La quotidiana indifferenza. – Il caso che diventa occasione. – La glossa di ghiaccio, glissare, glassare. -Ci vogliono due pietre focaie per accendere un fuoco! – Ulivo: 6.000 anni di storia tra Mito e Leggenda….le pagine di Giorgio Cortese

La quotidiana indifferenza.
È curioso quanto lontana ci risulti una disgrazia quando non ci riguarda personalmente. Pensavo a questo leggendo sui giornali e le parole del Papa sul genocidio degli Armeni che hanno scombussolato le carte delle diplomazie e affermato senza possibilità di equivoci che quello commesso un secolo fa dai turchi contro gli armeni è stato il primo genocidio del Novecento. Il termine di “genocidio”, fu coniato nel 1944 da un giurista ebreo polacco, Raphael Lemkin, rifugiato negli Stati Uniti, proprio riflettendo sul genocidio armeno e su quello che ancora si stava svolgendo in Europa, il genocidio del popolo ebraico, la Shoah. Lemkin aveva cominciato a occuparsi del genocidio armeno nel 1921 in occasione del processo che aveva mandato assolto a Berlino Soghomon Tehlirian, uccisore del ministro dell’Interno turco Mehmet Talaat, uno degli ideatori principali dello sterminio. Hitler, dando inizio alla sua guerra di conquista nel 1939, aveva dichiarato, quasi con preveggenza: “Chi si ricorda più dello sterminio armeno?” Perché credo, sia difficile pensare ai genocidi senza tener presente l’intimo filo che li collega, isolandone uno solo, fosse pure il più importante dal punto di vista simbolico, quello perpetrato contro gli Armeni, la Shoah, il genocidio staliniano dei kulaki ucraini, le foibe del Carso per gli italiani e poi il Ruanda e Sebrenica, per arrivare agli stermini di massa contro i cristiani oggi. Il genocidio degli armeni è da sempre il grande rimosso della società turca, il solo alludervi, il solo esitare dubbiosi di fronte alla pervicace negazione del massacro nella primavera del 1915 di almeno un milione e mezzo di armeni di religione cristiana, cui si aggiungano cilici, greci, caldei, siri e assiri, fino a toccare quasi i due milioni perpetrato dai Giovani Turchi del Cup, Comitato dell’Unione e Progresso, equivale ancora oggi a mettersi contro la legge. Il grande massacro di un secolo fa s’impernia nel disfacimento dell’Impero ottomano e nella parallela nascita dello Stato-nazione che sarà poi la Turchia di Mustafa Kemal Atatürk. Uno Stato in cerca di un’identità e come spesso accade nelle grande trasformazioni geopolitiche, fortemente intollerante nei confronti delle minoranze etnico-religiose all’interno dei propri confini. Il genocidio armeno fu condotto da quei Giovani Turchi ansiosi di superare il morente modello del sultanato e trasformare l’Anatolia in uno stato moderno, con un laicismo esasperato che a partire dal 1923 Atatürk forgiò la Turchia postbellica, si trovò subito posto un negazionismo feroce nei confronti del genocidio armeno. Una grande rimozione da parte del governo kemalista, nutrito di cieco orgoglio e nazionalismo, che insieme all’abolizione del califfato, del fez, del velo islamico per le donne e all’istituzione del suffragio universale, del sistema metrico decimale e dei caratteri latini aboliva, anzi cancellava del tutto la memoria di quel massacro infinito. Cento anni dopo le cose non sono granché cambiate. Il codice penale turco all’articolo 301 prevede condanne e sanzioni per chi osa portare “vilipendio all’identità nazionale turca”. A differenza della Germania, che con il passato ha fatto conti dolorosi e coraggiosi insieme, la Turchia sembra aver scelto di proseguire sulla strada di una damnatio memoriae che non giova ad alcuno. Pensando a questi genocidi mi viene da riflettere sull’indifferenza quotidiana dove la mia vita comincia a finire il giorno che divento silenzioso sulle cose che contano. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare, l’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Personalmente non ho paura della cattiveria dei malvagi ma del silenzio degli onesti, perché la nostra società non è minacciata dalle persone che fanno il male, ma da quelle che lo tollerano. Il peggior peccato contro i nostri simili non è l’odio ma l’indifferenza, l’essenza della mancanza di umanità. Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del commuoversi e di avere sana passione, siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza, guardiamo senza vedere, sentiamo senza ascoltare, tocchiamo senza sentire, respiriamo senza percepire i profumi, mangiamo senza gustare, parliamo senza pensare. Oggi l’opposto dell’arte non è il brutto, è l’indifferenza come l’opposto della vita non è la morte, è l’indifferenza, ma gli indifferenti non hanno mai fatto la storia, non hanno mai neanche capito la storia e non sopporto più quest’indifferenza alla sofferenza delle persone. Nella vita di ogni giorno il motto che ci dovrebbe accompagnare dovrebbe essere: “me ne importa, mi sta a cuore dei miei simili, e di tutto il mondo che mi circonda ”, purtroppo come esseri umani abbiamo in primato nel diritto d’infischiarcene. Oggigiorno la scienza cerca di trovare con il progresso scientifico ogni cura per la maggior parte i mali, ma non ha trovato alcun rimedio per il peggiore di tutti, l’apatia di noi esseri umani, e certi giorni se il mondo è senza senso è sicuramente anche colpa mia, perché aspetta la mia quotidiana impronta questa palla che rotea nell’universo!
Favria, 7.05.2015 Giorgio Cortese

Certe persone mi stupisco come rosicano ogni giorno a battere il primato dell’imbecillità appena conseguito il giorno prima

Il caso che diventa occasione.
L’amico Antonello, un vero saggio mi ha instillato una pillola di saggezza su di un recente evento con questa bella frase : “è il caso che diventa occasione” che mi ha fatto molto riflettere. Accade di attraversare la vita, di vivere momenti intensi che mi scuotono, che mi sradicano dalle illusioni. Accade di aprire gli occhi per cercare senso a quando avviene sui miei passi e nel mio animo. Ecco che sfumature di pensieri prendono forma e danno seme a nuove riflessioni. Nella vita di ogni giorno dietro ogni problema c’è un’opportunità, e devo sempre stare attento ai trabbocchetti che sono disseminati nel quotidiano cammino, la soluzione consiste nell’evitare i trabocchetti, prendere al balzo le opportunità e rientrare a casa per l’ora di cena. Certi giorni s fossi pessimista vedrei la difficoltà in ogni opportunità, ma ragionando da ottimista vede l’opportunità in ogni difficoltà superata che è poi un’opportunità guadagnata. Molte volte nella vita le opportunità appaiono molto spesso sotto forma di sfortuna o di sconfitta temporanea ed i quei momenti le buone opportunità la vita le ha camuffate sapientemente da situazioni impossibili. Quello che devo fare allora e non demordere, continua a sognare, in modo che poi se il sogno si avvererà sarà molto più dolce di quanto lo abbia immaginato. Ogni giorno devo cercare di assaporare la vita goccia a goccia e cercare sempre di farmi amico il tempo per dilatare sempre di più i minuti. Nella vita la più grande ricompensa non è data a chi bighellona tra agi e divertimenti, ma da chi ogni giorno si porta con dignità il quotidiano fardello, cogliere a piene mani quanto è bello per farne il proprio vissuto. A volte un vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato le crisi e le avversità, spesso diventano occasione di crescita interiore. Ci vuole il coraggio di ripartire e di non farsi mai abbattere. La fortuna non esiste, la costruiamo noi ogni giorno. Ogni stagione è buona per provare ad essere eroi ed aggredire vette e piantare un vessillo sulle cime. Il bello della vita è scoprire nuove realtà ed emozioni con la curiosità di un bambino e nutrire ambizioni, osare. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. La frase in premessa recita che il caso diventa occasione ma se l’opportunità non bussa, costruisciti una porta, secondo Seneca, La fortuna non esiste: esiste il momento in cui il talento incontra l’opportunità.
Favria, 8.05.2015 Giorgio Cortese

Nella vita ci sono giorni buoni e, ci sono giorni meno buoni, ma in tutti proprio tutti i giorni c’è sempre qualcosa di buono. Cerco sempre di trovarlo concentrando le mie energie su quanto di buono ho trovato, e tutto il resto mi sembrerà più leggero. E poi c’è la vita e ciò che conta è questo, sempre ogni giorno.

La glossa di ghiaccio, glissare, glassare.
La parola ghiaccio in francese glace deriva dal latino tardo glacies. Pare che l’origine sia indoeuropea dalla radice gal, ghar, essere chiaro, splendere, rilucere, in provenzale glassa. Da li arriviamo al lemma glissare che deriva dal francese glisser con il significato di sorvolare su di un argomento, evitare di approfondirlo. Nel linguaggio musicale, produrre l’effetto del glissando o g glissato. Il glissando o glissato, consiste nell’innalzamento o nell’abbassamento costante e progressivo dell’altezza di un suono, ottenuto a seconda dei vari strumenti in diversa maniera. Ma il glissando propriamente detto è quello che può produrre la voce umana con un violino o un trombone a coulisse. Tubo a forma di U che si applica ad alcuni strumenti a fiato per ottenere una modificazione dell’intonazione, contrapposto al trombone a pistoni. Con la coulisse non si percepisce il passaggio fra le note perché la transizione avviene senza soluzione di continuità. Permettetemi una breve parentesi sulla parola coulisse, lemma francese con il significato di scorrevole, parola di origine latina, colare, con il significato identico in italiano. Ma la coulisse è anche la guida, incastro, scanalatura. La porta coulisse, scorrevole su una guida. In sartoria, passaggio ottenuto in un capo di abbigliamento mediante una doppia cucitura parallela, entro il quale si fa scorrere un cordoncino i cui due capi vengono poi tirati e annodati per far aderire l’indumento alla vita o comunque per stringere il giro arricciando la stoffa. Nel linguaggio di borsa, mercato libero che si svolge nelle borse fuori del parquet e in cui operano i mediatori non autorizzati. Se penso alla parola glissare, la trovo elegante, con una punta di ironia, che non ha la negatività di un’omissione né la reticenza dell’essere evasivi né la brutalità del tacere qualcosa. E’, appunto, uno scivolare con nonchalance, da veri signori. Secondo me, qualitativamente, è allo stesso livello di sorvolare, inteso in questo senso. Arriviamo al lemma glassare, adattamento del francese glacer, ghiacciare, l’operazione di ricoprire di uno strato di glassa dolci, pasticcini e confetteria. In gastronomia, con significato. più ampio, rivestire una vivanda, durante la cottura, con una sottile pellicola di salsa e burro o d’altro sugo. Abbiano infine glassato, frequente come aggettivo., anche con altri significati rispetto all’originaria parola francese glacé , ma si dice per una torta glassata; vitello glassato, coperto di gelatina; guanti glassati, di pelle lucida. Con glassa ho finiti questa ricerca che sembra una glossa, perché cerche parole sembra oscure o cadute in disuso, ma io non sono un glossatore in grado di elaborarle meglio.
Favria 9.05.2015 Giorgio Cortese

Qual è il suono di una sola mano che applaude? Non esiste? Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto, e allora lavorare insieme significa vincere insieme.

Ci vogliono due pietre focaie per accendere un fuoco!
Sabato 9 maggio si è svolta la gita in Liguria nella Riviera dei Fiori. La gita si è sviluppata dalla collaborazione tra il Centro Incontri Pensionati Favria e la Fidas Gruppo di Favria Gruppo L. Tarizzo- D. Chiarabaglio. Siamo due associazioni vicine di “casa” con locali quasi adiacenti, e poi il Centro Incontro Pensionati ci ospita, nella giornate di Prelievo in alcuni suoi locali per l’accoglienza dei donatori che devono compilare i moduli pre-donazione. Grazie! Da questa vicinanza ed empatia tra associazioni di volontariato è nata questa gita che ha avuto successo grazie all’instancabile Franca che con il Presidente e tutto il Direttivo del Centro Incontro Anziani unitamente al Direttivo Fidas per avere successo nell’iniziativa. Abbiamo visitato il Museo dell’Olivo Carli ad Imperia, 6.000 anni di storia! Abbiamo potuto apprezzare nelle varia sale espositive l’importanza sociale ed economica ed il prestigio culturale dell’olivo che accompagna le conquiste più significative delle civiltà mediterranee antiche. Abbiamo visto come personaggi famosi, divinità, grandi inventori, legislatori e imperatori ed altri rimasti sconosciuti sono i protagonisti di queste vicende. Successivamente, nonostante un intoppo nel trovare il locale, ma questo è il bello della diretta, il bello della vita che non ci annoia ma, i abbiamo pranzato a Diano Marina. Diano Marina città balneare tra le più apprezzate della riviera dei fiori per le sue spiagge, per la nota passeggiata lungomare, per il suo dinamico turismo. Nel pomeriggio siamo riusciti ad andare fino a Cervo, da anni certificato tra “I Borghi più Belli d’Italia”. Cervo, borgo che ha conservato intatte le sue originalissime caratteristiche di borgo medievale sul mare, protetto da torri e mura cinquecentesche e circondato da verdi colline. Il centro storico è praticabile solo a piedi ed è stato conservato con i suoi edifici, vecchi di secoli, e i suoi vicoletti ciottolati dove si trovano botteghe di artigiani ed artisti. Insomma a Cervo si conserva intatta una bellissima atmosfera fatta di profumi e di silenzi, con uno stupendo il panorama che spazia sino al golfo di Diano Marina! Un rifugio per il corpo e per l’animo! Questa collaborazione ci insegna che da soli possiamo fare così poco, ma insieme possiamo fare così tanto. Nella vita di ogni giorno nessuno può fischiettare una sinfonia, ci vuole un’intera orchestra per riprodurlo. Lo spirito del volontariato si basa sulla convinzione che la riesce ad arrivare alla meta se non ci arrivano tutti. Ringrazio personalmente tutti i partecipanti per la loro disponibilità, cortesia e pazienza e un grazie per il loro calore umano. La prossima tappa potrebbe essere l’Expo, che ne dite? Perché ritrovarsi insieme è un inizio, restare insieme è un progresso, ma riuscire a lavorare insieme è un successo. Infine un grazie all’autonoleggio Rastel Bogin di Rivarolo- Boggio Viaggi e Parsifal viaggi di Dagna Maurizio e alle 49 persone partecipanti alla gita! GRAZIE!
Buona giornata
Favria, 10.05.2015 Giorgio Cortese Favria

Buona giornata
Favria, 10.05.2015 Giorgio Cortese Favria

Nella vita il lavoro di squadra divide i compiti e moltiplica il successo. Con il talento si vincono le partite, ma è con il lavoro di squadra e l’intelligenza che si vincono i campionati.

Ulivo: 6.000 anni di storia tra Mito e Leggenda.
L’olivo ha unito dei popoli, culture ed attraversato 6000 anni di storia… Comparsa per la prima volta probabilmente nell’Asia Minore 6.000 s.C. la pianta dell’ulivo si diffuse in tutta l’area mediterranea, dove il suo culto fu consacrato da tutte le religioni. Probabilmente la pianta ebbe il suo habitat originario in Siria ed i primi che pensarono a trasformare una pianta selvatica in una specie domestica furono senza dubbio popoli che parlavano una lingua semitica. Dalla Siria facile fu il suo trapianto in Grecia dove trovò una inaspettata fortuna e applicazione che la resero, poi, indispensabile ai popoli antichi del Mediterraneo. Omero nei suoi poemi citò l’olivo: lo assurse a simbolo di pace e di vita. Era d’olivo il gigantesco tronco per mezzo del quale Polifemo venne accecato da Ulisse e dai suoi compagni. Il re di Itaca costruì per sè e per Penelope il letto nuziale, scavandolo nel tronco stesso di una possente pianta d’olivo, simbolo di un’unione salda e duratura. Nell’antica Grecia era considerato una pianta sacra al punto che chiunque fosse sorpreso a danneggiarlo veniva punito con l’esilio. Ad Atene esisteva un ulivo ritenuto, il primo ulivo del mondo, nato dalla lancia della stessa Atena e per questo considerato sacro e protetto da guardie. Ad Atene, come si vede era sacro alla dea Athena e costituisce fatto indubbiamente interessante che esso sia stato considerato sacro da molte popolazioni e forse non soltanto per il suo apporto calorico, ma per la sua stessa natura di pianta resistente e longeva. Alle stesse Olimpiadi ai vincitori venivano offerti una corona di ulivo ed un’ampolla d’olio, ai Greci vincitori venivano offerti una corona di ulivo ed un’ampolla d’olio. L’olio spremuto dalle olive non era soltanto, nell’antichità, una risorsa alimentare, ma era usato anche come cosmetico e come coadiuvante nei massaggi. Inoltre, gli atleti, in particolare coloro che si dedicavano alla lotta, usavano cospargere i muscoli di purissimo olio, sia per il riscaldamento degli stessi, sia per contrastare la presa degli avversari. Gli antichi Romani, invece, intrecciavano ramoscelli di ulivo per farne corone con le quali premiare i cittadini più valorosi, oltre al fatto che, secondo tradizione, i gemelli divini Romolo e Remo nacquero sotto un albero d’olivo. I Romani, che coltivarono l’olivo a partire dal 580 A.C., ne fecero un uso che si potrebbe qualificare smodato; Gaio Plinio Secondo afferma che esistono quindici specie di olivo, e ne elenca i pregi, oggi si denominano i vari cultivar con nomi diversi, come taggiasca, casalina, nebiot, gargnan, trillo, carpellese, punteruolo, augellina, cellina del Nardò, colombino, ciccinella, moraiola, leccina, monopolese, ogliarolo del Gargano e tante altre che spesso prendono il nome dalla località in cui crescono. Nelle culture occidentali la parola olio può sicuramente essere ricondotta alla parola latina oleum e alla greca elaion, sin ancora all’antica semitica ulu. A conferma della millenaria storia dell’ulivo ricordiamo come la tradizione ponga di fronte all’antica Gerusalemme il “Monte degli Ulivi”. Gli Arabi introdussero le loro varietà nel sud della Spagna e contribuirono alla diffusione di questa coltivazione, a tal punto che i vocaboli spagnoli “aceituna” (oliva) e “aceite” (olio) hanno origine araba. La caduta dell’Impero Romano provoca una crisi olivicola, soprattutto in Italia, dove si succederanno le invasioni barbariche. Si deve agli Ordini Monastici, soprattutto ai Benedettini, la sopravvivenza della coltivazione dell’olivo e il suo rifiorire, soprattutto dal XII secolo in poi, grazie all’opera di tutela delle popolazioni rurali che, per difendersi dagli attacchi degli invasori, si concentrarono nelle vicinanze dei monasteri. Non si videro forse mai tanti oliveti e vigne come dal Mille al Quattrocento, gli anni d’oro dei monaci Benedettini e Cistercensi. Con la scoperta dell’America, la coltivazione dell’olivo esce dal Bacino del Mediterraneo; oggi viene coltivato in luoghi molto lontani da quello di origine come il Sud Africa, l’Australia, il Giappone e la Cina, oltre a quasi tutto il Continente Americano dalla California all’Argentina. Lo stesso nome di Gesù, christos, vuol dire semplicemente unto e nella religione cristiana la pianta d’olivo ricopre molte simbologie. Dal ritorno della colomba liberata da Noè all’arca con un ramoscello d’ulivo nel becco, l’olivo che assunse il simbolo di pace. E l’olio d’oliva è il Crisma, usato nelle liturgie cristiane dal Battesimo all’Estrema Unzione, dalla Cresima alla Consacrazione dei nuovi sacerdoti. La simbologia dell’olivo si ritrova anche nei Santi Vangeli: Gesù fu ricevuto calorosamente dalla folla che agitava foglie di palma e ramoscelli d’olivo; nell’Orto degli Ulivi egli trascorse le ultime ore prima della Passione. Ed oggi l’olivo ed il suo prezioso liquido dorato continua, tra miti, leggende e aneddoti, ad animare la cultura dell’umanità. Ciao olivo sacro, albero secolare, ispiratore per poeti e pittori, basta vederti maestoso e ho il timore reverenziale di guardarti per non offendere la tua atavica bellezza e sacralità.
Favria, 11. maggio 2015 Giorgio Cortese

Nella vita i risultati di un’organizzazione sono i risultati dello sforzo combinato di ciascun individuo.