Il linguaggio universale. – Res Gesate Favriesi.Le collette del grano e della meliga. – Dal tacchino al granoturco! – Da googol a Google. – Pellirosse e non pellirossa! – Pandiculandi. – Ragionare con la pancia… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Il linguaggio universale
Spesso nel mondo globalizzato, o in via di globalizzazione a seconda dei punti di vista, di oggi si sente parlare della ricerca del linguaggio universale. Personalmente l’unico linguaggio universale che trasmette emozione a tutti gli esseri viventi, non solo noi umani, è la musica. Un linguaggio semplice composto solo da sette note ma che tramette molto di più che interi libri come emozioni. Trasmette qualsiasi tipo di emeozione dall’amore all’amicizia, alla rabbia, alla tristezza, all’allegria, alla speranza, alla delusione e a molte altre e riesce a farle circolare in tutto il mondo a tutte le latitudini. Perché la musica a differenza della parola scritta è immediatamente comprensibile da tutti. Senza la musica la vita sarebbe sciatta, la musica decora il tempo che vivo. La musica ha una sua intima forza che è quella di portarmi indietro nel tempo nel bagaglio dei ricordi e contemporaneamente avanti nel futuro un mix di nostalgia e speranza che percorre tutto il mio animo. La musica scaccia l’odio da coloro che sono senza amore, dona pace a coloro che sono in fermento, e consola la tristezza dell’animo. Quando ascolto i concerti della filarmonica Favriese diretta dal maestro Albertto Pecchenino e tutti i bravi musici mi sembra che la musica sia simile ad un fluido che mi porta in un’altra vita e in un altro tempo e mi comunica l’inconoscibile. Grazie Filarmonica Favriese siete bravissimi.
Favria, 20.11.2016 Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno senza rischi non si fa nulla di grande. Perché chi vuole navigare finchè non sia passato ogni pericolo non deve mai prendere il mare

Res Gesate Favriesi. Le collette del grano e della meliga
In questo periodo dell’anno, in Autunno, sopravvive, meno male, nelle cappelle ubicate della ubertosa campagna Favriese, una tradizione, quella della colletta delle granaglie, mais, per fare fronte alle spese ordinarie della Cappella. In Primavera tale raccolta viene chiama della meliga, frumento. Oggi mantengono ancora questi nomi ma il raccolto è in denaro Durante la festa in onore al Santo, dopo ls S. Messa per aumentare gli introiti i borghigiani portano degli oggetti che vengono messi all’incanto, facendo cosi salire il ricavo. E’ interessante l’etimo incanto, che non è il luogo dove uno stregone compie un incantesimo, ma deriva dal provenzale equantar, già encanter, formato sul latino in quantum, cioè a quanto, a tanto prezzo indicato dalla pubblica asta, il tutto per mantenere vive le tradizioni che sono l’anima di una Comunità.
Favria 21.11.2016 Giorgio Cortese

Siamo nati non solo per noi stessi stiamo nati per vivere per gli altri. Questa non è soltanto la legge del dovere, ma anche la legge della felicità e poi dopo è dolce riposare dopo aver compiuto il proprio dovere

Dal tacchino al granoturco!
Tutti pensiamo che il tacchino arrivi dal Nyovo mondo con la scoperta dell’America, ma questo pennuto, o meglio un suo parente era noto ed apprezzato già nell’Antica Roma e in Grecia. Era la faraona. Pensate che Plinio, nella sua storia degli animali, descrive la faraona come “una specie di gallina d’Africa, gobba e di manto variopinto”, e ricorda il legame esistente fra questa specie e Meleagro, figlio di Eneo. Secondo la mitologia greca, infatti, alla morte di Meleagro le sorelle provarono un tale dolore da seguirlo nella tomba. Diana, però, volle rendere emblematico questo amore fraterno e dare loro vita eterna trasformandole nelle galline di Faraone o Meleagridi, come le chiama anche Aristotele. Il loro mantello risulta maculato proprio perché ricorda le lacrime versate dalle ragazze in memoria del fratello morto. Un mito ripreso da Sofocle e e posto al centro della tragedia Meleagro. Sembra che questa specie sia stata resa domestica dagli antichi Greci e quindi dai Romani, che la introdussero dai paesi d’origine. Le prime razze domestiche s’estinsero agli albori dell’era Cristina, per poi ricomparire in Europa all’inizio del quattrocento, quando i navigatori portoghesi ne riportarono nuovi esemplari dal Golfo di Guinea, in inglese faraona si dice “Guinea fowl”. Nel ‘500 appare il tacchino che arriva dal Nuovo Mondo. Il l tacchino, Meleagris Gallopavo, è un gallinaceo originario dell’America Latina. In Messico, infatti, sono state trovate le sue più antiche tracce in un periodo compreso tra il 200 a.C. e il 700 d.C.. Alla corte del re azteco Montezuma pare che i tacchini venissero già allevati in gran quantità in quanto gli aztechi li apprezzavano non solo per la loro carne tenera e gustosa, ma anche per le penne, che servivano loro come ornamento. Curiosa è anche l’origine dei vari nomi, già nel 1576 Fernandez racconta che indigeni gli davano il nome di Huescolot; mentre gli spagnoli e i portoghesi lo chiamavano Pavones de las Indias e i francesi lo definivano Coq d’Inde, poiché secondo entrambi questo animale proveniva da quelle terre che Colombo credeva fossero le “Indie Occidentali”. In Inghilterra invece il termine turkey-cochs, poi abbreviato in turkey, deriverebbe dal fatto che furono proprio i mercanti turchi a introdurlo in Gran Bretagna. Per lo stesso motivo, cioè per essere arrivato in Inghilterra tramite il Nord Africa in mano ai “turchi”, fu dato lo stesso nome del tacchino, il mais turkey wheat perché pensavano che provenisse dalla Turchia o, più genericamente, dal Medioriente. Per lo stesso motivo hanno chiamato turkey il tacchino. E quindi, anche se granturco provenisse da turkey wheat, non vi sarebbe alcun errore di traduzione, perché anche gli inglesi stavano parlando di grano della Turchia e non di tacchini
Favria 22.11.2016 Giorgio Cortese

I sapori semplici danno lo stesso piacere dei più raffinati, l’acqua e un pezzo di pane fanno il piacere più pieno a chi ne manca.

Da googol a Google
Tutti conosciamo il motore di ricerca su internet Google, ma perché si chiama così! Il nome vuole significare la definizione in matematica di infinito. In matematica esiste un simbolo preciso per indicare l’infinito, ma all’inizio del ‘900 cominciò ad avanzare il problema di rappresentare numericamente una cifra così grande, per poterla utilizzare negli apparecchi elettronici, come ad esempio le prime calcolatrici. Il matematico statunitense Edward Kasner si prese carico di questo problema, e pensò di rappresentare l’infinito con un 1 seguito da cento zeri. L’autore del nome di tale numero, però, non fu Kasner, bensì il suo nipotino di 9 anni durante una passeggiata, che suggerì “googol”. Un googol è un numero così grande che il numero di particelle di elio presenti nell’universo è solo un miliardesimo di googol, anche nel vuoto sono presenti almeno 3 particelle di elio per metro cubo. La verità pare che il nome Google di fatto nasca da un errore di trascrizione del termine googol ai tempi della registrazione del dominio. Inoltre il termine viene associato con un gioco di parole alla parola “binocolo”, in inglese goggles, infatti il motore permette di “guardare da vicino” la rete.
Favria 23.11.2016 Giorgio Cortese

Abbiamo sempre di più bisogno di essere governati a tutti i livelli da persone buone che da delle buone leggi.

Pellirosse e non pellirossa!
Si tratta di un nome in verità nato già plurale, dal momento che si riferiva a una pluralità di persone: i Pellirosse, dal francese Peaux-Rouges, ricalcandolo dapprima in Pelli Rosse e successivamente in pellirosse, tutto attaccato; o più probabilmente dalla locuzione inglese red skin, attestata già nel Seicento, successivamente il termine è entrato in italiano nel corso dell’Ottocento attraverso le traduzioni di narrativa americana. Parlo degli Indiani dell’America settentrionale il cui nome di “Pelli Rosse” fu dato la prima volta dal navigatore italiano Giovanni Caboto che toccò le coste americane, Capo Bretone, Terranova, Labrador, incontrando nel 1497 giust’appunto le popolazioni indigene dei Beothuc, oggi estinti. Chiamati così non perché avessero la pelle naturale di colore rossiccio, bensì perché usavano tingersi il viso e altre parti del corpo con ocra rossa. Non scordiamoci inoltre la regoletta italiana, la quale afferma che i nomi composti di un sostantivo più un aggettivo formano il plurale mettendo entrambi i componenti al plurale. Pertanto non chiamiamoli Pellirossa, perché è due volte scorretto. Nei confronti dei nativi americani e della grammatica italiana
Favria. 24.11.2016 Giorgio Cortese

La vita è incredibilmente buona quando è semplice e sorprendentemente semplice quando è buona e allora se devo parlare devo usare un linguaggio semplice ma pensare complicato e mai viceversa.

Pandiculandi.
No tranquilli non è una parolaccia ma il gerundio latino di una parola, con il significato di stiracchiarsi. La pandiculazione significa insieme dei movimenti di stiracchiamento che accompagnano lo sbadiglio, in latino pandiculatio, da pandiculari stirarsi sbadigliando, derivato di pandere aprire. Certo è una parola curiosa sicuramente non per i suoi usi pratici, che sono piuttosto limitati, ma per l’esattezza del suo significato. Si tratta di una parola usata nel linguaggio medico, che indica i movimenti che solitamente accompagnano lo sbadiglio. In altri termini, dipinge quell’insieme di stiramenti infinitamente goduriosi che quando sbadiglio in occasioni rilassate mi concedo come coronamento dello sbadiglio, oppure di fronte alla sciatteria di certe persone purtroppo lo devo reprimere e discretamente nascondendolo con la mano. La pandiculazione, quindi, è lo stiracchiamento delle braccia e dei polsi, in un allungamento della schiena, delle gambe e dei piedi. Sicuramente non è facile immaginare un discorso in cui infilare questa parola ma l’etimo mi comunica con stupore e infinita che già al tempo dell’antica Roma i latini alò senato nell’ascoltare le parale vuote di certe persone sbadigliavano e si stiracchiavano , non erano di marmo come le statue che ci hanno tramandato, così come i miei avi, trisnonni, bisnonni ed io che in questo istante mi abbandono penso ad una meritata pandiculazione
Favria, 25.11.2016 Giorgio Cortese

Devo ammettere che ho preso coscienza del dolore altrui quando mi è capitato di subirlo.

Ragionare con la pancia
Ragionare con la pancia significa reagire d’istinto, significa non pensare a quello che si dice o a come mi comporto, insomma quando non mi soffermo a pensare prima di agire! Mi direte che allora si deve ragionare con il cuore, ma come scriveva Blaise Pascal: “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non capisce”, e ragionare con la testa è sinonimo di freddezza dell’animo. Come si vede in certi momenti della giornata di fronte a delle decisioni importanti, dove non c’è tempo per riflettere è più facile non pensare e agire che pensare! Negli affetti e nelle amicizie, e nel voto capita spesso di agire di pancia per poi rimanere scottati, anche perché a volte ci si butta in qualcosa che, pensandoci bene non avremmo mai fatto. Certo che pensare però, non sempre vuol dire prendere delle giuste decisioni, posso si pensare e sbagliare comunque. Come detto prima prendere decisioni difficili, e capita a tutti e in vari momenti della nostra vita, i giovani sono più portati a reagire di pancia, perché hanno meno esperienza senza vedere le probabili indecisioni dell’altro o senza riconoscere quando una persona ci dice la verità o no. Come detto prima prendere delle decisioni capita a tutti e per tutta la vita, bisogna cercare di pensare a cosa è meglio per me, e quando posso sbilanciarmi senza poi pentirmi di quello che ho fatto. In America con le elezioni si assistito all’ascesa di Trump che ha fatto da magnete al sordo ribollire della grande scontentezza americana che hanno votato con la pancia appunto. C’è da dire il nomen omen di Trump che in inglese “to turn up trumps, è l’atout della briscola nelle carte. Gli elettori della più grande democrazia del mondo hanno votato un personaggio spietato come i grandi capitalisti di inizio novecento. Persona spregiudicata e aggressiva, senza nessun umano rispetto per le donne e le persone meno fortunate di lui cavalcando la rabbia e lo scontento degli elettori americani, candendo e rialzandosi sempre, scandendo minacce degni di un dittatore da operetta:”La Clinton dovrebbe stare in galera”, oppure proclami: “Costruirò un muro al confine messicano e saranno i messicani a pagarlo” o carichi di sovversiva seduzione populista: “Non so ancora se riconoscerò il risultato elettorale”. Insomma, il paradosso è che vantando con puntiglio il suo narcisismo, il suo spregio per le regole, per le donne, per le tasse,Trump ha finito per risultare autentico, e pertanto più onesto della candidata sconfitta in inglese nel linguaggio familiare desueto Trump significa a nche persona retta e onesta. Il problema dopo è da chiedersi cosa resterà di questo crollo delle regole e dei riti della politica negli Usa. Forse è politicante presto per dirlo come è ancora inutile tentare di immaginare come si rimargineranno le ferite che Trump ha lasciato nel corpo sociale. Ma non è da escludere che la lunga corsa del magnate capitalista newyorkese svaporerà nel ricordo di un anno folle e vissuto pericolosamente. Ma forse è giunta per l’Europa, anzi no noi europei possiamo riprenderci la Storia dopo che dal 1945 viviamo in un protettorato Usa, creare finalmente una Europa di popoli e di nazioni e non di burocrati che spingono anche nel vecchio continente gli elettoiri a votare solo di pancia dei pseudo leader da operetta e non persone con una caratura mentale pratica ma con aperture liberali e consapevolezza europea, doti necessarie per pensare ed agire ad un salto in avanti per l’Europa altrimenti per noi sarà “the trump of doom, scusate il gioco di parole la tromba del Giudizio Universale.
Favria, 26.11.2016 Giorgio Cortese

Per essere felice basta poco, basta accettarmi come sono con i molti difetti ed i pochi pregi