Res gestae favriesi: Communitas Inchoavit 1688, Perfecit 1717 – Latebra dell’animo -Il Carneade di turno – La sgargiante Fiera agricola – La misura del duello – Dalla gabbia al gabineto – Pan bianch e vin doss…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Res gestae favriesi: Communitas Inchoavit 1688, Perfecit 1717
Un concittadino mi ha fatto notare una domenica mattina di Marzo la lapide apposta sul basamento del campanile di Favria, frase che trascrivo: “Communitas Inchoavit 1688, Perfecit 1717”. La lapide fu posta li dai favriot appunto, per ricordare che nel 1688 era iniziata la costruzione del campanile, che si eleva per circa 50 metri, e la fine della sua costruzione nel 1717, trecento anni fa! Pensiamo un attimo alla fatica con la rozza tecnologia dell’epoca nell’edificate un così bello manufatto, dotato di una ricchezza e prerogativa unica tra tutte le torri campanarie del Canavese. Il campanile di Favria è equipaggiato con un carillon di sette campane intonate in re maggiore, ed ogni campana ha una sua iscrizione o motto ed il riferimento da chi è stata donata. Pensate che quando la torre campanaria fu inaugurata, il duca di Savoia era divenuto da pochi anni Re ed aveva assunto il dominio, per poco tempo, della Sicilia, gli verrà data dopo la Sardegna. Pensate con che giubilo allora i favriot del tempo festeggiarono con “fusette”, fuochi d’artificio, e grida di esultanza la fine dei lavori del Campanile che prima di essere un simbolo religioso è il simbolo della Comunità stessa, la rappresentazione tangibile che questo manufatto è stato edificato grazie alla unione e coesione degli abitanti di allora. Monito dopo trecento anni che da soli possiamo fare così poco, ma insieme possiamo fare così tanto. Mi auguro che questo avvenimento i trecento anni delle costruzione del campanile simbolo religioso per i favriesi credenti, simbolo civico di identità politica nel lavorare assieme per il bene della nostra Comunità per tutti non passi sotto l’assordante silenzio di non essere ricordato dalla Amministrazione Comunale. Sarebbe bello ricordarlo in occasione della Festa Patronale o quanto ritengono loro. Mi dispiacerebbe che l’anniversario dei trecento anni delle fine dei lavori passasse sotto silenzio, perdere l’ennesima opportunità di fare unione, coesione e senso di appartenenza alla Comunità dove viviamo. Ricordo a chi mi legge che nessuno di noi è un’isola, completo in se stesso, ma siamo tutti dei pezzi che contribuiamo a rende migliore il luogo dove siamo nati o dove abbiamo deciso di venire ad abitare: Favria!
Favria, 20.03.2017 Giorgio Cortese

La vita è un apprendimento continuo la continua gioia di imparare e anche di conoscermi

Latebra dell’animo
Latebra significa nascondiglio, luogo oscuro; recesso, profondità, deriva dal latino làtebra, nascondiglio, tana, derivato a sua volta da latere, da cui deriva la locuzione latina “a latere”, a fianco. Questa locuzione si usa nel linguaggio ecclesiastico e giuridico, legato a latere, legato pontificio, per lo più un cardinale, inviato dal papa per missioni straordinarie o come suo rappresentante in occasione di congressi eucaristici nazionali e internazionali, di consacrazioni di santuari e un giudice, consigliere a latere, magistrato che affianca il presidente di un Tribunale o di una Corte d’Assise. Per estensione, indica una persona che affianca un’altra in un ruolo di responsabilità. Tornando a latebra mi trovo davanti a un latinismo puro, capace di ammantare di grazia e ricercatezza la frase, ma in realtà, è piuttosto semplice. La latebra è il nascondiglio, la tana, il luogo oscuro, in cui, qualcosa si nasconde. Va detto che è spesso usato al plurale, quasi a indicare un insieme di recessi. Le latebre nel mio animo sono i ricordi felici, da cui Attingo nei momenti di smarrimento per trarre forza e ripartire con spirito positivo e che mi danni forza quando caso per rialzarmi
Favria 21.03.2017 Giorgio Cortese

Certe persone sono come i dadi… a seconda della situazione cambiano faccia!

Il Carneade di turno
Con Carneade, oggi si definisce il simbolo del perfetto sconosciuto, fu un filosofo greco vissuto attorno al 200 a.C.. Nato a Cirene e morto ad Atene, è considerato il maggior rappresentante della Media Accademia.. nei Promessi Sposi l’ottavo capitolo si apre con la celebre frase pronunziata da Don Abbondio: “Carneade! Chi era costui?” Questo passo del celebre romanzo storico ha successivamente contribuito ha far diventare il nome di Carneade sinonimo di sconosciuto, tanto da sentir dire spesso, a proposito di gente assolutamente non conosciuta “E’ un carneade!”. Manzoni in quel momento voleva sottolineare alcuni tratti della personalità di Don Abbondio. In particolare la superficialità della sua erudizione tanto che lo scrittore afferma: “ Bisogna sapere che don Abbondio si dilettava di leggere un pochino ogni giorno; e un curato suo vicino, che aveva un po’ di libreria, gli prestava un libro dopo l’altro, il primo che gli veniva alle mani. ”; il fatto che preso dallo spavento non riuscisse a ricordare un grande filosofo come Carneade mentre ne ricordava benissimo un altro quale Archimede, perché aveva fatto anche altre cose definite “curiose”. Gli studiosi affermano che Manzoni abbia a sua volta attinto a Sant’Agostino, Dialoghi, Contra Academicos,. L’ironia della sorte portò l’allora noto pensatore greco a divenire sinonimo di illustre sconosciuto. Oggi infatti essere un Carneade vuole dire essere una persona del tutto sconosciuto e noto solo a pochissimi.
Favria22.03.2017 Giorgio Cortese

La vita è una addizione, infatti solo se assommo una buona giornata più un’altra buona giornata il risultato è uguale una buona vita.

La sgargiante Fiera agricola
A Favria il 2 aprile avverrà come da tradizione la 41 fiera agricola. La manifestazione ispirata alla tradizione agricola ed è in onore di S.Isidoro detto l’agricoltore, protettore dei raccolti e delle attività rurali. Le strade della nostra Comunità si animeranno di visitatori e di concittadini. Quando penso alla parola fiera mi viene in mente sia la tradizionale mostra mercato, la parola deriva dal feria giorno di festa. Una volta questi giorni di festa erano elemento di unione delle Comunità e l’occasione, oltre che per celebrazioni e festeggiamenti, anche per organizzare grandi mercati. Col connotato che le fiere hanno ancora oggi, si trattava di mercati simili a mostre, che magari duravano anche diversi giorni, in cui concludere affari vantaggiosi e accordi economici per l’anno venturo. Così la ‘feria’ ha passato il suo nome a quel particolare mercato. Certo con il tempo la fiera è cambiata, si è spostata dal cventro del pese nel parco Bonaudo e nella zona adiacente, ma non è mutata la passione con cui i favriesi la vivono e accolgono migliaia di ospiti. La fiera a Favria è aggregazione e senso di comunità, e in essa Favria si sente più unita e si apre al pubblico condividendo le proprie tradizioni. Per la fiera ho usato nel titolo il termine sgargiante per indicare la vivacità ed anche la temperato confusione quando ci sono migliaia di persone e gli animali. Mi permetto dire che la parola sgargiante ben si adatta alle tradizione rurali perché deriva dall’antico francese criard, per le grida stridule dei venditori accorsi a centinaia alla fiera. Sgargiante ritengo che sia una parola che spiega bene quello che l’orecchio recepisce nel giorno delle fiera, le grida dei venditori che si sovrappongono alla vivacità dei discorsi delle persone con in sottofondo le comunicazioni dello speaker che nel pomeriggio commenta il cimento dei bovini nella bataille des reines, dove al mattino nello stesso campo si è tenuta la rassegna zootecnica. Preciso che la battaglia delle reines non è una corrida, ma un braccio di ferro una prova di forza incruenta tra due mucche, quello che fanno naturalmente sui pascoli per stabilire la supremazia. Insomma non è uno spettacolo cruento, infatti la parte spettacolare è il ruituale che precede il breve contro, cheè solo di forza tra i due animali. Come dicevo gli animali, precedentemente pesati per mettere delle avversarie dello stesso peso, si studiano e scavano nel campo, si avvicinano e continuano a studiarsi. Poi una delle due parte e con la testa cerca di spingere via l’altra, più sono in parità, più il “combattimento” può durare a lungo, ma non si tratta di una lotta, piuttosto di una prova di resistenza. Niente viene indotto dagli esseri umani e l’unica cosa che viene fatta è mettere le due “contendenti” una accanto all’altra. Insomma una festa dentro la fiera dove si incontrano allevatori e appassionati a vedere, in un campo di gara, ciò che gli animali fanno naturalmente in natura. Gli animali sono tutto, meno che maltrattati, anzi questi animali sono vezzeggiati dai loro padroni molto più che gli altri animali che hanno nelle stalle. In conclusione ringrazio come Favriese il Comitato Organizzatore. La Coldiretti e tutti coloro che a vario titolo si sono dati da fare e saranno impegnati per consentire lo svolgimento della Fiera di S.Isidoro ci faranno trascorrere momenti lieti e di portare a casa un po’ dei sapori e della genuinità che contraddistinguono il nostro territorio
Favria 23.03.2017 Giorgio Cortese

Mi domando come possono certe persone sperare di comandare sugli altri, se non hanno il pieno controllo di se stessi!

La misura del duello
La Mensur, dall’omonimo lemma latino mensur, misura è un combattimento rituale tradizionale, chiamato anche “duello studentesco o duello accademico”, che viene praticato ancora oggi da alcune confraternite studentesche della Germania, Austria, Svizzera tedesca e in minore misura anche in Estonia, Lituania e Fiandre. La parola stessa misura lo differenza di altri tipi di duello, i contendenti devono rimanere ad una precisa distanza, evitando di spostarsi per schivare il colpo dell’avversario. Nelle università tedesche era molto diffuso il duello con la spada, da praticarsi rigorosamente alla distanza della misura stabilita. Nel medioevo la cicatrice sulla guancia del duellante era diventata segno di appartenenza al ceto degli studenti e, in senso lato, degli intellettuali. La particolarità del combattimento consiste non tanto nel voler ferire o sconfiggere l’avversario, quanto piuttosto nel dimostrare il proprio coraggio nell’affrontare il pericolo e le ferite senza retrocedere o mostrare timore, per questo in passato le cicatrici che il combattimento poteva lasciare sul volto, erano considerate motivo di orgoglio ed esibite come segni di distinzione. Come fenomeno spontaneo il duello studentesco ha origini antiche, le cui radici affondano nel mondo universitario medievale. La Mensur è una lotta rituale con le spade che raggiunse l’apice di diffusione all’inizio del ‘900. Era praticata per lo più all’interno di circoli, Korps o Shaft, studenteschi delle università tedesche e per questo viene chiamata anche duello studentesco. La specificità del combattimento consiste nel non voler ferire l’avversario quanto piuttosto di voler dimostrare il proprio coraggio nell’affrontare il pericolo e le ferite senza retrocedere né mostrare timore. La cicatrice risultante da un colpo in questi scontri si chiama appunto, in tedesco, Schmiss, ed è stato visto come un distintivo d’onore. Ma la parola onore è stata spesso abusata ed è il tempo di sottrarla a grammatiche che generano azioni distorte, per me onore è il ribellarmi quando sento che la dignità degli esseri umani viene violata con delle ingiustizie. Onoro è non girarmi mai dall’altra parta e agire per difendere quello che merita essere difeso.
Favria, 24.03.2017 Giorgio Cortese

Nella vita comandare non significa dominare, ma compiere sempre il proprio dovere con un briciolo di buon senso.

Dalla gabbia al gabinetto.
Oggi gabinetto significa una stanza appartata, riservata, il consiglio privato del sovrano, del governo, del Sindaco oppure ha anche assunto oggigiorno il significato irriverente di bagno. Il lemma deriva dal francese cabinet, diminutivo di cabine cabina, l’origine della parola è da ricercare dal latino cavea, derivato da cavus, con il significato di cavo, da cui deriva anche la parola gabbia, in antico italiano gaiba e caiba. Successivamente attraverso il francese cabine passa all’inglese cabin, in italiano gabinetto. La gabbia era anticamente una specie di cesta che gli antichi vascelli portavano sulla cima dell’albero, capace di contenere quattro o cinque marinai, sia per un migliore avvistamento, sia per ingaggiare un combattimento vantaggioso dall’alto. Tale nome è rimasto nei velieri a vele quadre, per indicare la seconda vela a partire dal basso dell’albero di maestra. Nelle navi mercantili, è il piccolo locale che, opportunamente attrezzato, serve di alloggio a ufficiali, sottufficiali e passeggeri, sulle navi da guerra è chiamato camerino. Come si vede il gabinetto nel significato originario del termine, è un piccolo locale adibito ad uso personale, alla stregua di un ufficio, solitamente utilizzato per colloqui riservati o per il ricevimento di ospiti. Dal punto di vista storico il gabinetto nasce come comitato interno al Consiglio privato del Regno d’Inghilterra. Il termine deriva come detto prima, dal nome di un piccolo locale solitamente utilizzato per colloqui riservati, in questo locale il Re d’Inghilterra si consultava con i più fidati collaboratori, tratti dal Consiglio privato che era ormai diventato troppo ampio, nel 1553 contava ben quaranta membri! L’espressione cabinet counsel compare nella lingua inglese fino dal XVI secolo, tuttavia, data l’ortografia dell’epoca, non è chiaro se significasse consiglio fornito in privato al monarca, un cabinet counsel secondo l’odierna grafia, o consiglio, nel senso di riunione, del monarca con i suoi collaboratori, un cabinet council. Nel 1605 Francesco Bacone, ne parla come di un’abitudine di origine straniera, che disapprova: “Per questi inconvenienti, la dottrina d’Italia e la prassi di Francia, sotto alcuni re, hanno introdotto i consigli di gabinetto, un rimedio peggiore del male”. Come si vede oggi, quello di gabinetto è un concetto di grande spessore. Nel suo nucleo fondamentale dipinge una stanza di uso privato, e si tratta di un nucleo molto suggestivo, che ha invitato una variopinta serie d’usi. A esempio, questa parola può indicare uno studio, tanto personale quanto professionale, ma può essere la stanza in cui sono custodite attrezzature di ricerca. Il gabinetto può essere la biblioteca, o una sala adibita a colloqui riservati. Una felicissima matrice scherzosa ne ha anche fatto il luogo di decenza, cioè il bagno la stanza riservata per eccellenza, quella che ritengo sia un luogo dove si può pensare con calma. Questa parola grazie alla figura retorica, metonimia, il procedimento linguistico espressivo che ha trasferito il significato da una parola a un’altra. E allora il nome della stanza in cui si tenevano riunioni private, specie di alto profilo, è passato a indicare l’insieme dei partecipanti, e quindi l’organo di governo o di consiglio che compongono, l’ufficio che rappresentano. A esempio, si parla del gabinetto del sovrano francese, il capo del governo si riunisce con certi ministri nel consiglio di gabinetto. Il gabinetto è una bella parola, importante da usare pure a prescindere dal piacevole uso diffuso che lo associa ai servizi igienici. Anche se mi viene il dubbio di quest’uso tanto preponderante. Oggigiorno le camarille sono sempre di più frequentate come il bagno dove ci andiamo tutti ogni giorno, e spesso!
Favria 25.03.2017 Giorgio Cortese

Nella vita l’autorità non si compra e non si eredita ma proviene dalle qualità dell’animo che è coerente con le azioni quotidiane e dai convincenti ragionamenti, e dal senso di sicurezza che ispira chi esercita il comando

Pan bianch e vin doss
In Canavesano ci sono molti modi di dire per rappresentare una personalità mediocre, ad esempio: “o son-a com it řo bati”, suona come lo batti, cioè è una persona senza idee, oppure “o ř’é ‘n bambas da lum” è bambagia da lume, stoppino di bambagia che si presenta flaccido e molle. Ma il migliore è per conto mio: “Pan bianch e vin doss” si usa nei confronti di una persona bonacciona, che non si crea problemi, ed evoca la festa casalinga, senza pretese, in cui era consuetudine servire pane bianco e vino dolce.
Favria, 26.03.2017 Giorgio Cortese

Quando certe persone parlano male di me e non mettono in luce i miei difetti, ma la loro cattiveria.