Donare il sangue, salvare una vita! – Da Ex libris a supra libros! -Factotum, figaro barzotto. – museo dell’Olivo – Da kikus a ceci, la forza della pasta e ceci – Da parc a parquet…le pagine di Giorgio Cortese

Donare il sangue, salvare una vita!
La donazione del sangue è un atto livero, anonimo, gratuito e responsabile. Ma chi mi legge cosa può fare? Semplicemente diventare donatore. Se venite a donare a Favria, nel punto prelievo del cortile interno del Comune, Mercoledì mattina 15 aprile, dalle ore 8 alle ore 11,30. Ti ricordo che il sangue è un elemento insostituibile per il nostro organismo che si rinnova continuamente. Il sangue non può essere riprodotto in laboratorio. Una piccola parte può essere donata periodicamente senza alcun danno per l’organismo. Ti ricordo che per moltissime persone una trasfusione rappresenta il solo mezzo per salvare la propria vita.. Pensa che ci sono persone che devono continuamente ricorrere alle trasfusioni per aver una speranza per garantirsi un futuro. Ricordo che chiunque viene a donare il sangue ha diritto alla giustifica sia per il lavoro che per la scuola per la giornata persa. Per i nuovi donatori, oggetto di donazione differita, la prima volta fanno solo gli esami e per chi viene a fare gli esami ha diritto a due ore di permesso. Viena data una colazione gratuita a tutti i donatori, e allora Tu che mi leggi che aspetti viene a donare e porta un amico, la richiesta di sangue non conosce la crisi e non va mai in vacanza
Grazie
Favria 6.04.2015 Giorgio Cortese

Quando dono, dono con gioia, e in quella gioia sta la mia ricompensa.

Da Ex libris a supra libros!
La locuzione Ex libris, che in latino significa “dai libri”, serve per riferirsi ad una etichetta, solitamente ornata di figure e motti, che si applica su un libro per indicarne il proprietario. Ma l’ex libris può fungere anche come contrassegno apposto nella parte interna della prima pagina di copertina dei volumi catalogati in una biblioteca privata. L’etichettatura può essere cartacea, in materiali pregiati quali cuoio o pergamena, o sotto forma di timbro, in questo caso, a inchiostro, a lacca, a fuoco od altro. Molte volte assume forme pregevoli che ne hanno fatto oggetto di collezione. Infatti, sovente il termine viene usato nell’ambito del collezionismo. Nel tempo la concezione dell’ex libris si è modificata. Oggi alla funzione originaria di contrassegno di proprietà libraria si è sostituita quella di una pregevole piccola grafica artistica con una finalità prevalentemente collezionistica regolata per lo più dalla pratica dello scambio in occasione di convegni ed incontri appositamente organizzati. Invece il super libros o supra libros, in bibliologia, sono gli stemmi, gli emblemi, i motti che sono applicati come motivo di decorazione e insieme come segno di proprietà ai piatti delle legature. A differenza degli ex libris grafici, i supra libros, impressi con ferri o inseriti nei piatti sotto forma di placchette metalliche, sono parte integrante della legatura. Il loro impiego, che risale al Rinascimento, è divenuto sempre più limitato con il diffondersi degli ex libris
Favria, 7.04.2015 Giorgio Cortese

Factotum, figaro barzotto.
La parola factotum molto raffinata, è costituita da fac, imperativo di facere fare, e totum tutto. Insomma una parola falsamente di origine latina che offre versatili connotati ironici o spregiativi. Infatti il factotum è tanto colui che, in una comunità o sul posto di lavoro, si affanna o insiste ad per occuparsi di ogni cosa, con esiti molto discutibili che a volte tracimano nell’intrallazzo. Ha avuto la sua fortuna nel Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, Figaro: “Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono, / donne, ragazzi, vecchi, fanciulle / … / Pronto prontissimo son come il fulmine: / …sono il factotum della città”. Il vocabolo antico “figaro”, con accento sulla i, significa barbiere, bolero, giacchettina corta da uomo indossata appunto dal barbiere. Il barbiere di Siviglia”, opera lirica di Gioacchino Rossini su libretto di Cesare Sterbini è tratto dalla commedia omonima di Beaumarchais dove appunto il protagonista “Figaro” è barbiere nonché “factotum della città” e per “Le Nozze di Figaro”, l’opera di Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte, la cui trama, è di fatto la continuazione di quella de “Il barbiere di Siviglia”. Come nota curiosa aggiungo che il quotidiano francese “Le Figaro”, il più antico fra quelli ancora in pubblicazione, deve il suo nome proprio al personaggio de “Il barbiere di Siviglia”. Anche Manzoni ne I Promessi Sposi fa dire a Bortolo, quando Renzo gli si presenta nel filatoio dopo i “fatti di Milano”: E, a dirtela, …. senza vantarmi: lui il capitale, e io quella poca abilità. Sono il primo lavorante, sai? E poi, a dirtela, sono il factotum”. Per finire Barzotto, lemma che significa a metà cottura; che è in uno stato intermedio, con la sua variante di bazzotto, deriva dal latino badius di colore baio, cioè, riferito ai cavalli, a metà fra il rosso e il marrone, e per estensione, in uno stato intermedio. Questa parola una volta ha avuto un’infinità di significati variamente riconducibili a un ‘essere a metà. Nasce in riferimento a un particolare manto equino, il baio, che ha un colore a metà fra il rosso e il marrone; un colore che è diventato antonomasia per indicare in generale una condizione intermedia. Ampio è stato l’uso che se ne è fatto nel lessico culinario: le uova barzotte sono sode ma col tuorlo molle, e una pietanza barzotta si trova ancora a metà cottura. Può dirsi barzotto anche un tempo meteorologico variabile,
oggi i novelli barzotti sono quelle persone banderuole che vanno dove tira il vento ne cotte ne crude.
Favria, 8.04.2015 Giorgio Cortese

Dalla collaborazione tra Il Centro Incontri Pensionati Favria e la Fidas Gruppo di Favria Gruppo L. Tarizzo- D. Chiarabaglio nasce la proposta della gita per sabato 9 maggio 2015 in Liguria nella Riviera dei Fiori
Programma:
Partenza ore 6,30- si raccomanda massima puntualità. sosta lungo la strada e arrivo ad Imperia ore 11,00ca
ore 11.00 ingresso al Museo dell’Olivo dell’Olio Carli ad Imperia
6.000 anni di storia. Potremo apprezzare l’importanza sociale ed economica ed il prestigio culturale dell’olivo che accompagna le conquiste più significative delle civiltà mediterranee antiche. Personaggi famosi, divinità, grandi inventori, legislatori e imperatori ed altri rimasti sconosciuti sono i protagonisti di queste vicende
Inizio visita ore 11.00 – durata visita 45 minuti ca.
Successivamente ore 13-13,30 spostamento a Diano Marina, per il pranzo con locale vista mare. Diano Marina città balneare tra le più apprezzate della riviera dei fiori per le sue spiagge, per la nota passeggiata lungomare, per il suo dinamico turismo Menù: primo secondo, contorno, acqua e caffè euro 10,00
Pomeriggio libero con eventuale escursione da concordare fino a Cervo, da anni certificato tra “I Borghi più Belli d’Italia”, ha conservato intatte le sue originalissime caratteristiche di borgo medievale sul mare, protetto da torri e mura cinquecentesche e circondato da verdi colline. Il centro storico è praticabile solo a piedi ed è stato conservato con i suoi edifici, vecchi di secoli, e i suoi vicoletti ciottolati dove si trovano botteghe di artigiani ed artisti. Insomma a Cervo si conserva intatta una bellissima atmosfera fatta di profumi e di silenzi, con uno stupendo il panorama che spazia sino al golfo di Diano Marina! Un rifugio per il corpo e per l’animo!
Rientro per il ritorno ore 17,00 si raccomanda massima puntualità. Rientro previsto entro ore 21,00
Prezzo comprensivo viaggio, visita al Museo e Pranzo euro 25
Prezzo comprensivo viaggio, vista museo e pranzo libero euro 15
le quote optate sono da versare all’atto della PRENOTAZIONE
Si declina ogni responsabilità durante il viaggio, prima durante e dopo la manifestazione
PAGAMENTO DELLA QUOTA ALL’ATTO DELLA PRENOTAZIONE. Per informazioni e prenotazioni in ore serali:
Barolo Filippone Franca tel 3475423940 – Cortese Giorgio tel 333 1714827 –
Macri Nicodemo tel 0124 349509 – Massaro Barbara tel 0124 348378 – tel 3479656671 – Spaducci Antonello tel 3421647806 – Varrese Vincenzo tel 3381236372
Versamento all’atto della prenotazione dell’intera quota. Le prenotazioni si accettano entro e non oltre giovedì 30 aprile sino all’esaurimento dei posti, la gita si effettuerà con un numero minimo di 40 partecipanti, in caso contrario verranno restituite le quote già versate
ORGANIZZAZIONE TECNICA:
BOGGIO VIAGGI DI RIVAROLO CANAVESE- Tel 0124 424477 –
AGENZIA VIAGGI PARSIFAL TOURS SAS di Dagna Maurizio & C CUORGNE’ tel 0124 657425
PULMANN RASTEL BOGIN – RIVAROLO CANAVESE tel 0124 26226
I Direttivi dell’associazioni promotrici della gita
Centro Incontri Pensionati – Fidas Favria

Donare è onore, chi non sa donare tarda a dare.

Da kikus a ceci, la forza della pasta e ceci
La pasta e ceci è un primo piatto molto sostanzioso e nutriente, piatto tradizionale a base di ceci e altre verdure che deriva dalla tradizione contadina e adatto e perfetto per sopravvivere ai primi freddi. L’Italia è un Paese in cui si sono incrociate nei secoli le principali civiltà del Mediterraneo. Tutto questo fervore di culture e tradizioni ha arricchito la nostra cucina di alimenti originari di altri territori. È il caso dei ceci, piccoli semi dell’omonima pianta annuale, conosciuti in tutta l’antichità perché importante fonte di energia e nutrimento. La pianta del cece, questo il nome al singolare, era coltivata in Turchia già nell’età del bronzo, circa 4.000 anni fa. Il nome di questi legumi deriva dal greco antico, kikus che significa forza, potenza e non è di certo un caso, essendo tali legumi pieni di proprietà nutritive, furono alla base dell’alimentazione degli schiavi nell’antico Egitto proprio perché fornivano molta energia nelle estenuanti giornate lavorative, e dei marinai dell’antica Grecia, oltre che afrodisiaci. Gli Antichi Romani, che si avvalevano dei legumi per dare il nome alle famiglie nobili, ad esempio la gens Fabia, da faba, fava, i Lentuli e i Pisani, rispettivamente da lenticchie e piselli. I Romani utilizzarono i ceci per dare il cognome al celebre oratore Cicerone, in quanto un suo antenato aveva una caratteristica verruca a forma di cece sul naso. L’appellativo arietinum è dato dalla particolare forma di questi legumi che ricordava agli antichi la testa di un ariete. Il cece è anche legato a un episodio sanguinoso avvenuto durante i Vespri siciliani: la rivolta di Palermo del 1282, che vide la fine del dominio angioino in Sicilia, consacrò per breve tempo la parola ciceri, ceci, come discriminante tra la vita e la morte. I francesi, infatti, erano incapaci di pronunciarla senza accentare la “ i” finale e i siciliani, ansiosi di sterminarli, costringevano le persone sospettate di essere francesi travestiti a pronunciarla: chi diceva “cicerì” veniva subito ucciso. Una curiosità, dopo la battaglia della Meloria del 1284, dove i genovesi sconfissero i pisani, le galere genovesi erano così affollate di riottosi vogatori da perdere la loro proverbiale agilità, e sembra che una di queste imbarcazioni, solcando l’irrequieto Golfo di Biscaglia, si sarebbe trovata per diversi giorni al centro di una tempesta. L’acqua di mare imbarcata provocò gravi danni nella stiva: i ceci si ammollarono, qualche barile di olio si sfasciò, e l’umido ridusse tutto in una purea. Quando ritornò il bel tempo, fu scoperto il piccolo disastro arrecato alle provviste e, per il fatto che i viveri erano diventati scarsi, ai prigionieri fu data da mangiare l’informe cibo. Qualcuno dei pisani rifiutò la purea, abbandonando la scodella sul banco, salvo poi riappropriarsene il giorno dopo, quando i morsi della fame erano diventati irresistibili. Un’intera giornata di esposizione al sole aveva però trasformato la pietanza in una specie di focaccetta, qualcosa di diverso dalla poca appetitosa poltiglia di ceci. La scoperta casuale interessò i genovesi che ne perfezionarono la ricetta cuocendola in forno a legna, e battezzandola per scherno agli avversari “oro di Pisa”. Oggi sono diverse le varianti della farinata o torta di ceci diffuse lungo tutta l’area marittima tra la Maremma e la Costa Azzurra. Viene chiamata “socca” in Costa Azzurra, “a’ fainà de ceixei” in dialetto genovese, “cecina” o “torta” nell’area nord della Toscana, “fainè” nel sassarese. Prendendo spunto da Cicerone, dato che parlo della festa dei Petilini con Pasta e Ceci , concordo che il piacere di un buon pranzo non si deve misurare dalle squisitezze delle portate, ma dalla compagnia degli amici e dai loro discorsi ed un grazie doveroso va a Salvatore bravissimo Presidente dell’associazione e a tutto il suo splendido ed operoso Direttivo, grazie di cuore.
Favria, 9.04.2015 Giorgio Cortese

La vera amicizia la trovo quasi sempre nelle persone con un animo sincero, un animo che sa volere bene tutto e tutti, senza pretendere nulla in cambio. Queste persone hanno un valore che è alla base dell’amicizia , la sincerità e la fiducia, la linfa della vera amicizia.

Da parc a parquet
La parola “parquet”, in uso in Francia ma anche in altri Paesi europei, ha nel tempo cambiato il suo significato in maniera abbastanza singolare . Parquet in origine era il diminutivo di parc, parco. Ma con il passare del tempo la parola parc e dunque parquet ha iniziato a indicare il luogo dove si tenevano convegni e incontri. Con il tempo questa parola ha iniziato a identificare uno spazio ben determinato, il luogo dove si tenevano sedute e convegni, in particolare la sala in cui Luigi XIV teneva le sue riunioni era definita Parquet. Poiché questo luogo era sempre pavimentato col legno, il vocabolo parquet iniziò a essere sinonimo di pavimento in legno. Siamo già nel XVII secolo quando “parquet” vuole anche significare il campo da gioco del basket. L’uso del legno come isolante termico per mantenere fresco l’ambiente d’estate e caldo d’inverno era cosa risaputa dagli esseri umani. Fin dai tempi remoti, nel lontano 3000 A.C., gli egizi e i vichinghi costruirono i primi tavolati per difendersi dal gelo e dagli insetti. Facendo un balzo temporale in avanti, grazie a ritrovamenti recenti, scopriamo che nel XII – XIII secolo, nel nord della Francia si utilizzavano pavimenti di legno di rovere e ulivo. Nel XIV secolo, sempre in Francia, sappiamo che negli chalet e nelle vecchie case venivano posati sul pavimento due strati di legno: uno fungeva da supporto e l’altro da rivestimento vero e proprio. Arriviamo al 1534, anno in cui pare sia stato posato il primo “parquet”, alla corte del re Francesco I, su indicazione dell’architetto Jules Menard. E ancora in Francia troviamo i primi pavimenti in legno in essenze diverse, noce, ciliegio, faggio, e in vari disegni, si pensi al “Versaille” o allo “Chantilly”. Anche nel resto d’Europa, nei palazzi dei nobili e nei castelli, cominciarono ad apparire i primi parchetti, nelle varie forme e disegni. Alla fine del XVII secolo, il parquet diventò una moda, tanto da venire impiegato in numerose abitazioni di lusso, sfruttando principalmente i legni europei, rovere, acero, noce, castagno e ciliegio. Nel secolo scorso, in Italia il parchetto era conosciuto quasi esclusivamente nelle province dell’ Impero Austro-Ungarico: Trieste, Gorizia, Udine, Trento e Bolzano, oltre che in Piemonte e Lombardia. Prima degli anni Cinquanta, si produceva solo il parchetto classico a “maschio e femmina”, che si posava sulla sabbia oppure su magatelli affogati nel sottofondo o ancora su listelli galleggianti, lo spessore era di 17 e 22 mm, c’era poi quello da 11 mm, chiamato anche “sovrapponibile”, che veniva posato su vecchi pavimenti di larice o di abete. Inizialmente le specie legnose impiegate erano, ovviamente, quelle locali, per le conifere si utilizzavano larice, abete e pino, nella zona appenninica si faceva uso del cipresso); le latifoglie erano invece il rovere e il faggio, crudo o vaporizzato. Altre specie legnose talvolta impiegate erano frassino, acero, ciliegio, melo e pero. Agli inizi degli anni Cinquanta venne introdotto in Italia il lamellare da 8 mm: con un ritmo di sviluppo abbastanza irregolare si giunse così al completamento delle tipologie attuali, che comprendono anche il lamparquet da 10 mm, il listoncino da 14 mm, l’industriale a lamelle o cubetti e lo stratificato, nelle varie forme e spessori. Negli anni 70 comincia ad essere prodotto il parquet prefinito, cioè levigato e verniciato in fabbrica.
Favria, 10.04.2015 Giorgio Cortese

La mente non è un vaso da riempire ma un legno da far ardere perché s’infuochi il gusto della ricerca e l’amore della verità. Plutarco