Dal thè salato con il latte, alla caccia con le aquile: la Mongolia. – Concerti in San Giorgio XXIII edizione, settembre 2023 – Concerti in San Giorgio XXIII edizione, settembre 2023 – Gital. – Pico.. – La caliga.- Taurobolium e l’archigallo…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Dal thè salato con il latte, alla caccia con le aquile: la Mongolia. Dal thé salato con il

latte alla caccia con le aquile ancora praticata dai nomadi della steppa, questa è la Mongolia incastonata tra le Federazione Russa in Siberia e la Cina. La storia della Mongolia non è di certo tra quelle più note al mondo e, spesso, il poco che si sa relativamente a questo paese è che era la terra del grande conquistatore Genghis Khan. A 154 Km della capitale Ulan Bator, che vuole dire Eroe Rosso dal 1924 in onore di Damdiny Sùch, conociuto anche Sùschbaatar, rivoluzionario, politico, eroe mongolo, in il suo nome precedente era Urga. La statua equestre di Gengis Khan, in Mongolia, è la più grande e più alta statua equestre del mondo. Fa parte del complesso di statue di Gengis Khan sulla riva del fiume Tuul a Tsonjin Boldog vicino a Ulan Bator. La statua è stata Realizzata in acciaio inossidabile si trova a circa cinquantaquattro chilometri a est dalla capitale Ulan Bator, sulla riva del fiume Tuul, a Tsonjiin Bator. Luogo in cui la leggenda narra che il protagonista abbia trovato un frustino d’oro. I mongoli hanno realizzato con Gengis Khan nelle loro conquiste un genocidio secondo solo al genocidio armeno. Pensate che nella città persiana di Merv, Gengis aveva sconfitto i suoi nemici, ma la popolazione si rifiutava di sottomettersi. Così li guidò tutti fuori dalla città, cosa che lo impegnò per 13 giorni, e poi ognuno dei suoi guerrieri uccise 400 abitanti di Merv. Gli storici pensano che il bilancio dei morti fu di circa un milione di . Oggi tutti i mongoli sono fieri di questa statua, dicono gli stessi mongoli: “Gengis era un uomo crudele ma ha guidato il paese verso la grandezza”. La Mongolia è un paese davvero sterminato, grande circa tre volte la Francia e cinque volte l’Italia, eppure è uno dei più scarsamente popolati al mondo. Si contano infatti meno di due persone per chilometro quadrato, di cui la maggior parte residenti nelle città. Il resto è natura selvaggia, intervallata da qualche sporadico ger tradizionale. Il popolo Xiongnu, che viveva a nord della Grande Muraglia, era un popolo nomade e pastorale. Ciò non impedì loro di organizzarsi in una unica nazione e ben tre anni prima della fondazione della dinastia Han nel 209 A.C! L’imperatore Han Wudi fu infatti il primo a riconoscere formalmente la Mongolia come potenza indipendente e, poi, come molti sanno, fu Genghis Khan a riunire tutte le tribù della Mongolia come la concepiamo oggi. La popolazione totale è di circa tre milioni di persone. Il 75% della popolazione parla la lingua ufficiale, il mongolo Khahla, mentre il resto parla dialetti mongoli. Ci sono anche diverse minoranze etniche che parlano lingue di origine turca, tra cui considerevole peso ha la minoranza kazaka. Si conta infine che circa quattro milioni di mongoli abitino al di fuori della Mongolia. Buona parte della popolazione mongola vive in ger, le tende tradizionali, nonostante la diffusione dell’urbanizzazione. Tradizionalmente lo stile di vita della gente del posto è nomade e a stretto contatto con la natura e con gli animali, per questo, i mongoli continuano a vivere in queste sistemazioni in feltro sempre con l’ingresso verso sud. I ger si trovano nei parchi naturali, nel deserto, vicino al grande lago Hovsgol, ma anche nelle periferie della capitale, e vengono spostate circa quattro volte all’anno, seguendo il ciclo delle stagioni. All’interno dei ger, che sono molto ampi, si trovano mobili in legno fatti a mano e decorati, letti e una stufa al centro, che serve prevalentemente nei mesi freddi. Qui si assiste alla vita quotidiana dei nomadi, condividendo con loro i pasti, essenzialmente a base di noodles ripieni di carne, verdure e riso bollito accompagnato da thè. In Mongolia il Buddismo tibetano è piuttosto diffuso e questo ha fatto sì che il legame tra popolo mongolo e Tibet sia piuttosto forte, tanto che i mongoli partono in pellegrinaggio a Lhasa, Tibet, almeno una volta nella vita. Se siete attenti, noterete che molti monasteri e templi hanno nomi tibetani. Una piccola minoranza musulmana sunnita resiste nelle zone occidentali, composta perlopiù da persone di etnia kazaka. C’è una minoranza etnica che abita la Mongolia, ma anche la Lapponia e la Siberia, che vive in condizioni ancora più spartane dei nomadi della steppa che abitano nei ger, al confine con la Siberia. In Lapponia vengono chiamati Sami, in Mongolia sono gli Tsaatan, letteralmente uomini renna. I Tsaatan sono di antica origine turca e sopravvivono esclusivamente grazie all’allevamento delle renne di cui utilizzano tutto. Il latte e la carne di renna sono infatti il loro unico nutrimento, la pelle delle renne serve a realizzare calzature e capi di abbigliamento e tende, mentre le corna possono essere usate come unità di misura per gli scambi commerciali. La renna è per loro un animale sacro e non viene mai ucciso. Per sopravvivere sono costretti a spostarsi anche undici volte all’anno. Nelle comunità Tsataan rapporto con il sacro viene mediato dalla figura dello sciamano, che ha la funzione di dirimere questioni pubbliche e amministrare. La musica tradizionale mongola è molto articolata e suggestiva e prevede l’uso di molti strumenti diversi. In particolare, è interessante il cantokhoomi, in cui voci maschili si producono in un particolare tipo di canto gutturale. La musica è sempre accompagnata da danze tradizionali, in cui è previsto anche il contorsionismo, una pratica artistica che ha radici profonde nella tradizione mongola. I mongoli festeggiano il nuovo anno in base al calendario lunare e ciascuno dei 12 mesi del calendario è indicato con il nome di un animale: ratto, bue, tigre, coniglio, drago, serpente, cavallo, pecora, scimmia, gallo, cane e maiale. L’anno nuovo è una celebrazione molto amata dalla popolazione, in quanto segna l’arrivo della primavera. Una leggenda narra che, prima che Marco Polo tornasse in Italia e portasse con sé l’idea del gelato, i cavalieri mongoli, mentre stavano attraversando il deserto del Gobi portando con loro della panna in contenitori fatti di pelli e di intestina di animali, crearono con il movimento della cavalcata una sorta di rudimentale gelato. Non si sa poi se i Mongoli avessero o meno mangiato questa crema o la avessero poi utilizzata per creare un gelato dai gusti particolari ma quello che sappiamo è che, quando l’impero mongolo si è espanso ed è entrato in conflitto con i cinesi, il gelato lo ha seguito e ha permesso a Polo di portare l’idea in Italia e creare quello che oggi è uno dei prodotti più famosi del mondo! L’evento più sentito in Mongolia è il festival del Nadaam, che coinvolge i tre sport più praticati: lotta libera, il tiro con l’arco e la corsa con i cavalli. Si svolge nel mese di luglio presso lo Stadio centrale di Ulan Bator. Una tradizione che si ripete da secoli, un tempo, questa competizione veniva vissuta dai partecipanti, nomadi o guerrieri, come prova di forza o coraggio. Poi il festival dei cacciatori con le aquile, che avviene da secoli a cavallo. La Mongolia è la patria del cavallo selvaggio detto di Przewalski, dal nome del polacco che “scoprì” la razza nel 19esimo secolo, è conosciuto in Mongolia come il Takhi. Che bella la Mongolia una terra dalla solare bellezza., il clima è freddissimo, è vero, ma la buona notizia è che splende quasi sempre il sole, il cielo è azzurro piove pochissimo e solo in estate.
Favria, 12.09.2023    Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita il difficile molte volte è ciò che si può fare subito, poi per l’impossibile, ci vuole un po’ più di tempo. Felice martedì.

Concerti in San Giorgio XXIII edizione, settembre 2023

A Valperga si trova la  Chiesa di San Giorgio è un gioiello  di architettura medioevale, le sue parti più antiche e il campanile, con le sue eleganti bifore marmoree romaniche, risalgono all’ XI secolo.

Qui l’Associazione Amici di San Giorgio in Valperga, dal 1996 si è prefissata lo scopo  di divulgare la conoscenza di questo pregevole gioiello e organizza sia visite guidate che attività culturali come i concerti giunti alla XXIII edizione.

Per la solennità di Maria Liberatrice domenica  24 settembre alle ore 11,00 con la Santa Messa presso lo storico altare, poi alle ore 17 un concerto di arie sacre e religiose

con Annalisa Garetto mezzosoprano, Eriberto Saulat pianoforte,

Maria Grazia Pezzetto voce recitante.

Possibilità di visita della chiesa dalle 14 alle 16.

Esiste una profonda  connessione tra musica e emozione  che smuove le nostre corde dell’anima.

Un concerto che migliorerà sicuramente il nostro umore e ci rilasserà.

Favria, 13.09.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita tutto quello che si scheggia, diventa tagliente. Soprattutto le persone. Felice  mercoledì

Concerti in San Giorgio XXIII edizione, settembre 2023

Il termine puddellaggio deriva direttamente dal verbo inglese “to puddle”, il cui primo significato è quello di “rimescolare”. Oggi conosciamo tutti questa definizione come uno dei principali trattamenti del settore siderurgico, quando si provvede a ossigenare elementi come il silicio, il carbonio e la manganese: il passaggio successivo, invece, prevede proprio il rimescolamento della ghisa nei forni, un processo che consente al metallo stesso di divenire maggiormente malleabile. Ma il puddellaggio rappresenta soprattutto uno dei momenti salienti della Rivoluzione Industriale.  In effetti, anche se si conosceva questa lavorazione da moltissimo tempo, soltanto nel 1784 fu possibile applicarla a livello industriale: il merito va tutto a Henry Cort, un artigiano inglese del ferro, il quale fu in grado di innovare completamente il sistema grazie a un brevetto che risale al 1804. Il suo impianto di Fontley, nella contea dell’Hampshire, rappresentò un momento di svolta per i processi industriali di allora. Il funzionamento è piuttosto semplice e viene seguito alla lettera ancora oggi, in particolare per ottenere il ferro saldato: in pratica, i forni a riverbero sono dotati di una divisione netta tra il fuoco della fiamma e la camera di cottura, in modo da far arrivare il calore sul soffitto e nel piano. Il riscaldamento, poi, viene concluso grazie agli ossidi di ferro, così da poter introdurre finalmente la ghisa.

Favria, 14.09.2023  Giorgio Cortese

Buona  giornata. Nella vita ciò che accade agli altri potrebbe accadere anche a noi. Felice  giovedì.

Gital.

In piemontese il gital o anche gettal è la stringa del lacio delle scarope e degli abiti. In piemontese abbiamo poi il gitalin , il puntale della stringa. I lemmi deriva da una antica parola italiana  getto o getto che era ill egaccio per òle zampe dei falchi, costituito da due lacci di cuio unita da un anello. Il lemma italiano e quello piemontese derivano dal francese  geter dettare, perché venita tolto all’animale prima del lancio. L’etimo remoto è la voce latina  jectare, gettare dal latino classico jactare. In piemontese abbiamo poi il verbo getè o gettè per indicare lo scagliare o versare nelle forme dei metalli in fusione, gesso o calcestruzzo.

Favria,  15.09.2023

Buona giornata. Nella vita  le persone che con maggior piacere godono dell’abbondanza quelli che meno di  essa hanno bisogno. Felice venerdì

Pico.

In latino Picus, antico dio italico, cui si ricorreva per responsi; ebbe culto fra gli Umbri, gli Equi e i Picenti. Figlio di Saturno, o di Sterces, padre di  Fauno e avo di Latino, re degli Aborigeni nel Lazio fondò la città di Albalonga e di Laurentum e quindi è un avo del re Latino e dei gemelli Romolo e Remo. Il mito lo descrive come un capo che amava la caccia e sposato con la ninfa Canente; un giorno mentre era nei boschi con i suoi uomini fu visto dalla Maga Circe che per poterlo avvicinare si trasformò in un cinghiale. Pico per prendere l’animale si allontanò dal gruppo ma quando gli fu davanti Circe riprese le sue sembianze di donna e cercò di sedurlo; Pico respinse Circe che adirata con Pico, colpevole di non volerla amare, lo trasformò in un picchio verde. La ninfa Canente non vedendo tornare Pico vagò nei boschi alla sua ricerca finché, esausta, arrivata sulla riva del Tevere emise un soave lamento e si dissolse nell’aria. Nel VII libro dell’Eneide, Virgilio, racconta della leggenda di Pico e di come la Maga Circe lo trasformò in un picchio verde, uno degli uccelli sacri di Roma, che poi avrebbe aiutato la lupa ad allattare i gemelli per cui è spesso presente nelle rappresentazioni del Lupercale. Il brano dell’Eneide è comunque fonte di moltissime informazioni che meritano di essere conosciute; Virgilio descrive il tempio del Dio Mamerte che si trovava in alto su una rocca e che era stato la dimora del Re Pico, qui si riuniva la curia ed i patres vi tenevano i banchetti solenni dopo le cerimonie. Virgilio elenca tutti gli dei degli antichi popoli italici, descrive le adunanze dei patres, descrive le spolia tolte ai nemici ed il lituo, identico a quello che Romolo userà per tracciare i confini della sua Roma Quadrata. Ma il mito di Pico è poliedrico, sembra avere più sembianze e più vite. Secondo un’altra interpretazione della leggenda Pico era un semidio che poteva mutare forma e preferiva quella dell’uccello sacro a Marte, il picchio, aveva anche capacità profetiche e le usava per dare oracoli all’altare di Marte, seduto su una colonna lignea. Queste sue capacità sembrano trovare dei riscontri nei risultati degli studi di storici famosi secondo i quali sul frontone dell’ antro della Sibilla Appenninica ci sono lettere e numeri, in parte ancora visibili,) che erano parte di una epigrafe bustrofedica, la scrittura cambia direzione da riga a riga come seguendo il movimento dei buoi che arano in lingua picena arcaica che riporta la dizione “Spilla Thei Piki” ovvero  “Sibilla del dio Pico”.

Favria, 16.09.2023   Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana se il troppo cibo rovina lo stomaco, la troppa saggezza l’esistenza. Felice sabato

La caliga.

La caliga era una solida calzatura, usata estensivamente dai legionari romani fino al grado di centurione incluso; tanto che per indicare la provenienza di chi aveva fatto carriera partendo dai ranghi più bassi si usava il termine a caliga. Questo calzare era costituito da un foglio unico di cuoio, da cui venivano ricavate per intaglio una serie di strisce, più o meno sottili, che si allacciavano con una stringa in corrispondenza del collo del piede. La tomaia veniva resa solidale alla suola mediante una robusta cucitura, mentre altre suole interne ed esterne ne rendevano l’aspetto molto solido e pesante. Le robuste strisce di cuoio avvolgevano il piede sia attorno al collo che attorno alla caviglia, agevolando la respirazione cutanea, consentendo una rapida asciugatura e, soprattutto, limitando al massimo il contatto diretto del cuoio con il piede, e quindi l’insorgenza di vesciche. Le suole delle caligae venivano pesantemente chiodate, sia per allungarne la durata sia per migliorare l’aderenza al terreno. I chiodi venivano disposti secondo schemi variabili, a volte studiati per agevolare le torsioni del piede durante i movimenti. La tomaia veniva resa solidale alla suola mediante una robusta cucitura, mentre altre suole interne ed esterne rendendo morbida la calzatura.

Favria, 17.09.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita diventiamo finalmente saggi, quando iniziamo a farci scivolare addosso tutto quello che potrebbe rovinarci la giornata. Felice domenica

Taurobolium e l’archigallo.

Il taurobolium, in italiano reso talvolta come taurabolio  era, all’interno della religione romana,  il sacrificio di un toro, normalmente in relazione al culto della gran madre degli dei, Cibele. L’origine di questo sacrificio era orientale. Della Frisia e dei Galli dell’Anatolio, e la descrizione più nota e più vivida di un taurobolium è fornita da uno scrittore Prudenzio che descrive il sacerdote, l’archingallo vestito con una toga, con una corona dorata in testa, prende posto in una struttura sotterranea sovrastata da un piano perforato, su cui sta il toro, decorato con fiori e oro: il toro viene ucciso e il suo sangue, passando attraverso i fori del piano perforato, inonda il sacerdote sul viso, sulla lingua e in bocca. Il sacerdote, si presenta allora ai suoi compagni nella fede purificato e rigenerato, ricevendone i saluti.  Gli studi più recenti hanno messo in discussione l’affidabilità della descrizione di Prudenzio, che del resto era un cristiano ostile al paganesimo e che potrebbe aver distorto il rito per ottenere un effetto favorevole alla sua fede, le descrizione precedenti quella tarda di Prudenzio suggeriscono infatti un rito meno sanguinolento ed elaborato. Gli studiosi che accettano la descrizione di Prudenzio, hanno individuato nel taurobolium un dramma sacro, rappresentante le relazioni tra la Madre e Attis: la discesa del sacerdote nella fossa sacrificale avrebbe simboleggiato la morte di Attis e il conseguente avvizzirsi della vegetazione della Madre Terra, il suo bagno di sangue e la sua uscita dalla fossa sarebbe stato il ricordo della rinascita di Attis e della vegetazione.

Favria,  18.09.2023   Giorgio Cortese

Buona giornata.  Ogni giorno il campione riconosce la sconfitta, il mediocre conosce solo  i pretesti. Felice lunedì.