Fare un buco nell’acqua. – Alla ricerca del punto fiduciale nella società. – A tutto volume! -Res gestae favriesi: valentini e valentine! di Giorgio Cortese

Fare un buco nell’acqua.
Sono tante le metafore e le perle di saggezza popolare sugli usi, le caratteristiche e le proprietà dell’acqua. Quante volte ho detto che “mi son perso in un bicchiere d’acqua” quando non riesco a venire a capo di una situazione in realtà facilissima? E quante volte per incoraggiare degli amici non ho forse detto: “ è facile come bere un bicchier d’acqua”? Questi sono solo due degli innumerevoli esempi delle espressioni idiomatiche che hanno come protagonista l’acqua. Negli anni infatti sono nati, un po’ spontaneamente un po’ per via delle situazioni proverbi e modi di dire con cui la cultura popolare ha fatto crescere intere generazioni come: “ Acqua in bocca! Avere l’acqua alla gola.. Tirare l’acqua al proprio mulino. Deve passare ancora tanta acqua sotto i ponti. Assomigliarsi come due gocce d’acqua. E’ stata la goccia che fa traboccare il vaso. Piove sempre sul bagnato insomma si trovano in cattive acque. Sono come dei pesci fuori dall’acqua. Come goccia su goccia scavo la pietra.” Ma l’espressione che mi ha colpito di più è quella di “fare un buco nell’acqua, che è un modo di dire colloquiale della lingua italiana. Viene spesso utilizzato per indicare un’attività o un tentativo inutile, un insuccesso. Altri modi di dire con lo stesso significato sono Pestare l’acqua nel mortaio, Fare la zuppa nel paniere, Fare il lavoro di Sisife, Lisciare la coda al diavolo. Viene anche usato il termine flop che deriva direttamente dall’inglese, derivante dal verbo to flop, “buttare giù”, si usa in italiano come equivalente di “fiasco”, con il significato di insuccesso rispetto alle aspettative, soprattutto riferito a un prodotto od evento commerciale e alle reazioni del pubblico. Il modo di dire “fare fiasco” nasce da un fatto accaduto parecchio tempo fa in un teatro fiorentino, dove un artista famoso ogni sera si esibiva in simpatici monologhi, che condivideva con oggetti a cui si rivolgeva adoperando parole e smorfie divertenti. Una sera però decise di esibirsi in un monologo portandosi come compagno di scena un tipico fiasco da vino; invece di divertire il pubblico però, l’artista lo annoiò così tanto che questo reagì e in cambio iniziò a fischiarlo a più non posso. Da allora è rimasto questo modo di dire “far fiasco”, quando si deludono completamente le aspettative di qualcuno, senza rendersene conto fino al momento dei fischi o delle aspre critiche. Esiste una seconda versione che trae il nome dall’impresario italiano Alessandro Fiasco, 1792-1869, che organizzò una rappresentazione della Lucia di Lammermoor a Mantova nel 1837 durante la quale crollò il palcoscenico. Tornando al modo di dire di fare un buco nell’acqua, questo modo di dire trae origine che è impossibile fare un buco nell’acqua, a causa della forza di gravità che ha come effetto quello di parificare il livello del liquido. In questo senso, la frase è diventata sinonimo di fallimento. In conclusione nella vita di ogni giorno la speranza è un rischio da correre, è addirittura il rischio dei rischi e quelli che non hanno mai rischiato riescono solo a scorgere i buchi nell’acqua degli altri.
Favria, 11.2.2015 Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno la ricerca della verità e della giustizia è un rischio che mi pare valga la pena di correre.

Alla ricerca del punto fiduciale nella società.
Tornando a casa un sabato mattina ho incontrato l’amica Carla che con un collega misurava un frazionamento cercando il punto fiduciale. In topografia il punto fiduciale è un punto individuabile sulle mappe catastali che può essere costituito da punti di coordinate trigonometriche catastali, punti stabili di riferimento come spigoli di fabbricato o altro, insomma particolari topografici di individuazione certa, di stabilità nel tempo e di facile accessibilità. Già in Egitto già alla fine del II millennio a.C. si ripristinavano i confini delle proprietà inondate periodicamente dalle piene del Nilo usando, con una elevata preparazione tecnica, punti stabili di riferimento. Nell’antica Roma per la costruzione di accampamenti militari e per la fondazione di nuove città il sistema geometrico della misurazione e delimitazione della proprietà, era basato sul tracciamento, con la “groma”, di due assi fondamentali, cardo e decumano, il primo con orientamento Nord – Sud ed il secondo Est – Ovest, che come assi viari rimanevano permanentemente fissati sul territorio. La groma era uno strumento agrimensorio usato pare fino al 3° sec. d.C. Era costituito da due bracci uguali perpendicolari fra loro, imperniati su un’asta infissa nel terreno e portanti a ogni estremità un filo a piombo. Con la groma. si potevano tracciare sul terreno allineamenti divisori, rigores, ortogonali fra loro. Con la groma si assegnava e si misuravano l’ager da assegnare ai coloni. Le operazioni di definizione dei confini fatte sul territorio venivano riportate su tavolette di bronzo, rame o marmo. Per ogni singola centuria venivano riportate, oltre alle coordinate, le condizioni dei terreni e le superfici delle singole assegnazioni, nonché i nomi degli assegnatari o dei proprietari. Con il crollo dell’Impero Romano e della sua organizzazione statale decaddero anche le istituzioni censuarie e si ritornò ad un catasto di tipo più descrittivo. Nel Medioevo fino a tutto il Settecento gli estimi rappresentavano la forma tipica dell’accatastamento. Infatti le cartografie risultavano imperfette in quanto avrebbero dovuto essere geometriche e non descrittive, ma per mancanza di fondi molti catasti rimasero incompiuti, mentre i catasti dei vari feudi e/o stati basavano la loro attività soprattutto sulle stime ufficiali dei terreni, in quanto impositori di tasse. All’inizio del Settecento si introdusse il catasto geometrico particellare, rappresentato graficamente sulla base di unità elementari di possesso sulle quali si valutava la redditività degli appezzamenti. Iniziato da Carlo VI d’Asburgo nel 1718, fu Maria Teresa d’Austria nel 1785 a finire il lavoro di accatastamento che funzionava con l’acquisizione delle denunce, mentre la cartografia, suddivisa in mappe in scala 1:2000, veniva redatta mediante le tavolette pretoriane. Il sistema era basato su una rigorosa territorialità. Con l’unità d’Italia, nel 1860, la situazione catastale nel Patrio Stivale era estremamente confusa, infatti i catasti vigenti erano circa venticinque, di cui alcuni molto antichi; parecchi erano descrittivi, con mappe o senza, altri erano geometrico–particellari. Facevano eccezione i territori italiani sottoposti alla dominazione austriaca, nelle quali vigeva e vige tuttora il catasto di Maria Teresa, disciplinato con legge del 25/ 05/1859. Il Nuovo Catasto Terreni viene istituito con la legge del 1° marzo 1886. Dopo questa veloce descrizione del punto fiduciario, della groma, fatta dal sottoscritto, mediocre ragioniere, il lemma fiduciale mi ricorda la parola fiducia che deriva dal lemma latino fidere, avere fiducia, dare credito e stima. Oggigiorno avere fiducia è sempre più difficile, se tutto intorno si vede il lento scivolare nel pantano dell’antipolitica, dei soliti furbetti, delle sempre più impossibili promesse che ci propinano, quasi fosse sempre campagna elettorale. Se leggo i giornali o ascolto la televisione, subito l’animo mi stringe nell’amarezza. Eppure nutro ancora sempre la piccola candela della speranza che non mi fa mai rassegnare per due ragioni la a prima è legata al fatto che, come diceva Pascal: ”l’uomo supera infinitamente l’uomo”, e può quindi sempre avere in sé una scintilla di salvezza, un seme di redenzione, una segreta capacità di non soccombere. L’altro motivo di speranza è anche in questa umanità dolente, sempre più morsa dalla crisi, senza lavoro e con tanta rabbia in corpo ci sono ancora delle persone che si donano a gli altri, so dedicano al volontariato, e portano una forte carica di passione, di creatività e di vita, sono loro spesso o loro eroici e quotidiani gesti a infondere fiducia e speranza al mio animo quando è smarrito e a dare sempre più luce alla fiamma della speranza.
Favria, 12.2.2015 Giorgio Cortese.

Nelle imprese dove non è rischio, non vi può essere gloria perché senza rischi non si fa nulla di grande!

A tutto volume!
L’altra sera verso le 20,00 uscendo dalla rimessa dove avevo ritirato l’auto non ho potuto non sentire passare un’auto con la radio a tutto volume e allora mi è venuto da pensare alla potenza della radio. Pensate nel 1895, a coronamento degli esperimenti condotti nella casa paterna di Villa Griffone a Pontecchio presso Bologna, il ventunenne Guglielmo Marconi ottenne alcuni risultati fondamentali per le applicazioni delle onde elettromagnetiche, risultati che segnarono la nascita della radio come sistema per trasmettere informazioni. Prendeva così avvio un processo destinato a incidere profondamente sullo sviluppo dell’umanità per tutto il ventesimo secolo. Dopo la radio è arrivata la televisione e molti pensavano che il video uccidesse la radio, ma non è andata cos’ e neanche lo o streaming digitale riuscirà a piegare il fascino delle trasmissioni via etere. Lo dicono i numeri: che sono impressionanti, ben 34.736.000 sono gli ascoltatori giornalieri, 66,93% della popolazione sopra i 14 anni. Il segreto è anche nelle dimensioni, la radio è piccola e grazie a questo è riuscita a stare nelle cose più grandi, dagli stereo alle auto agli smartphone. La radio è con le sue minute dimensioni e la sua adattabilità anche in questa era digitale è riuscita a costruire un rapporto affettivo con noi utenti. La radio sembra quasi un essere vivente, ogni sua trasmissione avviene in diretta, ed è tenuta viva da persone. L’avvento dello streaming può avere un impatto sulle radio piccole dall’identità debole, dalla linea troppo generalista. Ma non toccherà chi ha una identità editoriale forte, basata sul rock, gli anni ’60 e ’70, la disco piuttosto che il liscio o la musica classica come quella che sto ascoltando mentre scrivo questo breve pensiero. Le radio locali nonostante la crisi hanno resistito molto meglio delle tv locali. Hanno saputo differenziarsi sui target di pubblico, andando a colmare le carenze dei network nazionali, in cui la differenziazione è presente ma è più blanda. Ritengo che chi ascolta musica dispone di una quantità di mezzi e di possibilità di accesso sconosciuti solo dieci anni fa. Oggi la radio la si segue attraverso lo schermo tv, pare cha seguano in 2.722.000 milioni, cellulari e pc, rispettivamente 1.690.000 e 1.025.000 di utenti. La radio è la vetrina per eccellenza della musica dagli anni 20 e oggi detiene ancora posizione fondamentale. I servizi di streaming digitale fanno scegliere i brani in modo diretto o te li suggeriscono in base ad algoritmi che lavorano sui tuoi gusti, la radio invece si basa sul coinvolgimento e anche per questo, pure se in un panorama mutato sia dal punto di vista tecnologico che commerciale, resta lo strumento di promozione principale degli artisti. Le case discografiche quando lanciano un disco Passano sempre dalla radio, e hanno delle persone incaricate di proporre e spingere le canzoni tra i programmatori radiofonici, insomma la radio è la cartina tornasole se una canzone sfonda oppure no
Favria, 13.2.2015. Giorgio Cortese

Nella vita non c’è cammino troppo lungo se cammino lentamente, senza sforzarmi e non c’è traguardo troppo alto se mi preparo con saggia pazienza

Res gestae favriesi: valentini e valentine!
Nel giorno di S. Valentino scrivo un breve sunto su di una tradizione che c’era nelle nostra Comunità. Nel giorno di S. Valentino che. Con la Candelora, preannunziava la fine della primavera, esisteva l’usanza pre-cristiana che gli uccelli cercassero una compagna, e allora i gruppi di allora dei giovani addivenivano alla creazione di coppie di fidanzate che dovevano durare per una anno. Durante questo tempo il giovane di faceva da cavaliere alla fanciulla assegnatali, poteva frequentarne la casa e accompagnarla in pubblico, in chiesa, alle feste ed ai balli. Nel giorno di S. Valentino si riunivano fuori dall’abitato in regione campagnolo dove si accendevano grandi fuochi che le coppie neo elette saltavano tenendosi per mano. Le coppie che riuscivano a saltare il falò senza bruciarsi potevano sperare che si sarebbero presto sposate. Nel Mezzogiorno i Valentini si chiamavano, Compari e Comari, che erano legato anche da patti di alleanza tra gruppi famigliari, in Belgio tali coppie si chiamavano Houpette Saint Jean, in Francia si chiamavano Pierrot e la giovane Maria, nei Grigioni Svizzeri il giovane veniva chiamato Henghert, nella Bassa Engadina erano le ragazze che sceglievano il cavaliere, a mezzo di una scheda, il cavaliere si chiamava il “ ‘l mourous e di due supplenti “ i mourous della graida”. Ma come avveniva il primo incontro dei Valentini e della Valentine, di solito i giovani si trovavano all’uscita dei Vespri. Erano un incontro già concordato in precedenza , e i giovani e le ragazze si riunivano dopo attorno al falò divisi in due schiere per danzare dei rondeau, in italiano rondò, dal latino rotundus, rotondo. Il rondeau allora si danzava in cerchio a catena e poi con le coppie formatesi in cortège, corteo. Durante il rondeau aperto i ragazzi cantavano a tre riprese: “ Chi sposeremo allora?” allora dalla schiera delle ragazze usciva il nome della designata che veniva posta al centro dei danzatori. Allora i danzatori facevano tre giri gridando an ogni giro: “Chi mi amerà!”. In quel momento i giovani designavano l’amoroso che entrava nel circolo, poi i due eletti entravano nella catena umana non lasciandosi più, alla fine quando erano fatte le coppie, saltavano il falò. Finito il salto del falò, ma non sempre c’era l’obolo dei baci, giravano per il paese nel chiedere un obolo per la Badia dei Giovani in difetto devono dare un baci. Con la decadenza verso il 1700 della Badia dei Giovani, la scelta dei Valentini e delle Valentine si fece per lo più imbussolando i nomi dei giovani e quelle delle ragazze da unire, ed i nomi si estraevano a sorte alla vigilia di S. Valentino e poi si perse del tutto con la cosiddetta civiltà crescente che a poco a poco abolì delle millenarie tradizioni lasciando uno sbiadito ricordo.
Favria, 14.02.2015 Giorgio Cortese

Se devo vivere senza leggere e scrivere ritengo che sia pericoloso, perché mi devo accontentare della vita in modo banale, e questo comporta notevoli rischi.