I minuti mancanti ogni giorno. – Honni soit qui mal y pense! – San Giorgio.- Dov’è l’armonia?-XXV Aprile 2016. Non ci sono liberatori ma uomini che si liberano – La signora informazione – Camminare nella vita – Il simpatico antipatico…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

I minuti mancanti ogni giorno.
Ogni giorno siamo governati dal tempo psicologico, dal tempo morale, dal tempo meteorologico, dal tempo-luce, e non godiamo pienamente il tempo d’orologio se non nel riposo. E pensare che l’essenza della felicità è come gli orologi. I meno complessi sono quelli che si guastano meno. L’orologio a ripetizione è più soggetto alle variazioni. Se in più segna i minuti, ecco una nuova causa d’irregolarità; poi, quello che segna il giorno della settimana e il mese dell’anno, ancora più portati a rompersi. Con l’ora legale ritengo che ogni anno mi rubano un’ora in primavera, i sessanta minuti mancanti ogni giorno, per poi restituirmeli in autunno, senza pagare interessi, ecco un trucco sottile dei politici che pare stiano preparando la prossima campagna elettorale con lo slogan: “Vi restituiremo l’ora di sonno che avete perso”. Ogni giorno ci lamentiamo molto della legalità nel nostro amato stivale, ma se a questo concetto si associa l’ora legale che ci ruba un’ora di sonno forse non ci siamo, e se poi qualcuno credendo di fare ridere afferma che l’Ora Legale è l’ultima cosa di legale rimasta in Italia, la questione diventa tragicomica. Ma se grazie all’ora legale vengono risparmiati dei soldi pubblici, beh allora facciamo uno sforzo e mettiamo avanti gli orologi per almeno un paio di anni e così azzeriamo il debiti. Personalmente mi consolo pensando che il tempo e la durata sono due concetti diversi, il tempo lo misuro con gli orologi e la durata con gli stati d’animo. Mi domando se con l’orologio passare all’Ora Legale è facile, ma con la clessidra come faccio? Beh, mi fermo qui su queste considerazioni semiserie sull’ora legale osservando davanti alla tastiera un minuto di silenzio per quei 60 minuti che sono stati uccisi sul nascere
Favria, 21.04.2016 Giorgio Cortese

Dopo aver salutato questa mattina una persona e sentirmi rispondere sdegnosamente “buona sera”, devo smettere di pensare che certe persone sono maleducate o ignoranti del vivere civile, sono tutte e due le cose purtroppo. Raramente essere sgarbato paga e non paga mai essere garbato a metà!

Honni soit qui mal y pense!
Le prime testimonianze relative al termine giarrettiera le troviamo negli scritti di Eginardo nel 800 d.C, storico franco al servizio di Carlo Magno, conosciuto per essere stato il suo biografo, il quale in una delle sue biografie parla di giarrettiere quale accessorio usato dal monarca per sostenere le calze. Più tardi, nel 1200, la giarrettiera divenne parte integrante dell’abbigliamento maschile. Storia o leggenda, non si sa, di certo curioso e suggestivo, l’aneddoto relativo all’origine del Nobilissimo Ordine della Giarrettiera, The Most Noble Order of the Garter, il più antico ed elevato ordine cavalleresco del Regno Unito, risalente al Medioevo. Si racconta che, a metà del XIV; durante un ballo a corte, la contessa di Salisbury, amante di Edoardo III d’Inghilterra, perse la giarrettiera. Il re chinatosi per raccoglierla, si offrì di aiutare la sua ospite a indossarla di nuovo ma uditi i bisbigli e le risatine maliziose dei cortigiani, si alzò e in francese disse: “honni soit qui mal y pense!, sia svergognato colui che pensa male. Altre fonti raccontano che in realtà la giarrettiera era una panciera, realizzata da un medico napoletano, un certo Giovanni Baudo, per la contessa di Salisbury. Dopo un incontro d’amore col re, la contessa si accorse di averla dimenticata in camera da letto e per non essere dileggiata dalla servitù, pregò il re di ordinare che, nel parlarne, la medesima fosse trasformata nell’indumento sexy per eccellenza. Anche il motto dell’Ordine “honni soit qui mal y pense!” pare che non sia altro che la traduzione a orecchio nella lingua francese, di una frase napoletana dell’inventore della panciera: “nunn’ o’ ssai chi ha mal ‘i panza?”. “Honni soit qui mal y pense!” è divenuta, poi, ufficialmente il motto dell’ordine e presente in lettere dorate, ancora oggi, sullo stemma dell’Ordine, ovvero sulla giarrettiera in velluto blu. Quest’ultima viene indossata al polpaccio sinistro dai cavalieri e al braccio sinistro dalle signore durante le cerimonie formali. Gli uomini sono conosciuti come Knight Companion, le donne Lady Companion , non Dame. Eccezionalmente l’Ordine può ammettere membri fuori dal limite di 24 (in questo caso chiamati soprannumerari), in genere familiari del sovrano oppure sovrani stranieri. Data l’esclusività dell’Ordine, esso viene conferito solo a personalità che si siano distinte per altissimi meriti nel servire il Regno Unito. presente inoltre sul rovescio delle sterline in oro della serie 1817-1820 recanti sul dritto l’effigie di re Giorgio III. La Giarrettiera è indossata dai membri dell’Ordine durante le occasioni formali. Il motto Honi soit qui mal y pense è anche scritto sulla polena della nave ammiraglia HMS Victory, protagonista della Battaglia di Trafalgar agli ordini di Horatio Nelson. Un’altra leggenda, vede nell’origine dell’Ordine, un omaggio di Edoardo III al suo antenato Riccardo Cuor di Leone. Riccardo, durante una crociata, prima di una battaglia fece indossare una giarrettiera ai suoi soldati, perché così comandatogli in sogno da San Giorgio la notte prima, per vincere la battaglia. A partire dal XVIII secolo la giarrettiera cominciò a farsi strada come accessorio di seduzione, furono, infatti, impreziosite da pietre preziose, da gioielli, nastri e pizzi. Spesso ritraevano anche il proprio marito o l’amante. Nel XIX secolo si diffuse la moda di portare non più due giarrettiere l’una sopra il ginocchio per fissare la calza, l’altra sotto di esso per vezzo. Un tempo, nelle zone francofone, tra le usanze e tradizioni matrimoniali, vigeva la tradizione del “don de la jarretière” ovvero durante le cerimonie nuziali si tagliava la giarrettiera in piccoli pezzi e si distribuiva tra gli invitati, un po’ quello che oggi si fa con la cravatta dello sposo. A partire dalla fine del XIX secolo l’uso della giarrettiera ha cominciato a tramontare a causa dell’avvento del reggicalze femminile prima e del collant e delle calze autoreggenti poi. Il rituale di sfilare la giarrettiera e lanciarla rimane, ancora oggi soprattutto in alcune regioni italiane, una tradizione ben radicata durante le cerimonie nuziali. La frase oggi si usa ormai in modo ironico per chi voglia fare l’innocente ma in realtà non lo sia affatto. Ma oggi ci possiamo ancora permettere di pensar male senza doverci vergognare? Perché nella vita di ogni giorno ci dobbiamo vergognare se poniamo delle domande lecite? Forse dovrebbero vergognarsi malpensanti che senza pudore si spacciano per agnelli ed invece sono dei famelici lupi!
Favria 22.04.2016 Giorgio Cortese

Ogni giorno cerco di essere sempre un po’ più gentile del necessario. Ritengo che sia saggio applicare sempre l’olio di una raffinata cortesia ai meccanismi dell’amicizia.

San Giorgio.
Si narra che in una città chiamata Selem, in Libia, vi fosse un grande stagno, tale da poter nascondere un drago, che, avvicinandosi alla città, uccideva con il fiato tutte le persone che incontrava. Gli abitanti gli offrivano per placarlo due pecore al giorno, ma quando queste cominciarono a scarseggiare furono costretti a offrirgli una pecora e un giovane tirato a sorte. Un giorno fu estratta la giovane figlia del re, la principessa Silene. Il re, terrorizzato, offrì il suo patrimonio a metà del regno, ma la popolazione si ribellò, avendo visto morire tanti suoi figli. Dopo otto giorni di tentativi, il re alla fine dovette cedere e la giovane si avviò verso lo stagno per essere offerta al drago. In quel momento passò di lì il giovane cavaliere Giorgio, il quale, saputo dell’imminente sacrificio, tranquillizzò la principessa, promettendole il suo intervento per evitarle la brutale morte. Poi disse alla principessa Silene di non aver timore e di avvolgere la sua cintura al collo del drago; il quale prese a seguirla docilmente verso la città. Gli abitanti erano atterriti nel vedere il drago avvicinarsi, ma Giorgio li tranquillizzò dicendo loro di non aver timore poiché “Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago: se abbraccerete la fede in Cristo, riceverete il battesimo e io ucciderò il mostro”. Allora il re e la popolazione si convertirono e il cavaliere uccise il drago e lo fece portare fuori dalla città trascinato da quattro paia di buoi. Questa leggenda era sorta al tempo delle Crociate, e probabilmente, fu influenzata da una falsa interpretazione di un’immagine dell’imperatore cristiano Costantino, trovata a Costantinopoli, in cui il sovrano schiacciava col piede un enorme drago, simbolo del “nemico del genere umano”. La fantasia popolare ricamò sopra tutto ciò, e il racconto, passando per l’Egitto, dove san Giorgio ebbe dedicate molte chiese e monasteri, divenne una leggenda affascinante.
Favria 23.04.2016 Giorgio Cortese

Ieri osservavo andando a casa dei bambini e vedevo che trovano tanto nel poco, mentre noi adulti troviamo molte volte poco nel tanto e certi anziani talvolta faticano a ritrovare se stessi.

Dov’è l’armonia?
L’amico Rolando mi chiede con una sua mail dov’è l’armonia? Parto dal concetto di Armonia, che arriva fino a noi attraverso il latino, dal greco harmonia, unione, proporzione, accordo, a sua volta derivato da harmozein, congiungere, accordare. È evidente un primo significato, noto a tutti, che si riferisce all’universale possibilità di costatare direttamente attraverso gli umani e personali strumenti di percezione, quelli del nostro animo profondo, una condizione d’armonia che a partire dall’ascolto musicale, concordanza di suoni, di voci, di ritmi, si può estendere a molteplici ambiti d’esperienza, definiti proprio come se si trattasse di valutare “acusticamente”, attraverso l’orecchio, la condizione di quella porzione di realtà sulla quale si sofferma, quotidianamente la mia attenzione, realtà che spesso mi coinvolge emotivamente fino al punto di farmi sentire parte di essa, parte di un “tutto armonioso”. Allora la comprensione del senso profondo dell’armonia deve partire da un’adeguata riflessione sul significato della parola stessa. Questo concetto è chiaramente espresso da S. Tommaso d’Aquino nel suo: “ Adoro te devote latens deitas , deità non apertamente manifesta”, quando di fronte al suono della parola di verità espressa da Cristo afferma: “La vista, il gusto, il tatto in Te sono tratti in errore, ma con il solo udito si crede in tutto”. Da qui una prima considerazione, se si vuole rendere l’essere umano cieco, fanatico o intollerante e condizionarne la capacità di giudizio a tutti i livelli, la prima cosa da fare, deliberatamente o inconsciamente, è quella di ostacolare, stordire o inquinare fortemente la sua percezione uditiva e la sua musicalità, anziché educarla e formarla, così da ritrovarlo nella condizione descritta da Eraclito: “Cattivi testimoni sono agli uomini gli occhi e gli orecchi, se hanno anime da barbari”. Poiché un orecchio educato e funzionante è un efficace strumento di valutazione, è per questo che per naturale estensione parlo di armonia del corpo umano, di armonia dell’universo, di armonia di forme, colori e linee, di pensieri, di armonia tra pensiero e azione, trai fatti e le parole e in senso normativo di provvedimenti in armonia con le leggi vigenti, proprio come se le cose che “funzionano” acquistassero di per sé delle caratteristiche musicali, “sinfoniche”. L’armonia è anche un fine molto elevato, è la premessa per una vita pacifica e costruttiva, è quello che noi tutti vorremmo: una concordia di sentimenti, opinioni e aspirazioni che permetta a tutti di vivere “in armonia”, in altri termini è qualcosa a cui tutti aspiriamo come ad un diritto, ad una condizione ideale che potremmo indubbiamente definire come “la pace”. Però, come si sa, ma molte volte facciamo finta di non ricordarlo, per ottenere un diritto bisogna attuare dei precisi doveri e di conseguenza chiedermi, per ogni diritto che voglio ottenere, quali sono i doveri da applicare. I doveri come mi diceva questo pomeriggio l’amico Renato, sono il quotidiano percorso “a ostacoli”, il viaggio della vita. Un altro significato di harmonia, è quello col quale nell’antica Grecia si indicavano le scale musicali, in origine pensate come discendenti, come un dono proveniente dall’alto. Ed arrivo all’ultima riflessione sull’armonia pensando all’immagine della “scala musicale”, nonostante che oggigiorno abbia perso molto del significato originario che legava ogni particolare successione di suoni ad un aspetto etico, che implica un immediato riscontro pratico, e anche in quello di riconoscere in me stesso i caratteri evocati dalle melodie e dai ritmi per riconoscermi in esse. Ma oggi quali doveri, quali scale devo percorrere per riottenere questa armonia? Il significato del verbo greco harmozein indicava l’atto, l’azione di congiungere e di accordare, forse nel senso di accordarci, unirci a ciò che è altro da noi e di accordare me stesso proprio come uno strumento musicale. Ma perché devo soffermarmi ad ascoltare gli altri? Perché debbo unire la mia voce, i quotidiani sforzi, a quella degli altri e cercare di unirmi a loro senza mai prevalere, senza mai prevaricarli? Non è forse meglio essere protagonisti? Perché non posso essere al centro dell’attenzione. Nella vita di ogni giorno superare questi problemi, oltrepassare queste dinamiche corrisponde sia nella musica che nella vita sociale a risolvere tensioni, la differenza di obiettivi, di aspirazioni tra di noi esseri umani mi ricorda che l’armonia non è una realtà di tipo statico o di tipo ingenuamente meravigliato, ma si tratta di una realtà in perpetuo movimento, fluida, che ha come premessa la ben nota concordia discors, espressa dal già citato Eraclito come: “Ciò che contrasta concorre e da elementi che discordano si ha la più bella armonia”. Si potrebbe anche affermare che le nostre umane diversità, le differenze contribuiscono all’armonia, così come non si può costruire un accordo a partire da un solo suono o da cento suoni uguali.
Favria, 24.04.2016 Giorgio Cortese

Solo le persone di animo cortese sono veramente forti! Cribbio e se di cognome sono Cortese….

XXV Aprile 2016. Non ci sono liberatori ma uomini che si liberano
Il 25 aprile si celebra l’anniversario della liberazione d’Italia dalla occupazione dall’esercito tedesco e dal governo fascista avuta luogo nel 1945. Una ricorrenza che ha segnato una svolta importante per il nostra Nazione Dopo la liberazione d’Italia dai nazifascisti i i gruppi politici della Resistenza hanno ricostruito il nuovo stato italiano. Un nuovo stato basato sulla democrazia e sul rispetto delle libertà. Questa era l’idea in origine dello Stato italiano repubblicano. Il sacrificio uomini e donne di tutte le età che sono morti allora, per garantirci i diritti democratici dei quali oggi godiamo. Ricordate che gli uomini liberi non vengono fatti dalle istituzioni, né le leggi, ma un lavoro interiore, uno sforzo costante su noi stessi che non può essere sostituito da surrogati di nessun genere. Ogni giorno noi influiamo sul mondo che ci circonda più per quello che siamo che per quello che diciamo o facciamo Al modo attuale di intendere e di fare politica dobbiamo avere il coraggio di ribellarci per quello che non va. Oggigiorno sembra che fare politica sia prevalentemente nell’interesse personale, dei propri amici, e non nell’interesse del Bene Comune. Mi viene naturale una domanda durante questa celebrazione del XXV Aprile, ma ci siamo liberati o piuttosto abbiamo abbattuto un Tiranno e abbiamo assistito in questi anni con assordante silenzio alla comparsa di altri Tiranni? Ritengo che il fascismo non è solo una dottrina o un partito, o l’esteriorità di una camicia nera o un saluto romano. Il fascismo è un modo di vivere nel quale ci si arrende e ci si piega per amore di un quieto vivere o di una carriera. Il fascismo è una mentalità nella quale la verità non è amata e servita perché verità, ma è falsata. ridotta, tradita, resa strumento per i propri fini personali o del proprio gruppo o del proprio partito. E’ una mentalità nella quale teniamo più all’apparenza che all’essere, amiamo ripetere frasi imparate a memoria, non personalmente assimilate, e gridarle tutti insieme, quasi volendo sostituire l’appoggio del mancato giudizio critico con l’emotività di un’adesione psicologica, fanatica. Ricordo che a fare di noi persone libere non saranno mai gli altri, non le strutture e neppure le ideologie. Certo oggi giorno Resistere per alcuni versi è più difficile che durante la Resistenza, perché non siamo di fronte a mitra puntato allo stomaco, ma siamo coinvolti in un clima di subdola persuasione, di fascinosa imposizione mediatica, che è come una mano rivestita di un guanto di velluto, ma che ugualmente tende a toglierci la libertà. Oggi dobbiamo ancora di più parlare di Resistenza e di antifascismo, perché parlare di antifascismo significa in primo luogo riportare una pratica politica, culturale e sociale viva ed estremamente attuale con la situazione sociale in Italia. Scriveva Giuseppe Mazzini : “ Più della servitù temo la libertà recata in dono“, ed è vero non ci sono liberatori, ma solo uomini che si liberano e in questi ultimo decenni abbiamo sentito parlare sempre meno di Resistenza, dei resistenti oggi e dell’antifascismo. Invece commemorare la Resistenza, infatti, significa raccogliere l’esempio di tutti coloro che hanno lottato, e lottano tuttora, per costruire un avvenire migliore per legare all’esempio che ci viene tramandato nella memoria di chi ha pagato il prezzo più alto per la libertà alla pratica quotidiana e costante di cosa vuole dire essere liberi oggi. È proprio questo il momento. È il momento di capire che il destino dipende da noi e non dagli altri. Socialisti, comunisti, cattolici liberali, monarchici, tutti insieme, allora, scelsero di essere uomini, ci consegnarono di nuovo la speranza di ricominciare. Ma per riscoprire l’amore per questa Nazione, la voglia di appartenere alla nostra cultura, dobbiamo avere la forza di riconoscere i nostri errori. I nostri e non degli altri. E troppo facile, oggi, puntare continuamente il dito. Tirarsi fuori. Scansarsi di dosso il fango con cui abbiamo sporcato e sfregiato il volto dell’Italia, e di chi l’aveva liberata. Cerchiamo la logica del capro espiatorio, ora il politico, ora il vicino di casa o di scrivania, insomma tutti, ma mai noi stessi. Cominciamo da qui invece riconoscendo le colpe di un popolo senza più regole, che ha accettato supinamente e complice, per anni, la depredazione del suo splendido Paese, e così ha mangiato il futuro dei figli. Dobbiamo dare ogni giorno senso nel difendere oggi i valori che quei combattenti ci insegnarono ad amare, la democrazia, il senso di appartenenza, calpestati oggi dal nuovo disincantato sentimento di accettazione e distacco tra uomo e Stato, solo così la Resistenza non rimarrà un semplice fronzolo di cui ornarci quando più fa comodo ma divenga pratica reale, esercizio costante e atteggiamento condiviso. Ora e sempre Resistenza!
Favria, 25.04.2016 Giorgio Cortese

Il 25 aprile è la Festa della Liberazione: ricordiamoci che uomini e donne di tutte le età sono morti allora, per garantirci i diritti democratici dei quali oggi godiamo. Grazie a loro.

La signora informazione.
Mi ha molto colpito il manichino messo nella nuova vetrina dell’edicola di Aurora e Piero a Favria, che si sono spostati quasi dall’altra parte delle via S. Pietro, dopo Pasqua. Mi è piaciuta l’idea di vestire un manichino, con sembianze femminili, completamente di giornali e di riviste. Questo per significare che la signora informazione è prima di tutto donna! Il matematico John von Neumann ha calcolato che il cervello umano femminile può immagazzinare fino a circa 280quintilioni, cioè un numero lunghissimo di 280.000.000.000.000.000.000, di bit di informazione. E’ una cifra migliaia e migliaia di volte superiore a al computer più avanzato. Diceva Simone de Beauvoir: “Maschi e femmine si nasce, ma uomini e donne si diventa”. In realtà, il cervello maschile e quello femminile sono diversi fin dal momento della nascita e sono loro a guidare impulsi, valori e la visione stessa della realtà. Questa differenza è certamente il risultato di una catena di effetti, avvenuti nel corso di millenni, che coinvolgono la genetica, gli ormoni, il cervello, i comportamenti, e che non implicano alcun giudizio di inferiorità o superiorità, di maggiore o minore intelligenza, ma semplicemente il riconoscimento del fatto che durante l’evoluzione, nel corso di millenni, l’uomo e la donna hanno avuto ruoli diversi in base alle diversità comportamentali. Certo l’encefalo di una donna pesa in media 1.200 grammi, quello di un uomo un po’ di più: 1.350 grammi. Tuttavia, se si fa una misura non assoluta del peso cerebrale, ma relativa al peso corporeo, la differenza si annulla e anzi ne esiste una molto lieve a favore delle donne. Negli ultimi 100 anni le donne hanno superato gli uomini in fatto di intelligenza, migliorando le prestazioni nei test del QI. E questo non certo perché i loro geni o le dimensioni del cervello sono cambiati, ma perché sono diventate più istruite e hanno raggiunto maggiori possibilità di espressione rispetto ai secoli scorsi. In generale, i maschi hanno più neuroni e le donne hanno maggiori connessioni. Per questo le donne hanno maggiore facilità a comunicare verbalmente le emozioni ed esprimere i sentimenti e tendono a sviluppare doti uniche e straordinarie come una maggiore agilità verbale, la capacità di stabilire profondi legami di amicizia, la facoltà quasi medianica di decifrare emozioni e stati d’animo dalle espressioni facciali e dal tono della voce, e la maestria nel placare i conflitti. Ecco, che allora il manichino femminile ne è il giusto riconoscimento. Parlando di edicola e di giornali che valore posso avere i quotidiani e le riviste come oggetti concreti, tangibili, acquistabili nell’edicola? La risposta mi viene data da Aurora e Piero ogni mattina prima di andare al lavoro. Nonostante l’esplosione del web, che è entrato prepotentemente nella nostra vita quotidiana, il valore del giornale come oggetto non è stato accantonato. Acquistando un giornale in edicola da Aurora e Piero si va oltre al mero acquisto di un pezzo di carta. Perché più leggi e più sai leggere la realtà, per una conoscenza di quanto avviene in Italia e nel mondo. Entrando nella loro edicola già Ti offrono gratuitamente sempre competenza, sorrisi e serietà, merce rara oggigiorno. E, al mattino una loro parola gentile è sempre come un giorno di primavera anche se fuori siamo in pieno inverno.
Favria 26.03.2016 Giorgio Cortese

Nella vita non conta trionfare ma potermi ogni sera con il mio animo in pace con le mie umane debolezze

Camminare nella vita
Ci sono due modi di vivere: camminare sulla terra ferma facendo solo ciò che è giusto e rispettabile e, così, misurare, soppesare, prevedere. Ma si può anche camminare sulle acque. Allora non si può più misurare e prevedere ma è necessario credere incessantemente. Basta un istante di incredulità per cominciare ad affondare. Dentro ognuno di noi c’è innanzitutto la scelta del buon senso, del quieto vivere, dell’avvedutezza vantaggiosa. Certo, ha anch’essa un suo significato, risponde a esigenze concrete, è retta dalla logica, dal calcolo, dai vari dosaggi delle azioni, dal criterio e dalla rispettabilità. Viene, però, il momento in cui bisogna avere il coraggio del rischio. Si deve abbandonare la terra ferma, ove i piedi sono ben piantati, e ci si deve inoltrare sul mare, fluido e mutevole, non di rado agitato dalla bufera. È, questo, il tempo della generosità assoluta, perché non si deve nella vita vivere sempre di calcoli, di interesse personale, di tornaconto. Bisogna ingaggiare la sfida del rischio, della donazione assoluta, del mettere a repentaglio il proprio benessere per salvare un altro, del perdere per trovare.
Favria 27.03.2016 Giorgio Cortese

Nella vita nessun sentimento priva la mente così completamente delle sue capacità di agire e ragionare quanto la paura.

Il simpatico antipatico
Dicono i saggi che la simpatia è la chiave con la quale si entra nell’animo delle persone, ma certe persone, mi sembra che, vogliono essere simpatici più per piacere a loro stessi che agli altri. Ed ecco che con le persone con cui entriamo in contatto nella vita ci risultano più o meno simpatiche o antipatiche. C’è una prima attrazione, una simpatia che si manifesta anche solo incontrando una persona o allacciando rapporti superficiali e di breve durata, e c’è una simpatia di durata, che si definisce e si consolida nel corso delle relazioni durature e profonde. La simpatia a volte è il bilancio delle esperienze fatte, la percezione di benessere relazionale. Provare simpatia per una persona vuol dire che ho l’impressione di esserci stato bene insieme quando siamo entrati in rapporto. D’altra parte la simpatia funziona come filtro e mi serve per selezionare le persone con cui sono disposto a instaurare una relazione più o meno duratura e profonda. A seconda del grado di simpatia che provo per una persona, sono portato a pensare che potrei pensare di avere dei buoni buoni vicini, colleghi di lavoro in sintonia o meglio dei conoscenti che frequento abitualmente, degli amici. Ma per entrare in simpatia con una persona devo provare emozioni positive standoci assieme. Certo la prima impressione è importante, la simpatia è come il colore dei capelli, ognuno nasce con il suo colore e se lo tingi si vede subito. Tuttavia evo ammettere che non basta solo la prima impressione, occorrono dei requisiti di base, che a mio giudizio garantiscono la riuscita della relazione, sono tentato dal cercare sempre persone che mi somigliano e se può inserirsi tranquillamente nella rete delle mie relazioni significative, perché la simpatia è come il condimento per il cibo, se manca, il rapporto umano è scondito. Nella vita di ogni giorno la simpatia ha l’efficacia della rugiada, fa rifiorire persino il deserto degli animio più aridi. Ogni giorno l’anima della conversazione è la simpatia.
Favria 28.03.2016 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana molta gente non ha ancora scelto in quale cimitero vuole morire, ma in compenso ha già pensato a una piazza in cui vorrebbe la propria statua in pompa magna.