Piccoli atti periodici di quotidiana bontà -Pagare il fio e lo scotto!- Coltivare la cultura -Scripta manent: 24 agosto 1862 -Rilassarsi – Piscis primum a capite foetet!- Battaglia di Anghiari.- Canarini che passione! di Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno solo una cosa rende impossibile un sogno, la paura di fallire! La paura ci fa prigionieri, solo la speranza unita alla passione e alla perseveranza ci rende liberi

Piccoli atti periodici di quotidiana bontà
Venerdì 14 agosto a Favria, si è rinnovato un piccolo gesto di bontà, che si rinnova periodicamente nell’anno e che, nella sua semplicità, è sinonimo di salute e benessere verso noi stessi, e di salvezza nei confronti di chi ha bisogno. É la donazione di sangue, di oggi ha coinvolto 45 donatori attivi, 5 nuovi candidati donatori, almeno una decina di candidati non ritenuti idonei per vario motivo, il Direttivo sempre presente e laborioso e l’indispensabile ausilio della equipe medica nella raccolta del prezioso liquido. Il Gruppo Comunale L. Tarizzo- D. Chiarabaglio di Favria è ormai al 27 anno di attività a Favria, una presenza aspetto fondamentale nella Comunità, un circuito sociale e solidale che si fortifica sempre di più grazie ai tantissimi volontari che scelgono con coscienza e responsabilità di salvare la propria e l’altrui vita, donando un po’ di se stessi. C’è chi lo fa da anni, chi invece è ancora timoroso per via dell’ago, di quella piccola puntura che significa la vita. Nei volti di chi dona si scorgono i visi sorridenti di chi sacrifica con gioia gli impegni lavorativi, familiari e personali di un venerdì mattina ante vigilia della ricorrenza di Ferragosto. Nei loro sguardi, si scorge l’occhio felice di chi è consapevole di quanto grande sia il regalo che sta per fare, e di quanto importante sia la scelta di donare anche per farsi controllare. Un’esperienza che può davvero cambiare la vita, e che comincia con l’accoglienza del donatore e con la compilazione di un apposito modulo: stato di salute, malattie allergiche o autoimmuni, terapie farmacologiche o ingestione di farmaci, stile di vita sano e regolare, ma anche gravidanze e viaggi all’estero, sono tutti requisiti che il donatore deve comunicare e specificare nella sua scheda per la valutazione da parte dei dottori dell’equipe medica. Un passaggio necessario, a cui tutti i donatori devono sottoporsi prima di recarsi nella sala dei prelievi: ed è proprio qui che paura e timori, ansie da ago e agitazioni scompaiono perché lasciano il posto alla gioia della donazione, a quell’emozione forte e allo stesso tempo consapevole di voler fare qualcosa per il prossimo. Una grande famiglia allargata, quella del volontariato della Fidas di Favria, che periodicamente si ritrova per dare il proprio tempo, il proprio sostegno, la propria disponibilità per costruire insieme alla comunità dei volontari un percorso di crescita e di responsabilità sociale. Il calore umano e la familiarità si respirano non solo tra i donatori, ma anche tra i volontari del Direttivo del Gruppo Fidas, tra soci e amici, parenti, vicini e lontani, colleghi e semplici sostenitori che però contribuiscono, ognuno a proprio modo, a rendere la donazione il gesto più bello. Un’azione che, tuttavia, non tutti possono fare: tra i requisiti fondamentali che i donatori devono avere, ci sono sia quello dell’età, che deve essere compresa tra i 18 e i 65 anni circa, sia quello del peso, che per le donne non deve essere inferiore a 50 kg. Importante, per chi vuole donare, è l’attenersi ad uno stile di vita sano, nonché ad una alimentazione controllata soprattutto nelle ore che precedono la donazione: è fondamentale, da questo punto di vista, evitare i cibi troppo pesanti, una leggera colazione la mattina del prelievo e soprattutto bere molta acqua, sia prima che dopo la donazione. Dopo il primo prelievo per l’emocromo, effettuato dal medico, il donatore viene poi valutato e dichiarato idoneo a poter donare. Ma, così come per le regole da seguire prima della donazione, è importante altresì seguire alcuni consigli post donazione, come quello di non fumare e di non bere alcolici, di non consumare pasti abbondanti e di non fare attività fisica intensa. Semplici ed efficaci principi che aiutano il donatore a riprendere il suo normale stile di vita, che sarà rinforzato proprio dalla donazione: una delle risorse del prelievo sta proprio nella capacità di poter rigenerare il sangue e giovare così all’organismo e al suo funzionamento. Un beneficio davvero importante, soprattutto per i giovani, che tramite la donazione contribuirebbero anche alla prevenzione e al controllo verso determinate patologie, che con le analisi gratuite sarebbero subitamente individuate. A coloro che terminano la donazione, non resta che approfittare della ricca e abbondante colazione preparata dai volontari del Direttivo Fidas, panini di pane salame, di formaggio e di acciughe. Un grazie sincero ai 45 donatori di oggi, ai cinque nuovi candidati donatori ed ai 74 donatori che nel mese di luglio tra sangue intero, piastrine plasma hanno donato il prezioso liquido che porta la vita. Tra luglio ed agosto a Favria si sono raccolte 110 sacche di sangue con circa 14 candidati donatori , risultati che mi fanno riflettere che solo così possiamo continuare a tessere tutti insieme quella rete di solidarietà e di volontariato che può contribuire a regalare una speranza a noi e agli altri.
Favria, 21.08.2015 Giorgio Cortese

La paura è la cosa di cui ho più paura. I paurosi vedono i pericoli anche dove non ce ne sono. Ma è anche vero che la paura non ha mai portato nessuno alla vetta. E allora ogni giorno cerco di dire ciò che penso, almeno il vile pauroso mi scansa.

Pagare il fio e lo scotto!
Il modo di dire pagare il fio e lo scotto, queste due espressioni quasi simili usate quando si si vuole mettere in evidenza il castigo o la pena dovuta per rimediare a una colpa o a un comportamento non certo irreprensibile? Fio, dal francese antico “fieu”, feudo e per estensione ‘tassa’, era il tributo che i vassalli dovevano pagare al padrone-signore. Scotto deriva dal franco “skot”, tassa, era il prezzo da pagare dopo aver mangiato e alloggiato in una locanda. Con il trascorrere del tempo i due termini hanno acquisito il significato di “pena”, “castigo”
Favria, 22.08.2015 Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno i sogni e le speranze esistono per accogliere le emozioni una dopo l’altra. E allora con tenacia e pazienza mi aggrappo al cielo per raggiungere le mie speranze.

Coltivare la cultura
Il lemma coltivare deriva dal latino medievale cultivare, con il significato di coltivare, non solo un terreno, delle piante ma anche esercitare un’attività, dedicarvisi: c. la pastorizia, la pésca, gli studî, le scienze, la musica, un’arte, gli affari, ma la propria educazione, la propria cultura. E qui arriviamo al lemma cultura dal latino cultura, che deriva dal verbo latino colere, coltivare, attraverso il tedesco Kultur .sulla parola “cultura”, basterebbe l’etimologia a restituirci il senso più profondo di questa bistrattata parola. Invece, nel tempo, ne abbiamo fatto uso e abuso, l’abbiamo snaturata e piegata alle nostre più variegate esigenze, abbiamo tentato di restringerne o espanderne il significato, a seconda delle discipline, delle stagioni e delle mode. In che senso la utilizziamo oggi? Cosa la si intende veramente, quando la riempiamo come un contenitore porta-tutto? Di cosa la riempiamo davvero? La vogliamo inclusiva, la vogliamo esclusiva? Evitando di tornare sulle molteplici definizioni che ogni ambito disciplinare ha avanzato nel corso dei secoli, preferirei soffermarmi sulla sup significato originario. Se coltivare la terra richiede cura, attesa, pazienza, presenza, costanza, inventiva, laboriosità, genio, forza fisica e speranza. La logica interna del coltivatore, colui che coltiva, il campo o l’animo, non è monetaria, non è commerciale, non è guidata dalla ricerca del profitto. Ed è proprio in virtù della sua fuga dalla logica dare per avere, che il pensiero coltivato può sopravvivere, può permettersi di essere sovversivo, resistente, non addomesticato, insomma libero per evitare sempre il latente rischio che la cultura si riduca a merce di consumo, ad opera delle industrie culturali. Il mio sogno è che la proposta culturale non si riduca a una artificiale industria dell’intrattenimento, vorrei che il suo linguaggio non diventasse accattivante e ammiccante per calamitare l’attenzione di tutti noi. Vorrei che il visitatore-fruitore non si tramutasse in consumatore, cliente, acquirente. Non vottro questo, per evitare di diventare un consumatore effimero che necessita di gratificazioni istantanee e non sono impaziente di accedere al sapere come davanti a un distributore di bibite. Nella vita di ogni giorno non abbiamo mai, o sempre bisogno di “partecipare”, di dire cosa si pensa su tutto, e pretendere di essere anche ascoltati e soddisfatti. Ma a volte ci affidiamo a chi è più competente, in grado di conquistarmi intorno a qualcosa che non conosco. Delego uno specialista, in questo caso il curatore di una mostra o il direttore artistico di un museo, in altri casi il medico o l’idraulico, senza pretendere di imporre la mia voce anche quando non è competente né autorevole in materia. Poi certo, sono libero di ammirare e convenire oppure di dissentire e rilevare cosa non mi è piaciuto, e lo farò con la mia propria sensibilità o spirito critico, generando magari una dialettica interessante, ma non avrò necessità né urgenza di sentirmi sempre connesso, partecipe, cinguettante. Ecco perché vorrei che i musei come le esposizioni temporanee, ed ogni evento culturale fossero dei capisaldi contro il dilagante impoverimento culturale, invece di adeguarvisi. Non credo che sia l’arte a dover “andare incontro ai cittadini nel loro quotidiano”, bensì il contrario: i cittadini dovrebbero andare verso l’arte nel loro quotidiano. Insomma: non è il museo a doversi migliorare per avvicinarsi al pubblico, ma è il pubblico che deve migliorarsi per avvicinarsi al museo. E affinché questo avvenga, sarà necessario un lavoro alle fondamenta, non agli stucchi, al riguardo penso alla funzione importante della famiglia, della scuola e le Istituzioni, solo così manterremo vivo il passato e l’arte che c’è nei musei, un patrimonio umano che da soli come freddi edifici non sono in grado di farlo crescere
Favria 23.08.2015 Giorgio Cortese

Quando durante la giornata si agisce cresce il coraggio, quando si rimanda cresce la paura. Ma quando temporeggio cresce la paura negli avversari

Scripta manent: 24 agosto 1862
L’introduzione della lira italiana viene fatta risalire agli inizi dell’Ottocento, allorché venne usata come moneta circolante nel Regno d’Italia, che all’epoca era sotto il controllo della Francia napoleonica e comprendeva buona parte dell’Italia centro-settentrionale. Con la caduta di Napoleone e del Regno d’Italia, 1814, la lira continuò a circolare solo nel Ducato di Parma. Compiuta la riunificazione dell’Italia (17 marzo 1861), la lira tornò ad essere la moneta italiana. Ma è a partire dal 24 agosto 1862 che la lira ebbe corso legale e sostituì tutte le altre monete circolanti nei vari stati pre-unitari. A cominciare dal 1° gennaio 1999 per tutte le forme di pagamento non fisiche come i trasferimenti elettronici, i titoli di credito, al posto della lira fu introdotto l’euro. Dal 1° gennaio 2002 l’euro iniziò a essere utilizzato, a fianco della lira, anche nei pagamenti in contanti; pertanto i pagamenti in contanti potevano essere effettuati indifferentemente in euro o in lire. Il 1° marzo 2002 le monete e le banconote in lire furono ritirate dalla circolazione; tuttavia esse potevano essere cambiate in euro presso le banche. La lira italiana è andata in pensione il 7 dicembre 2011, giorno a partire dal quale le banconote e le monete in lira non possono più essere cambiate nemmeno presso le filiali della Banca d’Italia.
Favria, 24.08.2015 Giorgio Cortese

Con la quotidiana speranza nascono due emozioni, lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, ma poi il coraggio per cambiarle davvero anche con il personale comportamento.

Rilassarsi
“Il sapersi rilassare e la semplicità onorano straordinariamente e convengono a un animo forte e generoso… Quando lavoro, lavoro; quando dormo, dormo; e quando passeggio da solo in un bel giardino, riconduco i miei pensieri alla passeggiata, al giardino, alla dolcezza di quella solitudine e a me stesso” Montaigne (1533-1592). Giovedì sera sono stato a cena con dei colleghi di lavoro, GianLuigi, Martina, Irene, Paolo, GianLuca, Daniel, Luigi, Davide e Mauro. Ho assaporato quell’arte che è il rilassarsi, il sostare, il saper agire pacatamente e coscientemente. I nostri tempi sono, invece, scanditi da una frase emblematica: “Scusami, ma devo scappare!”. Non ci prendiamo più il tempo per vivere ma solo per lavorare e logorarci, spesso piombando nella depressione e finendo tra le braccia di interminabili cure psicologiche. Uno scrittore ha affermato che ormai noi siamo costretti nella “stretta penisola del tempo”, divenuta simile a un formicaio agitato. Ecco un ora sola di pausa, una piccola cosa mi ha permesso di assaporare la serenità e di godimento. Grazie per il momentaneo antidoto al delirio del fare, alla smania dell’agitarsi, per riscoprire l’essere e l’esistere al Ristorante LA TERRAZZA da HUGO a Rivarolo C.se-TO. Corso Re Arduino 87 T 0124 425140. Un ambiente curato e con un’atmosfera famigliare dove si trova quella spontanea genuinità di ricette tradizionali, realizzate con una selezione di ingredienti stagionali e locali, di qualità garantita. Oltre alla buone pizze sono superbi i piatti a base di pesce e di carne con la la tipica Entrecote di Angus Argentino, il tutto a prezzo contenuto e con un ottimo servizio, insomma un locale da provare e che consiglio vivamente di provare.
Favria, 25.08.2015 Giorgio Cortese

La porta della felicità è sempre lì, e aspetta solo di essere aperta. Ogni momento è buono, basta trovare la chiave giusta che ci permette di varcare quella soglia. ? La felicità la trovo nelle piccole cose, quelle che quotidianamente mi faccio passare in maniera indifferente sotto gli occhi.

Piscis primum a capite foetet!
Il detto in latino di Erasmo da Rotterdam “Piscis primum a capite foetet” o se preferite la versione che Giovanni Verga mise in bocca a don Franco in riferimento a padron ‘Ntoni: “Il pesce puzza dalla testa” forse rende bene l’attuale situazione sociale ed economica a tutti i livelli. Certo prendersela con la testa, con chi comanda a tutti i livelli, è facile. Dare la colpa agli altri semplice, in questi giorni d’estate un caro amico mi ha raccontato questa storiella di quattro persone chiamate Ognuno, Qualcuno, Ciascuno, Nessuno. C’era un lavoro urgente da fare e Ognuno era sicuro che Qualcuno lo avrebbe fatto. Ciascuno avrebbe potuto farlo, ma Nessuno lo fece. Finì che Ciascuno incolpò Qualcuno perché Nessuno fece ciò che Ognuno avrebbe potuto fare. Questa semplice storiella mi ricorda qual è la malattia dell’attuale società del tutto e subito, lo “scaricabarile”, l’inerzia, l’indifferenza, il ricorso all’alibi per sottrarsi a un impegno personale, destinato a creare un beneficio anche per gli altri. Il dare sempre la colpa a qualcuno se tutto va male, il giocare sull’attuale insicurezza sociale cavalcando l’isteria della paura dello straniero, per una manciata di voti, verso i migranti che premono sempre di più alle frontiere e che nessun muro, vallo o barriera può fermare, i romani con i “limes” non erano già riusciti 1.500 anni fa! Forse il problema può essere risolto fermando le guerre che ingrassano i costruttori di armi. Il gridare che tutto va male e poi con cinismo disfarsi durante il periodo estivo del cane o del gatto, perché sono divenuti un ingombro per il periodo vacanziero e magari cogliendo l’occasione propizia per parcheggiare gli anziani un case di riposo. Ecco lo specchio fedele della nostra società che emerge dalla noncuranza, trascuratezza, negligenza, disinteresse che alla fine corrompono e minano la stessa democrazia conquistata con il sacricio della vita di tante persone. La negligenza che sporca le nostre Comunità, l’ignavia che sporca le nostre città, che permette di inquinare e costruire dove non si doveva costruire lungo gli argini dei fiumi, poi la prima bomba d’acqua porta a delle tragedie umane ed economiche. Siamo sempre tutti pronti ad essere iper-esigenti sui nostri diritti, vomitando insulti di fronte alla più piccola difficoltà o contrarietà. Ma di fronte ai propri doveri battiamo in ritiratasi avanzando ogni genere di scusa. Oggi nella società globalizzata è sempre attuale quello che affermava lo scrittore inglese Oscar Wilde: “il dovere è quello che ci aspettiamo dagli altri”. Se non superiamo il personale egoismo ottuso che scardina il tessuto della convivenza, dobbiamo ragionare, dunque, il “fare come se” per ritrovare la responsabilità la responsabilità dell’essere tutti un “Ognuno” con un compito, prima di diventare tutti un vuoto e inerte “Nessuno”, solo così “il pesce non puzzerà più dalla testa”, perché la “testa” è nell’Ognuno di noi!
Favria, 26.08.2015 Giorgio Cortese

Le persone che calpestano i propri sogni non potranno di certo vivere l’alba del proprio domani.

Battaglia di Anghiari.
Mi parlava l’amico Sergio di Anghiari, un paese della Toscana, dove prossimamente andranno gli alpini di Favria in gita. Anghiari è famosa per essere stata teatro della Battaglia combattuta Mercoledì 29 Giugno dell’anno 1440 tra i Fiorentini, vincitori, guidati da Michelotto Attendolo e Giampaolo Orsini ed i Milanesi, condotti da Niccolò Piccinino. La battaglia viene così ironicamente ricordata dal Machiavelli: “Ed in tanta rotta e in si lunga zuffa che durò dalle venti alle ventiquattro ore, non vi morì che un uomo, il quale non di ferite ne d’altro virtuoso colpo, ma caduto da cavallo e calpesto spirò”.
Ma, ricorda Piero Bargellini che se il bilancio guerresco risultava così modesto, non altrettanto scarso fu il bilancio politico della Battaglia d’Anghiari; infatti, il Machiavelli sottolinea, questa volta con maggior senso storico, che “…la vittoria fu molto più utile per la Toscana che dannosa per il duca (di Milano), perché se i Fiorentini perdevano la giornata, la Toscana era sua; e perdendo quello, non perdè altro che le armi e i cavalli del suo esercito, i quali con non molti danari La battaglia sarebbe stata sicuramente dimenticata dalla storia se i Magistrati di Firenze, per decorare le sale di Palazzo Vecchio con pitture che ricordassero le principali imprese della Repubblica, non avessero affidato a Leonardo da Vinci, il compito di dipingerla. Una volta elaborati i cartoni, fu tradotta in parete la parte mediana, cioè il combattimento intorno alla bandiere
Danneggiato da un artificioso processo di essiccamento, il dipinto, incompiuto, andò distrutto per far posto alle decorazioni del Vasari. I celebri disegni di Leonardo che, come afferma il Cellini, furono la “scuola del mondo”, sono andati perduti e ne rimane testimonianza attraverso quelli del Rubens, oggi al Louvre di Parigi, ed un’opera, datata intorno al 1470 ed attribuita al pittore Biagio di Antonio della scuola di Paolo Uccello che si trova oggi alla National Gallery of Ireland di Dublino
Favria 27.08.2015 Giorgio Cortese

Oggi vogliono solo somministrare divertimento e non la cultura

Canarini che passione!
Il sentire il canto dei canarini mi dono sempre felicità nell’animo. I canarini sono allevati da secoli, da circa cinquecento anni, oltre che per la bellezza del loro piumaggio anche per la melodiosità del loro canto. In natura i canarini cantano principalmente nella stagione degli amori per conquistare le femmine, ma, in cattività possono cantare tutto l’anno. Solo i canarini maschi sono capaci di riprodurre suoni e melodie, mentre, le femmine si limitano a emettere cinguettii simili a un trillo. I canarini da canto sono molto ricercati e vengono selezionati attraverso una lunga e complessa ricerca. Il canto dei canarini non è una caratteristica innata, ma, è il frutto di un duro e delicato lavoro di addestramento compiuto da allevatori professionisti. Il canto dei canarini non è mai uguale, ma, si differenzia da soggetto a soggetto, anche se le melodie standard sono le stesse per tutti i cantori. Innata viceversa è la capacità di cantare e di riprodurre suoni e melodie. Non è raro, infatti, che i canarini riproducano i versi e le melodie di altri uccelli ascoltati durante le prime settimane di vita. Il canto dei canarini selvatici si differenzia da quello dei canarini domestici per una maggiore melodiosità e per la presenza di suoni metallici e acuti. I canarini domestici, invece, se bene addestrati possono riprodurre vere e proprie melodie. Gli importatori originari del Canarino in Europa furono gli Spagnoli, conquistatori delle Isole Canarie, i quali li vendevano in tutta Europa, badando però di vendere se possibile solo maschi, in modo da poterne continuare a detenere il monopolio, in questa specie oltretutto solamente i maschi cantano. I Canarini erano già allevati in cattività nelle isole Canarie dalle popolazioni originarie, i Guanci, anche prima della conquista europea. Una leggenda, riporta il fatto che un veliero abbia fatto naufragio presso l’Isola d’Elba, lungo la costa toscana, verso il 1550, e che i canarini, trasportati proprio su quel veliero in gran numero, siano approdati all’isola citata, adattandovisi. I locali, catturandoli e moltiplicandoli, diedero vita ad un florido commercio che mise fine al monopolio spagnolo. Infatti, oltre che nella Penisola Italiana, i discendenti di questi canarini furono venduti anche in Tirolo, in Svizzera ed in Germania. Secondo altre fonti i primi canarini furono importati in Europa solo nel XVI secolo dall’inglese Walter Raleigh, si proprio lui quello che sconfisse l’invincibile armada spagnola, che, tornando da un viaggio alle Canarie, nel 1580 ne portò alcuni, in una gabbia di fili d’oro, in regalo alla regina Elisabetta. La sovrana dapprima non fu entusiasta di questi volatili a causa del modesto piumaggio, ma dopo averli sentiti cantare ne rimase conquistata. Da quel momento i canarini divennero i suoi animali favoriti. Si dice an¬che ch’ella rimase in seguito molto stupita del fatto che le piume di questi uccelletti andassero cambiandosi, nidiata dopo nidiata, anno dopo anno, assumendo una tinta giallo pallida al posto di quella verde-grigia originale. Si gridò al miracolo e Shakespeare in uno dei suoi poemi la allusione a questa trasformazione “do¬vuta agli sguardi di una sovrana più potente per produrre dell’ oro che il sole dell’Atlantico”. La regina Elisabetta dopo questo fatto amò ancor di più i suoi canarini, ne prese cura speciale, distribuendone ogni tanto qualche coppia ai suoi favoriti, i quali si disputavano questo ambito segno di benevolenza regale. Tornando al processo di diffusione del canarino in Europa, bisogna dire che dopo gli Spagnoli e gli Italiani, furono i Tede¬schi a divenirne i maggiori produttori, dando vita ad un florido commercio che durò con crescenti fortune dalla metà del XV secolo ai primi decenni del XIX secolo. I principali centri d’allevamento si trovavano nella Germania meridionale e nell’alto Tirolo, donde negozianti girovaghi partivano per recarsi nelle va¬rie nazioni europee a vendere i loro canarini, raggiungendo ance la Svezia, la Russia, la Turchia e l’Egitto. Il canarino scendeva nelle miniere con i minatori, nelle prime miniere di carbone non avevano sistemi di ventilazione. I minatori portavano nei nuovi antri delle miniere un canarino dentro una gabbietta. I canarini sono particolarmente sensibili al metano e al monossido di carbone, il che li rendeva perfetti per rivelare la presenza di gas pericolosi. Fino a che sentivano il canto del canarino potevano esser sicuri che l’aria fosse sicura. La morte del canarino segnalava invece l’immediata evacuazione. Pensate che a Londra nel 2004 è stato inaugurato il monumento agli animali in guerra, a Brook Gate, su Park Lane, una delle grandi vie che costeggiano Hyde Park, per commemorare i tanti animali che gli esseri umani hanno trascinato con sé nella barbarie in guerra. Cavalli, muli, cani, elefanti, cammelli, piccioni ed i canarini quali rivelatori di gas. Nel monumenti vengono anche ricordate le lucciole, perché durante la Prima Guerra Mondiale nelle trincee si usavano le lucciole come fonti di luce. Ricordando i canarini che da ragazzo ho avuto e di quelli che sento d’estate con le finestre aperte mi viene da pensare che si sono in gabbia, ma i canarini sono speciali danno sempre allegria nel vedere la canarina nel nido che cova, sempre attenta le uova della feconda nidiata. Mi ricordo che mio papà ai canarini gialli, le forniva di una particolare alimentazione, prima e durante la muta, per trasformarli in arancione, ed io provavo ogni volta sincera meraviglia per questa metamorfosi. Mi ricordo ancora la gioia che provavamo nel sentire il maschio, dalla vigna vicino a casa, che nell’ugola trovava trilli, gorgheggi, e mi pare che cantava alla canarina, una spensierata serenata. Ma allora se noi esseri umani se con immutato stupore abbiamo la fortuna di osservare questa famigliola quante cose potremmo imparare dalla natura, un’infinita scuola anche per noi!
Favria, 28.08.2015 Giorgio Cortese