San Giorgio e i draghi. – Roma città aperta di Roberto Rossellini, 1945. Analisi del film. – Il vento fischia ancora. – La terra degli Ilkhan. – Non siamo liberi se…- Bandiere d’Europa: Ungheria e Lettonia. – La bestia di Cusago. – Cinecittà 28 aprile 1937. – Il bravo giardiniere…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

San Giorgio e i draghi I draghi giocarono un ruolo di primo piano nelle leggende e

nelle agiografie, i racconti sulla vita dei santi, genere molto popolare nel periodo medievale. In quelle storie, santi e sante riuscivano a ottenere la redenzione dell’anima abbattendo la minaccia dei draghi demoniaci. E così san Patrizio scacciò i serpenti dalle terre irlandesi mentre sant’Ilarione bruciò un drago che incombeva sulla Dalmazia. Si favoleggiava poi che san Marcello, un vescovo di Parigi vissuto tra il IV e il V secolo, dovette affrontare un drago che si cibava dei resti di una donna sepolta in una tomba pagana e sfidava la tranquillità degli abitanti. Sicuro della propria fede in Dio, Marcello si avvicinò alla bestia e la toccò sulla testa con il pastorale, dopodiché le ordinò di lasciare la città. Numerose narrazioni come queste ebbero una notevole popolarità grazie alla capillare diffusione della Legenda aurea, un compendio di vite di santi compilato intorno al 1265 da Jacopo da Varazze, predicatore e vescovo di Genova. Una delle storie comprese nell’opera fu quella di santa Margherita, o santa Marina di Antiochia. In questa città dell’impero romano d’Oriente, Olibrio, prefetto dell’epoca di Diocleziano, chiese alla giovane cristiana Margherita di abbandonare la fede per sposarsi con lui, e al rifiuto della ragazza ordinò di arrestarla. A quanto sembra, Timoteo, un prigioniero che condivideva la cella con lei, fu testimone della rivelazione di Margherita, durante la quale la giovane dovette affrontare e vincere un mostro dalla forma di drago: “Dopo che ebbe finito di pregare si produsse un grande tremore…Ed ecco che all’improvviso da un angolo della prigione uscì un drago orribile completamente indorato di vari colori, e le sue barbe sembravano d’oro, i denti come ferro incandescente, i suoi occhi splendevano come perle, e dalle sue narici uscivano fuoco e fumo. La sua lingua anelava sul suo collo, come un serpente, e pareva avere nella mano una spada infuocata. E riempiva la cella di fetore”. La singolare creatura circondò la santa e la inghiottì, ma questa, con l’aiuto di un crocefisso, spaccò lo stomaco della bestia e ne uscì illesa. Parecchi resoconti medievali collocano il drago nel fitto di un bosco, considerato un ambiente pericoloso e sterminato. Marta di Betania, discepola di Gesù Cristo che, secondo la tradizione riferita dalla Legenda aurea, si sarebbe trasferita in Provenza, s’imbatté all’altezza del Rodano in un drago che i locali chiamavano Tarasca, che avrebbe poi dato il nome all’attuale Tarascona, l’antica Nerluc, area nota per il lago nero e per le selve oscure. Il drago metteva a repentaglio la vita di tutti coloro che attraversavano la foresta passando lungo le sponde. La santa gli gettò addosso acqua benedetta e gli mostrò una croce e il mostro subito sottomesso come una pecora, viene legato da santa Marta con la cintura e poi ucciso dal popolo con lance e pietre.  La minaccia dei draghi divenne un luogo comunemolto frequente nella cultura medievale, soprattutto nelle storie che narravano le gesta di eroi epici e cavallereschi. In Beowulf, un poema epico anglosassone risalente al periodo compreso tra l’VIII e il XII secolo, compare un drago che custodisce nella tana un tesoro prezioso. Quando un furfante gli sottrae un boccale, il drago inizia ad attaccare la gente del posto creando scompiglio e l’eroe Beowulf accorre a ucciderlo con l’aiuto del compagno Wiglaf. Nei romanzi cavallereschi i campioni si scontravano con i draghi posti a guardia di un dato luogo, come quelli che sorvegliavano la valle Senza ritorno, della leggenda arturiana e che furono sterminati da Lancillotto. Ma la vicenda del drago più nota del mondo medievale è quella di san Giorgio, un ufficiale romano della Cappadocia convertitosi al cristianesimo che scoprì che il re di Selene, una città della Libia, era costretto a saziare l’appetito di un drago offrendogli in sacrificio gli abitanti. Quando giunse il turno della figlia del sovrano, san Giorgio affrontò il mostro. Dopo averlo ferito con la lancia, fece in modo che la principessa lo conducesse all’interno della città e lì gli assestò un colpo mortale, trapassandolo con la spada. Come ricompensa per averli salvati, i cittadini promisero di cambiare fede, abbracciando il  Cristianesimo. Nell’arte del Basso Medioevo san Giorgio e l’arcangelo Michele erano di solito rappresentati con armature militari, come se fossero stati dei veri e propri cavalieri feudali. Entrambe le storie acquistarono una considerevole fama proprio perché quei santi guerrieri incarnavano gli ideali di coraggio bellico e di altruismo propri della cavalleria medievale. Il drago esprimeva invece quanto di più letale potesse esistere: il caos, il disordine, il peccato. Insomma, il diabolico, che andava arginato ed eliminato. La sua animalità mostruosa spinse molti racconti e leggende a plasmarlo come un essere astruso, anomalo ed esotico. E fu proprio con quell’aspetto singolare che sarebbe giunto fino ai nostri giorni
Favria,  23.04.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita non sono le stelle troppo lontane, sono le scale per raggiungerle troppo corte. Felice martedì

Roma città aperta di Roberto Rossellini, 1945. Analisi del film. Docente Danilo Vittone. mercoledì  24 aprile 2024 ore 15,30 -17,00

Conferenze UNITRE’ di Cuorgnè presso ex chiesa della SS. Trinità –Via Milite Ignoto

Film cardine del neorealismo e, in generale, della cinematografia mondiale, Roma città aperta è l’opera più importante di Roberto. Girato subito dopo la liberazione della città con pochi mezzi tecnici, Cinecittà era un ricovero per gli sfollati, ed economici, il progetto di Rossellini era nato come un documentario sul prete antifascista don Giuseppe Morosini,  ma poi, con l’ingresso di altri sceneggiatori,  tra cui Fellini, la sceneggiatura crebbe, includendo nuovi personaggi,  ad esempio Pina, non prevista inizialmente, e diventando un film vero e proprio.

Il vento fischia ancora”.

Serata di musica e canto dedicata alla resistenza contro tutte le guerre. Corale Polifonica del CAI   Direttore Alerino Fornengo

Mercoledì 24 Aprile ore 21 Chiesa della Trinità.

Contro tutte le guerre, contro ogni forma di oppressione… la Corale Polifonica del C.A.I. di Cuorgnè, con i suoi canti, vuole ricordare che non possiamo dare per conclusa la stagione in cui la pace e la democrazia sono a rischio o addirittura soppresse, in tutto il mondo. Il “Sol dell’avvenir…” non si realizza automaticamente, ma va cercato e difeso ogni momento, in tutti i luoghi. 

La terra degli Ilkhan.

La dinastia mongola degli Ilkhan, che governò la Persia tra il 1256 e il 1335, costituì un forte polo d’attrazione per molti europei in cerca di fortuna. Privi di una propria classe commerciale, i mongoli offrivano ogni sorta di beneficio ai mercanti latini disposti a stabilirsi nelle loro terre, compresa un’ampia immunità legale. I khan crearono con questi commercianti delle specie di joint venture, sodalizi temporanei di società commerciali chiamate ortoq. Non sorprende che ci fossero molti occidentali disposti ad avventurarsi verso Oriente, visto che alcuni affari nelle terre degli Ilkhan fruttavano agli europei profitti che potevano raggiungere il 500 per cento.

Favria, 24.04.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana la  salute non è tutto ma senza salute tutto è niente. Felice mercoledì.

Non siamo liberi se…

Oggi 25 aprile  commemoriamo la Festa della Liberazione. Tutti noi siamo, oggi come allora, garanzia, sostegno e sentinelle della nostra democrazia. La guerra di Liberazione è il nostro Secondo Risorgimento, il primo Risorgimento è stato quello di Garibaldi, di Cavour, Mazzini, Cattaneo, Vittorio Emanuele II di Savoia  e tanti italiani che sono morti per realizzare l’Unita d’Italia.  Persone che giustamente ricordiamo e onoriamo anche con la dedica alle vie delle nostre Comunità.  La Resistenza è stata il “ Secondo Risorgimento”, perché con la guerra di Liberazione i combattenti di allora hanno salvato l’Italia, dal baratro e dalla sconfitta a cui la bieca dittatura fascista l’aveva condotta.  Ogni anno, ricordiamo, il periodo di 20 mesi che vanno dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, della lotta armata, sapendo che quella lotta ha avuto le sue radici in quella Resistenza, anche passiva al fascismo durata, nel nostro Paese per tutto il ventennio.  Parlo della Resistenza degli antifascisti, bastonati a morte come il Favriese Matteo Tarizzo a Torino nel dicembre del 1922 e poi a tutti quelli processati e imprigionati dai tribunali speciali. Oggi, ricordiamo il sacrificio degli ebrei, degli oppositori politici, degli handicappati e degli omosessuali, deportati e sterminati nei lager nazisti, con la solerte complicità dei fascisti italiani. Oggi, ricordiamo tutti i combattenti per la libertà, morti sulle montagne e in pianura, dei militari che hanno combattuto nel ricostituito esercito di liberazione, delle vittime civili dei bombardamenti. Ecco la parola che rappresenta tutto questo: “Resistere a tutto, lottare per un mondo diverso e libero”, questo è stato il secondo Risorgimento Italiano, la solida base della nostra Unità nazionale, la base della nostra Costituzione, nata dalla vita dei martiri caduti per la Libertà.  La guerra di Liberazione  è stata lotta contro il nazifascismo di un Paese che era stato fascista e alleato del nazismo, per 4 dei 6 anni di guerra.  Da questa lotta per la libertà è  nata l’Italia del dopoguerra con una nuova moralità pubblica.  Di questa lotta non dobbiamo dimenticare la lotta delle donne che hanno contribuito in maniera importante alla vittoria finale.  Dobbiamo ricordare ed essere grati a tutte quelle donne che davano soccorso ai combattenti braccati sui monti, nascondevano i combattenti nelle città e poi a rischio della loro vita portavano i messaggi ai vari raggruppamenti dei patrioti.  Un compito importante e ancora adesso poco messo in risalto. Secondo l’ANPI, furono oltre 35.000 le donne partigiane combattenti che imbracciarono un’arma e lottarono per la liberazione dal nazifascismo,  furono 4.653 le donne arrestate, torturate e condannate dai  tribunali fascisti; 2.756 le donne deportate nei lager tedeschi; ben 2.900 le donne giustiziate o uccise in combattimento; più di 1.700 le donne ferite e mutilate. Il ruolo delle donne nella Liberazione dell’Italia dal nazifascismo fu per molto tempo relegato a un ruolo secondario, una Resistenza taciuta, perché si declinava al maschile la lotta di Liberazione. Certo  erano gli uomini a combattere, a sparare, a ricevere medaglie, ma l’apporto delle donne, come già detto, come staffette è stato determinante. Vorrei citare oggi Carla Capponi, la combattente e vice comandante che  concorse alla liberazione di Roma.  Questa donna di origine marchigiana, nata  1918  dopo l’otto settembre si unì a un gruppo di civili armati e accorse come volontaria in prima linea nella battaglia per la difesa di Roma. Alla Garbatella si unì a un gruppo di donne che stavano distribuendo cibo ai militari italiani. Finita la guerra con il grado di capitano, Carla Capponi fu decorata con la medaglia d’oro al valore militare per la sua lotta contro il fascismo e contro il nazismo.  Germana Boldrini aveva 17 anni quando lanciò il segnale che la sera del 7 novembre 1944 segnò l’inizio della battaglia di Porta Lame a Bologna. Pensate che il 10 agosto 1944 nacque il primo distaccamento di donne combattenti dalla brigata d’assalto “Eusebio Giambone” sull’Appennino. Oggi domandiamoci in questa Italia Repubblicana e democratica dove saremmo se fascismo e nazismo fossero prevalsi? In che baratro oscuro saremmo precipitati e sicuramente non saremmo qui a parlare. Oggi, c’è qualcuno che con una revisione storica di parte vuole annacquare la portata autentica e rivoluzionaria della Resistenza Italiana, e la Liberazione dal nazifascismo. Sicuramente, la Liberazione della nostra Patria o Paese avvenne con l’importante contributo degli Alleati, ma è altrettanto vero che, senza la Resistenza, anche dopo la caduta del nazifascismo, il nostro Bel Paese sarebbe rimasto diviso, sconfitto ed umiliato. L’Italia non avrebbe potuto sedersi al tavolo dei vincitori della Seconda guerra mondiale, come invece fece l’allora Presidente del Consiglio De Gasperi, dove nella conferenza di Pace di Parigi del 1946, rivendicò l’onore dell’Italia, la sua libertà e il suo diritto a restare libero per il sacrificio compiuto dai combattenti sui monti e nelle pianure, dal popolo italiano che aveva conquistato questo diritto. Ricordiamoci che quella libertà per cui in tanti lottarono e morirono, non è compiuta e oggi è anche in pericolo. Non siamo liberi se una intera generazione di giovani ha solo un lavoro precario, instabile e sfruttato. Non siamo liberi se per costruire la pace si foraggia la guerra in Europa e nel bacino del Mediterraneo. Non siamo mai liberi se non smettiamo di pensare con la nostra testa, se non difendiamo i diritti civili e i valori democratici. Siamo liberi se rispettiamo l’ambiente e gli animali, cioè tutto il creato. Non siamo liberi se permettiamo che alle donne vengano negata la pari opportunità, non è per questo che le donne hanno lottato per la libertà in tutti questi anni! Viviamo oggi in un tempo difficile e, per certi aspetti, anche pericoloso. Venti di guerra soffiamo anche vicino a noi, ricordiamoci che la democrazia così dolorosamente conquistata rischia di durare solo tre generazioni: la prima che la conquista, la seconda che la realizza e la amplia, la terza che la perde. Dobbiamo lottare perché non sia così. Dobbiamo lottare per difendere la nostra democrazia, il mondo di chi nel 1943 insorse contro e che aspirava alla libertà. Siamo liberi se non dimentichiamo e ricordiamo chi ha combattuto ed è morto per l’attuale libertà. Il nostro compito è trasmettere la memoria di quanto avvenne, questo il nostro dovere di oggi. Senza la Liberazione non vi sarebbero state le fondamentali libertà democratiche, civili, sociali e politiche del nostro Paese. Per costruire il futuro ancora abbiamo bisogno dei valori degli insorti di allora. Viva il 25 aprile, viva la Liberazione, viva l’Italia e gli italiani.

Favria, 25 aprile 2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. La libertà è una conquista da difendere ogni giorno. Buon 25 Aprile! Felice giovedì.

Bandiere d’Europa: Ungheria e Lettonia

In Ungheria i colori delle tre fasce orizzontali, secondo la versione comunemente accettata, alludono ai concetti di forza e potere del popolo (rosso), di fedeltà e libertà (bianco) e di fertilità e speranza, verde. La bandiera della Lettonia le due strisce orizzontali di colore rosso scuro indicano il sangue versato dai lettoni per il proprio Paese, mentre la striscia bianca centrale, probabile metafora delle bende usate per curare le ferite, allude ai concetti di diritto e di giustizia.

Favria,  26.04.2024   Giorgio Cortese

Buona giornata. Il sole splende per tutti e la pioggia non cade su un tetto solo.felice venerdì.

La bestia di Cusago.

Se la bestia del Gévaudan ancora oggi fa parlare di sé, non tutti sanno che un episodio simile accadde anche in Italia. Nell’estate del 1792, infatti, una belva feroce infestò le campagne tra Milano e Novara, sbranando diverse vittime. L’animale fu battezzato “bestia di Cusago” per via del luogo in cui fece la prima vittima. Giuseppe Antonio Gaudenzio, un pastorello di 10 anni, scomparso mentre cercava una mucca del suo gruppo, fu ritrovato nel bosco di Cusago il 5 luglio del 1792 mezzo sbranato, accanto alla sua giovenca, rimasta illesa. Da quel momento, gli attacchi si moltiplicarono, seminando terrore fino alle porte di Milano. Il folclore, anche in questo caso, dipinse l’animale con qualità soprannaturali e la paura durò fino al settembre del 1792. Fu allora che la bestia cadde in una trappola e fu abbattuta. L’animale fu esaminato, imbalsamato ed esposto a Pavia. Si trattava di una grossa lupa, in cattive condizioni di salute e forse per questo diventata eccezionalmente aggressiva. Sebbene alcuni superstiti affermarono che quella non fosse l’animale che li aveva aggrediti, dopo la morte della lupa gli attacchi terminarono

Favria, 27.04.2024   Giorgio Cortese

Buona giornata. La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplicemente l’assenza di malattia o infermità. Felice sabato.

Cinecittà 28 aprile 1937.

La storia di Cinecittà comincia durante il fascismo, regime che credeva nell’importanza del cinema come strumento di propaganda e che per sostenere le pellicole di casa nostra varò una legge che penalizzava le importazioni di film stranieri. Nel 1935 un vasto incendio distrusse gli studi cinematografici della Cines, situati a Roma vicino alla Basilica di San Giovanni, e nello stesso anno la società venne acquistata dalla SAISC, Società Anonima Italiana Stabilimenti Cinematografici, di Carlo Roncoroni, l’imprenditore che l’anno dopo acquistò ben 600mila metri quadrati di terreni lungo la via Tuscolana per farne la nuova “città del cinema”. I lavori iniziarono il 29 gennaio 1936 con la posa della prima pietra e dopo soli quindici mesi, il 28 aprile 1937, Mussolini inaugurò Cinecittà, un complesso composto da 73 edifici, tra cui 21 teatri di posa, centrali elettriche, uffici della direzione su progetto dell’architetto Gino Peressutti. Per l’edificazione dei nuovi stabilimenti erano stati utilizzati gli operai della vecchia Cines, che poi rimasero nelle squadre di scena, nonché tecnici e ingegneri destinati a fare scuola a Cinecittà insieme ai grandi direttori della fotografia, sempre provenienti dalla Cines. Alla testa di Cinecittà, fin dalla sua fondazione, ci fu proprio Carlo Roncoroni, fino al giorno della sua morte nel 1938. In seguito gli studi, in deficit di bilancio, vennero rilevati dallo Stato. Dopo l’8 settembre del 1943, a seguito dell’occupazione tedesca della Capitale e del vero e proprio saccheggio di tutti i materiali presenti, il complesso cadde in rovina e la fine della guerra non coincise con un rilancio effettivo: con il Neorealismo infatti i cineasti si spostarono dai teatri alla strada, realizzando scene all’aperto. La profonda crisi venne superata grazie al contributo americano, con i cineasti d’oltreoceano che decisero di girare a Roma diversi kolossal tra i quali il famoso “Quo Vadis?”, attirati dal basso costo delle straordinarie maestranze della “Hollywood sul Tevere”. Gli anni Cinquanta coincisero così con il periodo d’oro degli stabilimenti, celebrati in alcune pellicole destinate a fare la storia del cinema, da “Bellissima” di Luchino Visconti a “La dolce vita” di Fellini, emblema e sigillo di una stagione irripetibile. Ma la fortuna di Cinecittà proseguì fino a tutto il decennio dei Settanta: da “Roma” e “Amarcord” di Fellini, a “Morte a Venezia” e “Ludwig” di Visconti, a “Novecento” di Bernardo Bertolucci e “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pier Paolo Pasolini, senza dimenticare il fondamentale contributo delle produzioni dei film western. E fu proprio grazie alle produzioni dei film western che gli Studi conobbero il periodo di massimo splendore del dopoguerra. Negli anni Ottanta la crescita esponenziale della televisione, la fine delle produzioni americane e la crisi del cinema italiano determinarono la perdita progressiva del primato di Cinecittà. Per tornare ad essere competitivi, durante il decennio successivo gli Studi dovettero mettere mano ad una profonda trasformazione segnata dall’ingresso delle tecnologie digitali e dall’ampliamento delle strutture, addirittura quadruplicate nella cubatura, per fare posto a ben 22 teatri di posa, contro i 21 precedentemente esistenti. Questi interventi così radicali hanno ottenuto l’effetto sperato di attrarre di nuovo le grandi produzioni straniere e, a partire dal terzo millennio, ospitare importanti set di serie televisive.

Favria, 28.04.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno credere in quello che facciamo significa credere in quello che siamo. Felice domenica

Il bravo giardiniere

Ortensio era un bravo giardiniere, che decise di portare al duca un fiore nuovo e bellissimo. Trovò l’aquila dagli occhi di topazio che lo portò in cielo a tagliare i lembi dalle nuvole al tramonto: nuvole. Tagliò lembi color oro,  corallo,  fiamma,  di neve e di pesca. Lo vide il vento che gli regalò una fiaba nella quale era condensato tutto. il profumo dei giardini orientali.  Tornato sulla Terra, Ortensio si nascose in una grotta  preparare i suoi splendidi fiori. Dalle sue mani esperte nacquero così le rose.
“Questi fiori sono troppo belli”,  disse un riccio che abitava nella grotta.  Lungo la strada qualche ladro potrebbe rubarteli. Ti regalo alcuni dei miei aculei da innestare sul gambo dei fiori.  Fu così che le rose ebbero le spine.

Favria,  29.04.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno cerco sempre di ridere quando mi  è possibile. É una medicina a buon mercato. Felice  lunedì.

Il sangue è una vita, Condividilo! Il sangue viene rigenerato dopo pochi mesi, ma la vita no, per favore dona il tuo sangue. Vi invitiamo a donare il sangue per una ragione che si chiama vita.  vita. Lo scopo della vita di noi essere umani è quello di accendere una luce di speranza nei nostri simili anche donando il sangue. Ti aspettiamo a FAVRIA VENERDI’ 3 MAGGIO  2024, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te.  Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio