Gli sponsali. – I sold dl’ giass. – Che fine ha fatto la vera Croce? – Tentenna. – Nicotina. – Campo in terra rossa. – La tassa sulle finestre…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Gli sponsali. Iniziamo con il dire che il termine sponsali deriva

dal latino ‘sponsalis’ che vuol dire letteralmente coniugale o matrimonio. Le cosiddette cipolle porraie vengono raccolte prima che il bulbo ingrossi. La produzione è di nicchia, e spesso vengono confusi con i porri, ma sono due cose completamente diverse. Gli sposali hanno un sapore dolce e vengono impiegati in ricette tipiche della tradizione gastronomica italiana. Fino dall’epoca romana, e ancora oggi, in alcune regioni del sud Italia, si celebravano gli ‘sponsalia’, cerimonie in cui i promessi sposi festeggiavano la loro unione con parenti e amici, impegnandosi a concretizzarla anche dal punto di vista giuridico. Durante tali occasioni, era consuetudine preparare e servire agli ospiti una torta rustica a base di sponsali. Questo ha dato origine al tipico calzone pugliese, replicato, seppur in maniera differente, nella zona del materano. Gli sponsali si caratterizzano per essere bulbi longilinei di cipolle, composti da un fusto bianco tubulare che si allunga in coste di un verde variamente modulato. Sono anche conosciuti con il nome di “ cipolle porraie” per quanto, rispetto ai porri, siano tutt’altra cosa. Il loro sapore è spiccatamente dolce e la loro fragranza è molto simile a quella della cipolla fresca, seppure meno intensa e persistente. Gli sponsali, o cipollotti freschi, sono una verdura che ha una lunga storia e tradizione nella cultura culinaria. Nel libro “Gli orti di Lucera” del 1934, Trotta parla dello “sponsale” come una varietà autunno-invernale della cipolla coltivata nella città di Lucera. Gli sponsali, o cipollotti freschi, sono un ingrediente comune in molti piatti della cucina regionale italiana, in particolare in quella del Salento. Ma come si distinguono dagli altri tipi di cipolla, come i porri? Basta osservare attentamente la sezione delle foglie. Se questa ha una conformazione ovale o a mezza luna, si tratta di sponsali, mentre se la sezione ricorda una “V”, si tratta di porri. Gli sponsali apportano numerosissimi benefici per la salute, ricchi di antiossidanti, sono una preziosa fonte di vitamine e minerali essenziali, tra cui calcio, ferro e potassio. Inoltre, il loro consumo quotidiano, se associato a una sana alimentazione, aiuta a prevenire alcune malattie, come ad esempio il diabete.

Favria,  7.05.2024   Giorgio  Cortese

Buona giornata. Ogni giorno la fortuna è un attimo, ma la vita è tutto il resto. Felice martedì.

“Introduzione alla psicologia sociale: La storia e gli esperimenti”

Docente: Lorenzo Cena -mercoledì  8 maggio 2024 ore 15,30 -17,00

Conferenze UNITRE’ di Cuorgnè presso ex chiesa della SS. Trinità –Via Milite Ignoto

Nella conferenza verranno affrontati i temi della psicologia sociale attraverso gli esperimenti più significativi che hanno caratterizzato la storia di questa disciplina, facendo attenzione a comprendere le principali teorie e le attuali applicazioni nel dibattito moderno.


I sold dl’ giass.

A volte certe parole sono quasi simili ma con significati diversi. La parola giass in piemontese significa covile, giaciglio di paglia. Il lemma deriva dalla voce tardo latina  jacere, coricare, giacere ed è arrivato nel piemontese dal provenzale jatz. Ma in piemontese il termine giass significa anche rintocco funebre e qui deriva dalla parola latina classum, suono di tromba, pervenuto in piemontese dal francese  glai, glas, il rintocco lento della campana per annunciare l’agonia e la morte di qualcuno. Infine abbiamo la parola giass o giassa  che deriva dal latino volgare glaciam, ghiaccio, pervenuto in piemontese attraverso il francese glace o il provenzale glasa. Come si vede il modo di dire “i sold dl’ giass” che mi ha detto Paola questa sera in riferimento ad un condannato a morte per le sue malefatte e poi graziato dopo una sonora rampognata potrebbe significare sia i soldi che si dovevano pagare per annunciare l’imminente condanna a morte, ma è anche vero che i soldi di ghiaccio, se vogliamo tradurre in questo modo il modo di dire sono molto simili al modo di dire italiano “scritto sul ghiaccio”, una ironia per affermare che certe promesse, come del manigoldo, sono simili al ghiaccio che si scioglie al sole e pertanto destinate ad essere presto dimenticate, per leggerezza come per malafede.

Favria, 8.05.2024   Giorgio Cortese

Buona giornata. Purtroppo certi giorni imparo le lezioni della vita solo quando non ci servono più, pazienza. Felice  mercoledì.

Che fine ha fatto la vera Croce?

La preziosa reliquia fu ritrovata secondo la tradizione nel IV secolo dall’imperatrice Elena, madre di Costantino. Se ne erano perse le tracce durante le Crociate. Secondo il vescovo Eusebio di Cesarea, l’imperatore Costantino nel IV secolo avrebbe promosso la ricerca del luogo dove era avvenuta la crocifissione di Gesù e della tomba in cui il suo corpo era stato sepolto. Gli scavi per la scoperta della tomba, racconta il dotto prelato nella “Vita Constantini”, furono portati avanti dal vescovo di Gerusalemme Macario per volere dello stesso sovrano, dopo che questi ebbe avuto un sogno premonitore; quindi vi fece costruire sopra una basilica, che intitolò al Santo Sepolcro. Nel resoconto non si parla, però, del ritrovamento della Croce, che viene citata per la prima volta nel V secolo nell’opera di Socrate Scolastico, il quale nella sua “Storia ecclesiastica” riporta che Elena, la madre di Costantino, fece distruggere un tempio pagano che era nel frattempo sorto sopra al Sepolcro e, riportato alla luce quest’ultimo, vi ritrovò tre croci,  quella di Cristo e le due dei ladroni,  e, staccato, il “Titulus Crucis”, il cartiglio-iscrizione con la scritta INRI, Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum. apposto su quella di Gesù. Per distinguere quale delle tre croci fosse effettivamente quella di Cristo, racconta ancora Socrate Scolastico, Macario le mise a contatto una alla volta con il corpo di una donna gravemente malata; quest’ultima guarì al tocco della terza, sancendo attraverso il miracolo l’autenticità del reperto. In tale frangente l’imperatrice Elena rinvenne anche i chiodi della crocifissione e li inviò a Costantinopoli, dove uno fu incorporato in un elmo del figlio imperatore, un altro fu trasformato nel morso del suo cavallo (si tratterebbe del reperto conservato dal 1548 nel Duomo di Milano). Il terzo chiodo, infine, stando alla tradizione sarebbe stato inserito all’interno della Corona ferrea, gioiello del Duomo di Monza: il restauro moderno e l’analisi del celebre manufatto hanno però smentito questa tesi, rivelando che il cerchio metallico è in realtà realizzato in argento. Quanto alla Vera Croce, rimase a Gerusalemme,  dove intorno al 380 fu vista e descritta dalla pellegrina Egeria,  fino al 614, quando il re persiano Cosroe II prese Gerusalemme e trafugò la reliquia come trofeo portandola a Ctesifonte. A recuperarla fu nel 628 l’imperatore d’Oriente Eraclio, che la portò dapprima a Costantinopoli e poi a Gerusalemme. Qui, esposta periodicamente ai fedeli in una stauroteca,  un reliquiario a forma di croce,  rimase fino al 1009 circa, quando i cristiani la nascosero per metterla in salvo dall’avanzata musulmana. La Vera Croce, da cui peraltro erano stati prelevati molti frammenti inviati a chiese e personalità importanti della Cristianità, spuntò di nuovo poco dopo la presa di Gerusalemme da parte dei crociati: il 5 agosto 1099 Arnolfo di Roeux, detto anche di Malecorne, il primo patriarca latino di Gerusalemme, ne trovò un grosso frammento incastonato in una croce in oro e lo espose ai crociati festanti. Portata nella basilica del Santo Sepolcro, la preziosa reliquia veniva prelevata e portata davanti all’esercito cristiano prima delle battaglie. E proprio una di queste ostensioni “belliche” le fu fatale. Il 4 luglio 1187 l’esercito cristiano venne rovinosamente sconfitto ad Hattin dal Saladino, che si aprì le porte per la riconquista di Gerusalemme. Durante la rotta, della reliquia portata sul campo di battaglia, si persero le tracce. Rimasero però in circolazione i molti frammenti che già molto prima della scomparsa dell’intera croce erano stati staccati e distribuiti in un gran numero nelle chiese d’Oriente e d’Occidente, dove erano conservati in appositi reliquiari a forma di croce detti stauroteche. Uno di questi si trova nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma: a portarvelo era stata, pare, l’imperatrice Elena in persona quando fondò la chiesa sul palatium Sessorianum a lei appartenuto.

Favria, 9.05.2024   Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno abbiamo bisogno solo di tre cose per essere veramente felici in questo mondo: qualcuno da amare, qualcosa da fare e qualcosa in cui sperare. Felice  giovedì.

Tentenna

Tra i tanti epiteti che si possono ricevere, quello di “Tentenna” non è certo tale da suscitare particolare entusiasmo, anzi. Si tratta infatti di una definizione che si appiccica a una persona perennemente insicura, indecisa, esitante e piena di dubbi. L’espressione, nella sua forma regale di “Re Tentenna”, deriva dal soprannome che il poeta Domenico Carbone affibbiò a re Carlo Alberto di Savoia in una sua poesia satirica dal titolo omonimo: “In diebus illis c’era in Italia, / narra una vecchia gran pergamena, / un re che gli era, fin dalla balia, / pazzo pel gioco dell’altalena. / Caso assai raro nei re l’estimo; / e fu chiamato Tentenna primo”, recitavano i primi versi. Il riferimento era all’atteggiamento indeciso nel concedere le riforme chieste a gran voce dalla società civile che, nell’infuocato clima che avrebbe condotto al Quarantotto, auspicava una forma di governo costituzionale superando il modello, ormai in crisi irreversibile, della monarchia assoluta. Nel coniare l’espressione il poeta si ispirò probabilmente a sua volta a quella, analoga, data nel III secolo a.C. al console Quinto Fabio Massimo, soprannominato “cunctator”, temporeggiatore,  per la strategia di logoramento adottata contro Annibale durante la seconda guerra punica, tesa ad evitare il più possibile lo scontro in campo aperto. La satira costò, nel 1847, l’arresto a Carbone, ma probabilmente contribuì a smuovere il sovrano spingendolo, l’anno seguente, ad accordare finalmente lo Statuto.

Favria,  10.05.2024    Giorgio Cortese

Buona giornata. Se esaurisco la speranza alla fine della giornata, la recupero di nuovo la mattina dopo. Felice venerdì.

Nicotina.

Jean Nicot, 1530-1600, fu ambasciatore francese a Lisbona nel periodo dei grandi navigatori, che ogni giorno portavano novità dalle Indie. Ecco perché fu lui a introdurre a Parigi il tabacco, denominato “hèrbe de Nicot”.

Favria,  11.05.2024   Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno mi sforzo di coltivare sempre pensieri positivi, l’entusiasmo non può fiorire in un terreno pieno di paura. Felice sabato.

Campo in terra rossa.

L’inconfondibile colore dei campi in terra battuta ha una spiegazione chimica legata al materiale di cui sono composti. La superficie in questione, infatti, è ottenuta dall’essiccazione e macinazione di un laterizio contenente una grande quantità di ferro, minerale che dopo la cottura assume la tipica colorazione rossastra. Tale invenzione nel tennis si deve ai fratelli inglesi Ernest e William Renshaw, che nel 1880 decisero di usare la terracotta in polvere per coprire alcuni campi da gioco in erba di Cannes (Francia), che stavano appassendo per il troppo caldo. Nei decenni seguenti la terra rossa è diventata una delle superfici più popolari, resa celebre da tornei di grande prestigio come il Roland Garros, disputato ogni anno a Parigi dal lontano 1891. Oltre a rallentare il rimbalzo della pallina, influendo così sullo stile di gioco dei tennisti rispetto ai campi costruiti in materiali duri, la terra battuta è più sicura per le articolazioni degli atleti, poiché attutisce gli eventuali traumi.

Favria, 12.05.2024   Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno non guardo se il mio bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto, osservo quanta luce c’è nel vetro. Felice domenica

La tassa sulle finestre.

La Francia post-rivoluzionaria aveva imposto un tributo nel 1798 che colpiva soprattutto nobili e benestanti e che successivamente si diffuse anche in Inghilterra, Spagna e Paesi Bassi. L’importo da pagare era stabilito in base alla quantità di infissi posseduti, a partire da un minimo di sei. Quindi se avere più finestre voleva dire più luce e più aria, significava anche versare più soldi all’esoso erario. Illusione ottica. I cittadini piemontesi iniziarono allora a murare le aperture considerate meno utili e qualche volta a dipingerne di finte. Fiorirono così sui palazzi finestre fittizie, con tanto di persiane, vetrate e inferriate che avevano lo scopo di abbellire le pareti o coprire i mattoni usati per chiudere quelle vere. Per queste particolari decorazioni fu usata una tecnica pittorica proveniente dalla Francia, il trompe-l’œil, letteralmente inganna l’occhio.

Favria, 13.05.2024   Giorgio Cortese

Buona giornata. Per me la speranza è pazienza con la candela accesa. Felice lunedì