Chi vive veramente….- La memoria -Sant’Andrea-Dicembre- Cachi, l’albero delle sette virtù!-Solidarietà dell’amicizia-Attimo immobile…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

L’ironia è l’ipotenusa del lato intelligente di una persona. Sentimento che nasce solo da chi è all’altezza nell’animo.

Chi vive veramente….
Scriveva Antonio Gramsci “Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Questa frase condensa tutta la disperazione di chi sa come andrà a finire, di chi sa che il suo impegno e quello di pochi altri non è sufficiente per arginare un pensiero unico che distrugge sul nascere qualsiasi tentativo di confronto civile e di impegno. E prendendo spunto dalla frase oggi il peggiore virus che corrompe la società non è l’odio ma è l’indifferenza! Il pensiero può sembrare lapidario e semplice, certo l’odio fa molti danni alle persone, ne provoca la morte ma le difese immunitarie della società alzano subito le barrirere per fare muro con l’intruso odio, ma l’indiffernza è un virus subdolo e malvagio più dell’odio. Ci assuefaciamo con l’attuale stile di vita e di comportamento; sappiamo certamente di più sulla miseria del mondo, abbiamo più occasioni di confrontarci con gli altri, differenti da noi, ma il risultato non è quello né della premura né del rigetto, bensì quello dell’insensibilità. Si è sempre più distaccati, impassibili, apatici di fronte al mondo che bussa alle porte della nostra casa ben protetta e isolata. Insomma diveniamo sempre di più menefreghisti, con l’idifferenza l’animo diventa apatico. Ritengo che ogni giorno ho bisogno di una sorta di elettrochoc della coscienza, che devo sempre scuotere e interpellare, svegliandola da un letargo che è fatto di noncuranza e grigiore, così che risuoni sempre nel mio animo l’imperativo morale dell’amore per tutta l’umanità altrimenti rimango chiuso nell’apatia del mio misero ego, tertium non datur!
Favria, 28.11.2015 Giorgio Cortese

Certe persone vivono di espedienti nel gabbare il prossimo con false promesse, forse sono meno bravo di loro e molto meno ricco ma cerco di vivere ogni giorno con la quotidiana esperienza ed un pizzico di buonsenso.

La memoria
La parola memoria può assumere diversi significati, a seconda del contesto in cui è inserita. Personalmente intendo la memoria il dovere di capire le chi erano il nostri progenitori per capire con quali sforzi e sacrifici hanno permesso l’attuale benessere e per trasmettere alle generazioni future, il ricordo delle loro origini per affrontare serenamente il presente e sperare in un futuro preferibilmente migliore. La memoria è determinante nella vita quotidiana, perché se ci arricchiamo di memorie anche la vita ne trae giovamento e si arricchisce. La memoria è tesoro e custode di tutte le cose del mio animo. Perdere il passato significa perdere il futuro. Per arricchire la memoria bisogna sempre tenere vivo l’interesse, se l’interesse viene meno anche la memoria incomincia a dissolversi , se si dimentica si perde quel fermento che ci fa sentire vivi nella vita. A scanso di equivoci la memoria non è l’esame serale di coscienza, certo con la memoria si possono fare dei bilanci, delle considerazioni su delle scelte fatte, ma qualcosa di più che va al di là e che dà molto valore alla vita. Facci queste riflessioni dopo che mio suocero alla veneranda età di 91 anni mi ha fatto vedere dei suoi appunti vergati a mano lunghi elenchi di antenati della sua famiglia, un gomitolo di generazioni che inizia verso la fine del 1700 con nascite, morti fino ad arrivare a giorni nostri. Mi domando quante persone hanno la sua costanza certosina di trascrivere ogni giorno dei ritagli della sua memoria per lasciare una traccia scritta a noi sempre di più tecnologici e super informati su quanto avviene nel mondo ma distratti da quali sono le nostre radici di dove siamo nati. Ascoltando, leggendo di nomi, date di nascita e di morte e pensando alle loro umane peripezie mi sembra di guardare indietro e di rinnovare i mi occhi dell’animo renderli più adeguati alla loro funzione primaria, guardare avanti. Mi ritengo fortunato di quanto ho appreso e cercherò di mantenerlo vivo perché il ricordo degli antenati perché senza di loro noi non saremmo mai esistiti
Favria, 29.11.2015 Giorgio Corteset

Nella vita i veri amici sono quelli che vogliono la mia felicità e non ne sono invidiosi

Sant’Andrea
Un cliente mi ha raccontato come festeggiava da ragazzo in Romania, il 30 novembre S.Andrea, il santo patrono della Romania e colui che ha portato il cristianesimo in quella nazione. Pensate che la notte, tra il 29 ed il 30 novembre, viene chiamata la notte del lupo che porta l’inverno, ed anche la notte degli spiriti oppure notte dei sortilegi. Mi ha raccontato come si chiudevano tutte le finestre e le porte delle case che venivano anche unte di aglio per tenere lontani gli spiriti. La notte di Sant’Andrea è anche la notte durante la quale le ragazze possono conoscere il loro futuro guardando il fondo di un pozzo alla luce di una candela. Ma ritorniamo un attimo a Sant’Andrea è l’Apostolo che, probabilmente, intorno al 50 d.c., convertì al cristianesimo i daci, gli abitanti di allora, ancora devoti al culto del loro dio Zamolxis. La prima chiesa cristiana apparsa sul territorio romeno fu in una grotta della regione Dobrogea, nel sud-est della Romania. Si racconta che l’Apostolo Andrea, il primo discepolo di Cristo, giunto in Scizia Minore , la Romania di oggi, per diffondere la parola di Dio, si rifugiò in questa zona dalle persecuzioni dei romani e i sacerdoti del culto locale lo ricevettero a braccia aperte, ospitandolo in una grotta in cui fu ulteriormente scavata la chiesa a lui dedicata. Nelle vicinanze si trova anche la sorgente di Sant’Andrea. Secondo la tradizione, quando il Santo Apostolo Andrea giunse in queste terre non trovò in nessun posto dell’acqua, e allora colpì con il suo bastone la roccia nel posto dove c’è oggi la sorgente e l’acqua cominciò a sgorgare. La Grotta è un importante luogo di pellegrinaggio e di turismo religioso in Romania. La festività dedicata al Santo coincide con un’altra festa pre-cristiana dedicata al lupo, che a quei tempi era adorato dai daci come una divinità. Non a caso, lo stemma dei guerrieri era un drago con la testa di lupo, per questo la notte tra il 29 e 30 novembre viene chiamata anche la notte del lupo, giorno che porta l’inverno. Anche la figura popolare del santo è molto legata a quella del lupo, poiché si crede che il santo stesso, in questo giorno raccoglie tutti i lupi e distribuisce ad ognuno una preda per tutto l’inverno. In alcune regioni della Romania si narra che in questa notte gli animali parlano tra di loro nella lingua universale, comprensibile anche dall’uomo. Purtroppo tale rivelazione, se ascoltata dalle orecchie umane, potrebbe costare molto caro e gli esseri umani perderebbero l’udito, se non la vita. Nella tradizione popolare, questa notte è conosciuta soprattutto come la notte degli spiriti, degli strigoi, delle figure mitologiche, una specie di morti viventi, che solo questa notte abbandonano le loro tombe e vagano sulla terra, provocando diverse malefatte: fanno impazzire gli uomini, distruggono i raccolti, fanno ammalare gli animali, torturano e succhiano il sangue dei vivi, rovinano la bellezza delle ragazze, rapiscono i bambini senza battesimo e gli uomini con molti peccati. Per proteggersi dalla forza malefica di questi morti viventi, esistevano, e tutt’ora sono conservate, una varietà di tradizioni, superstizioni ed usanze nelle quali il paganesimo si scontra con il cristianesimo. In quella notte, secondo la tradizione, si chiudono tutte le finestre e le porte delle case e vengono anche unte di aglio per tenere lontani gli spiriti malvagi. Si devono, inoltre, coprire tutti i fori che possano permettere l’entrata in casa. Le donne hanno il ruolo di proteggere la propria famiglia mettendo sottosopra tutte le pentole di casa, oppure spargendo per la casa pezzi di pane, in modo che gli spiriti maligni si fermino a raccoglierli evitando di entrare in casa. Ma la notte tra il 29 novembre e il 30 è anche la notte durante la quale le ragazze possono conoscere il loro futuro e vedere il futuro sposo, guardando il fondo di un pozzo alla luce di una candela o mettendo 41 semi di mela o dei fiori secchi di basilico sotto il cuscino. Ho voluto condividere il racconto perché nella vita ad ogni bivio che incontro sul sentiero quotidiano che porta al futuro, la tradizione ha posto le fatiche degli antenati a guardia del passato.
Ps S. Andrea è anche il Santo protettore della Scozia!
Favria, 30.11.2015 Giorgio Cortese

Ogni giorno quasi tutto è aleatorio, tranne la morte e le tasse.

Dicembre
Con Dicembre ci avviamo alla conclusione portando con sé gli ultimi brandelli di un anno difficile, “da dimenticare” direbbe un ingenuo giornalista, come se il tempo si potesse cancellare e la memoria azzerare. Nelle grigie mattine tutto tace, teso il cielo di pallide bende. Il grande pino del parco assorto, col suo verde strano, nell’alta luce. Dai palazzi mi osservano finestre senza tende, cupe, guardano intorno. Non c’è voce umana, grido d’uccello, rumore di vita, e nell’aria vasta e vana solo una tortora tutta nitida da un ramo all’altro vola e pare una dolce regina. Dicembre è un mese immobile nell’attesa del nuovo anno in attesa che le feste ormai vicine si precipitino a colmare gli invisibili vuoti d’aria e le innumerevoli bocche buie degli esseri umani.
Favria 1.12.2015

Pieni di rancore viaggiano i cuori aridi di umanità. Non sanno leggere i battiti di altri animi che incontrano, invece fieri delle personali cicatrici battono con gioia gli animi che donano ed amano,, anche invano e senza aspettarsi niente. Avranno lasciato “esempio” ed “esperienza” in ogni battito che hanno assaporato. Con loro nella vita vita quotidiana lavorare insieme significa vincere insieme.

Cachi, l’albero delle sette virtù!
Il caco scommetto che lo mangiate in pochi. E’ un frutto originario dell’Asia orientale. Ha una polpa molto morbida e dolce, arancione/rosso. E’ un frutto tipicamente autunnale, ottobre, novembre. Il nome cachi è di origine giapponese, come la stessa pianta, e si scrive anche esoticamente kaki; ma questa grafia non è affatto necessaria. Il termine cachi è la forma abbreviata del termine giapponese “kaki no ki”. La pianta è originario della zona centrale della Cina, dove è considerato la pianta delle sette virtù. La prima è la lunga vita, la seconda la grande ombra, la terza è la mancanza di nidi fra i suoi rami, la quarta è la mancanza di tarli, la quinta sottolinea che si può giocare con le sue foglie indurite dal ghiaccio, la settima ricorda che esse forniscono un bel fuoco e un ottimo concime per la terra. Il nome scientifico secondo Linneo, il famoso botanico svedese vissuto nel Settecento, è Diòspyros kaki, e significa grecamente “cachi frumento di Giove”: composto da Diós, di Giove, e pyrós, frumento. Si dice comunemente “mangiare un caco”, “il caco non è ancora maturo”. In realtà è un errore, uno di quegli errori che a poco a poco diventano uso comune. La parola cachi con cui si indica sia la pianta che il frutto è invariabile, rimane cioè immutata tanto nel singolare quanto nel plurale. Dovremmo dire “il cachi ha messo i frutti”, “il cachi è maturo”, “un cesto di cachi”. Dovremmo, anche se l’uso prevalente si è ormai inventato il singolare caco e sarà ben difficile estirparlo. Ma questo non ci impedisce, se volessimo parlare in modo ineccepibile, di dire cachi tanto al singolare quanto al plurale. Tutt’altra origine ha invece l’aggettivo cachi, anch’esso invariabile, che indica un colore simile a quello della terra arida, riarsa. Questo sì, è rimasto invariabile anche nell’uso comune. Nessuna relazione col colore del frutto, che invece è di un bell’arancio ramato. L’origine è inglese, khaki, e questo dall’indostano kaki, che vuol dire polveroso, color polvere, a sua volta derivato dal persiano khâk, polvere. Fu, in origine, il colore delle uniformi militari inglesi in India; scelto per la sua facile mimetizzazione col terreno riarso di quelle regioni. Si dirà dunque “stoffa cachi”, “abiti cachi”. Qui dubbi non ce ne sono. Da notare che il singolare caco che deriva dal latino Cacus è un personaggio mitologico dell’antica tradizione romana. Figlio di Vulcano, rubò gli armenti conquistati da Ercole con la vittoria su Gerione e li nascose nella sua grotta sull’Aventino. Essere dall’aspetto scimmiesco, dato che il suo corpo era coperto di un manto peloso, e secondo la descrizione tramandataci da Properzio possedeva tre teste. Ercole lo trovò e l’uccise nella sua decima fatica. Dietro la sua figura di Caco potrebbe celarsi quella di una vera e propria divinità del fuoco della regione nella quale fu fondata Roma, e per questo motivo emetteva fuoco dalle fauci. Da Caco prendevano nome importanti costruzioni di Roma antica, scalae Caci; atrium Caci. Virgilio lo cita nell’Eneide, anche Tito Livio, Orazio e anche Dante nell’Infernoe come un centauro. Di tutt’altra origine ha invece l’aggettivo cachi, anch’esso invariabile, che indica un colore simile a quello della terra arida, riarsa. Questo sì, è rimasto invariabile anche nell’uso comune. Nessuna relazione col colore del frutto, che invece è di un bell’arancio ramato. L’origine è inglese, khaki, e questo dall’indostano kaki, che vuol dire polveroso, color polvere, a sua volta derivato dal persiano khâk, polvere. Fu, in origine, il colore delle uniformi militari inglesi in India; scelto per la sua facile mimetizzazione col terreno riarso di quelle regioni, da questo lemma si dice “stoffa cachi”, “abiti cachi”. Come ho detto il cachi è un frutto frutto antico, dolce, stuzzicante, compatto e morbido insieme, con un piacevole gusto dolce che viene valorizzato quando matura. Nella sua varietà più comune, la coltivazione della pianta del cachi è una delle più antiche: attestata nella zona centro-meridionale della Cina oltre duemila anni fa, si è poi diffusa in Corea, Giappone e intorno alla metà dell’Ottocento in America ed Europa. A partire dal 1916 arriva in Italia. il cachi può essere considerato un “frutto ecologico” a tutti gli effetti perché la pianta non ha alcun bisogno di trattamenti antiparassitari.. infine una curiosità sui cachi viene dal dialetto partenopeo che lo chiama “legnasanta”: se infatti spaccate il semino che è all’interno del frutto potete vedervi all’interno (con un po’ di immaginazione, naturalmente!) una caratteristica immagine della croce.
Favria 2.12.2015 Giorgio Cortese

Pungo la penna con il pennino, graffio la carta con il mio incedere sul foglio bianco ed i refoli di idee che ronzano nella mente prendono grafica forma, da grezzi pensieri divengono frasi compiute

Solidarietà dell’amicizia
Questa sera tornando a casa riflettevo che il cammino della vita è fatto di salite e discese, mentre sono in salita non devo mai dimenticarmi dei vecchi amici che sono rimasti un po’ indietro, perché, sono sicuro che saranno gli unici che mi prenderanno per mano quando sarò in discesa per aiutarmi a non cadere. Ed ecco che allora riflettevo che per me l’amicizia è simile al sole, di queste belle giornate di luglio, che mi riscalda sempre in ogni momento della giornata a volte meno forte a volte più forte dipende dall’intensità del sole, se ci sono nuvole, ma mi fa raggiungere il calore tramite i suoi raggi, ma io tengo sempre aperte la finestra del mio animo per fare entrare i raggi dell’amicizia. Certo è raro trovare qualcuno che nella vita mi ascolti seriamente, senza giudizi e per di più potergli dire tutto perché è la mia cassaforte personale. Trovare qualcuno che sappia capire cosa ho dentro senza necessariamente spiegarlo. Nella vita, purtroppo è molto semplice, trovare qualcuno che mi delude sotto i miei stessi occhi. L’amicizia è come l’acqua: un bene prezioso della vita quotidiana che non devo mai sprecare. Certi giorni l’amicizia cammina in punta di piedi eppure mi sento addosso il suo profumo. Chi mi è amico capisce la mia tristezza e la mia gioia e non se la prende se io, qualche volta, chiudo la porta. L’amicizia è viaggiare nella stessa direzione anche se per strade diverse. L’amicizia ha il passo lento di chi mi ascolta e quello spedito di chi sa che ho bisogno. L’amicizia non è come un neon, intermittente, ma neanche come un faro che mi abbaglia. È una timida fiammella, molto piccola, che non si spegne mai. Nel buio della mia vita quotidiana è difficile da trovare e mi capita di sbagliarmi. Qualche volta la scambio per quella di un fiammifero che diventa fumo al primo refolo di vento di fronte alle p4rime difficoltà. Certo quando mi sento così smetto in quei attimi di cercare risposte e mi sembra che fuori la notte sia appena iniziata, ma è solo un attimo, dopo la notte arriva il giorno e dopo, magari, un’altra buia notte. Allora cosi capisco che nella vita ci sono più fiammiferi e venditori di fumo che persone vere, perché il sole che risplende nel cielo è uno solo, ma di soli e sole, invece, un sacco. Quindi, i miei amici li tengo ben stretti e sono solidale sempre con loro di fronte alle loro umane difficoltà!
Favria, 3.12.2015 Giorgio Cortese

L’affidabilità è una delle virtù che più cerco nelle persone ma anche la più difficile da trovare

Attimo immobile
Questa mattina sono uscito dall’ufficio per andare da un cliente. Dall’altra parte della strada brulicava fervido il mercato, ma la strada per un attimo a causa di due automezzi alle due estremità della via, e la strada è stata per un attimo momentaneamente vuota. E’ stato solo un attimo! Si un insignificante. brevissimo attimo!Una porzione di tempo talmente rapida da passare inosservata ad un mondo distratto e a tutte quelle persone che si affaccendavano nel consueto mercato settimanale. In quell’attimo immobile, il tempo non fugge ma si ferma solo per un attimo. Mi sono sentito in quell’attimo forte per scoprirmi un attimo dopo ancora più fragile. Mi è venuta voglia di alzare lo sguardo nel limpido cielo e quasi non scorgere la luce nel profondo azzurro. In quell’attimo vibrava la mia mente ora assolutamente libera dalle nere masse gelatinose dei miei pensieri.. poi l’attimo è finito con il rintocco del battito del mio cuore, ma nell’attimo passato ho raccolto questi brevi pensieri sul passaggio del tempo e dei luoghi, immobili, e dei volti, mobili e transitori, che lo popolano. Una delle poche cose che la poesia sa fare, d’altronde, è mettere in comune un’esperienza. Descrivere con precisione le poche verità che si sono intraviste attraverso la propria personale esperienza, di un attimo immobile. Ci sono persone che sanno quando tacere, ascoltare e parlare, ed altre che non sanno né tacere, né ascoltare, tantomeno parlare. Peccato che quest’ultime le incontro sempre più spesso
Favria, 4.12.2015 Giorgio Cortese

Personalmente non merita vendicarsi, ma al l momento giusto restituire con sagace ironia quanto patito, a certe perspsco, perché si è esaurito il tempo di porgere l’altra guancia.