Troppe pecore e capre nel Parco del Gran Paradiso di Ornella De Paoli

D’estate, negli alpeggi compresi all’interno dei confini del Parco nazionale del Gran Paradiso, vi sono migliaia di pecore e capre, in genere lasciate libere di muoversi e di sfamarsi nei verdi pascoli di queste alte montagne.
tratto da La sentinella del Canavese di Ornella De Paoli
Troppe e troppo a lungo abbandonate a sè stesse,tanto da provocare seri guai compromettendo l’equilibrio dell’ambiente, perlomeno secondo l’ente. I dati ufficiali li ha forniti il direttore del parco nazionale, Michele Ottino, nel corso del convegno sull’agricoltura svoltosi a Locana. Risalgono al 2014 (ma quelli del 2015 non dovrebbero discostarsi di molto) e attestano a 8 mila 700 i capi di animali domestici da allevamento presenti sulle montagne dell’intera area protetta, di cui 3mila 800 in Valle Orco e di questi ultimi solo 720 sono bovini mentre gli oltre 3mila restanti sono ovini e caprini. «La tradizionale monticazione bovina è in diminuzione, le casere attive attualmente sono solo 31 e la produzione è molto bassa, si può parlare di declino del prodotto caseario – ha specificato Ottino -. Capre e pecore, invece, sono in gran numero e questo dà luogo a impatti negativi sul territorio, anche perché, in genere, vengono lasciate pascolare su grandi estensioni e non sono governate. Questo tipo di pascolo porta ad una alterazione della cotica erbosa e alla diminuzione di specie della flora. Un’altra conseguenza è l’emigrazione degli stambecchi verso altre montagne. Ad adottare queste pratiche di solito sono pastori della pianura, che portano gli animali in montagna solo per aver diritto ai contributi».Un’analisi che provoca qualche reazione in loco, in particolare in merito al declino della produzione di formaggi, in tempi in cui si fa un gran parlare di prodotti tipici. «Non dimentichiamo che gli alpeggi della nostra valle non sono serviti da strade ed anche per questo baite e casere non sono ristrutturate – puntualizza, Andrea Basolo, primo cittadino di Ceresole Reale intervenuto al convegno -.Il percorso medio per raggiungere un alpeggio è di un’ora e mezza, due ore su ripidi sentieri. Per ristrutturare le baite, bisogna trasportare il materiale con l’elicotttero con costi molto alti, il trasporto di tome e tutto il resto si fa con i muli. Difficile,oggi, trovare giovani che si adattino a questo tipo di vita».Una situazione che ha fatto sì che vengano portate in alpeggio poche mucche da latte,con conseguente minor produzione di formaggi, mentre in prevalenza a pascolare sulle montagne sono animali da allevamento per la produzione di carne,soprattutto pecore e capre, aumentate in modo esponenziale rispetto al passato, anche per via del sistema di incentivi finora basato sul numero di capi. Qualcosa, però,sta cambiando: i criteri stabiliti nel nuovo Programma di sviluppo rurale, prevedono che premi e indennità compensantive siano assegnati a chi gestisce veramente i pascoli, tutelando l’ambiente.   Ornella De Paoli