9.07.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Certo che il timore a volte mette i brividi, ma la speranza almeno per me scalda il cuore. Felice domenica

Quercia parlante.

A Delfi, ai piedi del monte Parnaso, la Pizia masticava foglie d’alloro per accogliere i messaggi di Apollo. Ma anche altri alberi erano legati agli oracoli. A Dodona, in Epiro, sorgeva infatti uno dei santuari oracolari più antichi. Stando ai poemi omerici, anche Ulisse vi si era recato per ricevere il consiglio di Zeus: il vaticinio si manifestava nel fruscio delle foglie di una grande quercia custodita nel recinto del santuario. Un “albero parlante” il cui legno fu inserito nella prua della mitica nave degli Argonauti. Fondamenti. Il legame fra la maestosità della quercia, albero dalle possenti radici, e Zeus, dio del tuono e del fulmine, approdò anche a Roma. Quando Tito Livio narra l’episodio del ratto delle Sabine da parte dei Romani, scrive che l’affronto provocò a sua volta l’ira dei popoli coinvolti, fra cui i Ceniesi, che decisero di reagire invadendo il territorio romano. Con facilità Romolo li sconfisse e portò le spoglie del comandante nemico sul Campidoglio, dove le depose proprio ai piedi di una quercia sacra. Con quel gesto di offerta a Giove Feretrio, testimone dei patti, Romolo definì i confini del primo tempio della città.

Favria, 10.07.023 Giorgio Cortese

Buona serata. Mi sono aggrappato ad una speranza e l’ho trasformata in un sogno. Felice  lunedì