Il giorno del Ricordo per non dimenticare mai! – Similia similibus….. – Bersach! – Non più andrai farfallone amoroso! – La badinerie di carnevale – Il mito del drago…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Il giorno del Ricordo per non dimenticare mai!
Nel 2005  in Italia venne celebrata per la prima volta il Giorno del Ricordo, in

memoria dei quasi ventimila italiani torturati, assassinati e gettati nelle foibe, nome di una fenditura carsica usata come discarica, dalle milizie della Jugoslavia di Tito alla fine della seconda guerra mondiale. Questa giornata oggi divide ancora molto ed invece dovrebbe unirci tutti per evitare che le guerre e pulizie etniche fossero bandite per sempre dall’umanità per evitare che gli odii etnici e ideologici portino a queste brutalità! Nel 1943 con il collasso dell’esercito italiano dopo l’armistizio dell’8 settembre, in Istria e Dalmazia esplose la prima ondata di violenza da parte dei partigiani jugoslavi di Tito che si vendicarono contro i fascisti che, nell’intervallo tra le due guerre, avevano amministrato questi territori con durezza, imponendo un’italianizzazione forzata e reprimendo e osteggiando le popolazioni slave locali, si stima che morirono circa mille persone, le prime vittime di una lunga scia di sangue. Nel 1945 con il crollo della Germania l’esercito jugoslavo occupò l’Istria, fino ad allora territorio italiano, e dal ’43 della Repubblica Sociale Italiana, e puntò verso Trieste, per riconquistare i territori che, alla fine della prima guerra mondiale, erano stati negati alla Jugoslavia. Nel frattempo gli Alleati che avanzavano dal Sud della nostra penisola, dopo avere superato la Linea Gotica, liberarono Venezia e poi Trieste con la Divisione Neozelandese del generale Freyberg, l’eroe della battaglia di Cassino, appartenente all’Ottava Armata britannica. Nel frattempo i titini, partigiani di Tito si impadronirono di Fiume e di tutta l’Istria interna, dando subito inizio a feroci esecuzioni contro gli italiani. Ma non riuscirono ad assicurarsi la preda più ambita: la città, il porto e le fabbriche di Trieste. Tra il maggio e il giugno del 1945 migliaia di italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia furono obbligati a lasciare la loro terra. Altri furono uccisi dai partigiani di Tito, gettati nelle foibe o deportati nei campi sloveni e croati. Secondo alcune fonti le vittime di quei pochi mesi furono tra le quattromila e le seimila, per altre diecimila. Fin dal dicembre 1945 il premier italiano Alcide De Gasperi presentò agli Alleati una lista di nomi di 2.500 deportati dalle truppe jugoslave nella Venezia Giulia, ed indicò «in almeno 7.500 il numero degli scomparsi. In realtà, il numero degli infoibati e dei massacrati nei lager di Tito fu ben superiore a quello temuto da De Gasperi, pare che furono circa 20mila e 350mila italiani dovettero lasciare quelle terre e case come esuli. Nelle foibe le uccisioni avvenivano in maniera spaventosamente crudele. I condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri sventurati, condannati così a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili. Soltanto nella zona triestina, tremila sventurati furono gettati nella foiba di Basovizza e nelle altre foibe del Carso. A Fiume, l’orrore fu tale che la città si spopolò. Interi nuclei familiari raggiunsero l’Italia ben prima che si concludessero le vicende della Conferenza della pace di Parigi del 1947, alla quale, come dichiarò Churchill, erano legate le sorti dell’Istria e della Venezia Giulia. Fu una fuga di massa. Entro la fine del 1946, 20.000 persone avevano lasciato la città, abbandonando case, averi, terreni. La conferenza di pace di Parigi. Alla fine del 1946 la questione italo-jugoslava era divenuta per molti un peso che intralciava la soluzione di altre e ancora più importanti questioni: gli Alleati volevano trovare una soluzione per Vienna e Berlino; l’Unione Sovietica doveva sistemare la divisione della Germania. L’Italia era alle prese con la gestione della transizione tra monarchia e repubblica. In sostanza bisognava determinare dove sarebbe passato il confine tra Italia e Jugoslavia. Gli Stati Uniti, favorevoli all’Italia, proposero una linea che lasciava al nostro Paese gran parte dell’Istria. I sovietici, favorevoli ai comunisti di Tito, proposero un confine che lasciava Trieste e parte di Gorizia alla Jugoslavia. La Francia propose una via di mezzo, molto vicina all’attuale confine, che sembrava anche l’opzione più realistica, non perché rispettava le divisioni linguistiche, ma perché seguiva il confine effettivamente occupato dagli eserciti nei mesi precedenti. Il dramma delle terre italiane dell’Est si concluse con la firma del trattato di pace di Parigi il 10 febbraio 1947. Alla fine, alla conferenza di Parigi venne deciso che per il confine si sarebbe seguita la linea francese e l’Italia consegnò alla Jugoslavia numerose città e borghi a maggioranza italiana rinunciando per sempre a Zara, alla Dalmazia, alle isole del Quarnaro, a Fiume, all’Istria e a parte della provincia di Gorizia. Il trattato di pace di Parigi di fatto regalò alla Jugoslavia il diritto di confiscare tutti i beni dei cittadini italiani, con l’accordo che sarebbero poi stati indennizzati dal governo di Roma, la beffa fu che non furono mai risarciti. I dirigenti comunisti italiani minimizzarono quanto era avvenuto affermando che le foibe erano propaganda reazionaria. Oggi mi domando come è stato possibile che una simile tragedia sia stata confinata nel regno dell’oblio per quasi sessant’anni? Fu soltanto dopo il 1989, con il crollo del muro di Berlino e la caduta del comunismo sovietico che nell’impenetrabile diga del silenzio incominciò ad aprirsi qualche crepa e poco a poco, la coltre di silenzio che, per troppo tempo, era calata sulla tragedia delle terre orientali italiane, divenne sempre più sottile e finalmente tutti abbiamo potuto conoscere quante sofferenze dovettero subire gli italiani della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.
Favria,  10.02.2021   Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana il successo non è definitivo, il fallimento non è fatale, quello conta veramente è il coraggio di andare avanti.

Similia similibus…..

Similia similibus curantur o la meno ricorrente similia similibus curentur, è una locuzione latina che, tradotta letteralmente, significa “i simili si curino coi simili.” Si tratta di un antico principio medico che arriva dall’antica India, passando per Ippocrate. Oggi secondo la scienza medica contemporanea si tratta di un principio non dimostrato e privo di fondamento scientifico. Oggi questa teoria viene seguita dall’omeopatia e dai fiori di Bach. Ma non sono un medico ne conosco molto di più tale argomento ma parlare del concetto di similitudine, che è in generale un rapporto di somiglianza tra due cose, concetti, situazioni, o persone. In natura si vede che il simile attrae il simile, tra due persone o  tra marito e moglie, anche  tra due soci in affari, più c’è somiglianza tra valori, idee, progetti, e più ci si “riconosce”, e si forma una sintonia, un’armonia. Il  termine “similitudine” in geometria indica una stessa forma tra due oggetti, pur avendo diversa posizione, Victor Hugo diceva che quando due anime scoprono di essere simili, si stabilisce tra loro per sempre un legame ardente e puro che inizia sulla terra e continua per sempre in cielo. Al contrario, più si è diversi e più è facile essere in disarmonia, o in attrito. I politici per “attrarci”, non so se ci avete fatto caso, devono dirci cose che ci “somigliano”, che toccano le corde del nostro animo, che ci entrano dentro e ci tranquillizzano. Nella vita quotidiana è difficile apprezzare e accettare, ciò che non si conosce, che è diverso da noi. Una persona che ci parla in maniera aggressiva ci squilibra molto di più  di una persona che normalmente è calma. Una voce tal tono alto molte volte  ci mette a disagio e pensiamo che l’interlocutore è partito con il piede sbagliato nell’approccio con noi. Il rumore di un tono di voce è tollerato in un luogo affollato dove tutti parlano ad alta voce, ma da fastidio se arriva all’improvviso in una chiesa dove tutti stanno in silenzio a pregare. Allora se voglio entrare in rapporto con una persona che parla sommessamente, è meglio parlarle a bassa voce anziché urlarle le mie idee. Pensiamo al nostro atteggiamento se stiamo camminando e all’improvviso vediamo che un folto gruppo di persone si mette a correre, la prima reazione che ci viene spontanea è quella di correre anche noi, mentre ci chiediamo perché lo stiamo facendo, e questo avviene soprattutto se la situazione è confusa e desta incertezza, questo dipende dal nostro cervello primordiale, se corrono, scappano da un pericolo e scappo anche io, poi penso dopo alcuni secondi, ma c’è il pericolo? Questi nostri atteggiamenti di similitudine lo sanno bene i che produce campagne commerciali,  per venderci un prodotto vengono più spesso scelte persone come noi, e non persone con cui non abbiamo nulla a che fare, oppure si opta per personaggi a cui si ritiene che tutti (più o meno tutti) i destinatari vorrebbero  assomigliare pensiamo solo alle risate  pre-registrate che ci inducono molte volte  a  ridere più spesso e più a lungo. Questi comportamenti tra esseri simili si riflette anche sul nostro organismo umano che ha  saputo mantenere la salute nell’arco di secoli, è perché ha conservato un adattamento all’ambiente che cambiava continuamente, e ha mantenuto il proprio equilibrio, cercando di entrare in armonia con lo stimolo che si presentava di volta in volta. Molti germi, anzi quasi tutti, per essere “accettati” dal nostro organismo ed eludere la nostra risposta immunitaria, si mimetizzano attraverso la somiglianza tra loro strutture e le nostre. Tale mimetismo sembra essere dunque una forma di strategia elaborata dai microrganismi sulla selezione di precedenti comportamenti, non certo dovuto al caso, bensì al vantaggio selezionato come il migliore per sfuggire alla risposta del sistema immunitario, e persistere indisturbati nell’organismo ospite, utilizzando un criterio di similitudine. Pensate che Jenner vinse il vaiolo basandosi su un principio di similitudine: curò il vaiolo umano con quello bovino, pustole di vaiolo provenienti dalla vacca, da cui il termine vaccino usato in seguito anche per altre cure. Ippocrate di Coo, celebre medico della Grecia antica, aveva già capito che anche tra due malattie il simile può curare, similia similibus curantur. Egli infatti aveva scritto, 5 secoli prima dell’era cristiana, in “La natura dei luoghi e dell’uomo”, che attraverso l’aiuto dei simili i malati ritroveranno la salute. Oggi la sfida al covid la si può vincere se se siamo uniti e stiamo alle regole frequentando i nostri simili con le dovute precauzioni e stando ligi alle regole sanitarie e per noi che non siamo con i sanitari in trincea tenendo alto il morale dei nostri simili, anche questo aiuta.

Favria, 11.02.2021   Giorgio Cortese

Oggi con la pandemia che sia il migliore o il peggiore dei tempi, è il solo tempo che abbiamo, cerchiamo di viverlo bene.

Bersach!

Il bersach era un sacco tenuto a spalla a tracolla, legato con una corda per raccogliere manualmente il mais, la melia. Veniva chiamato bersach o bersaca con il significato di sacco, zaino o carniere, quest’ultima borsa a tracolla dei cacciatori. Ma bersach segnificava in piemontese anche ragazza sciocca o maleducata e per i maschietti, uomo sciocco o tanghero, persona grezza e villana. La parola piemontese bersach deriva dal tedesco habersack, sacco di avena, haber avena e sackk, sacco. Questa parola si trova anche in altri dialetti, in emiliano e lombardo, bersaca, in francese havresac.

Favria, 12.02.2021  Giorgio Cortese

Se una persona osa sprecare anche solo un’ora del suo tempo, allora non ha scoperto il valore della vita.

Non più andrai farfallone amoroso!

Le Nozze di Figaro, ossia la folle giornata, è un’opera lirica di Wolfgang Amadeus Mozart, una delle  sue più famose opere, la prima di una serie di felici collaborazioni tra Mozart e da Ponte, che portarono alla creazione del Don Giovanni e Così fan tutte. Fu Mozart stesso a portare una copia della commedia di Beaumarchais a Da Ponte che l’ha adattatto a libretto in sei settimane. Da Ponte la tradusse in lingua italiana, ai tempi la lingua ufficiale dell’opera lirica, e rimosse gli elementi di satira politica dalla storia. Eppure fu solo dopo aver convinto l’imperatore Giuseppe II della rimozione delle scene più discusse che questo diede il permesso di presentare l’opera. Così Le nozze di Figaro, finita di comporre il 29 aprile, fu messa in scena al Burgtheater di Vienna, il 1 maggio, 1786, ottenendo un successo fantastico tanto che, lo stesso Imperatore dovette firmare un decreto che l’opera non poteva avere infiniti “bis”, dopo che vide e sentì la “premiere”; questo per non prolungare oltre il limite dell’orario fissato la presentazione teatrale.  A  Praga il successo fu ancor maggiore rispetto a Vienna, dove per ammissione dello stesso Mozart non si cantava altra musica che la sua. La trama è di fatto la continuazione di quella del Barbiere di Siviglia, portato alla fama dall’opera omonima di Gioachino Rossini. L’opera è in quattro atti e ruota attorno alle trame del Conte d’Almaviva,  che  e’ il cervello ed il motore della storia. Il Conte invaghito della cameriera della Contessa, Susanna, sulla quale cerca di imporre lo “ius primae noctis”. La vicenda si svolge in un intreccio serrato e folle, in cui donne e uomini si contrappongono nel corso di una giornata di passione travolgente, piena sia di eventi drammatici che comici, e nella quale alla fine i servi si dimostrano più signori e intelligenti dei loro padroni.  L’intera vicenda può essere letta come una metafora delle varie fasi dell’amore, il paggio Cherubino e Barbarina rappresentano l’amore acerbo, Susanna e Figaro l’amore appena sbocciato, il Conte e la Contessa l’amore logorato dal tempo e senza più alcuna passione, Marcellina e Don Bartolo l’amore maturo. Questo ventaglio di situazioni amorose e drammatiche non sono altro che la storia in commedia, della quotidianità della vita.  Il titolo all’inizio è uno dei brani più famosi delle “Nozze di Figaro” e si trova al termine del primo atto. Il conte di Almaviva ha scoperto Cherubino nella stanza della Contessa e, ingelosito, decide di allontanarlo da casa sua, costringendolo a partire soldato. Figaro canta allora quest’aria per salutare il giovane paggio che deve abbandonare le sue avventure amorose e dedicarsi alla più dura professione delle armi, in realtà Cherubino riuscirà in seguito a ottenere il perdono del conte e quindi a restare a Siviglia. Figaro ironizza sulla sua partenza, ricordandogli, con un pochino di cattiveria,  ciò che è costretto a lasciare e ciò a cui va incontro, e forse la gloria militare è soltanto la solita retorica dei tromboni e lo “spirito” complessivo dell’opera è decisamente più dalla parte dell’amore, che da quella della guerra. In conclusione, Mozart ha il coraggio di portare in scena l’uomo come realmente è, non come si vorrebbe che fosse. Cadono così anche gli steccati tra i generi, con il comico che si tinge spesso di malinconia, il tono buffo si mescola a inflessioni tipiche dell’opera seria, e talvolta può capitare che ci si veda scaraventati di colpo nella tragedia. Proprio come nella vita. Una forza irresistibile e indomabile governa le vicende dell’opera, guida i pensieri e le azioni dei personaggi come condannandoli a un perenne andirivieni: è eros, l’amore! Che la “folle giornata” della vita abbia inizio!

Favria, 13.02.2021    Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana tutti i nostri sogni possono diventare realtà se abbiamo il coraggio di perseguirli.

Essere vivi è un dono ma vivere con coerenza è una scelta. Ti aspettiamo a Favria  VENERDI’ 26  MARZO 2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno  di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

La badinerie di carnevale

La Badinerie o Badinage, era un’antica danza dal carattere gioioso e leggero, raramente utilizzata dai compositori al di fuori dei balletti e delle musiche di scena fino agli inizi del XVIII secolo quando, grazie alla presenza preponderante degli stili e modelli musicali francesi, venne introdotta anche all’interno di suite e overture puramente strumentale. Nelle suites e nelle sonate del sec. XVIII – originate da canzoni a ballo e da danze medievali – si osserva una grande abbondanza di nomi atti a designare i movimenti nei quali le suites e sonate settecentesche si dividevano. Badinerie e Badinage appartenevano, come Burlesca, Capriccio, Scherzo  a questo repertorio di appellativi e,  pure servendo a indicare movimenti allegri, del tipo Scherzo – erano adoperati, con gli altri congeneri, senza norme costanti rispetto alle forme, ma piuttosto con riferimento all’espressione vivace e graziosa del pezzo. caratterizzato da un virtuosismo delicato e agilissimo, il flauto dialoga con gli archi in un vorticoso movimento di arpeggi, chiudendo nel modo più brillante una suite che è tutta un’immensa costruzione di bellezza e perfezione.  La parola Badinerie o Badinage, dal francese badiner, agire stoltamente e poi scherzare deriva dal lemma latino batare, spalancare la bocca. Il lemma si trova anche nel milanese nadinè, scherzare, e veneto badinar, la stessa parola si può riferire ad una conversazione elegantemente scherzosa e leggera. In piemontese badinè vuole dire scherzare, burlare prendere in giro, badin è il burlone. Un celeberrimo brano, la Badinerie del 1738 di J. Sebastian Bach, uno dei cavalli di battaglia dei flautisti, poiché fa parte della Suite n. 2 per flauto ed archi.La badinerie fu usata raramente nell’Ottocento e nel Novecento, tra i pochi casi Proko, Sergei Prokofiev ne incluse una nei suoi Quattro pezzi per pianoforte, op. 3.  Questa è la storia della  badinerie, o badinage un movimento di danza in tempo pari, di carattere gioioso e leggero  usata soprattutto da compositori tedeschi e francesi all’interno delle suites, in particolare nel sec. XVIII e prima durante i carnevali.

Favria  14.02.2020  Giorgio Cortese

A san Valentino, la primavera sta vicino

Il mito del drago

Il mito del drago prende l’abbrivio dalle nostre primitive paure come essere umani nei confronti del mondo animale, i rapaci che in volo prendono in volo le proprie vittime ghermendole con gli artigli, i felini con il loro caldo respiro simile ad una fiamma ed infine i serpenti con la loro pelle rugosa e squamosa. Per tale ragione il Drago popola il nostro immaginario, un mix delle creature prima enunciate, un rettile alato che sputa fuoco ed alita miasmi venefici, particolarmente attratto da giovinette vergini, che poi vengono prontamente salavate dall’eroe di turno, primo tra tutti San Giorgio, che munito di lancia trafigge il mostro alle fauci. Ma che dire anche di Siguror, Sigfrido, l’eroe nordico del ciclo nibelungico. A fil di spada infilza il drago Fafnir possessore e custode di un immenso tesoro. Negli entrambi episodi si legge la lotta tra il bene ed il male in chiave cristiana. Ma in ogni cultura nel mondo c’è il suo drago, il drago polacco Wawel, o draghi degli abissi del mare come il nipponico Owatatsumi no kami, grande dio del mare, che si trasforma in uomo e diventa nonno del primo imperatore. Il nordico drago Miogarosormr, serpe della terra, che vive negli oceani circondando la terra. Ma cosa significa il drago nei miti? In Cina è protettore e benevolo. Ostacolo della superbia nel mondo celtico, sempre nemico per le genti germaniche e per i cristiani. Il filo conduttore è però la sua forza e chi mangia il suo cuore, del drago, acquisisce la sua forza o ci si immerge nel suo sangue come Sigfrido. Nel mondo classico per abbattere il drago ci si affida ad Ercole, ma oltre alla forza occorre anche l’astuzia e delle precise tecniche proprie degli esseri umani e non delle bestie.

Favria, 15.02.2021   Giorgio Cortese

Trovo che la vita sia bella perché ce nè una sola. E a me, tutto ciò che è unico, è sempre piaciuto.