L’istrione! – Da un re vichingo a bluetooth – La tenace Elena – Avena. – Psicopompo. – Castagnata a Favria, musica e tradizioni una giornata da non perdere! – Mangiare con gli occhi, gustare con il palato…-Maschio anAlfabeta…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

L’istrione!
L’istrione è quella persona incline ad atteggiamenti plateali ed esibizionistici che ogni giorno ci capita di incontrare nel nostro quotidiano percorso- la parola deriva dall’etrusco, hister con il significato di mimo, ballerino, commediante e non è certo un complimento. Gli istrioni erano i commedianti etruschi che, davanti alle platee romane che non conoscevano la loro lingua, erano costretti ad esibirsi in pantomime e balletti accompagnati da flauti. Isomma, niente di nuovo sotto il sole, perchè ancora oggi, guardando la televisione, vedo tantissime persone che non sapendo che cosa dire si esibiscono in pantomime e ballano. Cantava Aznavour in una nota canzone non più contemporanea: “Sono un istrione! “. Oggi i contemporanei istrioni anche sulla scena politica non sanno bene chi sono, l’importante èer loro è sempre primeggiare, essere ammirato, essere al centro. sono persone dai tanti volti o nessuno, come diceva Pirandello in un noto romanzo. Persone che recitano quotidianamente per ricevere consensi. L’istrione vuole lodi, ammirazione, plausi, o addirittura riconoscenza. Guai a criticare lo show di un istrione, si allontana, ti toglie dagli amici e diventa un nemico. Va da dire che l’esibizionismo e la teatralità, in assoluto, non sono colpe né spiacevolezze. Lo sono se si è esibizionisti senza avere nulla da esibire. Se si è teatrali sapendo solo fare tanti sorrisi tonti. E purtroppo è spesso questo il nostro caso.
Favria, 17.10.2016 Giorgio Cortese

Nella vita il sicuro antidoto contro tanti avversari è avere un vero amico.

Da un re vichingo a bluetooth
Bluetooth lo si legge dappertutto, c’è anche chi lo pronuncia correttamente all’inglese, ma perche si chiama bluetooth la tecnologia per la trasmissione di dati senza fili. La parola Bluetooth era conosciuta già da secoli, anzi un millennio fa! Nei paesi scandinavi la parola bluetooth è associata ad Harold Blaatand cioè proprio Harold Bluetooth, Aroldo dente blu. Si tratta di un sovrano danese vissuto dal 911 al 985 o 986 che ebbe il grandissimo merito di unire terre fino a quel momento divise oltre che dal mare anche da tradizioni e antichi dissapori: Danimarca, Svezia e Norvegia. Bluetooth, Blaatand o Dente Blu era il soprannome di Harold che secondo alcuni, aveva un grosso dente morto di colore bluastro, secondo altri perché era un assiduo masticatore di mirtilli, ed immaginatevi il sorriso, ma altri storici sostengono che il nome è dovuto all’usanza di colorarsi di blu i denti prima della battaglia, per apparire più spaventosi. Lo stesso logo Bluetooth, anche se non sembra sinceramente, è l’unione delle iniziali di Harold e Bluetooth cioè B e H! È probabile che il nome di questo standard sia stato ideato e proposto da Jim Kardach, ingegnere Intel, che in fase di sviluppo stava leggendo il libro “The Long Ships” di Frans Gunnar Bengtsson, un romanzo storico sui vichinghi: fra i personaggi di questo libro compare proprio il re danese Harald Gormsson, detto “Bluetooth”, cioè denteblu. questo re, abile diplomatico, riuscì a unificare Danimarca e Norvegia, e convertì il suo regno al cristianesimo in maniera piuttosto aggressiva. Ebbe quindi la fama di unificatore: e quale nome migliore per uno standard tecnologico che unifica. E’ meraviglioso come i nomi più vivi delle tecnologie più avanguardiste riescano ad attingere a figure storiche così suggestive.
Favria, 18.10.2016 Giorgio Cortese

Lo scopo nella vita è di collaborare per una causa comune purtroppo il quotidiano il problema è che sembra nessuno sappia quale sia

La tenace Elena.
Conoscono una cliente dove lavoro che si chiama Elena e che ultimamente affronta con coraggio e tenacia le avversità di salute che la vita di para davanti senza un perché e senza un ma. Questa signora mantenendo fede al suo nome, nomen omen come una fiaccola, in greco antico Elenas voleva dire torcia o fiaccola e quindi interpretato come “la brillante”, risplende di luce nell’animo con tenacia e buon senso. La tenacia vuole dire costanza, fermezza e deriva dal latino tenacia, derivato di tenere. È una virtù di grande importanza, ed è interessante cogliere le sfumature del suo nome. Innanzitutto, bisogna dire che la parola ‘tenacia’ compare in italiano durante l’Ottocento; prima, era decisamente più usata la forma ‘tenacità’, oggi desueta, derivata dal latino classico tenacitas. Il tenace, propriamente, sarebbe ciò che ha una grande forza adesiva (ciò che ‘tiene’): ad esempio, può essere tenace una colla. In seguito, questo attributo è stato esteso a ciò che manifesta una notevole resistenza alle sollecitazioni, per cui può essere tenace una buona corda o una trave di un certo legno. Da questi significati scaturisce il comune significato figurato del tenace, e quindi quello di tenacia. La tenacia è la fermezza nella volontà, la costanza nell’azione, la resistenza nella decisione: descrive un atteggiamento risoluto che non si scolla dal proposito e che regge ogni avversità. La tenacia nello studio porta a grandi risultati, la tenacia del corteggiamento fa sentire desiderata e importante la persona corteggiata, la tenacia del malato schiaccia la malattia, la tenacia nella gentilezza migliora il nostro ambiente. Una parola da tenere viva e presente nei nostri pensieri e nei nostri discorsi, perché spesso è dalla tenacia che dipende ogni successo, grande o piccolo che sia. E alla fine il miglior modo per avere rivalsa sugli avversari è di restare in silenzio. Lasciando al tempo il risultato nei fatti, perché tutto torna come un boomerang. Lascio a loro percorrere le strade brevi della falsità, delle arroganze, e delle ingiustizie, intanto non andranno lontano, si consumeranno e ritorceranno contro di loro. Il tempo è galantuomo ed io aspetto e vivo la mia vita con serenità.
Favria 19.10.2016 Giorgio Cortese

Senza musica la vita sarebbe monotona e scialba

Avena.
L’avena è un cereale che deve uk suo nome al sanscrito avasa con il significato di nutrimento, foraggio, genere il cui nome era già utilizzato dagli autori latini, per esempio Varone. , Avena sativa è una pianta della famiglia delle raminacee. Le varietà utilizzate in agricoltura furono selezionate circa 4500 anni fa a partire da specie selvatiche, da coltivatori europei e mediorientali. La sua origine è incerta e la sua provenienza è contesa tra India, Cina ed Egitto. Già dall’età del bronzo, l’avena era largamente coltivata nell’Europa orientale, sia come alimento che come foraggio per e foraggio per i cavalli. Si trova nei pascoli e nei luoghi erbosi e viene seminata in grandi estensioni, come il grano e la segale. Dell’avena si utilizza l’intera pianta come foraggio per gli animali e solo i frutti per l’alimentazione umana. La pianta si taglia in primavera, prima della fioritura, mentre i frutti a fine estate. L’avena è sempre stata considerata un cereale minore, talvolta addirittura infestante, e comunque poco adatta a essere usata come cibo per gli uomini. Presso nessun popolo dell’area del Mediterraneo, di fatto, l’avena riscosse mai grandi successi anche se di certo era ben nota, dato che molto spesso veniva usata come foraggio. Adatta per gli animali insomma, ma non per l’uomo. Così per greci e romani era addirittura inconcepibile il fatto che i popoli barbari si cibassero di una specie di pappa tra i cui ingredienti figurava anche l’avena. Ma perché tanta ostilità per questa pianta che pure riassume in sé proprietà nutritive e medicinali? La spiegazione risiede forse nel fatto che le civiltà antiche identificavano in modo indissolubile il cereale principale che compariva sulle loro mense con la divinità delle messi, la dea dell’abbondanza. La presenza di un cereale diverso era temuta come una vera usurpazione, un pericolo per quello che era considerato uno dei beni maggiori per l’uomo. L’avena doveva sembrare particolarmente temibile da questo punto di vista data la sua capacità di diffondersi rapidamente. Esiste al riguardo una favoletta di origine francese che ancora ci riporta echi di questa antica “antipatia” nei confronti dell’avena: in essa si narra che il diavolo, poco dopo la creazione del mondo, andò da Dio a lamentarsi per l’ingiustizia che era stata fatta nei suoi confronti: gli uomini nel paradiso terrestre avevano ricevuto 4 doni preziosi per sfamarsi (il grano, la segale, l’orzo e l’avena), mentre a lui non era stato dato niente. Fu così che Dio regalò uno dei cereali, l’avena, al diavolo. Solo in un secondo momento l’avena fu restituita all’uomo, ma c’era poco da fare: essa rimase bollata come erba del diavolo. L’avena ha una lunga storia e molte leggende che la accompagnano: da cibo per i barbari ad essere considerata l’Erba del Diavolo, oggi è stata riabilitata e possiamo trovare moltissimi prodotti da forno a base di avena. Pensiamo al buonissimo pane d’avena, oppure ai pudding di latte e cereali. Infine una menzione al porridge che deriva dal francese potage piatto tipico della cucina inglese, consumato di solito durante la prima colazione, consistente in una zuppa molto densa a base di farina di avena fatta bollire nell’acqua o nel latte e condita con l’aggiunta di zucchero, panna, marmellate. Gia’ in passato, anche se non diffusamente, era impiegata come erba medicinale. Oggi, liberati da preconcetti, siamo in grado di rivalutare questa preziosa pianta che, dopotutto, può essere riabilitata a pieno titolo dal momento che ha tutte le carte in regola per essere una preziosa amica degli esseri umani e non solo dei cavalli
Favria, 20.10.2016 Giorgio Cortese

Ogni giorni mi rendo sempre di più conto che la vita è dura, e allora mi armo di un sorriso e accetto le sfide sempre a testa alta!

Psicopompo.
Se iniziate a leggere fermate sul nascere il risolino beffardo. Questa parola deriva dal composto di due paroloe grece psico, anima e pompo conduttore. Nella religione greca, epiteto di divinità, soprattutto di Ermes, Caronte e Apollo, Demetra e in quella egizia Anubi designante la loro funzione di guida delle anime dei trapassati verso il regno dei morti. Addirittura Ermes, il romano Mercurio era chiamato egemonio, che conduce, che guida in quanto conduceva le anime all’Ade. Vi era poi la figura dello psicagogo, condurre l’anima, il sacerdote o negromante che evocava le anime dei morti. Al riguardo esiste nel folklore danese, la leggenda del helhest, in danese,, cavallo infernale o cavallo di Hel, è un cavallo leggendario a tre zampe associato ad Hella. Secondo la tradizione la comparsa di questa creatura preannuncia morte, malattia ed infortuni. In diversi scritti inerenti alle credenze popolari vengono fatti riferimenti all’helhest ed i suoi avvistamenti in varie località della Danimarca. Per il folklore danese, l’helhest, l’helhest ha come compito di accompagnare i morti nell’oltretomba. Veniva sepolto nei cimiteri un cavallo vivo, prima dei defunti, in modo che potesse trasformarsi in cavallo della morte e fare da guida alle anime che altrimenti vagherebbero senza riposo, insomma notevoli somiglianze con quello che rappresenta la figura dello psicopompo della cultura della Grecia Antica e dell’Antico Egitto
Favria, 21.10.2016 Giorgio Cortese

Se riesco a riconoscere i limiti dell’altro e mi adopero per aiutare a superarli, significa prima di tutto che ho rispetto di questi limiti. Questo rispetto si trasforma nell’altro in fiducia nei miei confronti.

Castagnata a Favria, musica e tradizioni una giornata da non perdere!
Il nome castagna deriva dal latino Castaneaum, a sua volta discendente dal greco kastanon ovvero originaria di Kastania. Quest’ultimo era un villaggio della Tessaglia dove si dice che le piante di castagno fossero abbondanti., la castagna è frutto conosciuto in Europa dalla notte dei tempi, difatti, l’albero del castagno ha origini preistoriche. Anzi nel passato era una presenza assidua sulle tavole dei poveri, facendo le veci del pane tanto che il suo albero fu definito: albero del pane e ha finito per dare origine a dei proverbi che sono la saggezza popolare e fanno parte delle nostre radici da preservare: “Gennaio secco, castagna ogni ceppo. L’acqua agostana fa crescere la castagna. La nebbia d’ottobre ingrassa la castagna. Vento libeccio, né pane né neccio. Quando abbonda la castagna è il paese della cuccagna. Quando il vino non è più mosto, la castagna è buona arrosto. Gente di montagna, legna di castagna. La donna è come la castagna, bella di fuori e dentro la magagna. Vino, donne e marroni bisogna goderli nelle loro stagioni. E poi gli immancabili modi di dire: “Cavare le castagne dal fuoco”, con la zampa del gatto, fare qualcosa a proprio vantaggio lasciando i pericoli agli altri. L’espressione deriva da una favola di La Fontaine nella quale la scimmia riesce a convincere il gatto a tirar fuori dalla brace le castagne di cui è ghiotta. “Avere in bocca la castagna”, colui che pronuncia male le parole o si fa capire a stento, come se parlasse con una castagna bollente in bocca. “E’come la castagna”, una cosa o persona che superficialmente sembra piena di virtù, ma all’interno è guasta. Un tempo si diceva che un giocatore di calcio “aveva la castagna” quando era dotato di un tiro potente e preciso. “Cogliere in castagna”, deriva dal termine cogliere in marrone, da marrone usato già nel sec. XVI nel significato di “errore”, dal greco mayros oscuro, o dal germanico mar, ostacolo, da dove deriva anche l’atro lemma italiano smarrire. Marrone frutto, dal celtico mar che voleva dire grande, insomma due parole uguali, ma in realtà di origine diversa. Ed infine la parola di uso comune “caldarrosta”, che deriva dall’associazione tra “caldo” e “arrosto”, ma è solo utilizzata per le castagne e non per tutte quelle cose che possono essere arrostite. Infatti il termine caldarrosta e caldallessa, questo ultimo è composto dal femminile di caldo e dal femminile di lesso, sono di origine laziale. Ma già nel XVI il vocabolo “Caldarrosta” era uscito dall’ambito regionale, contrastando e soppiantando infine in tutto lo Stivale le due voci toscane ballotta e bruciata, che designano sempre la castagna cotta con l’intera scorza dentro una padella bucherellata. Va detto che oggi caldarrosta, vinta da tempo la battaglia sui termini toscani suddetti, tende a prevalere su un altro concorrente non connotato geograficamente, castagna arrostita. In giro per l’Italia, d’autunno, fioriscono le “sagre della caldarrosta”, come a Favria domenica 23 ottobre 2016. E se Vi piacciono le castagne venite a Favria domenica 23 ottobre in piazza della Repubblica davanti al municipio per mangiare le caldarroste e ascoltare e ballare con Li Barmenk, gli abitanti di Balme, il più alto villaggio delle Valli di Lanzo, al confine con la Savoia, paese di capre e cacciatori, ed il nome significa abitanti delle rocce, di quelle bàrmess, in cui trovavano riparo i i Celti. Con loro si ballerà la courenda e brando ma anche walzer, polka e mazurka e poi bourrée, scottish, rigodòn e tante altre musiche di danza. Grazie alla Pro loco di Favria potrete gustare castgna. Pranzo con polenta concia e spezzatino, anche da asporto e nel pomeriggio frittele di mele e caldarroste con Li Barmek che suoneranno melodie tradizionali delle nostre Valli ma anche quelle di tutto il mondo alpino, d’Irlanda, di Provenza, e dei Paesi Baschi. Insomma un pomeriggio all’insegna di buoni cibi ed il piacere di ascoltare della buona musica con strumenti della come il basso tuba, e il semitoun . l’affascinante ghironda, e i suoni bucolici della cornamusa si mescolano ai toni più rustici e alpestri del corno di stambecco. E poi intorno vibra l’arcaico richiamo delle lumàsses, le grandi conchiglie di mare in cui si soffia secondo un antico rito balmese. Una musica rustica e semplice che sembra venire da tempi ormai remoti come l’antico patois francoprovenzale ancora parlato in queste valli, arroccate tra Piemonte e Savoia, Vallese e Valle d’Aosta, alle pendici delle vette più alte d’Europa. Una lingua che si dice discendere da quella degli antichi barbari Burgundi. Infine un grazie alla Pro Loco di Favria al suo Presidente Gianni Agus ed al Direttivo per la passione profusa nel valorizzare la nostra Comunità! Grazie di cuore!
Favria, 22.10.2016 Giorgio Cortese

Quando certi giorni mi sembra di essere al buio ho la luce della speranza che c’è sempre una luce nel fondo del tunnel.

Mangiare con gli occhi, gustare con il palato assaporandone le fragranze del cibo servito
Sono stato a cena con degli amici e quello che mi ha colpito subito nel ristorante di Ivrea La Mugnaia a Ivrea in via Arduino 53 è un bel locale ordinato e pulito. Qui non parlerei di alta cucina, ma di cucina d’autore. Mi sono stati serviti dei piatti che puntavano alla creatività e alla qualità delle materie prime. L’occhio vuole certo la sua parte, in particolare se la portata dei piatti serviti era bellissima, ma il palato ne gustava il sapore e con l’olfatto ne assaporavo gli aromi. Queste buone pietanze mi stuzzicavano l’appetito, il tutto unito alla presentazione di piatto per piatto da parte dello chef. Il cibo, oggetto privilegiato del gusto, bello prima che buono o nutriente depositato nella saggezza popolare con gli adagi: “si mangia prima con gli occhi che con la bocca”, o ancora “hai gli occhi più grandi della pancia”, o in modo più esplicito “anche l’occhio vuole la sua parte”. L’occhio è da sempre molto più rapido del palato o dell’olfatto nell’individuare un frutto colorato e maturo tra i rami di un albero, è decisivo nella ricerca del nutrimento ed il gustoso del palato non è scindibile dal mangiar con gli occhi. In questo ristorante i buoni piatti possono cambiare in bene l’umore delle persone e rendere onore e gloria al cuoco impareggiabile che li ha realizzati. Se passate per Ivrea Vi consiglio previa telefonata al 0125 40530 per prenotare di andare in questo ristorante che merita davvero la pena
Favria, 23.10.2016 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana nulla è impossibile, l’essenziale a volte non è essere i migliori, ma riuscirci.

Maschio anAlfabeta.
Leggendo dei recenti commenti sulle dichiarazione sessiste di una persona che aspira al ruolo Presidente degli USA, personalmente più che vanto da maschio Alfa forse è solo un maschio anAlfabeta. Preciso che il concetto di maschio alfa, o maschio dominante, deriva dal mondo animale, dove ad esempio, in un branco di lupi, l’animale alfa è quello in grado di dominare su tutti gli altri maschi del gruppo. Quindi, nel mondo degli umani, la trasposizione è stata immediata per cui l’uomo alfa sarà particolarmente virile, carismatico, affascinante, garantirà protezione e sicurezza, e una discendenza. Ardentemente anelato sia da femmine che da maschi non alfa, nella società non può che rappresentare il modello sbagliato del vincente. Sono stanco del sessismo dilagante che pervade la TV, e nella politica. Non si può trattare una donna, che sia operaia o una manager pluri-laureata, come un oggetto sessuale sul quale scaricare gli istinti erotici più bassi. Non ci sarà mai parità di genere se si chiuderà un occhio su certe manifestazioni inequivocabilmente sessiste e se ci faranno ancora sorridere la volgarità di certe persone. Bisogna dire basta alle frasi sessiste e alle moleste sessuali alle donne con la scusa che intanto se la sono cercata. Come maschi se vogliamo essere dei modelli Alfa e non anaAlfabeti ci dobbiamo ricordare sempre il rispetto per tutte le persone che incontriamo uomini e donne e non solo celebrare le donne l’otto marzo per sciaquarci la bocco con delle belle parole di circostanza in quella data. Insomma siamo uomini e non bambini viziati e anAlfabeti nel comportamento tra esseri umani
Favria, 24.10.2016 Giorgio Cortese

Scusate il linguaggio poco aulico ma a certe persone dico che sotto la coda di pavone più maestosa si cela anche per loro il più comune culo di pollo. Di conseguenza, non tiratevela troppo e non sentitevi inferiori a nessuno.