La giornata dell’ambiente e dell’ecologia. W la nostra Terra!
Bellissima iniziativa a Favria sulla giornata della Terra, promossa dalla compagine “Per Favria Manfredi” e recepita dalla Giunta Comunale con la volontà di organizzare congiuntamente tale manifestazione per richiamare l’attenzione di noi tutti sulla necessità di conservare le risorse naturali. Perché la Terra, il pianeta blu è la nostra casa, e anche quella dove nasceranno e cresceranno i nostri figli e nipoti. Perché questa manifestazione avviene il 22 Aprile di ogni anno? Questa è una data simbolo nata dal manifesto ambientalista di Rachel Carson, una donna a cui il governo degli Stati Uniti chiese a cavallo tra negli Anni 50 un rapporto sullo stato di salute delle coste, e che lanciò per prima l’allarme sull’inquinamento da pesticidi. E dopo un disastro ambientale causato dalla fuoriuscita di petrolio da un pozzo della Union Oil, il senatore democratico del Wisconsin, Gaylord Nelson promosse un mese e due giorni dopo l’equinozio di Primavera “la Giornata della Terra” nel 1970. Questa giornata mi porta a riflettere sulla parola ambiente, lemma che deriva dal latino “ambiens”, participio presente del verbo ambire, circondare, andare attorno. Insomma ambiente indica lo spazio in cui è collocata una cosa o in cui vive una persona o un animale. Poi penso alla parola ecologia, la scienza che studia le relazioni tra gli esseri viventi e l’ambiente in cui vivono. Parola che deriva dal greco, oikos casa, abitazione logos discorso. La cura propria dell’ecologia è la cura intenta e meticolosa del luogo in cui si vive, della propria casa, dei delicati equilibri che la regolano, equilibri che non strepitano, silenziosi ed invisibili le cui regole penetrano e pervadono ogni aspetto della vita del grande organismo della Natura, dai campi agli alberi del parco vicino a dove abito, in cui tutto è connesso senza internet. Una connessione tra il filo della tela del ragno inarcato dal vento vicino a casa è le gigantesche correnti subacquee che scorrono lente nelle profondità degli oceani. Penso che difendere l’ambiente e rispondere alla sfida dei mutamenti climatici non solo è necessario, ma rappresenta anche una straordinaria opportunità per creare lavoro e nuova economia. E a Favria domenica 22 nella splendida cornice del Parco Bonaudo ci sarà attività sportiva con istruttori all’aperto, pic nic e poi giochi della terra e di un tempo, la semina dei colori e la piantumaziome dell’albero della nebbia in un sito appositamente dedicato dall’Amministrazione comunale. Invito tutti a partecipare e a fare passa parola perché la parola rispetto per la terra e la sua salvaguardia non sono parole vuote ma indipendentemente dalle nostre idee, sono la nostra vita di adesso e per le future generazioni.
W la nostra Terra!
Favria, 22.04.2018 Giorgio Cortese
Buona giornata. Ogni mattina quando mi alzo apro i le braccia e mando un saluto con affetto alla vita.
Ogni giorno il XXV Aprile!
Buongiorno a tutti, saluto le autorità civili, il Sindaco e tutta l’Amministrazione Comunale, la Dirigente scolastica, le insegnanti, tutti le Associazioni presenti, gli Alpini Favriesi che oggi festeggiano anche loro ed i cittadini qui convenuti ed infine ringrazio la sezione ANPI Favria-Rivarolo-Oglianico per il gradito invito, grazie di cuore! Oggi, dopo 73 anni, non è facile parlare a proposito del 25 Aprile. Nel ricordare questa importante ricorrenza, pietra miliare della vita della nostra Repubblica, si può correre il rischio di cadere nella facile ed inutile retorica e nulla uccide la storia più della retorica. Ma perché proprio il XXV Aprile? Perché il XXV Aprile di 73 anni fa, l’esecutivo del Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia proclamò ufficialmente l’insurrezione generale anche se poi la liberazione effettiva di tutto il Nord Italia venne completata solo negli ultimi giorni di aprile. Ma il 25 divenne subito la data simbolo della fine della guerra e del regime nazi-fascista. Dopo questo preambolo, cercherò oggi di riflettere con un percorso diverso che privilegi aspetti oggi poco noti o addirittura dimenticati di quegli anni. Quando mi è stato chiesto dall’amico Carlo e dal signor Sindaco di fare questa riflessione, mi sono domandato quale è l’immagine che abbiamo maggiormente presente, quando parliamo del XXVAprile, il giorno della Liberazione dell’Italia dall’oppressione della dittatura? Sicuramente le sfilate dei partigiani nelle città liberate, degli alleati e del neo ricostituito esercito italiano, oppure una delle tante fotografie nelle quali vediamo singoli partigiani pronti al combattimento. Certo la guerra in montagna è stata una componente forte della lotta di liberazione che ha coinvolto decine e decine di migliaia di italiani dall’8 settembre del ’43 fino al 25 Aprile ‘45. Ma la lotta è stata fatta anche da persone che non sono mai comparse nelle fotografie, che hanno combattuto armate solo del loro coraggio in tutta l’Italia e anche qui in Favria. Mi riferisco alle donne, madri di famiglia, operaie e contadine che con coraggio eroico sia sul campo di battaglia, sia sul luogo di lavoro, nel chiuso della prigione, come nella piazza o nella quotidiana intimità tra le mura di casa. Penso che le donne siano state fondamentali perché con pazienza e con coraggio hanno tessuto instancabilmente il filo sotterraneo nella lotta di Liberazione. Sono convinto che le donne ed i civili senza armi , hanno dato un forte contributo con umiltà e coraggio a tale lotta. Ricordiamoci che furono eroiche soprattutto le donne che per tanti mesi lavorarono per un salario da fame, fecero lunghe ed estenuanti code per comprare qualcosa per i propri figli in casa furono sempre con la paura del bombardamento notturno e con il pensiero costante al figlio o al marito in qualche lontano fronte di guerra. Eppure, dopo la Liberazione, a guerra finita, la lotta armata surclassò la “ lotta umile e tenace della lotta disarmata” dei più, sottovalutando a volte la dignità, la forza, e la loro caparbietà nel sopravvivere a tutti i costi in realtà quotidiane drammatiche. Se, oggi, viviamo in libertà lo dobbiamo anche a queste umili e tenaci donne, che sono state la spina dorsale della lotta partigiana. Da semplice cittadino penso che sarebbe un bel gesto per cementare la memoria nel territorio se in futuro verrà dedicata una via alle “Staffette partigiane” per ricordare il sacrificio delle donne alla lotta di Liberazione. Da questa lotta è nata la base della nostra attuale democrazia: la Costituzione, la carta che ci ha resi liberi e che ci ha trasformati definitivamente da sudditi in cittadini e che per settanta anni ha funzionato, garantendoci la libertà e la dignità: la Costituzione è stata redatta da uomini, con idee politiche diverse, ma concordi nel collaborare per il Bene dell’Italia. E’ una lezione sempre attuale quella di collaborare e di vedere cosa ci unisce nel filo del dialogo e non nelle forbici della polemica che lacera. Allora se il 2 giugno si celebra la Festa della Repubblica, oggi con il XXV aprile festeggiamo molto di più, oggi è la festa della libertà conquistata con il sangue di tanti italiani, durante la guerra civile e contro lo straniero invasore. Va ricordato che l’Italia non è l’unica a celebrare in un giorno speciale, la fine dell’occupazione straniera, pensate in Olanda e Danimarca la festeggiano il 5 maggio, la Norvegia l’8, la Romania il 23 agosto. E al di là del Mediterraneo, l’Etiopia celebra la sua festa della Liberazione il 5 maggio. Liberazione non dai nazisti, ma dalla terribile occupazione italiana: ovvero, quando “gli altri”, gli invasori, eravamo noi! In questa semplice riflessione spero di avervi fatto comprendere il perché dopo 73 anni continuiamo con più forza di prima a ricordare questa importante e simbolica data. Oggi è la festa della libertà che diamo per scontata come l’aria che respiriamo, ma che è costata innumerevoli vite, insomma, questa ricorrenza è una parte essenziale della nostra storia: è anche per questo che oggi possiamo sentirci liberi.
Oggi viviamo in pace, ma abbiamo un tremendo nemico da affrontare, quello della mancanza di memoria che porta all’assenza della verità e all’indifferenza. I morti per la “Libertà” sono ancora oggi affare nostro. Mi domando chi parlerebbe di loro se non ne parlassimo noi ogni anno? Quindi, quando vediamo una lapide di un caduto fermiamoci, togliamo la connessione dagli smartphone e riflettiamo del suo sacrificio e lui non sarà morto invano! Impegniamoci di fare in modo che ogni giorno, sia sempre XXV Aprile!
W L’Italia, W la Liberazione ed evviva gli Alpini!.
Favria 25.04.2018 Giorgio Cortese
“In libertate vocati estis , ogni uomo è chiamato a realizzare la sua libertà”. San Paolo nella lettera ai Galati
W il 1958 siamo arrivati a 60 anni!
Domenica 15 aprile i coscritti di Favria del 1958 hanno festeggiato l’ingresso come cadetti nella terza età. Se penso alla parola coscritto, anticamente conscritto, leggo dal vocabolario che deriva dal latino conscriptus, partcipio passato di conscribere, scritti insieme. Questa parola deriva dal francese conscrit, nell’antica Roma, i membri del sentao detti padri coscritti, oggi significa anche soldato di leva appena arruolato, recluta. La festa dei coscritti ha origini che risalgono alla seconda metà del 1800 quando con l’Unità d’Italia i giovani maschi erano costretti a prestare servizio militare nel Regio Esercito. Inizialmente la durata del servizio di leva era di cinque anni che furono ridotti a tre nel 1876. Erano sempre tanti, per questo nel 1910 la leva scende a due anni. Nel secondo dopoguerra il periodo minimo di servizio obbligatorio, per la leva di terra, fu ridotto da 24 a 18 mesi, e quindi ulteriormente ridotto a 12 mesi nel 1977. L’ultima modifica fu con la riforma del 2004 che sospese la coscrizione obbligatoria. Destinatari della chiamata e della festa erano tutti i cittadini italiani maschi, attraverso le liste di leva formate dal comune, nelle quali venivano iscritti tutti i giovani al compimento del 17º anno di età. Oggi la festa dei coscritti rappresenta l‘ingresso in società dei giovani che raggiungono la maggiore età ed è aperta anche alle donne, oppure un’occasione per ritrovarsi tra coetanei nei decenni successivi come appunto è successo domenica 15 aprile in quel di Mondovi. Si grazie ai priori Carmen e Valter abbiamo passato una bella giornata in allegria con la visita di Mondovì alta e di Vicoforte, abbinando la vista culturare con un ritrovo grastonomico ottimo al ristorante Commercio. Pensando ai 60 anni raggiunti da qualche mese mi viene in mente cosa cantava in televisione Marcello Marchesi: “Che bella età la mezza età, tranquillità, serenità”. Una previsione esatta a giudicare dai recenti studi e dai numerosi esempi di uomini e donne di successo che, a dispetto dell’età matura, vivono una vita ricca e piena di soddisfazioni umane e professionali. Oggi compiere 60 anni non ha più quel peso che aveva in passato. I progressi della scienza medica, la qualità della vita e le scoperte scientifiche hanno allungato di molto la vita media delle persone. Le cronache riportano numerosi esempi di personaggi famosi che, superati i sessant’anni sono ancora in piena attività. E allora che cosa dire dei coetanei del 1958, adesso che raggiungiamo il traguardo dei sessantanni. Teniamo o temiamo forse il tempo ad arbitro dei nostri giorni? Ma no, siamo noi l’arbitro e fischiamo rigore al tempo per ogni fallo subito. Perciò, auguri buon compleanno 60 anni a tutti e grazie ancora della magnifica giornata trascorsa, al prossimo anno.
Favria 26.04.2018 Giorgio Cortese
Buongiorno a chi è appena sveglio, a chi si sveglierà tra poco, a chi da un po’ è al lavoro, a chi è appena nato, a quell’anziano tutto solo a chi un amico non ha. Ai miei famigliare che amo tanto e a tutti i miei numerosi amici.
Pensa globale, agisci locale.
Oggi a Favria complice una calda domenica pomeriggio con clima estivo si e’ tenuta la prima Giornata della Terra. Ritengo che di fronte all’impatto della globalizzazione le persone sentono il bisogno di trasformare le Comunità ed il territorio in spazi di solidarietà e di ridare alle istituzioni locali il loro potere, per incrementare la partecipazione dei cittadini. Ecco la lezione di oggi, sapere gestire le imperfezioni, pensare locale ed agire globale, e soprattutto mai, mai, mai arrendersi, uniti si vince e la Comunità cresce
Favria. 27.04.2018 Giorgio Cortese
Quando alla sera penso a tutti i libri che mi restano ancora da leggere, ho la certezza di essere ancora felice
Sbigottito da come abbindolano i furfanti.
Quando dei truffatori abbindolano una persona rimaniamo sbigottiti da tale comportamento. Ma le parole usate hanno un loro significato che forse ci sfugge. Furfante ad esempio è una persona vile, criminale ed imbroglione, la parola deriva da forfante participio presente di forfare, agire male, compiere un misfatto, e deriva dall’antico francese forfaire, composto di fors, fuori e faire, fare. Una parola bella rispetto al suo significato attuale, se penso al furfante mi viene subito in mente il criminale, la persona che compie misfatti e imbrogli. Ma è l’origine di questa parola, fare fuori. che mi sbalordisce. L’idea del fare fuori dalla legge o dalle regole del vivere civile, l’antica e poco usata parola forfare, significa, infatti, commettere il male, compiere un misfatto. La cosa curiosa che secondo dei linguisti dalla stessa radice deriva la parola forfait. Forfait è il prezzo globale richiesto per una prestazione a prescindere dalla sua esatta entità, o anche il ritiro prima di una competizione, l’abbandono. La voce francese forfait significa crimine, ma anche di contratto a prezzo fisso, composta da fors, fuori, e fait, fatto, e la rinuncia poteva avere all’origine delle irregolarità e manovre poco chiare. Ma secondo altri linguisti la parola, sempre composta, deriva dal latino forum, cioè mercato, e fait, fatto, con il significato di affare fatto. Passo dopo a esaminare la parola abbindolare, che significava originariamente avvolgere il filo sul bindolo. Bindolo, altro nome dell’arcolaio deriva da binda, martinetto, dall’antico tedesco winde, argano. Oggi ha il significato di raggirare, imbrogliare. Ritornando all’arcolaio, che si chiama anche, aspo, naspo, guindolo, bindolo, dipanatoio, non mancano certo i nomi per descrivere quel genere di strumento che si usa per avvolgere ordinatamente un filo in un gomitolo o una bobina, testimonianza di quanto sia e sia stata viva questa tecnologia. C’è una sfumatura di dominio, nell’abbindolare, tirare il filo, con l’intenzione di come chi siede al bindolo, viene ordinato, rigirato e stretto ipnoticamente su sé stesso. E si tratta di un tipo di preparazione che evoca subito l’imbroglio con un viluppo di fili, cinghie, corde e simili, o anche il l girare intorno per disorientante nel raggiro. Tutto questo mi lascia sbigottito, ovvero profondamente turbato, allibito, spiacevolmente sorpreso. Sbigottito è il participio passato di sbigottire, di etimologia incerta. Forse dall’antico francese esbahir, giunto attraverso il provenzale esbair. Quando uno p sbigottito. Il turbamento profondo immobilizza viso e pensiero, provocando da una sorpresa che il più delle volte s’intende come spiacevole. Quanso si è mella fase di sbigottito, non siamo sgomenti ma il viso si trasforma e forse è vera la sua origine dal lemma provenzale ‘esbair si avvicina al termine bagutta, nome antico di una maschera divenuta poi celebre nella Venezia del Settecento col nome di baùtta o baùta, quella che copre la parte superiore del viso, con naso pronunciato, mantelletto dietro la testa e tricorno sopra. Il viso turbato mi trasforma il volto come una maschera vedendo il furfante di turno accalappiare impunito, l’ennesima vittima!
Favria 28.04.2018 Giorgio Cortese
Ogni giorno bisogna sempre trovare il coraggio di parlare e la voglia di chiarire. Perché i silenzi pesano come le pietre, e dopo le pietre diventano muri. E i muri, infine, separano.
Stop alle morti sul lavoro
Un recente fatto di cronaca mi fa riflettere che ogni morte sul lavoro, ogni menomazione subita mentre ci si guadagna il pane per sé e per i propri cari, è uno scandalo inaccettabile. Oggigiorno nostra società è ormai giunta a un tale livello di progresso tecnico e di consapevolezza civile che nessuno può più pensare di poter spiegare e giustificare con la “fatalità” tragedie che capitano sul lavoro. Neanche la complessità delle normative può essere invocata come alibi. Per quanto farraginoso e confuso possa apparire un sistema normativo, le regole base della sicurezza sui luoghi di lavoro sono di una chiarezza assoluta e le misure di prevenzione e di vigilanza così come i mezzi di controllo e di allarme sono diventati talmente efficaci e “facili” che nessuno può accampare scuse per ignorarle. Ritengo che le inutili montagne di carte periodicamente prodotte a giustificazione dell’incidente siano importanti ma non potranno mai mettere in pace le coscienze di coloro che ben possono garantire sicurezza a sé e agli altri in fabbrica, nei cantieri e ovunque. Penso che se vogliamo considerarci un “paese civile” non possiamo e non vogliamo rassegnarci all’idea che andare a lavorare per guadagnarsi la pagnotta per se e per la famiglia sia entrare in una guerra subdola, non dichiarata eppure troppe volte letale! Purtroppo dopo l’emozione del momento spostiamo dalla nostra coscienza il tragico evento per cestinarlo nel lungo elenco dei morti dimenticati! Impegniamoci a dire basta adesso ai morti sul lavoro altrimenti non ha senso festeggiare al primo maggio, la festa del lavoro!
Favria, 29.04.2018 Giorgio Cortese
Ogni mattina quando mi alzo apro i le braccia e mando un saluto con affetto alla vita.
Walpurgisnacht a Heidelberg
La notte di Valpurga, in tedesco Walpurgisnacht, era un’antica celebrazione pagana della primavera, tipica dell’Europa centro-settentrionale e praticata soprattutto dai popoli germanici, che avveniva la notte tra il 30 aprile ed il 1º maggio. Era caratterizzata da feste, canti, balli tradizionali e falò, ma assunse presto diversi significati, a seconda delle differenti tradizioni e culture dei Paesi europei nei quali si diffuse. Il suo attuale nome deriva da Valpurga di Heidenheim, una monaca bavarese del’VIII secolo canonizzata dalla Chiesa Cattolica e venerata il 1º maggio. La nascita di questa celebrazione si perde nei secoli, come fusione tra le cerimonie dei popoli germanici relative alla primavera, culto di Ostara, e i riti propiziatori stagionali, con quelli celtici, che celebravano il Beltane, in gaelico fuoco luminoso, secondo il calendario celtico, proprio la notte tra il 30 aprile il 1º maggio. Tale ricorrenza si diffuse presto anche in altri paesi, con piccole varianti e diversi nomi, come, ad esempio, le feste dette di “Calendimaggio” nell’Europa meridionale. Tale ricorrenza era caratterizzata dall’accensione di falò notturni, uniti a canti propiziatori per la purificazione del bestiame, oltre che alle invocazioni per un buon raccolto estivo, per l’abbondanza, la prosperità, la fertilità, esattamente così come avveniva, ad esempio per i Celti, per la ricorrenza stagionale opposta, il Samhain, notte tra il 30 ottobre e il 1º novembre, l’attuale Halloween. Secondo alcune tradizioni tedesche del IV-V secolo, strane figure, identificate successivamente come streghe, in questa notte uscivano dai loro rifugi per danzare e cantare. Queste tradizioni trovarono riscontro, in particolare, nella zona del monte Brocken, situato in Germania settentrionale, dove questi canti e balli erano dedicati alla luna. Tuttavia, questi rituali furono diversamente interpretati, a seconda del paese europeo ove si diffusero, come cerimonie esoteriche legate al demonio, simili a dei sabba. La tradizione del Beltane e le sue varianti europee, si sovrapposero, intorno al XI secolo, alla ricorrenza cattolica di santa Valpurga, fino ad essere soprannominata la “notte di Valpurga”. Riferimenti alla notte di Valpurga si riscontrano anche nella musica, con Felix Mendelssohn Bartholdy che ha musicato una ballata per soli, coro e orchestra su testo di Goethe, Die erste Walpurgisnacht, mentre i Procol Harum pubblicarono nel 1967 un disco dal titolo Repent Walpurgis, altrimenti noto in italiano come Fortuna, un brano strumentale nel quale era inserito l’inizio del preludio n° 1 in do maggiore di Bach da Il clavicembalo ben temperato, lo stesso sul quale Gounod compose la sua Ave Maria.
Favria 30.04.2018 Giorgio Cortese
Oggi la strada è in salita ma ho la speranza che i tempi duri non durano mai, ma le persone toste sì!