Joseph de Maistre – Booth – Orzata e non orzare. – Il quotidiano carico. -Destrieri, palafreni e ronzini e la staffa. – Canna nei modi di dire. – Senecio. -Supportare, supportivo, supporter…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Joseph de Maistre Pensatore, nato a Chambéry il 1 aprile

1753, morto a Torino il 26 febbraio 1821. Educato dai gesuiti e laureato in diritto all’università di Torino, entrò nel 1774 nella magistratura e giunse nel 1788 alla dignità di senatore. A Chambéry si iscrisse prima alla loggia massonica di rito inglese dei Trois Mortiers (1774), poi passò alla loggia scozzese della Sincérité, di cui divenne uno dei capi nel 1778. Il suo sogno era di giungere, attraverso la massoneria, alla riunione di tutte le chiese e confessioni religiose: affratellati nelle logge uomini di diverse religioni, eliminata ogni tradizione eterodossa, affermato il valore perenne del cristianesimo come dottrina religiosa e del cattolicismo come organizzazione ecclesiastica, il mondo si sarebbe ritrovato cattolico senza accorgersene.  Scoppiata la Rivoluzione francese, de Maistre che pure aveva visto di buon occhio la convocazione degli Stati generali, cominciò ad avversarla e l’influsso di E. Burke lo riaffermò ancora più su questa via. Durante l’invasione francese in Savoia del 1792, il filosofo fuggì ad Aosta, poi tornò per non vedersi confiscati i beni, e infine emigrò a Losanna nel 1793. Dalla Svizzera sferrò una vivace campagna controrivoluzionaria in Savoia e lanciò quelle Considérations sur la France, Neuchâtel il 1796, che sono il capolavoro della sua pubblicistica politica. Tornato a Torino nel 1797, de Maistre la polemica antirivoluzionaria divenne anche antiprotestante e nelle Réflexions sur le protestantisme dans son rapport avec la souveraineté riallacciò al libero esame dei riformatori lo spirito rivoluzionario. Ma di nuovo fu costretto ad abbandonare Torino; andò peregrinando lungo il Po e si fermò a Venezia, dove il 19 settembre 1799 ricevette da Carlo Emanuele IV la nomina di reggente della cancelleria in Sardegna. Sbarcato a Cagliari il 12 gennaio 1800, entrò presto in urto col viceré Carlo Felice, e il re Vittorio Emanuele I lo trasferì al posto di ministro plenipotenziario in Russia nel 1802. Conversatore inesauribile e brillante, Joseph de Maistre  si trovò a bell’agio nei salotti di Pietroburgo, educati alla francese, dei Strogonov, dei Čičagov, dei Tolstoj. Sognatore politico, riconobbe i suoi fratelli spirituali nello zar Alessandro e nei suoi fidi  che facevano e disfacevano la carta geografico-politica d’Europa. E così de Maistre riuscì non solo a far tener conto della casa di Savoia nei progetti di ricostruzione europea della diplomazia russa, ma ebbe perfino l’offerta di passare al servizio dello zar tra il 1811,1812. Intanto il suo pensiero fermentava. La pratica dei gesuiti da un lato e la propaganda anticattolica delle sette massoniche in Russia dall’altro lo resero accorto dei pericoli per il cattolicismo dell’illuminismo mistico ed egli finì col condannarlo, pubblico poi a Parigi nel 1821, Le Soirées de Saint-Pétersbourg. La polemica antilluminista e antiortodossa, e la propaganda cattolica da lui svolta nell’alta società russa, finirono col metterlo in contrasto con lo zar, che volle il suo richiamo da Pietroburgo nel 1817 e passò i suoi ultimi anni a Torino.  Politicamente sentiva che il mondo era su un vulcano e vedeva la rivoluzione continuare il suo cammino nella restaurazione, ma conservava la fede nel sogno di tutta la sua vita: una grande rivoluzione religiosa, che riunisse nella Chiesa cattolica tutte le chiese. E con questa fede si spense, Lettre sur l’état du christianisme en Europe, 1819.  De Maistre è stato un misticoo per temperamento, che del cuore, frenava i suoi impulsi naturali con la disciplina del cattolico ortodosso e con i timori delle conseguenze pratiche delle dottrine teoriche dell’uomo d’azione, dell’uomo di mondo. A tale contrasto interno egli non diede mai soluzione logica, ma piena soluzione artistica: le Soirées de SaintPetersbourg sono la sua autobiografia interiore e nei tre personaggi di esse, il senatore, il conte e il cavaliere, si configurano in personaggi artistici le tre tendenze dello stesso suo spirito. De Maistre  intravide l’evoluzione del papato verso l’assolutismo e l’importanza che cominciava ad assumere nella Chiesa contemporanea il laicato, lasciò anche i primi germi di alcune eresie: del modernismo con i suoi accenni all’evoluzione dei dogmi e delle credenze religiose; del nazionalismo francese, del sansimonismo, con la sua fiduciosa attesa di una nuova età religiosa. In politica, oltre alla critica del contrattualismo e del razionalismo politico, riuscì a determinare, al di là dei contingenti contrasti del liberalismo e dell’autoritarismo. Il poeta francese Charles Baudelaire, 1821-67, riconobbe che fu Maistre a insegnargli a pensare. Il Savoiardo, con il rifiuto radicale del tempo in cui si è ritrovato allora a vivere, ci può fornire degli anticorpi per rifuggire dalla mentalità corrente, senza però fuggire in costruzioni mentali dissociate dalla realtà. Lasciando perdere di vagheggiare l’imminente ritorno della Monarchia per diritto divino, gli si possiamo interrogare sull’ordine sociale che fu e che, soprattutto, dovrebbe essere. Joseph de Maistre, in questo senso, è tremendamente attuale, tanto più che egli, pur fornendo una visione negativa della realtà e della crisi che investe l’Europa, prospetta una necessaria ricomposizione. Nell’attesa, è doveroso che si conoscano i termini della crisi.
Favria, 24.10.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. I numeri sono calcoli, le parole racconti, i fatti sono certezze. Felice martedì.

Booth

L’ingegnere inglese Hubert Cecil Booth (1901-1955), famoso per aver inventato il primo aspirapolvere elettrico, prima di dedicarsi all’invenzione di elettrodomestici si occupò di progettare ponti sospesi, motori per la corazzate della Royal Navy e ruote panoramiche per luna park, tra cui quelle di Londra, Parigi e del Prater di Vienna (Austria). Nel 1901 ebbe l’idea di aggiungere un filtro al tubo dell’aspirapolvere e nel 1903 fondò la British Vacuum Cleaner Company: “vacuum” in inglese significa aspirapolvere.

Favria, 25.10.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno tra correre e rincorrere diamoci del giusto tempo per aspettare. Felice mercoledì

Orzata e non orzare.

Le parole orzata e orzare sembrano simili ma hanno radici linguistiche differenti. La parola orzata deriva dall’orzo. L’orzo è uno dei cereali più coltivati e consumati dall’uomo fin dall’antichità. Consumato generalmente in chicchi, fiocchi o farina, può anche essere tostato ottenendo così il “caffè d’orzo”, una bevanda naturale, senza caffeina e senza controindicazioni, dal sapore delicato e rinfrescante che piace a grandi e piccini e può essere consumata in ogni momento della giornata. L’ orzo, è conosciuto da più di dodici millenni, è originario dell’Asia occidentale e Africa occidentale e si diffuse rapidamente nel bacino mediterraneo, come narra Plinio, quale cibo speciale per i gladiatori, che venivano, infatti chiamati, hordearii,  cioè mangiatori d’orzo. Fu uno dei rimedi più utilizzati da Ippocrate che ne tesse gli elogi. Il nome orzata  è utilizzato per designare genericamente la bevanda rinfrescante di colore bianco opalescente.  Nel nostro BelPaese molti credono che l’essenza principale dell’orzata sia estratta dalle mandorle, ma il gusto dell’orzata è diverso da quello del latte di mandorle poiché, semplicemente, non contiene mandorle se non in forma di aroma, tra i quali l’aroma di mandorla amara, cioè aldeide benzoica opportunamente resa solubile per l’uso in sciroppo di zucchero, al 65% di media, ed acqua. Infatti il nome orzata deriva dalla voce latina hordeata, ovvero, fatta con orzo, ma con il passare dei secoli, l’orzo germogliato è stato sostituito da altri ingredienti vegetali, anche se il nome è rimasto per definire tutte quelle bevande ottenute col medesimo procedimento.  A Malta l’orzata (chiamata ruggata,  uno sciroppo a base di mandorla. In Francia l’orzata è chiamata orgeat ed è del tutto simile all’orzata italiana. In  Spagna vine detta la horchata, orxata in catalano è prodotta non solo dalle mandorle ma anche a partire da un tubero chiamato chufa. La chufa  è una bevenda caratteristica consumata nella  Comunità Valenzana in estate, la chufa è coltivata principalmente negli orti adiacenti alla periferia di  Valencia, in particolare nei dintorni del comune di  Alboraya. In Messico esiste un altro tipo di orzata ottenuta dal riso horchata de arroz con altri ingredienti. In Suriname la  orgeade è uno sciroppo di zucchero e mandorle. Non confondiamo l’orzata con l’ouzo, tipo di liquore aromatizzato con anice, del 1898, dal greco moderno ouzo. Un etimologia popolare afferma che l’origine del lemma deriva dall’italiano uso Massalia, letteralmente “per Marsiglia”, che veniva stampato su determinati pacchetti di bozzoli di baco da seta spediti da Tessaglia e che veniva interpretato come “di qualità superiore”. Dalla parola orzo  deriva orzaiolo che una infezione delle palpebre così detto per la somiglianza  con un grano d’orzo. Invece l’orzarolo, sempre derivato dalla voce del frumento, l’orzo, indicava a Roma,  in passato, il venditore al minuto di legumi, farina, pasta e altri generi alimentari e di altri prodotti da emporio. Passiamo adesso al verbo orzare che secondo alcuni etimologi e filologi la parola orza nelle lingue rispettivamente spagnola orza,  francese, ourse o orze,  provenzale, orsa,  proverrebbero dal bavarese lurz, con il significato di “sinistra”. Secondo alcuni studiosi che dalla parola lurz  sia caduta la “l” scambiata per articolo. Secondo altri la parola orza deriva dallo spagnolo, termine col quale non solo si designava un ordigno posto in un bastimento ma anche un orcio, dal latino urceus,  che probabilmente un tempo era tenuto in qualche luogo a sinistra di un’imbarcazione. Orza è attestata anche nella lingua veneta come voce marinaresca con la quale si indica una corda. Altra etimologia considerata è greca, orthias, orthiax, parte inferiore dell’albero della nave.  Pensate che il termine orza è nominato nel canto XXXII del Purgatorio XXXII, 117: “…E ferì ‘l carro di tutta sua forza; ond’el piegò come nave in fortuna, vinta da l’onda, or da poggia, or da orza.”. Va da se che la voce orzare usata nel linguaggio marinaresco significa avvicinare la prua di una barca a vela, verso la direzione in cui proviene il vento. Questa operazione è resa possibile agendo sul timone. L’orzata è fondamentale se si vuole compiere una virata ossia il cambio di mura facendo passare la prua al vento. Infatti  l’avvicinamento della prua al vento comporta il cambio di andatura dell’imbarcazione che dall’andatura in poppa attraverso l’orzata raggiunge in sequenza le andature di:  lasco, dal latino laxicare, derivato da laxus, largo, allentato e nel linguaggio marinaresco significa allentare. Nella marina in Veneto allascare. Poi traverso, dal latino transversus, in marina direzione perpendicolare all’asse longitudinale della nave ed infine in bolina, detta anche  bulina, borina e burina, dal francese boline a sua volta dall’inglese bowline, cavo di prora. Navigare di bolina o andatura di bolina,  nella navigazione a vela, la rotta di una nave che naviga stringendo al massimo possibile il vento, la linea di bolina è una formazione, in linea di fila, di navi a vela che mantengono l’andatura di bolina.  Qui potremmo passare ad un termine caratteristico dell’alpinismo nodo di Bulin che deriva sempre dall’inglese bowline knot, perché sono stati gli inglesi tra i pionieri dell’alpinismo.  Concludo che questo mio scrivere  è parlare di un vento di cui non ricordo il suono. Molto spesso ascoltiamo troppo il telefono e ascoltiamo troppo poco la natura. Il vento è uno dei suoi suoni. Nella vita non esiste vento favorevole per le persone che non sanno dove andare.

Favria 26.10.2023   Giorgio Cortese

Buona giornata.  Purtroppo nei  più importanti bivi della nostra vita non c’è segnaletica. Felice giovedì.

Il quotidiano carico.

C’era una volta un asino che con il suo padrone saliva ogni giorno su per i boschi della montagna a raccogliere il legname. Un giorno come tanti altri, raggiunta la cima il padrone iniziò a raccogliere la legna e la caricò sul mulo. Quel giorno però decise di scendere da un sentiero di montagna che non frequentava spesso. Percorrendo il tragitto trovò a terra un pezzo di legno e decise di aggiungerlo al carico del mulo, pensando che un solo piccolo pezzo non potesse fare tanta differenza. Scendendo verso valle, trovò nuovamente altri pezzi di legno isolati, che ogni volta raccoglieva e aggiungeva al carico del povero mulo, pensando ogni volta che un poco di legna in più non potesse nuocere al mulo. Fino a quando il mulo, esausto, crollò a terra a causa dell’eccessivo peso. E morì. Ognuno di noi nella vita quotidiana non dovrebbe esagerare nel caricarsi di tante piccole cose che sommate tra loro procurano un peso eccessivo. Rischiamo di accorgerci del danno quando ormai è troppo tardi. Stiamo attenti ai pesi eccessivi che ogni volta portiamo nel nostro quotidiano percorso.

Favria, 27.10.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Non sono gli anni che contano nella vita, è la vita che mettiamo in quegli anni. Felice

Destrieri, palafreni e ronzini e la staffa.

Ci sono parole, entrate nell’uso corrente, che affondano le loro radici nella cultura del cavallo propria dei secoli passati. Per definire una persona eccentrica o bizzarra, ad esempio, si fa a volte ricorso al termine balzana. La balzana è una striscia o una macchia bianca che i cavalli possono avere sopra lo zoccolo,  e i cavalli che hanno questa striscia sono chiamati, appunto, balzani. A questa caratteristica fisica, che può riguardare una o più zampe, balzana da uno, balzana da due, e via dicendo, è tradizionalmente associato anche un profilo psicologico dell’animale: il cavallo balzano sarebbe particolarmente lunatico, imprevedibile, incostante. Da questa credenza,  forse incrociata con il colore variegato che la balzana dà al cavallo, viene l’attuale significato di “balzano”. Da notare che la parola balzana deriva dal latino: baltea, cintura, fascia. Altre volte una parola viene utilizzata in modo inadatto, avendo perso il legame con le sue radici. Il termine destriero, ad esempio, è oggi in gran parte utilizzato come sinonimo di cavallo, ma in origine non definiva affatto un cavallo generico. Nel Medioevo il destriero o destrière era il cavallo da guerra o da torneo, associato ai cavalieri.  Addestrato a portare il suo cavaliere in armatura e il suo equipaggiamento in situazioni di conflitto, esperto nella carica al galoppo durante i giochi militari, era il più costoso, il più famoso e il meno diffuso dei cavalli dell’epoca. La parola deriva dal provenzale destrier, a sua volta dal lemma latino  dexter,destro,  così detto perché lo scudiero lo conduceva con la destra; per estensione, cavallo da sella nobile e generoso. Oggi usato per indicare un cavallo da sella o altra cavalcatura. Oggigiorno invece, quando  vediamo un cavallo magro e male in arnese, lo gratifichiamo del termine dispregiativo di ronzino. Anche qui, il termine originale è un poco diverso. Nel medioevo, il ronzino era il cavallo di minor pregio, usato dal paggio o garzone, in genere dai servitori più umili del barone o uomo d’arme. La parola ronzino, in antico italiano anche ronzone e roncione, deriva dall’antico francese roncin, da cui il provenzale rocin, dal latino medievale roncinus, cavallo da montagna. Nel romanzo Don Chisciotte della Mancia,  la cavalcatura del protagonista si chiama Ronzinante, Rocinante nell’originale, il cui nome è stato scelto da Cervantes appunto per l’assonanza con il termine ronzino,  rocín in lingua spagnola. Il termine ronzinante è poi diventato un nome comune con cui si indicano cavalli vecchi, malaticci e sgraziati. Palafreno anticamente pallafreno dal tardo latino paraveredus, cavallo di rinforzo, composto dal lemma greco presso, accanto e dal latino veredus, cavallo di posta, di origine gallica, con influsso del lemma freno.  Freno che deriva dal latino frenum, da frendere, digrignare i denti, con allusione al morso del cavallo. Il palafreno era il cavallo da sella, non da battaglia, dei cavalieri medievali, il cavallo nobile, da viaggio o da parata. Dalla parola palafreno deriva il palafreniere, chi nel  passato, era adibito alla custodia e al governo di un palafreno, e camminava alla staffa del signore, il  valletto con funzione di staffiere. Nell’esercito, appartenente a speciali reparti dell’arma di cavalleria distaccati presso le scuole militari per l’addestramento all’equitazione degli allievi delle scuole stesse. Qui arriviamo alla parola staffa, di origine longobarda, due arnesi di metallo che pendono dai due lati della sella, sorretti da corregge, staffili, attaccate alla sella stessa e di lunghezza regolabile; servono al cavaliere sia come punto su cui far leva con un piede per prendere lo slancio necessario per salire a cavallo, sia come appoggio per entrambi i piedi quando cavalca. Nei modi di dire si dice perdere le staffe, quando si perde la  pazienza, si perde il controllo di se stessi, così come perdendo la presa del piede dalle staffe si perde anche il controllo del cavallo. Interessante è l’origine del modo di dire “bicchiere della staffa”. Questo modo di dire italiano si riferisce all’ultimo bicchiere bevuto prima di congedarsi dalla compagnia con cui si è trascorsa una serata e tornare a casa, un rituale di commiato con cui si chiude un piacevole incontro tra amici. L’origine  di questa espressione e di questa usanza è riconducibile a una tradizione toscana del XIX secolo. Molto spesso i locandieri e gli osti accompagnavano i signori, che si erano intrattenuti nel loro locale, fino al cavallo con il quale sarebbero tornati a casa. Per dimostrare riconoscenza nei confronti del loro importante cliente, i proprietari offrivano un bicchiere del miglior vino che avevano a disposizione proprio nel momento in cui il signore montava a cavallo. Si trattava di un vero e proprio “rituale sociale”, un segnale di rispetto e di gratitudine, ma anche un tentativo di convincere l’illustre cliente a tornare in quel locale. Tornando ai cavalli, il cavaliere medievale aveva in scuderia tre tipi almeno di cavalli: i destrieri, per la battaglia, i palafreni, per i viaggi, e gli animali da soma, i ronzini. Proprio da questa distinzione di ruoli, attraverso i secoli, sono derivate le razze equine a diversa specializzazione, e in ultima analisi le specialità equestri che oggi ci appassionano, da quelle olimpiche a quelle ippiche. Bello pensare che l’eredità dei cavalli, al di là della evoluzione dello stile di vita degli esseri umani, è sopravvissuta in mille forme e rispunta, anche nel nostro linguaggio, a dispetto dei tempi moderni

Favria, 27.10.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. I piccoli gesti superano alla grande i grandi gesti. Felice venerdì.

Canna nei modi di dire.

Canna è nome generico per un genere di piante con fusto molto alto, sottile, e cavo negli internodi. È anche il nome di un’antica misura lineare corrispondente a valori diversi, da 1 a 2 metri circa, a seconda delle zone d’Europa in cui era adottata. Il termine definisce inoltre alcuni degli usi della canna stessa: il bastone da passeggio; uno strumento musicale a fiato somigliante a volte alla zampogna a volte allo zufolo, in uso nelle comunità pastorali e che si vuole inventato dal Dio Pan; la canna delle armi da fuoco, la canna da pesca, le tubature di un condotto; la parte della gola corrispondente all’esofago. La canna entra anche in diverse simbologie. La più diffusa, a parte quelle che ne fanno immagine di flessuosità e volubilità, la vuole legata alla povertà e alla sventura. In questo senso va ricordato il Vangelo di Matteo (XXVII,28-30) che diede origine a tutta l’iconografia del Cristo deriso, dove si dice che spogliarono Gesù, lo ricoprirono di un manto scarlatto, gli misero una corona di spine sul capo e una canna nella mano destra, con un chiaro intento di dileggio dato dal rovesciamento dei simboli regali. La canna come sinonimo di povertà sembra però risalire ai Babilonesi, per i quali avrebbe significato vuoto, privo di contenuto. In italiano si usa  l’espressione “a canne d’organo”, per  indicare una azione scoordinata, priva di sequenza logica, come possono apparire le canne dell’organo che sono di altezza diversa. Le canne della gola vengono indicati nel linguaggio comune la trachea e l’esofago. Mi ricordo che una volta una persona ha usato l’espressione usata per indicare un gruppo di fratelli di diversa altezza che erano  come le  canne degli organi, ma l’importante  nella vita non essere una canna al vento, di carattere volubile, instabile, mutevole, cambiando facilmente parere e bandiera, l’importante è non prendersela un tanto a canna, non farci  turbare troppo dagli eventi, non dare troppa importanza a un avvenimento o a una cosa spiacevole. Concludo con l’espressione “trovarsi nelle canne”, secondo alcuni è di origine  ligure, le “canee, canne” erano i tubi delle fogne. Di conseguenza dire “me trevu in te canee” significa “mi trovo nei tubi delle fogne” il significato  di trovarsi nelle fogne. L’etimo di canee non è canna ma canalis, esattamente come canàe “gronde” dell’estremo ponente. L’origine dell’espressione mi sembra abbastanza evidente: muoversi tra le canne è difficoltoso. Un’altra espressione dialettale, che ne conferma, penso, l’origine, è: “ese cume in aṡe int’in canéu, essere come un asino in un canneto”, cioè in difficoltà. Effettivamente dentro ad un canneto ci si muove con  difficoltà senza  avere più un punto di riferimento

Favria, 28.10.2023   Giorgio Cortese

Buona giornata. Il donatore di sangue di oggi potrebbe essere il ricevente di domani. Felice  sabato.

Senecio.

La storia del Senecio squalidus e della sua diffusione dalla Sicilia all’Inghilterra è emblematica non solo della capacità delle piante di spostarsi, ma anche di cosa comporti migrare per tutti gli esseri viventi.  Il Senecione montanino, nome scientifico Senecio squalidus, è una pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Asteracee, come le margherite. Il senecio rupestre è un’entità appartenente a una specie molto polimorfa delle montagne dell’Europa meridionale, presente con ben 8 sottospecie in tutta Italia. In Sicilia cresce in radure, ambienti rocciosi ombrosi, greti, massicciate, bordi di strade, recinti per il bestiame e ambienti ruderali, su suoli ricchi di sostanze azotate, con optimum nelle fasce montana e subalpina. La pianta è tossica per la presenza di alcaloidi ad azione lenta ma molto dannosa per il fegato e cancerogena, che possono anche passare al miele ed al latte. Il nome generico deriva dal latino senex, vecchio, in riferimento ai pappi biancastri dei frutti o alla pelosità grigia di molte specie. Il Senecio fu introdotto in Gran Bretagna tramite Francesco Cupani e William Sherard negli anni della loro visita 1700, 1701 e 1702 dalla Sicilia dove vive come nativo sulla cenere vulcanica al giardino della duchessa di Beaufort a Badminton. Più tardi un trasferimento del materiale vegetale all’Oxford Botanic Garden da parte degli “Horti Praefectus”, il titolo ancora dato al capo giardiniere dell’Oxford Botanic Garden, Jacob Bobart il Giovane ebbe luogo prima della sua morte nel 1719, fornendo forse una buona indicazione di quando questa specie di ragwort e altre specie invasive potrebbero essere “fuggite” e iniziare a fare la loro casa nelle grandi isole britanniche. L’artemisia siciliana fuggì in natura e crebbe nella lavorazione della pietra dei college di Oxford,con la menzione specifica della Bodleian Library, e molti dei muri di pietra intorno alla città di Oxford. Questo ha dato alla pianta il suo nome comune, “Oxford Ragwort”. Carlo Linneo descrisse per la prima volta Senecio squalidus nel 1753, anche se c’è una disputa sul fatto che il materiale provenisse dall’Orto Botanico o dalle mura della città; la tassonomia per questa specie è ulteriormente complicata dall’esistenza di specie con una morfologia simile nell’Europa continentale. James Edward Smith identificò ufficialmente l’erba di Oxford fuggita con il suo nome formale Senecio squalidus nel 1800. Il vortice d’aria che segue il treno espresso porta i frutti nella sua scia. Li ho visti entrare in un finestrino ferroviario vicino a Oxford e rimanere sospesi in aria nello scompartimento fino a quando non hanno trovato un’uscita a Tilehurst. George Druce, 1927 Durante la rivoluzione industriale, Oxford divenne collegata al sistema ferroviario e l’impianto guadagnò un nuovo habitat nei letti di clinker delle linee ferroviarie, diffondendosi gradualmente attraverso la ferrovia in altre parti del paese. Il processo è stato accelerato dal movimento dei treni e dalla zavorra calcarea che fornisce un mezzo ben drenato che è una replica adeguata dei terreni lavici della sua casa natale in Sicilia. Durante il 20 ° secolo ha continuato a diffondersi lungo le linee ferroviarie e ha trovato una predilezione per i luoghi di abbandono e i siti bombardati dopo la seconda guerra mondiale che hanno molto in comune con le regioni vulcaniche della sua casa. Recentemente, questa e altre specie di Senecio e i loro diversi gusti per l’auto-incompatibilità e l’auto-compatibilità sono stati oggetto di studio allo scopo di comprendere l’evoluzione delle specie vegetali mentre il genere trova nuove case e partner pollinici in tutto il mondo: hibernicus Syme è stata determinata come un’introgressione di Senecio squalidus in Senecio vulgaris. La duplice origine di Senecio cambrensis Rosser sia in Galles che in Scozia è stata spiegata come un prodotto parentale del diploide Senecio squalidus e del tetraploide Senecio vulgaris in entrambe le località e si è diffuso anche in altri Continenti.

Favria, 29.10.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. Le cose più belle e importanti della vita: salute, gioia, felicità, amore, sono uniche e immateriali. Non possiamo comprarle. Possiamo, però, cercarle, trovarle e anche conservarle per un certo periodo di tempo, ma mai potremo disporne per sempre e a nostro piacimento. Felice  domenica

Supportare, supportivo, supporter.

Il lemma supportare come variante di sopportare si trova attestazioni antiche in italiano, ed è evidentemente più vicina alla forma del verbo latino supporto, formato da sube porto, di quanto non sia sopportare. Il verbo sopportare, attestato già intorno alla metà del XIII secolo, deve la sua forma a variazioni fonetiche risalenti alle fasi iniziali della lingua italiana che sono testimoniate anche in altri verbi di origine latina derivati con il prefisso sub- ad esempio soccombere dal latino succumbo, sopprimere dal latino sopprimo.  Per quanto l’aspetto formale del verbo riveli un’eredità diretta dal latino,  secondo gli studiosi dal punto di vista semantico è interessante notare che gran parte dei significati attualmente espressi del verbo italiano sopportare non erano presenti nel verbo supportodurante il periodo classico del latino.  Il  verbo latino era infatti impiegato essenzialmente per esprimere il significato portare, trasportare merci o altri oggetti, e solo a partire dal latino cristiano e soprattutto nel latino medievale ha sviluppato i  significati che ritroviamo nell’italiano corrente,  come il tollerare agevolmente situazioni non favorevoli o fastidiose, ‘sostenere con forza d’animo, coraggio e rassegnazione qualcosa di doloroso, sgradito, riuscire ad accettare senza reagire persone o atteggiamenti che urtano i propri principi.  Anche sostenere un onere economico o sostenere, reggere un peso. Nei testi del latino classico non appare neanche il nome derivato supportatio, da cui l’italiano sopportazione, che nel latino medievale ha contribuito allo sviluppo dei sensi attualmente espressi dal verbo italiano sopportaree, appunto, dal nome sopportazione, il cui impiego corrente riguarda solo i sensi figurati pazienza, tolleranza. Interessante notare che il verbo supportare attualmente in uso in italiano può essere interpretato in un’ottica interna alla lingua come un derivato dal nome supporto,  attestato in italiano almeno dal 1853 nel significato concreto  di elemento che ha la funzione di sostenere o rialzare qualcosa e successivamente in quello figurato aiuto, collaborazione  è un prestito dal francese support, lingua in cui è attestato prima nel significato figurato  nel 1458, e solo successivamente nel 1606, nel significato concreto sostegno materiale. A sua volta il nome francese support  derivato dal verbo francese supporter, attestato dalla fine del XIV secolo con il significato figurato di farsi carico, aiutare, sostenere qualcuno, soffrire, tollerare,  e solo molto più tardi  nel XIX secolo,  con il significato concreto  di sostenere un peso. Il significato fare il tifo per una squadra sportiva è attestato in francese a partire dagli anni Sessanta del Novecento e riprende il verbo inglese to support, impiegato in questo senso dagli inizi degli anni Cinquanta del Novecento come conseguenza dello sviluppo, nella seconda metà del XIX secolo, nel nome supporterdel senso  di tifoso di uno sport, di una squadra’ a partire dal significato più generale persona che dà il suo appoggio qualcuno o una causa attestato già agli inizi del XV secolo. Supporterè dunque un nome derivato regolarmente in inglese con il suffisso -er dal verbo to support, al pari di tanti altri nomi deverbali inglesi, esempio  worker, lavoratore,  to work, lavorare. La ricostruzione della intricata storia di interscambi tra le lingue non è finita qui perché, come è facile immaginare, il verbo inglese to support è un prestito, di epoca medievale, del verbo francese supporter, che a sua volta deriva dal verbo del latino medievale supporto, presente anche in testi latini di area britannica insieme al nome derivato supportator, persona che supporta, formazione analoga all’inglese supporter. Tornando all’italiano supportare, e in particolare alla sua origine, dobbiamo ricordare che, oltre al rapporto semantico il nome supporto, da cui il verbo sarebbe un derivato per conversione, così come telefonareda telefonoo spazzolare da spazzola,  non si può ignorare l’esistenza del verbo francese supportere di analoghi verbi attestati nelle altre lingue romanze, quali suportar in portoghese e catalano, soportar in spagnolo, soporta in rumeno.  Gli studiosi non escludono  un influsso che le altre lingue romanze, in primo luogo il francese,  possono avere avuto sulla nascita e sulla diffusione del verbo in italiano. L’influsso sull’italiano della lingua inglese esercitato dal verbo to support, lingua che, ricordiamo, ha preso dal francese e indirettamente dal latino questo e molti altri verbi, riguarda invece essenzialmente l’ampliamento del ventaglio semantico esprimibile dal verbo italiano supportare.  Il verbo inglese to support copre tutti i significati espressi in italiano sia da sosteneresia da supportare. L’ampliamento dei significati del verbo supportare è un fenomeno progressivo a cui assistiamo da più di un secolo e il suo impiego nel linguaggio dello sport è solo l’esempio più lampante, reso più evidente dall’accostamento del nome non adattato supporterche, oltre al senso di tifoso, sostenitore di una squadra o di un atleta, si può usare anche per riferirsi a un cantante o gruppo musicale che si esibisce prima dell’attrazione principale. Ringrazio se mi avete letto fino qui per avermi sopportato, grazie.

Favria, 30.10.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Chi sa parlare e non sa ascoltare potrà anche essere uomo di cultura, ma certo poco saggio, poiché conosce solo il suo pensiero rinunciando a priori a quello altrui. Felice  lunedì.