Considerazioni sulle montagne della valle di Forzo all’epoca del pionieri a cura di Loris de Lazinet

Martino Baretti (1841-1905), fu un geologo e alpinista piemontese, protagonista di

diverse prime ascensioni sulle Alpi, e scrupoloso osservatore dell’ ambiente che esso stesso andava esplorando.Nella seconda metà del 1800, sul culmine della piccola età glaciale, quando i ghiacciai erano nel loro momento di grande espansione, e si racconta si vivessero nelle valli, tre mesi di freddo e nove mesi di gelo, Baretti arrivò come pioniere in questi luoghi redigendo diversi racconti sulla sua esperienza.Le montagne della Valle di Forzo iniziò a descriverle a partire dalla becca delle ore 11: l’Ondezana. Basandomi sugli estratti dei bollettini trimestrali del CAI vol II n10 e 11 del 1868 con titolo “Studi sul gruppo del Gran Paradiso”, cercherò di esporre in sintesi le considerazioni dell’ autore, che potranno incuriosire chi questi luoghi ben conosce.”Dall’Ondezana dissi staccarsi una seconda diramazione di creste, questa scavalcata dal ghiacciaio di Ciardoney, che con il suo colle, separa i pascoli di Valsoera con il pian delle mule di Forzo”. Traversando il ghiacciaio, il Baretti rimane incantato da una “svelta aguglia che si slancia a grande altezza: il Monte Gialino.” Continua a descrivere dicendo “conviene che si confessi che raramente succede di incontrare piramidi cosi svelte, cosi graziose come quella del monte Gialino, e non saprei darne una forma esatta se non paragonarla a quella della Grivola”. Continuando sulla cresta, un conoscitore di queste montagne potrebbe essere tratto in inganno quando si leggerà in seguito: “tra il Gialino ed un alto picco abbastanza elevato a est di quest’ultimo, il Gran Cimone, sta il colle del Cimone, dal quale si puo ammirare un lago alla base dell’ omonima cima, che appena durante una ventina di giorni l’anno, presenta le sue acque limpide di un bel verde cupo.” L’ autore scrive che dal colle del Gran Cimone, si scende al pian delle mule costeggiando il ghiacciaio del Gran Cimone, separato da quello di Ciardoney da un’esile cordone di rocce. Qualcosa però non torna: possibile che al Baretti sia sfuggita la Grande Uja di Ciardoney? E questo Gran Cimone a est di Punta Gialin con tanto di ghiacciaio, cosa sarebbe Piata Lazin? Andando a consultare altri testi, vengo a scoprire che un tempo, quelle che noi oggi chiamiamo Piccola e Grande Uja di Ciardoney, venivano chiamate punta est e ovest di Gialin. Date queste considerazioni, possiamo affermare che il Monte Gialino di una volta, sarebbe la Grande Uja di Ciardoney, e il nostro vecchio monte Cimone, sia la nostra punta Gialin, con lago Gelato , sempre meno gelato, e con il suo ghiacciaio di Geri, per lo meno quel che ne rimane. Piata Lazin, invece, veniva chiamata Monte Meialet (come la comba del Meialet che sale da Forzo al Colombino).Abbandonando questa cresta che volge poi verso il Lazin, ritorniamo al nostro ghiacciaio di Ciardoney. Parlando della diramazione che tocca le tre cime di Valeille, è impressionante la descrizione di una esile cresta che di poco fuoriesce dal ghiacciaio, quando oggi ci sono almeno 300mt di parete marcia tra il ghiaccio e le cime. Una “sfranatura” di un canalone sempre ricolmo di neve che collega Forzo con la Valeille, viene chiamata Colle delle Sengie, come Sengie erano tutte le cime dalla occidentale di Valeille al suo punto culminante: Punta delle Sengie, Pointe de Sengions per i cogneins, Mont Bleu, Monte Nero per i valsoanini, molto probabilmente per i residui del ghiacciaio meridionale delle Sengie, dove l ultimo ghiaccio vivo la rendeva dapprima blu e infine nera, considerando che il colore tipico delle rocce di quelle zone è il rosso. Il ghiacciaio di Ciardoney pare arrivasse praticamente pianeggiante al colle delle Sengie. In seguito il Baretti, parla di ina pericolosa e dentellata cresta che dalle Sengie conduce ai monti di Forzo, punta di Forche, Forchetta e nomi similari che andavano a intendere le due cime di Mon Vezo di Forzo (Monveso) e il Fuso di Forzo (Roccia Azzurra). In una nota l’autore specifica che Forches, piu precisamente Fourz, fosse il nome vero del vallone e della frazione, storpiato poi dalle nuove cartine della nuova Italia nascente. Proseguendo verso la Grande Arolla (ai tempi non vi erano ancora i nomi di Torre e Punta di Forzo), si specifica che scendendo verso il versante valdostano si sarebbe incontrato un tratto difficile da percorrere , causa di imponenti spacchi nel ghiacciaio, mentre una cresta frastagliata verso la valle soana, divideva il vallone di Lavina dal pian delle mule, collegati dal colle di fenestrette. Proseguendo verso Torre Lavina, si arriva all’ intaglio del colle di Bardoney, dove l autore cita “ questo colle attraversato un tempo da una strada mulattiera, ora serve solo ai pedoni, giacché verso Bardoney si formò un ghiacciaio che ricoprì la strada e la distrusse”Questo colle era uno tra i piu frequentati tra valle Soana e Cogne. Nel 1865 il ghiacciaio giungeva quasi al colle, e la mulattiera si perdeva a pochi da quest’ultimo. Ancora oggi si possono vedere i resti di questa mulattiera, sia sul versante di Cogne, subito appena passato il colle, sia a tratti lungo il vallone di Lavina, che collegava Forzo passando per l alpe Cugni.Questa è solo una piccola porzione della storia della valle di Forzo, che , oltre alle sue caratteristiche che la rendono unica e incontaminata, possiamo ancora aggiungere un velo di mistero, tra vecchi libri dimenticati e la tradizione orale dei suoi abitanti.