Odori di castagne -Tenerezza!- La flatulenza nel parlare a vanvera- L’incanto dell’oboe!- La meraviglia dell’autunno.- La lettura.-Res Gestae Favriesi i Santi di ghiaccio. -Fratelli coltelli! Intifada 3.0. -Da laringe a lurcone. -Da wrakjo a garzone. -Dall caduta delle vocali alle emoticon…Le PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Odori di castagne
Respiro l’aria d’ottobre, i profumi dell’autunno ed i profumi catturano le mie narici. Annuso nell’aria l’inconfondibile odore della castagne, le caldarroste della Pro Loco, e pregusto il momento di aprirla, sbucciarla, guardarla, ammirarla e poi avvicinarla con infinita cautela alla bocca. Poi soffio per non scottarmi e mentre la gusto la musica franco provenzale si propaga nel mio animo. Ed io quasi ad occhi chiusi mordo ancora la castagna in un delirio dei sensi. Ne gusto lentamente tutti gli aromi ed ingoio con passione del vin brulè. Godo della fragranza della castagna che emana sempre ogni autunno dolci sensazioni e tenere emozioni. Anche quest’anno la Pro Loco di Favria ha fatto centro con la castagnata evento storico nella Comunità favriese, la Pro loco ha preparato anche dell’ottima polenta e spezzatino. Il tutto con la gioiosa colonna musicale occitana di Li Barmenk che hanno suonato courenda e brando ma anche walzer, polke e mazurke, e poi bourrée, scottish, rigodòn e tante altre musiche di danza. Veramente bravi. Un grazie di cuore al Direttivo della Pro Loco ed al suo Presidente sempre attivi che si prodigano per mantenere vive antiche tradizioni che altrimenti rischierebbero di perdersi cioe la castagnata appunto. La castagna fFrutto tipicamente autunnale, prende il suo nome da quello di un’antica città della Tessaglia, regione settentrionale della Grecia, che sorgeva al centro di estesi boschi di castagneti. Fu importata in Italia dai Romani che l’apprezzavano e la celebravano nelle loro poesie. Sana e nutriente, la castagna è stata in passato un alimento essenziale del popolo, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “pane dei poveri”. Nel 1770, la castagna, da alimento umile e contadino, approda sulle tavole dei nobili in una veste più esclusiva, come “marron glacè”, diventando così un dolce ricercato ed apprezzato. Sempre nel ‘700, a Parigi, dilaga una sorta di cioccolata inventata dal farmacista Bonneau, preparata con cacao e farina di castagne essiccate in parti eguali: questa preparazione incontrerà notevole successo tra la popolazione e dimostrerà ancora una volta la grande versatilità delle castagne. Le castagne come alimento, grazie al loro ottimo contenuto in carboidrati complessi, le castagne sono un vero e proprio alimento base, in grado di sostituire i più pregiati cereali. Non a caso lo storico greco Senofonte, vissuto tra il 430 ed il 355 a.C, definì il maestoso castagno, pianta che può raggiungere i trenta metri d’altezza, albero del pane. Questo alimento si consumava e si consuma tuttora soprattutto arrostito (caldarrosta), candito e lesso (ballotta). Dalle castagne si ricava anche l’omonima farina, ingrediente base di molti dolci come il castagnaccio, polente e del cosiddetto “pane d’albero”, tipico di alcune zone della Francia. Da un punto di vista nutrizionale, la castagna è un alimento di elevata qualità grazie, soprattutto, all’alta percentuale di amidi abbinata ad un discreto contenuto di grassi, proteine, sali minerali(soprattutto potassio, fosforo, zolfo, magnesio, calcio, ferro e vitamine:(C, B1, B2 e PP. Queste caratteristiche, unite all’ottima digeribilità, rendono la castagna un alimento ideale anche per gli sportivi. Durante la cottura buona parte dell’amido si riduce in zuccheri semplici, conferendo alle castagne il tipico sapore dolciastro e rendendole controindicate a chi soffre di diabete. Ma le castagne sono salutari, grazie al loro elevato valore nutritivo, nella farmacopea popolare sono indicate in caso di avitaminosi, anemia e debilitazione. Grazie alla loro azione antisettica i gargarismi con l’infuso di foglie sono un ottimo rimedio contro infiammazioni di gola e bocca., infine l’acqua di bollitura delle castagne costituisce un ottimo fertilizzante per le piante. Evviva la castagna, evviva la Pro Loco, evviva a tutti i favriesi! C’è chi crede che la felicità sia legata a qualcosa di materiale. La vera felicità non è altro che uno stato di benessere, legato a quello che ci fa stare sereni, che a volte riusciamo ad avere. La felicita è questo vivere in una totale serenità e gioire di quello che si ha come nella giornata di oggi.
Favria, 18.10.2015 Giorgio Cortese

Ogni giorno la mia vita rimane una pagina bianca fino a quando non scrivo: “ho fatto del bene!”

Nella vita per vincere l’unica cosa di cui ho sempre bisogno è osare e sperare. E quando tutto mi sembra finito, scopro sempre un nuovo motivo per ricominciare.

Tenerezza!
Oggigiorno viviamo in tempi complicati. Giornate dense d’impegni, zeppe di stimoli e di preoccupazioni. Giornate con ansie che fanno capolino e problemi sempre in agguato. Certi giorni mi sembra di dibattermi come un pesce in una rete aa strascico, con la sensazione che la vita mi sfugga di mano. Che altre forze vincano la mia fragile volontà, e mi conducano altrove lontano dal mio animo. Certo faccio del mio meglio per tener botta. A volte, traversando le ore come una gimcana, concentrato e determinato, attento a ogni possibile ostacolo. In altri momenti, provando a rinviare, fuggendo gli impegni non essenziali, barricandomi a leggere un libro alla disperata ricerca di un’oasi di quiete, di un volto amico che mi sorrida di una carezza che mi spiani almeno qualche ruga dell’animo. Certo sono giorni complicati e densi zeppi di impegni e di stimoli e il desiderio è di avere una vita più semplice, leggra! Una vita capace dove vengo portato dal vento ed allora mi impegno di prendere ogni giorno come un dono, ogni incontro come un’occasione speciale: più tempo, più tempo buono, più senso in ogni momento, per non prendere congedo iato dalla Vita con desolati rimpianti. Mi è venuto da pensare questo un sabato pomeriggio quanfo erao un un autosalone per vedere delle auto, quando non ho potuto far meno che osservare mentra aspettavo un ragazzo accompagnato da due persone anziane che ritengo i genitori. Sono rimasto colpito dalla loro tenerezza nel confortarlo nella scelta della nuova auto. Ecco che nella vita più che di macchine e tecnologia sempre di più sofisticata abbiamo bisogno di umanità., più che intelligenza, abbiamo bisogno di dolcezza e bontà. La tenerezza di questi gentiro verso il figlio è forse il linguaggio segreto ma vero dell’animo umano. Ritengo che la durezza della vita non mi deve mai fare perdere la tenerezza dell’animo.
Favria, 19.10.2015 Giorgio Cortese

Per molti maschi questo sentimento viene ancora scambiato per debolezza; al contrario, è uno dei capisaldi di un’autentica arte di amare

Le persone dolci non sono ingenue. Né stupide. Né tantomeno indifese. Anzi, sono così forti da potersi permettere di non indossare alcuna maschera. Libere di essere vulnerabili, di provare emozioni, di correre il rischio di essere felici.

La flatulenza nel parlare a vanvera
Certe persone che parlano inutilmente si dice che parlano a vanvera. L’etimologia della parola vanvera è di origine incerta: alcuni riconducono l’etimologia di vanvera all’antico lemma onomatopeico fandera dal suono fan-fan, da cui fanfarone , chiacchierone, spaccone, sbruffone, millantatore. Per altri il lemma deriva dallo spagnolo bambara dall’omonimo gioco di carte, a sua volta da bambaria che nel gioco del biliardo indica un tiro sbagliato ma casualmente vincente. Per cui, chi parla a vanvera è colui che parla a casaccio, diremmo con una perifrasi moderna, chi utilizza le labbra senza connetterle col cervello. Ma forse sono pochi che sanno che forse l’etimologia del termine vanvera riconduce l’etimo ad uno strumento in uso nel Seicento presso i Veneziani che era chiamato appunto vanvera: si trattava di un contenitore per i gas intestinali utilizzato da chi soffrisse di meteorismi incontrollabili, che permetteva di scaricare, anche in pubblico, ed immagazzinare momentaneamente tali miasmi un sacchetto di pelle, e di scaricarli successivamente, una volta non in presenza di altre persone. Su una cosa c’è però da stare attenti: sarebbe bello non usarla solo pensando a dei cliché ! C’è un mondo di usi, oltre al solito “parlare a vanvera”, e la lingua ha bisogno di fantasia, per vivere. Si può cucinare una ricetta a vanvera, ci si può pettinare o vestire a vanvera, si può studiare a vanvera e a vanvera si può recitare sul palco ed infine a certa gente si dovrebbe dire di smettere di espellere solo aria dalla bocca come una flautolenza perché cosi parlano solo a vanvera!
Favria, 20.10.2015 Giorgio Cortese

Se voglio essere un grande devo ogni giorno incominciare ad essere piccolo. Altrimenti anche se salgo sul trono più alto trono del mondo sono sempre seduto sul mio lato B!.

L’incanto dell’oboe!
Un sabato sera di settembre sono stato alla presentazione di un bellissimo libro che parla della Comunità in cui vivo da trenta anni: “Fabbricanti di Fede”. Nella presentazione da parte degli autori di quanto avevano scritto, c’è stato un piccolo intervallo musicale allietato dall’oboe. L’oboe è uno strumento musicale a fiato, l’origine dello strumento risale all’antichità, all’aulòs dei Greci e alle tibie dei Romani. Nel Medioevo dovevano appartenere a questo tipo molti strumenti, genericamente designati dal termine calamus, cialamello. L’oboe moderno deriva dal corno inglese ed è caduto il cosiddetto oboe d’amore, di origine tedesca. Il nome attuale di oboe risale al tardo XVII secolo per opera dei francesi, che chiamarono questo strumento hautbois, da cui deriva il termine italiano settecentesco oboè, ovvero, legno alto, proprio in virtù del forte volume di suono. Ovviamente il nome hautbois esportato nei diversi paesi ha cambiato la sua forma fino a divenire hautboy in inglese, Obòe in tedesco e òboe , già oboè nel ‘700, in italiano. Quindi è svelato il mistero della pronuncia del nome; l’accento va sulla prima “o”.L’oboe è uno strumento che incanta appena emette una nota, con quel suono dolce e tipicamente nasale.
È un’ancia doppia, che vibra nell’inconfondibile e delicata forma a “becco” al soffio dell’oboista, emettendo il suo struggente suono. Il concerto più celebre dedicato a questo strumento rimane quello in Re Minore, per oboe, archi e basso continuo, di Alessandro Marcello, 1669-1747, trascritto poi da Bach per clavicembalo, e che ha fatto da colonna sonora a più di un film, a partire dall’Anonimo Veneziano. Altri musicisti moderni hanno messo in evidenza la forza suggestiva di questo piccolo strumento, mi viene da pensare a Ennio Morricone nel film The Mission. Nel film, Il gesuita Gabriel “conquista” gli indios Guaranì con il suono di questo strumento. Mi viene da pensare allora che se la pittura trasforma lo spazio in tempo, la musica dell’oboe il tempo in spazio.
Favria, 21.10.2015 Giorgio Cortese

Se tratto una persona come se fosse ciò che dovrebbe e potrebbe essere, diventerà ciò che dovrebbe e potrebbe essere

La meraviglia dell’autunno
I colori delle foglie d’autunno,, rappresentano uno spettacolo naturale unico che accende il paesaggio di mille sfumature ed illumina il mio animo di immenso stupore ogni anno. Sugli alberi le foglie appassite aspettano in silenzio un leggero refolo di vento per abbandonarsi nell’ultima danza nell’aria prima di toccare terra. Come la foglia danza vengo assalito da mulinelli di ricordi. La foglia appassita cadendo mi sfiora il viso, mi guardo intorno, con supore mi accorgo che è tutto un paradiso! Spennellate di giallo e marrone, di verde muschio e tanto arancione. Nella vicina campagna grappoli d’uva, chicchi dorati, per futuri vini. Mi torna alla memoria da ragazzo dopo la vendemmia il profumo di mosto, profumo di vino. In Autunno c’è una particolare atmosfera, con l’aria verso sera che è frizzantina con il cielo terzo, ed io in ferie che vado a spasso!
Favria, 22.10.2015 Giorgio Cortese

Penso di appartenere all’Autunno, il momento ideale per tenere conto di ciò che ho fatto, di ciò che non ho fatto, e di ciò che vorrei fare il prossimo anno. L’Autunno è sempre stata la mia stagione preferita. Il tempo in cui tutto esplode con la sua ultima bellezza, come se la natura si fosse risparmiata tutto l’anno per il gran finale

Preferisco l’Autunno alla Primavera perché in autunno osservo il cielo con la sua luce ed i colori delle foglie delle piante, in primavera osservo molto di più la terra.

La lettura.
Personalmente ritengo che la lettura, la buona lettura sta ai piedi della vita, i libri sono la camera del vento dove metto alla prova il mio pensiero, le idee attraversano il mio animo e imparano l’indirizzo di dove andare grazie appunto alla lettura.
E dove trovare un libro se non in Biblioteca Comunale Pistonatto a Favria dove c’è veramente un vasto arrortimento che aspetta solo di essere letto
Buona lettura
Favria. 23.10.2015 Giorgio Cortese

Col passare degli anni ho l’impressione di perdere di vista da dove sono venuto, guardo solo avanti dove voglio arrivare, salvo poi ogni tanto rallentare e chiedermi dove sono finito e come ci sono arrivato.

Res gestae favriesi. San Pancrazio ed i Santi di ghiaccio!
Nella ridente campagna favriese, precisamente alla cascina “Batitin,” Bottini, è esposto sul muro della settecentesca cascina una nicchia con dentro una statuetta raffigurante S. Pancrazio. L’uso di offrire alle divinità oggetti scolpiti o dipinti in segno di gratitudine per una richiesta esaudita, il termine latino ex voto significa letteralmente “a seguito di un voto”, è molto antico e comune a religioni diverse: per quanto riguarda l’Occidente, già presso i Romani e i Greci era un usanza frequente portare nei templi tavolette di terracotta che rappresentavano scene di guarigione o di scampato pericolo, per questo si chiedeva l’intervento taumaturgico del dio. Questo ex voto è relativamente recente e risale nella primi decenni del novecento ed è una testimonianza genuina di fede tipica della religione cattolica europea, che privilegia la comunicazione visiva, il culto dei santi protettori, l’uso della preghiera per superare le difficoltà, la pratica del fioretto, il valore esteriore delle manifestazioni di culto. Gli ex voto mostrano in genere un mondo contadino caratterizzato dalla sofferenza e dal pericolo, a volte non esclusivamente fisico, ma anche di salvezza dell’anima e svolgono una funzione propagandistica: chi offre l’ex voto vuole far sapere che egli è stato protagonista di una vicenda miracolosa e che la grazia a quel determinato Santo funziona. Nel nostro caso abbiamo appunto S. Pancrazio che insieme ai santi Maurizio, Costanzo, Ponzio, Magno, Chiaffredo e Dalmazzo, Faustino, Besso in abiti militari, quali presunti soldati della mitica Legione Tebea da non confondere con il giovane cristiano martirizzato, decapitato in quanto cittadino romano, all’età di quattordici anni a Roma sulla via Aurelia, sotto l’impero di Diocleziano, patrono dei Giovani di Azione Cattolica, venerato nel santuario di Pianezza che ha come simbolo un ramo di palma, che rappresenta il simbolo di sacrificio e della purezza. . Qui la devozione verso i due santo omonimi si confonde. L’ex voto vuole rappresentare l’atto miracolo di cui fu protagonista il padre di mio suocero che in giovane età mentre tagliava un ramo di un pero cadde rovinosamente a terra, ma per intercessione del Santo usci miracolosamente illeso dalla caduta che poteva rivelarsi mortale. Per ricordare tale evento e per ringraziamento venne eretto, appunto l’ex voto. Con San Pancrazio parliamo anche dei Santi di ghiaccio. La locuzione curiosa mi è stata data da Mario appresa da un suo amico che è venuto a trovarlo dalla lontana Trieste, e allora vi spiego il perché? Con la primavera che entra nel pieno del suo vigore, le giornate si allungano e le temperature salgono, l’inverno per molti sembra oramai un ricordo lontano. Ma esiste una tradizione, che fonda la sua storia in secoli e secoli di osservazioni dei contadini, che ci ricorda come invece l’inverno, proprio in questo periodo possa fare la sua ricomparsa, in particolar modo sull’Europa centro settentrionale. Parlo appunto del periodo denominato “Santi di Ghiaccio”, ovvero quei giorni che solitamente vanno all’11 Maggio al 15 Maggio, in corrispondenza della sesta settimana dall’equinozio di primavera e, più precisamente nelle date dell’11,12, e il 13 maggio, giorni dedicati rispettivamente a San Mamerto, San Pancrazio e San Servazio, secondo alcune tradizioni si dovrebbe anche aggiungere il 15 maggio con San Bonifacio di Tarso. in questo periodo ogni anno si dovrebbe verificare un brusco abbassamento delle temperature, specie sull’Europa centro settentrionale. Il fenomeno, come molti altri fenomeni meteorologi citati nella cultura popolare, pare avesse tuttavia una sua validità soprattutto prima della riforma gregoriana del 1582 del calendario, riforma che ha spostato in avanti le date del vecchio calendario giuliano. Nonostante ciò, il fenomeno dei “santi di ghiaccio” è radicato nella cultura di vari Paesi, specie in quei Paesi del Nordeuropa di fede luterana, dove la riforma gregoriana è entrata in vigore solo nel Settecento. In Italia si considerano solitamente il 12, il m13 ed il 14 maggio, San Pancrazio, San Servazio e San Bonifacio di Tarso e solo parzialmente l’11 maggio, San Mamerto. Invece nella Germania meridionale, Svizzera ed Ungheria, anche il 15 maggio giorno dedicato a Santa Sofia di Roma, chiama in tedesco: “die kalte Sophie”, ovvero “la fredda Sofia. Come si vede le date di inizio e fine del fenomeno variano da zona a zona: i “santi di ghiaccio” vengono infatti solitamente indicati in numero di tre, considerando solamente l’11,il 12 ed il 13 oppure il 12, 13 ed il14 maggio, in croato si parla di ledeni sveci, santi di ghiaccio, in francese di Saints de glace, santi di ghiaccio, in inglese di Ice Saints, santi di/del ghiaccio, o di Frost Saints, santi del freddo, in tedesco di Eisheiligen, santi del ghiaccio, o di drei Gestrenge, tre rigidi e così via in altre lingue europee. Questo fenomeno ha ispirato una poesia popolare in dialetto triestino intitolata “I tre santi de iazo” e scritta da un certo Argimiro Savini, presumo conosciuta dall’amico triestino di Mario. L’ex voto in questione è perfettamente conservato e mantenuto da Mario e Domenica gli attuali proprietari a testimonianza semplice e concreta della fede dei nostri avi. Detta in parole povere, la religiosità che è dentro questo pilone sul muro, costruito come ex voto non è una cosa così semplice, popolare, come superficialmente si può credere, ma c’è tutto un retaggio di pensieri e di cose, rappresentano il tessuto sociale delle nostre radici, un tessuto semplice ma concreto che ci permette di vivere gli agi della vita attuale. Dall’alto del muro S. Pancrazio ci ricorda, come ricordava ai viandanti che passavano attraverso quella strada denominata la vigna, per e verso Favria, ricca di vigneti ed alberi da frutta agli inizi del novecento, la perpetua riconoscenza della famiglia Tarizzo verso il Santo invocato per il miracoloso evento.
Favria, 24.10.2015 Giorgio Cortese

Se la bellezza è gradita agli occhi, è la dolcezza nella vita che affascina l’animo.

Fratelli coltelli! Intifada 3.0
Oggi hanno poco da perdere i giovani palestinesi, disoccupati in massa e così, si è arrivati alla terza intifada o intifada 3.0 con lancio di pietre, coltelli e facebook. Una nuova generazione di palestinesi quella che sta guidando la rivolta di queste settimane, che dalla Città Santa via via è dilagata prima nei Territori palestinesi occupati, poi nella stessa terra d’Israele. Questi ragazzi sono troppo giovani per sapere quali tragedie portò con sé l’ultima Intifada, ma hanno perso la speranza di ottenere uno Stato con i negoziati, diffidano dei loro leader politici e sono convinti che Israele capisca solo il linguaggio della forza. La diffusione poi sui social network palestinesi dei video degli scontri e degli attacchi con il coltello, esalta questi ragazzi, facendone dei volontari pronti per la prima linea. Nell’era degli smartphone i video dell’attacco on-line qualche minuto più tardi si diffondono rapidamente creando un grande eco mediatico che contatto dopo contatto mediatico si ingigantisce. E gli israeliani non da meno buttano benzina sul fuoco come l’invito del sindaco di Gerusalemme ai cittadini ebrei di non uscire disarmati. Certo la Spianata sorge sul luogo del Sacrificio di Isacco, vi sorgeva il Tempio ebraico e Gesù vi predicò più volte, operandovi anche parecchi miracoli. Ebbene, ebrei e cristiani non hanno più diritto di pregare in quel luogo da quando il califfo Omar la prese nell’VIII secolo. Al Quds, “la santa”, è il terzo, per importanza, luogo sacro islamico dopo La Mecca e Medina. Dicono che Maometto vi sia salito al cielo dopo un volo notturno. Una tradizione orale, insomma. Le altre due fedi abramitiche si appoggiano non su racconti, ma su storia e archeologia. Storicamente la Spianata risale ai tempi di re Salomone, che nel 968 a.C. livellò la cima del monte Moria, dove Abramo, patriarca venerato da tutte e tre le religioni, provò a sacrificare suo figlio Isacco, per costruire il Tempio. Nel 586 a.C., quattro secoli dopo, il babilonese Nabucodonosor lo distrusse. Nel 515 a.C., col permesso del persiano Ciro il Grande, gli ebrei poterono ricostruirlo. Nel 37 a.C. Erode il Grande, pure lui, cominciò i lavori che dovevano farne una delle sette meraviglie del mondo antico. Terminato dopo la morte di Gesù, non durò che sette anni perché nel 70 d.C. venne raso al suolo dai Romani. Non fu più possibile una terza ricostruzione perché, sotto Adriano, Gerusalemme divenne la colonia romana Aelia Capitolina, con divieto agli ebrei di rimetterci piede, pena la morte. Nel IV secolo Giuliano l’Apostata permise i lavori, ma ogni tentativo di sbancamento era impedito da esplosioni di gas del sottosuolo. Poi, la storia via via bizantina, persiana, araba, crociata, turca della Palestina rese impensabile la sola idea. Nel 1948 il nuovo Stato israeliano annesse Gerusalemme Ovest, cui aggiunse nel 1967 la parte Est. Ma dovette concordare con la Giordania, detentrice del patronato sulle due grandi Moschee, uno “status quo” che interdiceva ai non musulmani gli atti di culto nella Spianata. E non solo questi, visto che la seconda Intifada, nel 2000, scoppiò per una semplice passeggiata in loco dell’allora premier israeliano Arile Sharon. Ogni tanto qualche gruppo di pii ebrei esegue la cerimonia della “pietra angolare”, una pietra non squadrata da scalpelli metallici che, accompagnata da musicanti, viene portata su un carro di buoi da fuori le mura alla piscina di Siloe, dove è aspersa con quell’acqua. Ma di utilizzarla per la sospirata ricostruzione del Tempio non se ne parla, perché se la processione fosse avvistata nella Spianata scorrerebbe il sangue. Ma la terza intifada è il futuro dei pelestinesie e degli israeliani? La situazione economica della Palestina è da anni gravissima e potrebbe causare nuove tensioni: a Gaza ci sono ancora molti problemi in seguito alla guerra combattuta nell’estate dell’anno scorso e di recente il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto il 60 per cento. Secondo stime di analisti economici l’economia palestinese si restringerà per il terzo anno di fila. I palestinesi sono anche generalmente insoddisfatti del proprio governo, che non viene sottoposto a un’elezione da dieci anni, e per come sta gestendo i propri rapporti con Israele e allora ritengono che la lotta armata sia la sola soluzione per uscire dalla disperazione economica. Una spirale da cui si esce con il dialogo e con il fare concretamente delle scelte che consentano un miglioramento delle condizioni economiche ma forse è più facile nascondersi dietro alla “religione”ed incitare alla reciproca violenza, senza domandarsi che le tre fedi monoteiste hanno in comune il rispetto per gli altri esseri umani perchè Dio comunque si chiami è amore non guerra e violenza!
Favria, 25.10.2015 Giorgio Cortese

Bisognerebbe proprio ripartire ogni giorno della vita dall’ABC: Abbracci Baci e Coccole. Solo così la vita acquista di tenerezza che è la passione tranquilla.

Da laringe a lurcone
La laringe, deriva da una parola greca con il significato di gola ed in anatomia è il condotto aereo situato nella parte mediana del collo, anteriormente alla trachea, che consente il passaggio dell’aria e rappresenta l’organo fondamentale per emettere suoni e per parlare. Da questa parola deriva anche il lemma lurco e lurcone, dal latino lurco con il significato letterario di ghiottone, mangione ingordo, epiteto dato da Dante ai Tedeschi: E come là tra li Tedeschi lurchi NELLA Divina Commedia, Inferno XVII, 21, ed è e rimasto poi nell’uso, anche Carducci scriveva: “La primavera in fior mena tedeschi Pur come d’uso. Fanno pasqua i lurchi Ne le lor tane, e poi calano a valle”. Penso che siamo tutti dei lurconi non solo nel cibo ma anche nel leggere e personalmente anche nello scrivere. Già in Grecia, in tempi remoti c’erano medici che consigliavano la scrittura come forma di autoterapia e e lo testimoniano i testi di diversi antichi filosofi. Penso che chiunque abbia provato a tenere un diario, magari in un momento particolare della propria vita, probabilmente si è sentito avvolgere da un sentimento di quiete, di ordine interiore e si è convinto, se non proprio del potere curativo dell’autobiografia, almeno della sua utilità o del piacere che porta. Personalmente ritengo lo scrivere ed il leggere importante alla bellezza del vivere bene
Favria, 26.10.2015 Giorgio Cortese

Ogni giorno leggo e poi scrivo pe ril piacere di scrivere.

Quandoque bonus dormitat Homerus. traduzione: A volte anche il grande Omero sonnecchia. Orazio, Ars poetica

Da wrakjo a garzone
Presso i Franchi il giovane guerriero veniva chiamato wrakjo, lemma che deriva dall’antico tedesco war, guerra e sohn, figlio, ovvero ragazzo addetto alle armi. Da li è passato al francese con garçon, poi traslato in italiano in garzone, che una volta indicava un lavoratore addetto alle forme più semplici di lavoro, il garzone dell’oste, del lattaio, del fornaio; garzone di stalla. Nel linguaggio marinaresco, garzone di bordo, sinonimo. non più in uso di mozzo. Nelle campagne, in Toscana, uomo assunto per aiuto nel lavoro dei campi. Pensate che esiste anche il femminile, garzona. Per completezza nel Mezzogiorno si usa il termine guaglione, forse di origine onomatopeica, o forse dal latino. ganeonis “crapulone”. Ma questa è un’altra parola
Favria, 27.10.2015

Scrivere è la mia quotidiana una malattia, vi chiedo pertanto comprensione

Dalla caduta delle vocali alle emoticon
L’espressione di riffa e di raffa deriva da riffa che vuole dire lotteria, lemma che deriva dalla parola spagnola rifa, raffa invece deriva da raffare a sua volta deriva da arraffare. La perdita della vocale iniziale ed alcune consonanti non è nuova nella lingua italiana basti pensare a dall’origine della parola scuro che deriva da oscuro dal latino obscurum. Oppure la parola rena, sabbia, che deriva da harenam, arena, oppure usignolo che deriva da lusciniolum. Ma oggi la deriva del tagliare le parole correre sempre più in fretta con sigle come “br” per indicare beer, ma invece che alla a birra penso subito al freddo. Da qui si passa all’emoticon, e qui torniamo ai geroglifici. Le emoticon o smiley, o smile, in italiano faccina sono riproduzioni stilizzate di quelle principali espressioni facciali umane che esprimono un’ emozione, sorriso, broncio, ghigno. Vengono utilizzate prevalentemente su internet e negli sms, per aggiungere componenti extra- verbali alla comunicazione scritta. In effetti, per antonomasia esse spesso hanno un connotato esclusivamente informatico. Quando l’emoticon è rappresentata attraverso un insieme di segni primitivi o estremamente stilizzati . Il nome nasce dall’accostamento delle parole “emotion” e “icon” e sta ad indicare proprio un’icona che esprime emozioni. La nascita delle prime emoticon è molto controversa. La prima in assoluto pare essere stata usata il 12 aprile 1979 con un trattino preceduto da una parentesi chiusa, cioè “)-“) per indicare una linguaccia ma la proposta fu criticata dai più. Oggi vengono usate e ritengo che ci sia una connessione tra le antiche forme di scrittura, come i geroglifici Egizi e la scrittura cuneiforme dei Sumeri e l’attuale comunicazione elettronica di immagini testuali formate dalla combinazione di lettere, numeri e simboli prodotti da una testiera
Favria 28.10.2015 Giorgio Cortese

Nella vita certi giorni penso che sia simile ad un arciere e che non devo colpire il bersaglio, la mia quotidiana meta, di quando in quando, ma devo cercare di sbagliare il meno possibile. Raggiungere la meta non è mai un caso, è sempre il risultato di uno sforzo intelligente, usando sempre come carburante la fiducia in me stesso che mi genera anche felicità