Allegria in bicicletta con la Pro Loco – L’ombra. – Dai Savaran ai Peshmerga. – Da segale a segaligno. – L’anafora e l’epifora con Lucio Battisti. – Ottobre…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Non pensavo che la delusione ferisse così profondamente l’animo. Purtroppo avevo delle speranze mal riposte che sono svanite. La mia delusione nasce da una speranza svanita, una fiducia tradita cioè dal voltafaccia di persone in cui credevo. Pazienza, e non cerco vendetta, non la meritano! Il lato positivo è che adesso almeno ho capito quanto sono superficiali.

Allegria in bicicletta con la Pro Loco.
Domenica 17 settembre la Pro Loco di Favria con il Patrocinio del Comune ha organizzato la ormai consueta biciclettata, dove si è potuto apprezzare quanto facile, rapido e salutare sia l'”antico” mezzo della bicicletta che in questi tempi mostra a pieno tutta la sua “modernità, con la riscoperta di alcuni Borghi di Favria con la loro antica storia, dove ci sono state delle pause di ristoro e concludendo il tutto con una merenda sinoira. Insomma un ottimo abbinamento tra relax all’aria aperta, bricciole di cultura e buon cibo. Vedendo arrivare il nutrito e numeroso gruppo dei partecipanti alla bibiclettata mi viene da pensare che le ruote di una bici sono simili alle lancette di un orologio, girano lentamente sul nastro d’asfalto della strada, ma possono andare molto lontano rotolando verso il futuro senza fretta. Questo insegna che condividere ci porta lontano e ancora grazie alla Pro Loco, all’Amministrazione Comunale ed ai Comitati di San Grato, SS. Annunziata e a San Giuseppe per l’ottima accoglienza riservata, fatta di condivisione e di amicizia. E fa ben sperare che la cultura fatta anche di conoscere le nostre radici, la conoscenza del comune passato per comprendere meglio il presente per poter tutti insieme intuire il futuro.
Favria, 26.09.2017 Giorgio Cortese

L’amico Fervido mi ha detto che quando il morale è basso, quando il giorno sembra buio, quando il lavoro diventa monotono, quando gli sembra che non ci sia più speranza. Allora sale sulla bicicletta e pedala senza pensare a nient’altro che alla strada che percorre e l’animo si ristora.

L’ombra.
Una domenica mattina del mese di agosto esco dal cimitero per la consueta visita ai morti, il cielo è assolato e cerco istintivamente l’ombra, parola che deriva dal latino umbra, da li l’origine della parola ombrello. La parola ombra evoca il buio, ma nella vita è anche il buio necessario che mi porto dietro, che tutte le forme nel mondo si portano dietro. L’ombra è su tutto, anche un morto fa la sua ombra come un albero una montagna ed il piccolo cedro nel parco vicino a casa. Pensate che ha anche un’ombra una falena. L’ombra non fa distinzione tra vivi e morti, tra ricco e povero, tra il piccolo è il grande tra un oggetto in animato ed un essere vivente o vegetale. Preso dalla frenetica vita di ogni giorno non mi accorgo che la realtà dell’ombra si respira in ogni momento nella vita quotidiana. Per questo ho rivalutato l’ombra dove il passato e presente, la vita e la morte si incontrano senza legarsi l’una con l’altra su tutto. Certo dell’ombra sono dette cose terribili, ed evoca pensieri oscuri, viene da pensare che è il male, che non è il mondo, ma mai nessuno è riuscito a togliersi l’ombra e peccato che nel mondo ci siamo tanti esempi negativi sull’ombra. Si vede l’ombra come il contrario della luce, il male ed il bene. Ma nella vita di ogni giorno di quanta luce di quante certezza e di quanto bene posso affermare che è composta la mia vita? Ritengo l’ombra l’emblema dell’incertezza e dell’imprevedibilità della mia umile vita. Insomma che mi piaccia o no l’ombra fa parte di me stesso, l’ombra nella vita di ogni giorno è il presentimento su quanto mi può accadere, un sentimento inafferrabile appunto come l’ombra, che nella vita di ogni giorno mi accompagna silenziosamente muta testimone di come mi comporto.
Favria, 27.09.2017 Giorgio Cortese

Ogni giorno cerco sempre di mantenere la mente calma e serena e non permettere che la passione o che un desiderio passeggero disturbino la mia concentrazione e tranquillità nell’animo.

Dai Savaran ai Peshmerga.
In questi mesi, ed ultimi anni, quando si legge del Medio Oriente, sempre più spesso si stente parlare dei Peshmerga che in lingua curda significa: “di fronte alla morte”, insomma che si battono fino alla morte e lo hanno dimostrato con che vigore hanno combattuto e contrattaccato i folli e fanatici pazzi dell’Isis. Ma chi sono i curdi? Se vi ricordate a scuola quando studiavano la storia antica si parlava dei Medi e dei Persiani. Per i Persiani è facile, abitano l’attuale Iran, ed i Curdi sono gli antichi indoeuropei Medi. Nell’antico impero Sassanide prima della conquista araba, l’elite dell’esercito erano i micidiali Savaran, una cavalleria pesante catafratta. Questi guerrieri arrivavano dalle file della casta dei guerrieri detti Arteshtaran, che ne erano il vertice. Erano insomma i membri più in vista dell’aristoocrazia feudale dell’Antica Persia sotto il dominio Sassanide che si divideva in tre categorie: quella di Partia in cui eccelleva la casa dei Sassan che avevano come vessillo l’uccello mitologico Homa, simile al mito della Fenice, una formazione aveva una bandiera legata alla mitologia dell’Antica Persia. La seconda degli Azdan, l’alta nobiltà di discendenza ariana che, a partire dal regno di Media nel VII-VI secolo d.C. aveva conquistato l’altipiano iranico ed infine i Dehkans che era la nobiltà minore. Nell’esercito Sassanide il meglio del meglio erano i Zhayedan, gli Immortali, diecimila uomimi guidati da un comandante detto Varthraghninghan Khavdhay, questi soldati avevano il compito di chiudere ogni falla durante la battaglia, ed i caduti venivano subito sostituiti per mantenere il loro numero sempre invariato a diecimila! Quelli che eccellevano in battaglia, potevano poi aspirare ai temibili reparti d’assalto detti Gyan-avspar o Peshmerga, coloro che sacrificano la vita, e famosa era l’unità detta “Cavalieri d’Oro”, celebri per le inarrestabili cariche frontali che sbricciolavano la linee avversarie. Altrettanto famosi erano i mille soldati che componevano i Pushtighban, la guardia del corpo d’élite, proveniente dai ranghi dei Savaran, che avevano il compito di proteggere il re sasanide. Questi soldati di solito si trovavano nella capitale del regno e rappresentavano l’ultima linea difensiva contro gli invasori. I migliori tra loro erano i Gyan-avspar, coloro che sacrificavano la vita, disposti a morire per il proprio re, come fecero senza remore durante l’invasione della Persia da parte dell’imperatore Giuliano. Le guardie del corpo reali e gli altri corpi militari sopracitati scomparvero ufficialmente come unità con la morte di Yazdgard III, l’ultimo re dei Sasanidi. Gli attuali Peshmerga nel nome traggono origine da questi antichi e valori corpi.
Favria, 28.09.2017 Giorgio Cortese

Quello che mi rende veramente felice nell’animo nel modo più immediato è la serenità d’animo che mi tonifica

Da segale a segaligno.
La segale è originaria probabilmente dell’Asia, ma la storia di questo cereale è recente. Allo stato selvatico si è diffusa come erba infestante tra i campi di frumento e orzo nei paesi dai climi più freddi. Il suo addomesticamento è iniziato proprio in questi luoghi, a causa della sua grande resistenza al freddo e agli sbalzi termici e non era molto apprezzato dalle civiltà Greca e Romana, che con la farina ottenevano il “pane della plebe”. La diffusione vera e propria di questo cereale si ebbe fra il X secolo d.C, in Europa ed il XVI e XVII secolo in America ed in Giappone, vista la sua natura rustica e la sua adattabilità. Nel settecento, la segale era uno dei cereali più coltivati. In questi ultimi secoli il frumento ha largamente sostituito diversi cereali ma la segale è, ancora oggi, estesamente coltivata nei Paesi di cultura germanica, in Russia, in Francia e nell’Italia settentrionale, Trentino-Alto Adige, Friuli, Lombardia e Piemonte, dove costituisce un alimento base, grazie alla sua resistenza ai climi più freddi. La farina di segale viene utilizzata principalmente per la produzione del pane nero e dei prodotti da forno ma è anche impiegata nella preparazione di zuppe, pappe, minestre e fiocchi di cereali. Questo cereale è ricco di vitamine, in particolare quelle del gruppo B, e minerali, tra cui spiccano magnesio, fosforo, potassio e manganese. Tra le vitamine è molto importante il contenuto di niacina (B3), alla quale vengono attribuite alcune delle proprietà terapeutiche relative ad ipertensione e problemi vascolari vantate dall’antica erboristeria. Le sue proprietà energetiche e rigeneratrici sono invece da attribuire alle altre vitamine del gruppo B, alla vitamina E e alla grande concentrazione di manganese. Pare che la segale abbia delle proprietà antibatteriche e antitumorali. La segale è ricca di fibre, che contribuiscono a dare senso di sazietà, aiutano l’organismo ad espellere le tossine e permettono di tenere sotto controllo il colesterolo nel sangue. Questo cereale è particolarmente indicato per chi fa poco movimento o chi soffre di ipertensione, poichè stimola la circolazione sanguigna e contrasta i processi di invecchiamento dei vasi sanguigni, con capacità stimolante anche nei confronti del fegato. Proprio queste proprietà potrebbero aver costituito una valida difesa per le popolazioni dei Paesi nordici in cui, per motivi climatici ed economici, si consumano grandi quantità di grassi animali. Bisogna avere presente che la segale come il frumento, l’orzo e il farro, è un cereale che contiene glutine e di conseguenza non indicato a chi soffre di celiachia. Alla segale è legata la leggenda delle streghe. Un tempo questo cereale veniva attaccato da un fungo, chiamato ergot, che trasforma il seme, durante la maturazione, in un corpo duro e allungato, simile allo sperone del gallo, “ergot”, in francese. A causa di questi cornetti, il cereale attaccato dal fungo prende il nome di “segale cornuta”, l’intossicazione causata da questo fungo agisce a livello del sistema nervoso, provocando allucinazioni. Questo fenomeno portava a credere che le persone affette da ergotismo fossero in relazione con il demonio o altre forze maligne, tanto che esiste una ipotesi che mette in relazione i fenomeni di stregoneria che si verificarono a fine Seicento a Salem negli USA con il consumo della segale cornuta, i cui alcaloidi sono resistenti anche alle temperature dei forni di cottura del pane. Dalla metà del 1800 la conoscenza del ciclo vitale del fungo ha progressivamente ridotto, fino ad eliminarli questi funghi. Da questo cereale nasce la parola segaligno che significa smilzo perché probabilmente simile ad una spiga di questo cereale. Se non ci sono dubbi sul fatto che indichi qualcuno magro, è una parola che però può avere due connotazioni opposte, storicamente il segaligno dovrebbe essere quello smilzo ma sano, robusto come una bella spiga. Ma oggi purtroppo prevale il significato opposto, il magro e malaticcio, deboluccio, un po’ scomposto. La spiga, pur nella sua forma, può essere tanto dritta quanto ricurva, tanto prospera quanto stentata, ed allora il segaligno non ha in sé, strettamente, altra denotazione che quella dell’essere smilzo come una spiga; che poi sia sano o no, dipende dall’uso consueto. Sicuramente una certa influenza nella trasformazione in negativo del significato di questa parola ce l’ha il mutato ideale estetico dopo la seconda guerra mondiale dove il sano ed il bello, con i primi film mitologici sono massicci, muscolosi, pesanti e non dei resistenti fuscelli, gonfi e muscolari ma poco resistenti alla quotidiana fatica.
Favria 29.09.2017 Giorgio Cortese

Nell’ottimismo c’è magia. Nel pessimismo non c’è nulla

Certi giorni la vita è simile ad una partita a carte, devo solo capire chi bleffa.

L’anafora e l’epifora con Lucio Battisti
L’anafara e l’epifora sono due figure retoriche,. la prima, l’anafora consiste nella ripetizione di una o più parole all’inizio di un segmento di testo, deriva dal greco anaphorà, ripetizione, riferimento, a sua volta dal verbo anaphèro, portare indietro. L’anafora può imprimere parole, sussurrare dolcezze, cantare melodie, cullarmi, prendermi e strattonarmi con forza, perché arriva e si allontana e poi ritorna, presente sullo sfondo finché non ha raggiunto il proprio scopo. Seducente si fa ricordare, ed io la ricordo nelle parole del grande Lucio Battisti: “ Acqua azzurra, acqua chiara”. Ed invece l’epifora consiste nella ripetizione di una o più parole alla fine di un segmento di testo. Dal greco epiphorà, aggiunta, a sua volta dal verbo epiphèro, portare in aggiunta. E qui penso ad una canzone di Battisti: “Scusa è tardi, e penso a te / ti accompagno e penso a te/ ti telefono e intanto penso a te”. Qualcuno addirittura dice che queste figure retorica siano pura poesia, visto la corrispondenza con il genere poetico.. Ma non è tutto, non sono solo dote dei versi, ma è anche nei momenti della vita di tutti i giorni, dove la funzionalità è legata alla semplicità di memorizzazione di segmenti simili, fino alle essenziali parole dei bambini. Sono parole simili al fuoco che marchiano le nostre menti e ne fanno affidamento tantissimi autori per la loro espressività.
Favria, 30.09.2017 Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno mi è sempre piaciuto il domani, comunque vada una giornata c’è sempre un domani

Ottobre
Se penso al mese di ottobre potrei cominciare a dire che deriva il suo nome dal latino “october”, l’ottavo mese del calendario romano, che inizia con il mese di marzo, ma questo è ormai scontato. Ad ottobre sembra che inizi una festa con le foglie che sono diventate multicolori e volteggiano nell’aria ed ecco che l’estate è ormai svanita, un pallido ricordo come il sole di questo mese dai giorni che si accorciano con la seducente luce dorata dall’alba al tramonto. Gli alberi del parco vicino sono simili a delle torce che mi illuminano la via per l’inverno con un tappeto variegato di colori nel terreno. Questo mese arriva con un vetro appannato e l’odore della nebbia che si avvicina, benvenuto mite ottobre!
Favria, 1.10.2017 Giorgio Cortese

Ogni giorno che di sapere distinguere chi sa distinguermi.