Abolizione nel 1257 servitù della gleba – La lingua russa. – La battaglia dei quattro giorni. – Il fico nel mito dell’Antica Roma – Kosovo – Cosa fatta, capo ha? – Il barone di Münchhausen – Parabolani…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Abolizione nel 1257 servitù della gleba In Russia la servitù della gleba

venne abolita nel 1861, circa 50 anni più tardi rispetto al resto d’Europa, negli Stati Uniti la fine della pratica della schiavitù fu certificata dalla Costituzione soltanto nel 1865: in entrambi i casi almeno seicento anni in ritardo rispetto all’atto di liberalità con il quale il 3 giugno 1257 il Comune di Bologna diede seguito ad una decisione assunta e resa pubblica il 25 agosto dell’anno precedente, quando la campana dell’Arengo del Palazzo del Podestà chiamò i bolognesi a raccolta per annunciare la liberazione di 6mila servi. In largo anticipo su tutte le moderne carte dei diritti umani, l’amministrazione cittadina raccolse in un codice, il “Liber Paradisus”, i presupposti etici del decreto: “Nella nostra città possano vivere solo uomini liberi. Occorre
restituire alla libertà originaria uomini che da principio la natura generò liberi e il diritto delle genti sottopose poi al giogo della schiavitù…”. L’emancipazione fu resa possibile tramite un riscatto in denaro: il Comune pagò tre rate per complessive 53.014 lire a titolo di indennizzo ai proprietari di 5.855 persone, tutti servi della gleba che risiedevano all’interno del territorio bolognese. Pioniera dei diritti civili Ad ogni bambino fu attribuito un valore di 10 lire, soldo che diventava d’argento se il servo aveva più di 14 anni. La rivoluzione introdotta dal “Liber Paradisus” cambiò lo status sociale di persone che fino a quella data erano considerate serve per nascita, legate mani e piedi, e per tutta la vita, alla zolla di terra, gleba in latino, che non gli era possibile abbandonare senza il consenso del padrone del terreno. Persone che potevano essere vendute, insieme alla terra alla quale erano legati, possedevano solo piccoli beni mobili e alle quali veniva concesso di sposarsi soltanto con persone del loro stesso rango residenti all’interno della proprietà. Il padrone dei fondi era allo stesso tempo il signore assoluto delle loro vite. Bologna in pieno Medioevo si erse così a pioniera dei diritti civili e sebbene il provvedimento avesse soltanto un valore locale, tracciò comunque la strada che altre amministrazioni italiane di lì a poco avrebbero imboccato. Perché Bologna era allora una delle più grandi città d’Europa, sede della prima e tra le più importanti università al mondo. Non solo: dopo la vittoriosa battaglia di Fossalta nel 1249, i bolognesi avevano preso prigioniero Enzo, figlio naturale dell’imperatore Federico II di Svevia, attirandosi l’attenzione di tutto il mondo. Tuttavia sarebbe sbagliato attribuire alla liberazione promossa e realizzata con il “Liber Paradisus” soltanto fondamenti etici. L’economia della città e del suo contado andava mutando velocemente e presto sarebbe andato in soffitta il vecchio assetto basato sulle attività agricole legate ai castelli, centri di produzione indipendenti l’uno dall’altro. Avere più cittadini liberi assicurava al Comune più entrate fiscali, e la trasformazione degli ex servi della gleba in contadini autonomi ne amplificava la produttività grazie anche alla selezione di nuove sementi e all’introduzione di tecniche agricole più avanzate. E infatti il Comune nel concedere ai servi la libertà vietò loro di abbandonare i territori della diocesi di appartenenza. Vennero invece convogliati verso località franche alle quali il Comune concesse condizioni fiscali di favore, territori dai quali giungeva in città una maggiore mole di prodotti, contribuendo ad alimentare la crescita dell’economia.
Favria, 5.06.2023

Buona giornata. Il giovane cammina più veloce dell’anziano, ma è l’anziano che conosce la strada. Felice lunedì

La lingua russa.

Il 6 giugno è la giornata mondiale della lingua russa  istituita nel 2010 dalle Nazioni Unite e viene festeggiata con eventi culturali, letture, conferenze, concerti e spettacoli dedicati alla storia, alla letteratura e alle tradizioni della  Russia. È stato scelto il 6 giugno in occasione della ricorrenza della nascita di  Puskin, considerato l’innovatore della lingua e il fondatore della letteratura russa moderna. Pensate che il russo è l’ottava lingua più diffusa al mondo,  oltre ad essere la lingua ufficiale della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, il russo è una delle sei lingue ufficiali delle Nazioni Unite e lingua obbligatoria per tutti coloro che lavorano presso la  Stazione Spaziale Internazionale. Insieme all’ucraino e al bielorusso, il russo fa parte delle lingue slave orientali, tutte scritte in alfabetici cirillico La lingua russa  si originata a partire dal XIII secolo dallo slavo orientale, il russo è stato lingua di comunicazione ufficiale nell’impero zarista e quindi nell’Unione sovietica. Per questo ancora oggi si può lavorare a Tbilisi o a Baku, ad Astana, Minsk utilizzando il russo. Come tutte le lingue, anche quella russa è uno straordinario veicolo di cultura. E se la cultura e la storia russe sono segnate dai paradossi, il russo è uno di questi, una lingua tanto viva e duttile, quanto morta e sclerotizzata. Il russo vivo ha saputo accogliere in sé sia la raffinata tradizione spirituale greco-bizantina, sia la componente asiatica dei tataro-mongoli con la loro pratica pagana del potere e del commercio; ha poi ospitato le lingue dei suoi riferimenti culturali e politici: i prestiti dalle lingue del nord Europa introdotti da Pietro il Grande, il francese della corte di Caterina II e della società cosmopolita di inizio Ottocento, l’italiano degli architetti e dei musicisti, fino ai tanti anglicismi entrati dopo il crollo dell’Unione sovietica. La lingua russa dimostra questa capacità di arricchirsi facendo trasparire l’esperienza dalla forma stessa delle parole, per cui l’orso è chiamato “mangiatore di miele” e l’avverbio “sufficiente” indica ciò che arriva al livello del desiderio. Accanto a tanta vitalità emerge il rigor mortis dell’ideologia parlata dalla propaganda, che uccide i significati delle parole vive o le sopprime del tutto, è stata chiamata anche “lingua di legno” per il suo carattere rigido, burocratico e astratto. Questo è successo alla lingua nell’età sovietica, e la resistenza si è combattuta nel russo stesso, quello della letteratura clandestina e della poesia, ma anche degli affetti e dell’intimità quotidiana. Oggi il russo è occupato dall’ideologia della guerra. Ma  ha scritto uno scrittore russo: “Non c’è niente che sia del tutto morto: ogni senso avrà la sua festa di resurrezione”.

Favria, 6.06.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Bisognerebbe parlare quando siamo sicuri che quello che diremo  è più bello del silenzio. Felice martedì.

La battaglia dei quattro giorni.

La battaglia di quattro giorni fu una battaglia navale al largo delle coste delle Fiandre, tra le flotte dell’Inghilterra e dell’Olanda unita nel 1666 durante la Seconda Guerra Olandese-Inglese. Storck cattura la più lunga battaglia navale nella storia del mondo in un dipinto monumentale raffigurante la fase finale della battaglia: la flotta olandese sotto il comando dell’ammiraglio Michiel de Ruyters sfonda i ranghi della flotta britannica da sud-ovest sotto il comando dell’ammiraglio George Monck, Duca di Albemarle. La strategia estremamente rischiosa consentì ai Paesi Bassi di vincere la battaglia, ma non riuscì a eguagliare gli inglesi in fuga. Infatti, sebbene siano state perse solo quattro delle 84 navi, le rimanenti hanno a volte preso 1000 colpi. Inoltre, cibo e munizioni erano esauriti.

Favria,  7.06.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno della nostra vita è una pagina della storia che stiamo scrivendo. Felice mercoledì

Il fico nel mito dell’Antica Roma

Fu sotto le foglie di un albero di fico che ebbe luogo un evento leggendario, tappa primordiale della storia dell’antica Roma. Lo scrittore Tito Livio ricorda il gesto fratricida compiuto da Amulio che uccise il fratello Numitore, re dei Latini, e impose a Rea Silvia, nipote ed erede legittima, una vita consacrata e verginale. Tuttavia, che sia stato l’intervento del dio Marte o una faccenda molto più umana,  la giovane ebbe i due gemelli Romolo e Remo, che Amulio ordinò di gettare nel fiume. Per un fatto provvidenziale in quei giorni l’acqua del Tevere straripò e impedì agli uomini del re di raggiungere la corrente, così abbandonarono la culla con i due neonati nell’acqua stagnante, convinti di una loro morte certa. Ma all’ombra di un albero di fico, nel baluginare delle luci sull’acqua, una lupa assetata trovò i due fratelli: allattandoli, li salvò. Venerato. Da allora quel fico fu detto ruminalis, dal termine latino che significa “mammella”. Come annota Plinio il Vecchio, nel Foro di Roma si venerava una pianta di fico a ricordo dell’episodio che aveva salvato i futuri fondatori dell’Urbe. Oggi, nelle vie monumentali del Parco archeologico del Foro romano, un albero di fico offre ancora la sua ombra ai turisti accaldati.

Favria,  8.06.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno ci dobbiamo sforzare a non avere paura e trasmettere la speranza per le nuove generazioni. Felice giovedì

Kosovo

Il nome attuale Kosovo ha origine dalla località della Piana dei Merli, Fushe Kosove in albanese, Kosovo Polje in serbo a 8 km sud-ovest di Pristina, teatro della battaglia omonima del 1389. In serbo Kosovo Polje significa, alla lettera, Campo del merlo  o Piana del merlo,  essendo kosovo la forma declinata possessiva della parola slava e serba Kos, merlo, ossia del merlo. Questo toponimo è  diffuso in ambito slavo, sino alla Bielorussia,  è di origine slavo-serba, non avendo alcun significato proprio in albanese, che ne ha fatto un prestito, limitandosi a tradurre campo in Fushe,  ma non merlo, che in albanese è  cave, e a mutare la vocale finale in Kosove.  Il toponimo più antico della regione è  Dardania,  dal proto-albanese dardhe, pera,  dove abitava la tribù illirica dei Dardani,  da cui prese il nome. Esso è ancora utilizzato, seppur attualmente non ufficialmente, dagli albanesi dello Stato kosovaro. In età medievale il Kosovo fu il cuore dello stato serbo dei Nemanja e dell’impero di Stefano Dušan. Conquistato dai Turchi ottomani dopo la battaglia della Piana dei Merli del 1389, acquisì valore simbolico nella tradizione culturale dei Serbi e di altri popoli balcanici e fu oggetto di una letteratura eroica, la cui riscoperta nel 19° sec. alimentò lo sviluppo dei movimenti nazionali slavo-meridionali; a questa tradizione si riferirono gli autori dell’attentato contro Francesco Ferdinando d’Asburgo del 1914. Nel corso dei secoli, d’altra parte, la composizione demografica del K. era mutata a favore degli Albanesi e nel 1878 si sviluppò qui il primo embrione del movimento nazionale albanese con la costituzione della Lega di Prizren. Dopo la prima guerra balcanica del 1912, il Kosovo fu annesso alla Serbia; nel 1918 entrò a far parte della Iugoslavia e nel 1941 fu unito all’Albania sotto l’egida italiana. La vittoria di Tito in Iugoslavia sanzionò il ritorno del Kosovo alla Serbia, con lo status di regione autonoma. Tito, il quale, in un’ottica di equilibri e mediazioni, riteneva che nel quadro della nuova Iugoslavia comunista non si dovesse esaltare in nessun caso alcun primato nazionale serbo, non fu indifferente alle richieste di autonomia da parte degli albanesi del Kosovo. Nel 1974 concesse al Kosovo una nuova Costituzione che riconosceva alla provincia il carattere di “elemento costitutivo della Federazione”, la legittimità di un autonomo governo locale e l’istituzione della bandiera. La Costituzione del 1974 alimentò però il malcontento della minoranza serba. I contrasti fra i due gruppi etnici e lo sviluppo del nazionalismo serbo crebbero nel corso degli anni 1980. Alla fine del 1987, con la presa del potere in Serbia da parte di Milosevic,  le tensioni in Kosovo aumentarono ulteriormente. La nuova Costituzione adottata dalla Serbia nel 1989 ridusse fortemente l’autonomia del Kosovo e iniziò una forte campagna di serbizzazione di tutte le istituzioni kosovare. In risposta, nel 1991 si costituì in Kosovo uno Stato albanese parallelo, guidato da Rugova, presidente della Lega democratica del Kosovo, LDK, e, dopo un referendum, venne proclamata la Repubblica del Kosovo riconosciuta solo da Tirana, Albania. Nel 1997 alcune zone rurali erano sotto il controllo dei separatisti del Kosovo e per combatterli  Milosevic autorizzò una feroce campagna repressiva, con stragi e deportazioni compiute dalle milizie serbe e da truppe paramilitari. Il fallimento di ogni accordo fra le opposte parti e del negoziato convocato dai Francesi a Rambouillet, determinò l’inizio dell’attacco NATO contro la Iugoslavia che, iniziato nel marzo 1999, si concluse a giugno, quando Belgrado accettò il piano di pace proposto dai paesi del G8, con l’invio di truppe NATO.  La risoluzione 1244 dell’ONU pose il K. sotto il controllo provvisorio di un organismo internazionale,  l’UNMIK, United Nations Interim Administration Mission in Kosovo,  mentre, riguardo allo statuto della provincia, ne auspicava l’autonomia pur ribadendo la sovranità della Serbia. Il ritardo con cui l’UNMIK divenne realmente operativa non contribuì a riportare stabilità nella vita civile; ne fu favorita, al contrario, la criminalità organizzata che, nel vuoto politico e giuridico venutosi a creare, poté intensificare e ramificare le sue attività, traffico di armi, di droga e di esseri umani. Le forze di sicurezza internazionali non riuscirono a sedare i conflitti interetnici, riaccesisi immediatamente, e le vendette perpetrate dagli Albanesi, principalmente ai danni dei Serbi, ma anche dei Rom e di altre minoranze.  Il nuovo assetto federale della Iugoslavia, ridenominata Repubblica federale di Serbia e Montenegro  del 2003, lasciò inalterato lo statuto del Kosovo, riaccendendo le rivendicazioni di indipendenza da parte degli Albanesi.  Intanto i negoziati sotto l’egida dell’ONU per la definizione dello status del Kosovo avevano continuato a vedere le due parti arroccate sulle rispettive posizioni: la richiesta di indipendenza da parte albanese non veniva accolta dai Serbi, disposti a concedere soltanto uno statuto di autonomia. In tale situazione di stallo il 17 febbraio 2008 il Parlamento del Kosovo ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza del paese, e nel giugno dello stesso anno è entrata in vigore la costituzione. Nonostante il Kosovo sia stato riconosciuto da 74 stati nel mondo, tra cui l’86% dei membri della Nato e l’81% di quelli dell’Eu, permangono l’opposizione di alcune grandi potenze , Russia, Cina, India, Brasile. Nel settembre 2020 il presidente serbo Vucic e il primo ministro del Kosovo  Hoti hanno firmato alla Casa Bianca uno storico accordo per la normalizzazione dei rapporti economici tra i due Paesi balcanici, che prevede la loro cooperazione per attrarre investimenti e creare posti di lavoro in alcuni settori, mentre nell’agosto 2022, dopo un lungo periodo di tensione prodotto da nuove norme transfrontaliere imposte dalle autorità serbe, è stato raggiunto un accordo sulla libertà di circolazione tra i due Paesi; nel marzo 2023 Pristina e Belgrado hanno accettato il piano dell’Unione Europea per la normalizzazione delle loro relazioni, che dovrà essere firmato e implementato. Ciò nonostante, violenti scontri si sono verificati nel maggio 2023 tra forze Nato e manifestanti serbi a seguito delle elezioni municipali che hanno portato all’elezione, ritenuta illegittima dall’etnia serba, astenutasi dal voto con l’appoggio di Belgrado, di sindaci albanesi.

Favria, 9.06.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Com’è gradevole il tiglio nelle sere di Giugno e l’aria è così dolce che a palpebre chiuse annuso il vento che porta aromi d’estate. Felice venerdì.

Le Vostre gocce di sangue possono creare un oceano di felicità, donate il sangue potete salvare una vita. Esiste dentro di noi la gioia di aiutare. Basta ascoltarla. Lo scopo della vita di noi essere umani è quello di accendere una luce di speranza nei nostri simili anche donando il sangue. Ti aspettiamo a FAVRIA LUNEDI’ 12 GIUGNO  2023, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te.  Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Cosa fatta, capo ha?

La frase “Cosa fatta capo ha?” fu  usata da Dante nel canto XXVIII dell’Inferno, che la

attribuì al politico Mosca dei Lamberti: “Ricordati anche del Mosca, che disse, lasso!, Capo ha cosa fatta, che fu mal seme per la gente tosca” Ricordati anche del Mosca, che disse: “Cosa fatta capo ha”, che fu l’inizio dei dissidi fra i toscani. Con queste parole infatti il seminatore di discordia Mosca, consigliando la vendetta agli esitanti Amidei, innescò la lotta tra Guelfi e Ghibellini, e diede inizio di fatto a tutti i guai della città di Firenze. Di solito la locuzione si fa risalire al poeta fiorentino, tuttavia già in latino si diceva: “factum infectum fieri non potest” ciò che è fatto non può diventare non-fatto. Senza ripensamenti. Ma che cosa vuol dire questa frase che usiamo spesso? Proviamo a dare un senso a queste quattro parole. Significa che un’azione quando è stata compiuta non può più essere modificata ed è quindi inutile discuterne, temporeggiare o tentare in qualche modo di cambiarlo.

Favria, 10.06.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. Solo lo stolto percorre correndo il cammino della vita senza soffermarsi ad osservare le bellezze del creato. Felice sabato

Il  barone di Münchhausen

Il barone di Münchhausen è veramente esistito ed era  l’ufficiale Hieronymus Carl Friedrich von Münchhausen, che visse tra il 1720 e il 1797 in Germania. Egli era solito raccontare storie che diceva tratte dalle sue spedizioni, alle quali aggiungeva elementi inverosimili e di fantasia, dando origine al personaggio del barone. Le sue storie sono infatti raccolte nel libro Le avventure del barone di Münchhausen, dello scrittore Rudolf Erich Raspe, che forse si ispirò ad alcuni racconti pubblicati nel 1781 in forma anonima, stampato nel 1785. Il libro rese popolare l’ufficiale millantatore mentre era ancora in vita. Fanfarone. Chi legge delle sue avventure deve fare un discreto sforzo per sospendere la propria incredulità e credere possibile che il barone, tra le tante strabilianti imprese, abbia catturato uno stormo di anatre con un pezzo di lardo attaccato a una lenza e sia riuscito da loro a farsi trasportare in volo. O che nel corso dell’assedio a una fortezza turca abbia cavalcato una palla di cannone. Tra realtà e fantasia i suoi racconti hanno ispirato registi
e scrittori. Da lui prende il nome anche una patologia, la “sindrome di Münchhausen”, che spinge chi ne soffre a inventare malattie per attirare l’attenzione.

Favria, 11.06.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Quello che si apprende in gioventù è scolpito nella pietra. Felice domenica

Parabolani.

Questa strana parola ha un duplice significato, il primo deriva dal lemma parabola, nel significato antico di parola, modo di dire caduto in disuso di chiacchierone, ciarlone, millantatore. Lemma usato da Goldoni: “Nella nostra città non vogliamo parabolani. Da questa parola deriva il lemma farabolone, alterazione di parabolone, chiacchierone,  imbroglione, che discorre o promette molto e fa poco o nulla, e di questi ne conosciamo purtroppo tantissimi. Diversa è la parola parabolano, che deriva dal tardo latino parabolanus, che deriva da parabolus, chi si espone temerariamente al pericolo. Questa parola deriva dal greco parabalanéis, con il significato di audace, temerario. Parabòloi erano detti anche alcuni gladiatori, che appunto esponevano la loro vita al pericolo combattendo nel circo con bestie, in latino, bestiari. Questi anticamente era il nome dato, nel periodo bizantino, ai chierici addetti all’assistenza dei malati, e specialmente dei malati contagiosi, negli ospedali. I parabolani erano una confraternita cristiana attiva ad  Alessandria d’Egitto nel IV-V secolo, dediti in particolare alla cura dei malati.  Le fonti storiche sono estremamente scarne a loro riguardo, e non ci sono di immediata comprensione elementi come la loro storia, il loro statuto ecclesiale, se erano laici, chierici o monaci. E anche non si conosce le effettive modalità dell’assistenza prestata e soprattutto, il loro eventuale coinvolgimento nelle violenze interreligiose che colpirono la città egiziana tra la fine del IV ed inizio  del V secolo. I parabolani sono fugacemente accennati dagli  Atti del Concilio di Calcedonia, che li dicono presenti assieme a  Dioscoro, patriarca di Alessandria, al cosiddetto “latrocinio di Efeso” del 449 d.C, così definito da papa Leone I per i fatti di violenza con cui se ne impedì il regolare svolgimento, e che indussero il pontefice ad annullarne gli atti. In questo Concilio turbolento si fa un fugace accenno ai parabolani, sempre citati  come gruppo collettivo e non ci è noto il nome di nessun parabolano.  I parabolani oltre a svolgere opere di misericordia, è diffusa opinione tra gli studiosi che costituissero una sorta di guardia del corpo del vescovo, e sulle effettive modalità attuative di questo compito le opinioni di alcuni studiosi contemporanei vanno ben al di là di quanto riportato dalle fonti storiche. Nel turbolento e caotico contesto dell’Alessandria del IV-V secolo, dove erano particolarmente diffusi violenze e scontri inter-etnici e inter-religiosi, appare verosimile che il vescovo niceno, cioè cattolico cercasse di salvaguardare la propria incolumità. Che questo compito venisse svolto dai parabolani non è esplicitamente affermato da nessuna fonte storica.  Oggi molti studiosi suppongono che questa confraternita avesse avuto un ruolo da protagonisti nelle violenze in particolare con l’espulsione degli ebrei da Alessandria e l’assassinio di Ipazia.

Favria, 12.06.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. A colazione mangia quanto vuoi; il pranzo dividilo con un amico e la cena lasciala al tuo avversario. Felice lunedì