Donare, semplice gesto – Il week end, ovvero i due giorni di festa nel fine settimana.- Res Gestae Favriesi, frittata di luvertin – La vita.-Abbasso l’invidia – Da pata a tarlucco – Le parole che uniscono l’Europa – Dal simposiarca al sommelier…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Donare, semplice gesto
Donare sangue è un semplice gesto, come donare amore o amicizia, non costa nulla e aiuta a salvare vite umane. Donare il sangue riempie di gioia. La donazione del sangue è un gesto volontario, gratuito, periodico ed anonimo. Il sangue e’ spesso indispensabie in occasioni di gravi traumi e incidenti nel primo soccorso, in numerosi interventi chirurgici, nei trapianti di organi, nelle anemie croniche, nelle malattie oncologiche e in molti altri casi. Non serve un motivo particolare, si dona e basta. Grazie di cuore ai 49 donatore che oggi hanno donato che si assomma ai 10 che in settimana hanno donato a Ciriè il plasma e sangue intero. Grazie ai 2 nuovi donatori che sono ritornati a fare la prima donazione. Un grazie ai 3 candidati e ai 6 donatori, ai 10 donatori non idonei al prelievo, un grazie di cuore a tutti. Un arrivederci a tutti i 400 e più donatori per la festa sociale, Gruppo Comunale di Favria L. Tarizzo – D. Chiarabaglio 28 anno dalla fondazione del 12 giugno, domenica, biennio 2014- 2015.
Favria 13.05.2016 Giorgio Cortese

La felicità è una stanza che costruisco all’interno del mio animo giorno dopo giorno con un messaggio inaspettato, un sorriso spontaneo, una luce bellissima negli occhi che mi fa vibrare l’animo di emozione, una gioia, un’emozione improvvisa che accarezza il cuore, un attimo lungo un’eternità e oltre l’infinito. Il viaggio di tutta una vita, ma mai una meta di arrivo, ma un viaggio con una destinazione ogni volta diversa.

Il week end, ovvero i due giorni di festa nel fine settimana.
Il weekend di due giorni è un’invenzione recente e risale al mondo statunitense e da lì a tutti i paesi occidentali, all’inizio del ‘900. Pima per tutto il medioevo e per gran parte dell’età moderna non c’era una chiara differenza tra il momento del lavoro e quello della festa. I contadini, ad esempio, passavano interi mesi dell’anno senza molta necessità di lavorare, seguendo i ritmi delle piante e del raccolto, mentre i pastori dovevano portare i loro animali al pascolo ogni giorno. Ma già a quell’epoca c’erano dei giorni in cui si poteva quasi completamente evitare di lavorare, perché le grandi religioni monoteiste avevano, ed hanno tuttora un giorno consacrato alla festa ogni settimana, la domenica per noi cristiani, sabato per gli ebrei e venerdì per i musulmani. Almeno in Europa, l’enorme numero di feste religiose durante l’anno garantiva un numero di giorni, in teoria, “festivi”, dal punto di vista numerico anche superiore a quello che abbiamo oggi. Ma le cose incominciarono a cambiare prima con l’industrializzazione, che, a differenza dell’agricoltura, era obbligata a tempi precisi per mantenere stabile la produzione , e succesivamente con l’affermarsi dei diritti dei lavoratori e dei sindacati. I primi sabati festivi vennero probabilmente introdotti da alcune aziende negli Stati Uniti, per venire incontro anche ai bisogni della manodopera di religione ebraica, che il sabato non poteva lavorare. In Italia con legge del legge del 30 dicembre 1935 venne istituito il sabato fascista, per poter svolgere le attività di carattere addestrativo prevalentemente premilitare e postmilitare e altre di carattere politico, professionale, culturale, sportivo del popolo. Il sabato fascista si differenziava dal sabato semifestivo adottato in altri paesi “per riposo e conforto”; e ne era stata affidata l’attuazione alle organizzazioni fasciste. L’orario normale degli uffici civili e quello del lavoro dei salariati dello stato terminavano il sabato alle ore 13. Nei paesi islamici il giorno obbligatorio di festa per motivi religiosi è il venerdì, quindi il fine settimana può essere composto da giovedì più venerdì o da venerdì più sabato. Quest’ultima, venerdì più sabato, è quella più comoda se si vogliono fare affari e avere relazioni con i paesi occidentali: soltanto il venerdì e la domenica gli uffici di un paese sono chiusi mentre quelli dell’altro sono aperti. Questo lascia 4 giorni a settimana per fare affari. Il fine settimana per metà in comune con quello occidentale venne adottato sin dalle prime leggi in materia in paesi come l’Egitto, da alcuni stati della Malesia e dal Bangladesh, che già nell’Ottocento erano protettorati dell’Impero Britannico. Altri paesi musulmani adottarono, e mantengono tuttora, un fine settimana come il nostro, fatto da sabato e domenica. Il fine settimana “all’occidentale” c’è in Indonesia, Libano, Pakistan, Tunisia, Marocco e Turchia. I primi sono tutti paesi che tra l’Ottocento e la fine della Prima guerra mondiale diventarono colonie o “mandati” delle potenze coloniali europee, mentre la Turchia uscì dalla Prima guerra mondiale con un governo laico e filoccidentale, che oltre al fine settimana occidentale impose, ad esempio, anche l’utilizzo di caratteri alfabetici latini al posto di quelli arabi. La Malesia, ex colonia britannica, ha fine settimana diversi a seconda delle varie regioni, ma in ogni caso la scelta è tra venerdì e sabato o sabato e domenica. Molti altri paesi musulmani, quando raggiunsero l’indipendenza, cambiarono i loro fine settimana secondo una struttura più congeniale al venerdì di festa, ovvero con un giovedì di vacanza per prepararsi al venerdì di preghiera, una scelta fatta in alcuni casi anche per prendere le distanze simbolicamente dai vecchi dominatori coloniali. Questi paesi vanno dall’Algeria agli Emirati Arabi Uniti e comprendono la grande maggioranza dei paesi del Nordafrica e del Medio Oriente. Quasi tutti, però, nel corso degli anni 2000, sono tornati al fine settimana fatto da venerdì più sabato. Questo grande cambiamento, al quale si è adeguato anche l’Oman, è stato guidato dai paesi del Golfo Persico. Il centro finanziario di Dubai, ad esempio, aveva diversi problemi con il vecchio fine settimana. Andando in vacanza di venerdì e anche di giovedì si trovavano con soltanto tre giorni a settimana per potere stringere affari, ad esempio, con Wall Street. Al cambiamento si sono opposti molti studiosi ed esponenti del clero islamico, secondo cui imitare gli occidentali è un errore e un peccato: giudizio che troverebbe sostegno nelle raccolte dei detti di Maometto, gli Hadith, alcuni dei quali dicono “chi imita un popolo ne fa parte”. Altri religiosi hanno criticato questa interpretazione prendendo altri detti, come quello che sostiene “per imparare qualcosa, arriva persino in Cina”. Altri, si sono opposti a concedere il sabato come festivo perché è il giorno sacro per gli ebrei. In alcuni paesi queste opinioni prevalgono ancora: nello Yemen, che occupa l’angolo sudoccidentale della penisola arabica, accanto all’Oman. Il Sultanato del Brunei è l’unico paese al mondo ad avere un fine settimana fatto da due giorni non consecutivi. Si tratta di un piccolo stato, 5 mila chilometri quadrati di superficie: quanto la provincia di Roma, e di mezzo milione di abitanti. Il paese è a maggioranza musulmana e il venerdì, giorno sacro per l’Islam, è vacanza. Il sabato, però, si lavora e si torna in vacanza la domenica. Il Nepal, un paese di circa 30 milioni di abitanti a maggioranza induista, segue l’antico calendario vedico, l’antico insieme di testi che avrebbe poi dato origine all’induismo. Il giorno festivo, quindi, è il sabato e la settimana lavorativa dura dalla domenica al venerdì. Ci sono però moltissime altre feste, che non capitano quasi mai di domenica, e che spesso danno ai nepalesi un altro giorno di vacanza durante la settimana. In Israele, un paese a maggioranza ebraica, la settimana lavorativa comincia la domenica e finisce la sera di giovedì, o per alcuni venerdì a mezzogiorno. Il sabato è il giorno di riposo della settimana, lo Shabbat, nel quale gli ebrei più osservanti evitano di compiere molte attività, tra cui ad esempio accendere la luce. In India e Thailandia la situazione è particolare. La settimana lavorativa in teoria dura dal lunedì al sabato sera, ma ci sono molte eccezioni. In Thailandia spesso il sabato si lavora solo la mattina, mentre diversi uffici statali hanno iniziato a chiudere nella giornata di sabato. In India la situazione è complicata dai vari regolamenti adottati dallo stato centrale e da quelli locali: gli uffici centrali sono quasi tutti chiusi il sabato, mentre in diversi stati sono chiusi solo alcuni sabato del mese. Inoltre: il primo giorno della settimana indiana è la domenica e questo fa sì che, dal punto di vista linguistico, l’espressione “fine settimana” indichi una cosa diversa dai giorni di vacanza settimanale. Il week end composto dal sabato e dalla domenica esiste in tutti i paesi dell’Europa, delle Americhe, in Australia e in Nuova Zelanda, ma anche in Cina, dal 1995 e in numerosi paesi musulmani. Buon week end
Favria 14.05.2016 Giorgio Cortese

Nella vita nessun atto di gentilezza, anche piccolissimo non è mai sprecato.

Res Gestae Favriesi, frittata di luvertin
Si è aperta la stagione di caccia. È caccia spietata, senza quartiere, non ci sono prigionieri. Obiettivo: luvertin i cui getti apicali assomigliano nell’aspetto agli asparagi e per questo spesso vengono chiamati “asparagi selvatici”. L’origine del nome luppolo è controverso, secondo Linneo, luppolo è un diminutivo di “lupus salicarius”, per il suo portamento indomito e selvaggio restio ai tentativi di piegarsi come pianta coltivata. Altri affermano che la voce sia di origine germanica, paese della birra e rappresenti il diminutivo di ”hoppe”,da cui il latino “Hupa” e “Hupalus”, che in italiano, con l’aggiunta dell’articolo, si trasformò in Luppolo. Inoltre, “Humulus” perché predilige i luoghi umidi. In età romana era utilizzato come aromatizzante di una bevanda, ottenuta dalla fermentazione dei cereali, che può essere considerata la progenitrice della nostra birra, e, ancora ai nostri giorni, è ciò che dà il gusto amarognolo a questa bevanda. Per conciliare il sonno si usava riempire i cuscino con foglie di luppolo. Nell’antico Egitto e all’epoca Romana in Europa, il luppolo veniva usato per curare le malattie del fegato, i disturbi digestivi, i disturbi e alcune malattie femminili e come purificante del sangue. Tornado al termine Piemontese luvertin cioè il germoglio del luppolo selvatico, in primavera è una tradizione antichissima andare a raccoglierne le gustosissime cime per cucinare degli ottimi risotti frittate. Il luppolo selvatico è della stessa specie delle varietà di luppolo selezionato, coltivato e utilizzato per produrre la birra. È diverso però, se ne consumano le cime che in questo periodo e per tutta la primavera spuntano rigogliose, è una pianta infestante, ai bordi dei fossi dei canali della roggia. Il luvertin è una pianta infestante, coperta di una peluria irritante, che si aggroviglia e attorciglia saldamente attorno alle siepi, cespugli. Le trovo in campagna in aree incolte in riva alle rogge, in mezzo ai rovi e alle siepi, ma attenzione non va confuso con i rami fioriferi di altre piante solo a prima vista simili, quali l’Ornithogalum o Latte di gallina, un genere che conta molte specie assai tossiche. La pianta di luppolo è a fiore angiosperma e appartiene, come la canapa, alla famiglia delle Cannabaceae. Le foglie sono cuoriformi, picciolate, opposte, munite di 3-5 lobi seghettati. La parte superiore si presenta ruvida al tatto, la parte inferiore è invece resinosa. I fiori, sono di colore verdognolo e sono riuniti in pannocchie pendule. La fioritura avviene in estate. Stagione del luvertin inizia in primavera da marzo a maggio, e si raccolgono le cime. Molti lo chiamano anche asparago selvatico, impropriamente, un po’ perché le cime ricordano la forma dell’asparago, un po’ perché in cucina si presta bene a sostituirlo in gustosi risotti, frittate. Il sapore è un po’ amarognolo ma delicatissimo, tanto che sbollentarli un poco e condirli con olio e limone è una goduria. Hanno buone proprietà diuretiche e lassative, tonificanti e rinfrescanti, purifica il sangue e stimola le funzioni epatiche. Ovviamente lo cerco in posti dove l’inquinamento non generi controindicazioni e nel dubbio lavo sempre bene il raccolto prima di consumarlo. Il luppolo selvatico cresce fino a 1200 metri di altitudine e si trova un po’ più facilmente in Italia Settentrionale, ma c’è in ogni Regione. È sufficiente cercare bene e guardare alle sterpaglie con occhio attento
Favria, 15.5.2016 Giorgio Cortese

Il Tempo che passa non muore, ritorna solo nell’Eternità , e allora ogni azione della mia vita tocca qualche corda che vibra in eterno, ciò che faccio in vita, riecheggia nell’eternità!

La vita…
La vita è molto semplice, ma sono io che insisto col renderla complicata. Complicare durante la giornata è facile, semplificare è difficile. Per complicare basta aggiungere, tutto quello che si vuole: colori, forme, azioni, decorazioni, personaggi, ambienti pieni di cose. Tutti sono capaci di complicare ma pochi sono capaci di semplificare. La capacità di semplificare significa eliminare il superfluo in modo che sia la necessità a parlare. E poi le cose migliori nella vita sono le più vicine come il respiro nelle narici dell’aria fresca del mattino, la luce negli occhi di chi mi parla, i fiori dei campi, gli incarichi tra le mii tuoi occhi, i fiori ai tuoi piedi, il lavoro che eseguo, il sentiero della vita, spero del bene proprio davanti a me. Allora non ho bisogno di cercare di afferrare le stelle, ma svolgere le cose semplici della vita come vengono, sicuro che le semplici azioni quotidiane sono che cose più belle della mia vita, e allora potrei vivere nel guscio di una noce, e sentirmi re dello spazio infinito
Favria, 16.05.2016 Giorgio Cortese

La migliore politica che una persona possa fare è quella di praticare sempre l’onestà. A fare sana e giusta politica non basta conoscere gli esseri umani ma bisogna sempre amarli.

Abbasso l’invidia
Vi è mai capitato di sentirvi dire che qualcuno ce l’ha con voi e quella persona, invece di chiarire le eventuali problematiche esistenti, si mette a parlare alle vostre spalle? Credo sia un guaio piuttosto diffuso e distribuito in tutto il mondo. Ma che cosa spinge molte persone ad avercela tanto con il prossimo? I motivi possono essere mille, a volte è davvero il torto subito, a volte è un’incomprensione, a volte è, solo pura invidia. L’invidioso, oltre a rovinare la vita degli altri, non rovina anche la propria? Sì, certamente, perché ridurre tutto alla mediocrità rende mediocre la nostra vita, quella della Comunità in cui vive, il posto di lavoro in cui vive. Se togliamo il senso a quel che fanno i nostri amici intorno a noi, togliamo il senso a noi stessi. Dante si pone il problema: i beati del grado più basso sono invidiosi del grado più alto? No, risponde lo spirito interrogato, perché crediamo in quest’ordine e in Chi l’ha voluto: “Nella sua voluntade è nostra pace”. Ma l’invidia, quella sana è anche uno dei motori del mondo, la sana invidia di mettermi ancora di più in gioco sul lavoro e nella vita di tutti i giorni per progredire ancora di più, di crescere e di migliorarmi. L’invidia, quella sana, insieme al desiderio, è in grado di muovere il mondo sia esterno che interiore. Ma l’invidia “malata”, invece, quella malapianta che mi fa odiare chi fa meglio di te, mi si ritorce sempre contro e se non la curo mi fa l’animo raggrinzire su me stesso. E allora a chi non mi guarda in faccia, né negli occhi, come coi ragni o coi pidocchi, e se mi saluti per nome come amico ma, in realtà, la fine del lombrico vorresti farmi fare in mezzo ai piedi, mentre, dissimulando, “come va?” mi chiedi! Ti da fastidio che non la penso come Te e perché allora pensi di trattarmi come spesso il gatto, con cattiveria, gioca con il topo per poi lasciarlo, morto, poco dopo? Ma tu giammai la smetti, mai ti stufi, e alle spalle mi starnazzi come fanno mille gufi, emetti grida stridule e silenti. E allora perché non mi parli in faccia. Permetteimi di darti un consiglio come darebbe un padre al proprio figlio, ricorda che chi chi vive nel rancore vive meno e fa pur la figura dello scemo perché si cruccia e crogiola il suo cuore in una melma dal cattivo odore. L’astio e l’invidia sono una brutta cosa, mentre , io vivo tranquillo.
Favria 17.05.2016 Giorgio Cortese

L’avversario ogni giorno mi mi guarda in faccia, e poi forse metaforicamente mi spara. Il falso amico mi abbraccia, ma quando gli volti le spalle, di sicuro mi pugnala.

Da pata a tarlucco
Pata in piemontese indica uno straccio cencioso o una garza. Da li con la radice pata si ha il lemma pataceu, pezzente, rigattiere. Patagnech, per indicare una pesante caduta a terra. Poi si passa a patamola, persona fiacca e senza vigore. Ma arriviamo anche a patanù, nudo o povero. Da li a patarass, cencio, fiocco, falda di neve poi con patarassa, lingua e patarassù, cencioso ed al bel lemma patarel, cencio o fiocchi fi neve marzolina, usato anche per indicare una persona che sbianca improvvisamente che rischia di divenire un pataroj avvizzito. Ma abbiamo anche il lemma patàu, implume o il patachin, damerino di gracile corporatura. Patafia per boccaccia o per dire madama patafia una donna pettegola che ostenta delicatezza. Il patafio è invece una persona grassa e grossa lenta nei movimenti che ostenta delicatezza. Questo ultimo lemma deriva dal latino epitaphium, iscrizione o discorso funebre, passato in piemontese per aferesi e usato anche nelle forme pataffia e pataffion. Scusare se dico delle pataflande, delle sciocchezze per arrivare al pataflan, una enormità o stravaganza. Scusate la mia patalica, lingua lunga con loquacità smodata ma non sono certo un patalich sempre con il prefisso pata ed il germanico lekkon, leccare, accostabile alla lingua, per dire linguacciuto. Arriviamo poi a patè per straccivendolo e al femminile patera, la straccivendola e il pation chi ha una veste logora. Ed ecco la la parola pataria, con il modo di dire “an aria pataria”, sottosopra, a gambe levate all’aria. Pare che questa parola dal nome del quartiere di Milano, Pataria, che in meneghino significa ciarpame, nel quale vivevano i patarini in maggioranza rigattieri, in milanese patèe, associati al movimento religioso eretico pauperistico che si riunivano nei luoghi di raccolta degli stracci, poco controllabili dalle autorità del tempo in quanto in odore di eresia. Ed infine il lemma patalouch, che deriva da pata e oloch, l’allocco, persona goffa e stupida, simili a tarlucco. Questo ultimo lemma diffuso nella provincia di Genova, che indica una persona stupida e vuota, una specie di idiota, deriva dal latino “ullucus”, allocco. Beh lascio in conclusione il lemma pataflù, persona obesa, ed indovinate il perché?.
Favria 18.05.2016 Giorgio Cortese

Ritengo che la gentilezza sia simile ad un arcobaleno nella nuvola grigia di qualcun altro. Perché una parola gentile è simile ad una bella giornata di primavera.

Le parole che uniscono l’Europa.
Mi domando perché si prendono in prestito le parole? Una nazione sviluppa un nuovo concetto per il quale le altre nazioni non possiedono ancora un termine equivalente. Ed è andata così con la nota parola tedesca “Kindergarten”, ormai immigrata in tutta Europa: un concetto sviluppatosi in Germania, che si è poi diffuso in Inghilterra e infine è stato esportato in Italia. Gli inglesi hanno continuato a svilupparlo, tanto che usano anche il verbo “to kindergarten” “tenere i bambini all’asilo” ed il sostantivo “kindergartner” “scuola materna” o “asilo infantile”. Una parola si diffonde così com’è soprattutto quando la sua nazione di origine è dominante in un certo settore e viene imitata dalle altre nazioni. Così le lingue europee si sono arricchite negli ultimi decenni dei termini musicali italiani come “piano”, “adagio”, e sempre l’italia ha esportato nel vocabolario militare francese, “batterie” per un’unità di artiglieria e “brigade” per un’organizzazione militare, ma anche il tedesco non scherza e delle parole tecniche come “Wirtschaftswunder” per un rapido sviluppo economico e “Volkswagen” per i furgoni più piccoli. Attualmente si stanno diffondendo le espressioni inglesi dell’informatica, come “bit” e “bug”, e le espressioni relative alla gestione dell’impresa “manager” e “marketing”. Anche i termini di cucina nazionale si trovano nei menu nella loro lingua originale dal pane scuro danese lo smorrebrod , al wurstel, per poi passare alla famosa baguette, la pizza e la pasta italiana, ed infine il bretzel tedesco un pane che si racconta che sia il cibo da merenda più antico del mondo. La sua origine si colloca nei monasteri del sud della Francia e nel nord Italia, intorno al 610, dove i monaci producevano con i resti dell’impasto delle striscioline che ricordavano le braccia di un monaco incrociate a mo’ di preghiera. Ed infine i pierogi polacchi, simili ai panzerotti con diversi ripieni, sia salati che dolci. Sono come tortine di pasta lievita chiuse, come un “pie” inglese. Molte volte i prestiti provengono per lo più dal settore in cui la nazione esportatrice è innovativa, e sono spesso espressioni tipiche per la nazione d’origine. Possono trasmettere un’immagine positiva, come quando gli europei utilizzano la parola russa “intelligenzija” per parlare delle elite istruite, quando noi italiani e i francesi usiamo l’inglese week-end per parlare del fantastico tempo libero nel fine settimana o come quando gli inglesi per parlare dello “Spirito del tempo usano la parola tedesca “Zeitgeist”. Anche descrivere per certi attegiamenti prendiamo in prestito parole di altre lingue come la spagnola “macho” spagnolo intendendo un uomo che tende ad esibire una virilità esagerata e appariscente, assumendo in generale atteggiamenti tali da esprimere sicurezza, forza, aggressività. La parola russa “pogrom” per definire la violenza di massa contro una qualsiasi minoranza. Curioso è il termine usato dai danesi che che parlano di “Bundesliga-har” per il taglio di capelli mullet, sfoggiato negli anni 80 dai calciatori del campionato tedesco, come Rudi Völler. Gli inglesi usano il termine “Angst” per paura e stress, i cechi usano il termine “hochstapler” per definire gli imbroglioni. Durante i loro viaggi per l’Europa, non sempre le parole rimangono intatte, di solito almeno un accento cambia. Così è successo al francese “cul de sac”, “vicolo cieco”, preso in prestito dall’inglese, ma con una “l” detta in più rispetto alla pronuncia originale. Sono comuni anche i cambiamenti di significato, che possono diventare anche molto piccanti: i norvegesi usano i termini tedeschi “Vorspiel” e “Nachspiel” ma non intendono le tenerezze prima e dopo il rapporto sessuale, bensì il consumo di alcol prima e dopo la festa. Quindi occhio al traffico delle parole! E scusate il mio sproloquio gli svedesi mi avrebbero definito “besserwisser” sapientone fastidioso
Favria 19.05.2016 Giorgio Cortese

La gentilezza sta alla morale come le vitami stanno alla salute umana. La gentilezza e la cortesia sono sempre un salutare massaggio dell’animo che aiuta a fare del bene tramite la dolcezza. Ma purtroppo per qualcuno è solo un linguaggio per persone che sono sorde e che non vogliono vedere. Cerco di essere gentile quando possibile, ma poi penso che è sempre possibile perché se regalo ad un estraneo uno dei miei sorrisi forse potrebbe essere l’unico sole che vede durante il giorno

Dal simposiarca al sommelier
La parola sommelier, nessuno si scandalizzi, proviene dal termine francese provenzale saumalier. In origine il significato era conducente di bestie da soma, dall’etimo latino sagmarium, individuata nella parola sagma, che significa soma , evolutosi poi nel significato moderno di “cantiniere, cameriere d’albergo o ristorante, per la scelta e il servizio dei vini”. Secondo altri semba che le origini del termine vadano ricercate nell’abitudine che i soldati dell’esercito napoleonico avevano di legare, lier, le botti su di un mulo o asino da soma, some. Ma non finisce qui. La contrapposizione Italia – Francia in generale è una costante, nel mondo del vino è una certezza. Infatti c’è chi sostiene che i francesi mutarono la parola sommelier dal termine italiano somigliere, nell’Ottocento. Il Duca di Savoia cento anni prima istituì la figura del “Somigliere di bocca e di corte”. In realtà la storia ci lascia traccia del fatto che i cugini d’oltralpe mutuarono quest’ultima denominazione solo nell’ottocento dall’italiano somigliere, citato per la prima volta negli editti del Duca di Savoia almeno cent’anni prima. Questi istituivano la figura del Somigliere di Bocca e di Corte, un vero e proprio pubblico ufficiale destinato a ricercare e valutare i vini, che poi sigillava con il timbro dell’anello imponendo le insegne ducali, nonché a determinare la corretta maniera nel servirli con protocolli rigidissimi. Quello del sommelier è però un ruolo molto più antico. Nell’antica Grecia esisteva un Simposiarca, in alcune traslitterazioni chiamato anche Coppiere Arcante, che dirigeva il Symposion, ovvero il momento finale del banchetto, quando gli uomini si riunivano per bere e discorrere di politica, arte e filosofia. Ancor prima, in Mesopotamia ero lo Shagu, ma è con l’Impero Romano che si ha una affermazione importante di tale figura che ritroviamo con il nome di Arbiter Bibendi o Pocillator, persona fidata che aveva il compito di preparare, poco prima dell’inizio del convivio, la miscela di acqua e vino ideale per deliziare i palati dei convenuti, all’epoca il vino albano, cioè bianco, veniova cotto e zuccherato, poi aggiungevano miele e insaporivano il tutto con piante aromatiche e medicinali. Il tutto avveniva sotto la guida del “magister cenae”. E’ solo dopo il III° sec. d. C. in epoca gallo-romana che si inizia a bere vino non annacquato -merum- e cominciano a sorgere le prime osterie e gli spacci di bevande alcoliche. Ma occorre attendere ancora circa mille anni prima che in conventi, castelli e palazzi nobiliari, qualcuno, antico progenitore dei sommeliers, si specializzi nella grande arte di conoscere e proporre i diversi sapori dei vini. Venne poi il Buttigliere rinascimentale, che aveva un ruolo di assoluto primo piano nelle corti italiane, sacerdote di un rigido cerimoniale e responsabile della salubrità delle bevande. Questo era un pubblico ufficiale con l’incarico di valutare i vini, di acquistarli per il re con “diritto di prelazione” sigillandoli con il timbro delle insegne ducali e di riportare la corretta maniera di servirli. Per dovere d’informazione, dagli antichi testi si evince che queste figure non si occupavano soltanto dei vini ma anche delle acque destinate al loro signore.
Favria 20.05.2016 Giorgio Cortese

La cosa più bella nella vita è fare qualcosa per qualcuno senza che se ne accorga. Anche un solo atto di gentilezza mette le radici in tutte le direzioni, e le radici nascono e fanno nuovi alberi.