Notte estiva. – L’Odisseo che è dentro di me! – La passione nel donare. – Meriggio di luglio. – La vittoria di Pirro dei novelli Poro – Frittura di pesce croccante e saporita e la paella! – La magnificenza del pavone – … Le pagine di Giorgio Cortese

Notte estiva.
In questa bella e calda notte d’estate cammino solitario per il paese con l’asfalto che ribolle ancora del caldo assunto durante tutta la giornata. Mi viene da riflettere che d’Estate i capelli sono più leggeri, la pelle è più scura, l’aria e l’acqua è più calda, ma le bibite sono più fredde e la musica che arriva alle mie orecchie è bellissima. Questa notte che si allunga e sembra mai finire la vita migliora. Continuo a camminare e noto che nei piani alti delle case la gente cerca di prendere un poco di fresco sui balconi. La luna è allo zenit sulla torre campanaria, e il quadrante dell’orologio è illuminato e sento da una piazzetta vicino un’allegra musica che porta freschezza nel mio animo che chiede ristoro

Il lato buffo della vita e che ci sono persone che pensano e rimpiangono il passato, altri che la vivono rincorrendo il futuro, perdendosi entrambi l’unica cosa certa: il presente!.

L’Odisseo che è dentro di me!
Il viaggio, la voglia di evadere, di conoscere, di sfidare quell’ignoto, quel qualcosa vicino o lontano che mi attrae verso la mia personale Itaca, che è la meta il mio desiderio. Insomma il coltivare l’Odisseo che è dentro di me significa vivere pienamente la mia esperienza di inseguire sempre nuovi traguardi nella vita, il mio essere perennemente sospeso tra ignoranza e conoscenza, progetto e realizzazione, desiderio d’infinito, di pienezza di senso e sua impossibilità, almeno all’interno del tempo umano che è corruttibile. Lasciare Itaca, per poi desiderarla, significa cercare di lasciare il regno della quotidianità che emerge in tutto il suo grigiore solo se non coltivo con cura, con sincera passione, con vivo desiderio il mio personale Odisseo nell’animo, poiché incapace di vedere con stupore, con gli occhi sempre nuovi la realtà che mi circonda, i volti che amo. Ma certi giorni mi ritrovo fermo nelle secche della vita, incapace di accrescere il mio sapere, di mettermi in gioco. Insomma lasciare Itaca, non significa rinunciare agli affetti, alla stabilità dei legami, al quotidianitò, semmai vivere l’esperienza del viaggio all’interno di me stesso. Ritengo che ognuno di noi è nato con uno scopo di vita unico. Siamo tutti qui per una ragione, e siamo qui per essere utili gli uni agli altri. Siamo come le singole cellule di un corpo, ognuna delle quali svolge funzioni uniche ma assieme alla altre si comporta come un tutt’uno. Una vita fatta d’intenti non è solamente la vera espressione di chi sono, ma rappresenta anche il mio dono al mondo, che ha bisogno di ciò che ho da offrire. Se vivo con degli scopi, trovo maggiore realizzazione e gioia in tutto ciò che faccio. Ma a volte sembra che ciò che il mio vivere sia simile ad un sogno, o forse sogno di fare qualcosa, e poi rimango deluso dalla stessa realtà che io cerco di sfuggire con il mio viaggio interiore, perché forse il viaggio serve a crearmi un mondo dove io possa avventurarmi con le possibilità di migliorarmi, e sfidare ciò che non c’è, e si sa per certo che giocando soli si vince sempre! Ma cosa è che mi porta a non approdare mai, che mi pone sempre davanti ad una sfida, a una voglia di provare a saltare sempre più in alto l’asta della vita, di proseguire anche se con forte nostalgia di quelle poche sicurezze che lascio. Ritengo che sia inutile spiegarmi chi sia Odisseo o cosa rappresenti l’Odissea., è troppo spiegare a me stesso, certi giorni, chi sono, e che scopo abbia la mia vita, perché la mia strada ha quella e non un’altra direzione, non serve nemmeno farmi certe domande, non serve! Credo che troverò le risposte alla fine del mio viaggio quando tornerò alla mia ITACA per scoprire che le cose che mi hanno dato gioia nella vita e che mi fanno sentire davvero vivo sono il mio personale contributo al mondo che mi circonda. Perché una vita vissuta con uno scopo e determinazione onorerà e alimenterà il mio animo a livello profondo.
Favria, 15.07.2015 Giorgio Cortese

Quando certe persone trovano troppe ragioni per difendere chi non ha ragione, non mi resta che fermarmi e tacere. Loro lo sanno e anche io.

La passione nel donare.
Mercoledì 15 luglio a Favria è avvenuto il prelievo collettivo. Nonostante il caldo afoso e torrido 32 persone sono venute a donare sangue intero tre hanno fatto gli esami e altri tre, tra cui una candidata donatrice, non sono stati ritenuti idonei dal colloquio medico. Certo come Direttivo dopo la massica propaganda tramite lettere, sms, telefonate e manifesti ci si aspettava di più, perché l’emergenza sangue non va mai in vacanza e non conosce ma la crisi. Ma chi oggi è venuto a donare fa parte di quell’esercito silenzioso che ogni giorno lavora per fare stare meglio tutti noi. Ritengo che la molla principale che ci spinge a donare è quella di sentire di avere una sorta di “dovere” da adempiere nei confronti della società, nei confronti dei nostri simili. Oggi donare è un gesto di solidarietà che nel nostro piccolo compiamo verso chi ci sta attorno. Ritengo che il valore del sangue donato è altissimo, proprio perché usando un po’ del tempo del donatore unito al suo sangue si possono salvare delle vite, il sangue donato da ognuno di noi viene utilizzato per aiutare chi in quel momento ne ha bisogno, ma anche di rispetto verso la persona in quanto tale, un valore oggigiorno piuttosto caduto in disuso per eccesso d’egoismo. Donare sangue, significa essere consapevoli di essere utili al prossimo e di fare un servizio alla collettività per un bene comune: la salute, ed andare oltre la soglia dell’ egoismo per incontrare con rispetto il prossimo. Donare sangue, quindi è consapevolezza, solidarietà, amore, partecipazione e vicinanza verso chi più sfortunato, soffre. Se per un attimo proviamo pensare, se capitasse a te che mi leggi di trovarti senza futuro da un giorno all’ altro, perché per vari e diversi motivi, la salute, bene prezioso solo quando ci manca ed è precaria, necessiti di nuovo sangue, quel sangue che fino a qualche giorno prima scorreva dentro il copro e dava vita, forza, energia! Quel sangue che ad un certo momento non è più idoneo, necessitandone di altro, più sano. Mi immagino lo stato emotivo e psicologico in cada la persona colpita da questa notizia e quando desiderio nell’animo di avere la speranza di trovare ciò che serve a ritrovare di nuovo la salute. Ecco allora la forza del donare sangue, un gesto d’ altruismo, volontario, anonimo, perché non ha importanza chi è chi lo riceve, ma ha importanza la persona in quanto tale, che può essere un bambino, una donna, chiunque, sempre persona è! Con questo non voglio certo dire che i oggi a Favria abbiamo salvato il mondo! E’ un fattore di cultura e sensibilità, essere sempre a contatto con certi problemi permette di avere una visione più ampia e puntuale del valore di certi gesti. Donare sangue, oggi, con i controlli ferrei stabiliti per legge, di cui l’Italia si è dotata già da diversi anni, è una garanzia di salute e di serietà sia per il donatore, che è controllato ogni volta che si presenta a donare, sia per chi riceve il sangue. Vi chiedo in conclusione di riflettere un attimo, della fortuna di essere in buona salute, e allora perché non rendervi disponibili per quel poco tempo richiesto per donare un po’ di noi a chi aspetta in un letto d’ospedale quell’aiuto sperato e necessario e donare una piccola ma importante speranza di vita. Vi aspetto, con il Direttivo a Favria, cortile interno del Comune, al prelievo straordinario venerdì 31 luglio ore 8-11,30. Non mancate. E per la giornata di oggi un Grazie di cuore ai donatori che hanno partecipato, un Grazie al Direttivo che ha lavorato alla riuscita dell’evento e un Grazie All’equipe medica e ai dipendenti Fidas ADSP per il loro valido e collaborativo aiuto
Favria, 16.07.2015 Giorgio Cortese

Durante la notte la leggera brezza spazza via i miei pensieri negativi, dando speranza ai miei sogni.

Meriggio di luglio
Violenti i raggi del sole del primo pomeriggio, arroventano l’aria ferma e scaldano la terra assolata. Sono seduto nella penombra della vecchia casa in cerca di frescura, ma la calura offusca sia le cose lontane, rendendole tremule che i miei pochi e caldi pensieri torridi. Nell’animo i pensieri sembrano evaporarmi come i ricordi che pigramente mi girano per il cervello. Sul muro rovente, una piccola lucertola ferma fissa e dal calore trae forza. Due bianche farfalle volano irrequiete, tra i rossi mattoni del muro di cinta e l’azzurro lindo del cielo di luglio. In alto veloce vola un rondone garrendo, inseguendo in insetto sua preda.. Accaldato mi asciugo il sudore, con un panno già intriso d’acqua e cosi mi illudo di mirigare il calore, cercando un momentaneo refrigerio. Intriso di sudore osservo dall’ombra le case assonnate, e arroventate dal sole. Improvviso un trattore, sfregia il silenzio, per sperdere poi il suo secco rumore, verso l’arso colore dei campi distanti. Un suono vicino mi giunge sommesso, fisso il soffitto, ove lenta si muove una mosca che ronza petulante ed invano cerco di scacciare. Poi squilla il cellulare è finito l’incanto, il trillo arriva come una scossa e fuggono via i pensieri di questo meriggio di luglio
Favria, 17.07.2015 Giorgio Cortese
Il mio desiderio quotidiano oltre ad avere la salute anche e sempre un pizzico di umiltà e di buon senso. Ritengo che questi siano ingredienti che non devono mai mancare nella mia vita..

La vittoria di Pirro dei novelli Poro
Il pasticcio alla greca consumato in questa calde giornate estive mi fa pensare, ma chi ha vinto alla fine se, vince qualcuno? Ha vinto la Grecia che post referendum che deve sottostare a delle condizioni ancora di più gravose di prima? Vince l’Europa dei burocrati e dei parlamentari europei che non contano nulla? A vinto l’ottusità della Signora delle macerie e del suo freddo alfiere fanatico solo del rigore? Mi dispiace non ha vinto nessuno è ha perso l’idea stessa di Europa che non vuole solo dire conti in ordine e ottusi regolamenti. Ma purtroppo la miopia degli attuali governanti non ha capito di riconoscere il problema greco per quello che realmente era, ossia una questione geopolitica prima ancora che finanziaria, capace di destabilizzare l’Europa e la stessa Unione. La vittoria del No in Grecia è stata una vittoria di Pirro e purtroppo per noi siamo governati a livello Europeo da dei re Poro, ma non quello che aveva combattuto in India contro Alessandro Magno. Gli attuali Poro gestiscono le crisi con porosità mentale, con un vuoto di valori e scarsa lungimiranza per il futuro. Voglio ricordare quanto successe nel 2003, quando la Germania non era riuscita in quell’anni a rispettare ancora una volta il più “famoso” parametro inserito nel Trattato di Maastricht: la soglia del 3% nel rapporto deficit-Pil. È bene ricordare che questo valore fu individuato e fortemente voluto dalla Germania, perché era preoccupata che gli altri Paesi, una volta adottato l’euro, cominciassero ad adottare politiche economiche allegre e poco rigorose. Ora la scarsa disponibilità a comprendere e accettare le difficoltà altrui non possono far dimenticare l’aiuto che i tedeschi, ricevettero dall’Unione europea nella difficile fase della riunificazione con la Germania Est. Ma adesso con il loro rigore quale dignità potrà mai trovare una persona che non ha il cibo o il minimo essenziale per vivere? La domanda che oggi dobbiamo tutti porci, è che è giunta l’ora di costruire l’Europa che non ruota intorno all’economia ma intorno alla persona Ritengo che manca la solidarietà, sbandierata a parole ma poi dimenticata quando c’è ne bisogno. Il rigore non basta da solo per governare le attività e relazioni nelle società umane La flessibilità non fa inevitabilmente rima con irresponsabilità, mentre può ben essere uno strumento di solidarietà e di sviluppo e di questo ne abbiamo tanto bisogno in Europa e anche nella nostra Patria.
Favria, 18.07.2015 Giorgio Cortese

La grandezza di una persona la misuro in quello che ha, cosa fa o come si comporta. La grandezza di un essere umano la misuro nella capacità di fermarsi quando potrebbe avere di più, perché fermandosi ha già dimostrato a se stesso di avere tutto quello che gli serve.

Frittura di pesce croccante e saporita e la paella!
Parlare della festa Patronale a Favria vuole dire parlare della Pro Loco. La Pro Loco ha avuto sino all’anno scorso la sua base operativa per la Patronale e non solo, ma per tutti gli eventi, nel salone di San Michele, locale situato al centro del paese, cuore pulsante della Comunità. Ma per problemi di agibilità tale locale non può più essere utilizzato, causando un’incognita non solo alla stessa Pro Loco ma, a tutta la Comunità per la perdita di un locale utilizzato per manifestazioni, non solo gastronomiche ma anche culturali, come la rassegna teatrale in autunno. Mi auguro che tra le priorità dell’Amministrazione Comunale ci sia anche la volontà politica volta al recupero dell’apertura di tale locale che oltre all’utilizzo ludico-culturale-gastronomico riveste anche un valore immenso per la storia della nostra Comunità. Ma la Pro Loco Favria come una novella Araba Fenice è risorta sue ceneri e si è riproposta quest’anno in via Bonaudo, zona Cremeria, con i consueti e storici appuntamenti gastronomici legati alla festa patronale dei SS. Pietro e Paolo aspettando i commensali ogni sera dal venerdì 27 giugno a lunedì, dalle 19,30, nello stand, con frittura di pesce e altre specialità, anche da asporto. Con gran chiusura, martedì 30, sera dove in concomitanza degli spettacoli pirotecnici, cena della paella, con obbligatoria prenotazione vista la grande richiesta. La frittura di pesce preparata dalla Pro Loco di Favria, ogni anno si rivela dorata, croccante e buona, ritengo che questi sono gli unici tre aggettivi necessari a descrivere l’abilità del Direttivo nel cucinare questo piatto. Se poi a questa pietanza per eccellenza, che crea aggregazione e piacere di mangiare insieme un tipico piatto italiano, aggiungiamo il fattore U, il successo è assicurato. Il fattore “U” ritengo che sia alla base di ogni successo della Pro Loco di Favria, per la loro capacità nel moltiplicare il calore Umano che genera simpatia e convivialità. Questo feeling ne profonde parecchio il Direttivo unitamente con tutti quelli che collaborano, sia nel preparare le pietanze che nel servire ai tavoli con garbo, cortesia e buon umore. Quello che mi ha colpito è stato il volto sorridente di tutti gli organizzatori, un sorriso contagioso che non ha prezzo ma rende magica ed indimenticabile la serata. Nella vita la felicità si trova nelle piccole cose, e passare una serata conviviale ed in allegria è come un battito di ali che mi permette di sfiorare il cielo con l’animo, assorbire il calore del sole per poi donarne lo splendore grazie al loro sorriso è possibile effettuare ogni giorno il salto del possibile nell’impossibile.
Favria, 19.07.2015 Giorgio Cortese

Nella vita proprio quando mancano le idee, spero sempre che arrivi una , una parola al momento giusto.

La lealtà è come una danza: c’è chi non sa ballare, c’è chi impara a ballare, e c’è chi come il ballo ce l’ha nel sangue.

La magnificenza del pavone
Il pavone maschio esibisce tutta la sua bellezza quando apre la coda. Non a caso l’espressione “fare il pavone” significa proprio vantarsi di qualcosa, mostrare il proprio orgoglio, farsi bello agli occhi di qualcuno. E nella stagione degli amori il maschio della specie conquista la femmina proprio “pavoneggiandosi”: apre le ali a mo’ di ventaglio esaltando così colori e bellezza. Recentemente ho osservato un pavone e sono rimasto abbagliato dalla magnificenza del suo piumaggio, con il suo portamento elegante e aristocratico, personalmente ritengo che merita il titolo di Re dei pennuti. Il pavone è originario dell’India e in Oriente, proprio per il pomposo dispiegarsi a forma di ruota delle penne della coda, era ritenuto un simbolo del Cosmo o del Sole. Nel mondo occidentale era innanzi tutto il distruttore di serpenti. I colori cangianti delle penne della coda si spiegavano, infatti, con la capacità di tramutare il veleno in sostanza solare, mentre gli occhi erano considerati simbolo dell’onniscienza di Dio. . Il Pavone, in latino Pavo, abbreviato in Pav, ha dato anche il nome a una costellazione dell’emisfero sud. Introdotta da Johann Bayer, oggi è una delle ottantotto costellazioni moderne. Questa costellazione fu disegnata dai navigatori olandesi P. Dirkszoon Keyser e F. de Houtman sul finire del XVI secolo. Anche questa costellazione, come tante altre, ha la sua leggenda mitologica. Zeus si era invaghito di Io, giovane e bella sacerdotessa e per sottrarla alle vendette della gelosa consorte la tramutò in una giovenca. Ma Era che aveva subodorato l’inganno, ne volle la custodia e Zeus per non avere guai, la accontentò. Io fu quindi affidata ad Argo dai Cento Occhi che non la lasciava sola un attimo. Per restituire la libertà alla sua amata, Zeus incaricò Ermes di neutralizzare Argo che fu ucciso. Era, come ringraziamento per l’aiuto ottenuto e dispiaciuta per la sua fine, immortalò Argo nella costellazione del Pavone, sistemando i suoi cento occhi sulle piume dell’uccello che le era sacro. Zeus, impenitente dongiovanni, sempre in cerca di belle fanciulle da sedurre mentre la gelosissima moglie Era lo controllava a distanza scoprendo quasi sempre le sue malefatte. Qui abbiamo la storia di Io, sacerdotessa di Era, figlia di Inaco re di Argo e della ninfa Melia. Quando questa bellissima fanciulla fu notata da Zeus, cominciarono i suoi guai. Zeus infatti cominciò a corteggiarla insistentemente ed arrivò a proporle di vivere in una casa del bosco dove lui l’avrebbe protetta da qualsiasi insidia andando di tanto in tanto a trovarla come fosse stato il suo sposo. Ma Io non solo non accettò la proposta, ma cominciò a fuggire da lui terrorizzata di essere diventata oggetto della concupiscenza del potente dio. Zeus allora cominciò a seguirla trasformandosi in nube, ma Era, che conosceva i sotterfugi del marito, al riguardo mi viene in mente il mito di quanto fecondò Danae trasformandosi in pioggia dorata, subito s’insospettì vedendo quella strana nube correre per i boschi e intuì il tradimento. Allora Zeus capì che stava correndo il rischio di essere scoperto, così decise di trasformare la bella fanciulla in una candida giovenca. Una moglie normale a questo punto si sarebbe calmata e mai avrebbe sospettato che in una giovane vacca si nascondesse la bella sacerdotessa. Ma Era aveva un intuito eccezionale e, per essere certa di non essere tradita, pregò Zeus di donarle l’animale. Pensate al povero Zeus combattuto tra l’amore per la fanciulla e la paura della terribile moglie. Cercò di tergiversare, cercò delle scuse da addurre alla moglie mentre s’impietosiva pensando a quale orribile destino andasse incontro la bella Io. Ma alla fine cedette, regalò la giovenca a Era pensando di poterla in seguito liberare. Ma Era, che aveva previsto tale eventualità, affidò la giovenca alla custodia di Argo, il gigante dai cento occhi che i greci chiamavano Panoptes per questa sua prerogativa. Panoptes infatti in greco significa “colui che vede tutto” e infatti Argo riusciva a sorvegliare la giovenca sia di giorno che di notte, perché i suoi cento occhi, che erano sparsi per tutto il suo corpo, dormivano a turno, cinquanta per volta, così che egli non si addormentava mai completamente. Cominciò per Io una vita terribile, del tutto simile a quella di una vacca e per di più legata la notte e sorvegliata dal terribile Argo. Ma anche Zeus soffriva tra mille rimorsi e il suoi cervello inquieto cercava invano una soluzione ed alfine si decise a chiedere la collaborazione di Ermes, il messaggero degli dei così astuto e ingegnoso da essere considerato il protettore dei ladri oltre che dei mercanti.insomma il protettore di parecchia gente che conosciamo! Ermes era stato così precoce che, durante il suo primo giorno di vita era riuscito non solo ad inventare la lira che suonava magnificamente, ma anche a rubare un’intera mandria di buoi ad Apollo che, scopertolo, poi lo perdonò e addirittura gli donò i buoi, soggiogato dal canto melodioso che la sua lira riusciva ad emettere. Ermes quindi, su richiesta di Zeus, volò dall’Olimpo sulla terra e, camuffatosi da pastore, si presentò ad Argo suonando la siringa, un altro strumento musicale formato da bastoncini di canna e con quel magico suono lo incantò. Argo finalmente chiuse i suoi cento occhi ipnotizzato dai meravigliosi suoni che il dio sapeva effondere inducendo un sonno profondo a chiunque lo avesse ascoltato. E una volta addormentato il gigante, Ermes lo uccise facendolo precipitare giù da un’alta rupe. Io così fu salva e dopo molte altre peripezie traversò a nuoto il mare che da lei prese il nome di Ionio ed infine approdò in Egitto dove potette riprendere finalmente fattezze umane. Era, venuta a conoscenza della morte di Argo, almeno volle salvare i suoi cento occhi e non trovò niente di meglio che sistemarli sulla coda del pavone, animale a lei sacro. Questo mito è ben raccontato nelle“Metamorfosi” di Ovidio che ho recentemente riletto. Per questo nella mitologia romana, il pavone era simbolo della dea Giunone. Successivamente nella tradizione cristiana è simbolo di immortalità, in quanto si credeva che le carni dell’animale, dopo la morte, non si deteriorassero. In base alla credenza secondo la quale il pavone perde ogni anno in autunno le penne che rinascono in primavera, l’animale è diventato simbolo della rinascita spirituale e quindi della resurrezione. Inoltre i suoi mille occhi sono stati considerati emblema dell’onniscienza di Dio. Durante la cavalleria i voti più solenni erano prestati sul pavone. Successivamente nel tardo Medioevo fino a giungere ai giorni nostri, il pavone simboleggia la boria, il lusso e l’alterigia. Al riguardo un detto lombardo, recita: “I òmen e i pollon hinn i pussee cojon, gli uomini e i pavoni sono i più stupidi, poiché imitandone insistentemente il canto d’amore per indurlo a esibire il piumaggio, lo si pone in costante eccitazione sessuale, in questo stato tende a digiunare fino a deperirsi, così come le persone vittime di lusinghe, tendono a non accorgersi della realtà e a fare cose stupide.
Favria, 20.07.2015 Giorgio Cortese

Io sono tutto ciò che la vita mi ha insegnato e tutto ciò che sono riuscito ad imparare.