Lo champagne. – La biblioteca sociale. – Rimedi Medievali 2/2 parte. – Il sole e la luna. – Granata sormontata da una fiamma. – L’antica via Lata. – La battaglia di Pavia. – I cestini dei rifiuti in Giappone…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Lo champagne Secondo la tradizione fu il monaco benedettino Dom Perignon nel

1697 ad inventare lo champagne. Sulla nascita del celebre vino francese esistono due leggende. La prima vuole che lo champagne sia il risultato di un errore, il benedettino avrebbe scoperto perché le bottiglie di vino che aveva chiuso ermeticamente con la cera d’api scoppiarono improvvisamente, creando una spuma “esplosiva”. Secondo altri avrebbe fatto invece la scoperta aromatizzando il vino con fiori, zucchero e aromi fruttati. Secondo altre versioni la nascita dello champagne viene attribuita a un inglese, il chimico Christopher Merret. Nel 1662, prima di Dom Pérignon, descrisse alla Royal Society di Londra gli effetti dell’aggiunta, con un metodo controllato, di zucchero e melassa al vino fermo, prendendo spunto dalla produzione del sidro. Nacque così il metodo che sarà poi detto “champenoise”.
Favria, 20.02.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. La vita è un viaggio. Le fermate migliori sono le persone speciali. Felice martedì.

La biblioteca sociale. docente: Elisabetta De Marco

mercoledì  21 febbraio 2024 ore 15,30 -17,00

Conferenze UNITRE’ di Cuorgnè presso ex chiesa della SS. Trinità –Via Milite Ignoto

La Biblioteca sociale: un luogo democratico e accogliente che opera facilitando la creazione di conoscenza, la riduzione dei devides e promuovendo il senso di comunità.

P.A.S.S.I. MONTANI è un progetto di sviluppo di presidi territoriali nelle aree interne finanziato dal CISS 38 e attuato da diversi enti del terzo settore del territorio.

La portineria, nasce all’interno di questo progetto, e rappresenta un presidio culturale e sociale che si sviluppa all’interno di un luogo pubblico, uno spazio per grandi e piccoli, di socialità e incontro quale la biblioteca.

Rimedi Medievali 2/2 parte

Durante l’epidemia di peste bubbonica che investì l’Italia dal 1629 al 1633, tra i medici vi era l’usanza di indossare maschere dotate di un lungo becco ripieno di erbe e profumi. Si credeva, infatti, che il morbo si diffondesse solo per via aerea e che filtrando l’aria in tal modo la si potesse purificare, evitando il contagio. Nel XIX secolo le sanguisughe venivano utilizzate per trattare una vasta gamma di disturbi, dai reumatismi alle emicranie. È attestata invece l’efficacia di questi anellidi, ma solo in casi ben definiti, per pulire ferite infette: essi si nutrono infatti di pelle morta e rilasciano con la saliva enzimi anticoagulanti e vasodilatatori. Per tutto il XIX secolo e fino all’inizio del XX, l’elettroshock è stato un trattamento diffuso per curare alcuni disturbi mentali tra cui l’isteria e la depressione, soprattutto all’interno di manicomi e case di cura. Peccato che tale procedura, estremamente pericolosa per il paziente, non abbia mai avuto basi scientifiche solide. A cavallo tra ’800 e ’900, in alcune località dell’Australia Meridionale si era diffusa la strana credenza che entrare nelle carcasse delle balene spiaggiate e strisciare tra le loro viscere in decomposizione per 20-30 ore, a intervalli regolari, potesse fungere da miracolosa cura per i reumatismi. I medici norvegesi di inizio ’900 credevano che fare brevi bagni in mare potesse curare isteria, nevrastenia, reumatismi, spossamento, lievi anemie e persino il “sovraffaticamento spirituale”. Il tutto grazie alle proprietà stimolanti del sale e agli effetti benefici dell’acqua fredda sul metabolismo.

Favria, 21.02.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. La saggezza non si riceve, bisogna scoprirla da sé dopo un percorso che nessuno può fare per noi, né può risparmiarci, perché è un modo di vedere le cose. Felice mercoledì.

Il sole e la luna

All’inizio dei tempi Sole e Luna erano della stessa grandezza e brillavano di identica luce: quando uno dei due tramontava, l’altro sorgeva a illuminare il mondo, Luna, però, non sopportava che Sole fosse grande e bello come lei, e chiese a Dio: “Ti pare possibile che in cielo ci siano due re di uguale potenza? Non sarebbe meglio che uno obbedisse all’altro?” “Sono d’accordo”,  disse Dio. – “Vuoi dire che tu diventerai più piccola e rifletterai i raggi di Sole”.  Così Luna, che era tanto ambiziosa, venne punita e si lamentò amaramente. “Che altro vuoi?” – chiese il Signore dopo – “Possibile che io debba rimpicciolirmi solo perché ho detto una cosa giusta?” – protestò. E allora Dio volle consolarla: “Ogni volta che apparirai in cielo, una schiera di stelle ti farà compagnia, come se tu fossi una regina con il suo seguito.”

Favria, 22.02.2024   Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita è meglio essere ottimisti ed avere torto piuttosto che pessimisti ed avere ragione. Felice giovedì.

Granata sormontata da una fiamma.

Con la caduta di Napoleone e la restaurazione degli antichi regimi sancita dal Congresso di Vienna, i Savoia rientrano in possesso del loro regno. Re Vittorio Emanuele I nel luglio del 1814 istituisce, tramite Regie Patenti, il corpo dei Reali Carabinieri con compiti principali di polizia e scorta alla famiglia reale. Il corpo armato era ripartito in due specialità: a piedi e a cavallo. Il 23 febbraio 1832, regnante Carlo Alberto di Savoia – Carignano il corpo adottava il fregio da copricapo costituito dalla granata in fiamme color argento. Il color argento utilizzato per il fregio e i bottoni distingueva il corpo dai reali Carabinieri dalle altre forze armate, che utilizzavano il color oro, in araldica militare il color argento per importanza precede il color oro. Con la prima guerra d’indipendenza, I Reali Carabinieri diventano pure forza di combattimento, il battesimo del fuoco è il 30 aprile del 1848 con la famosa carica di Pastrengo dove la bandiera ottiene la Medaglia d’argento al valor militare. Quando il  23 febbraio 1832 sul copricapo dei Carabinieri appare, per la prima volta, la granata con fiamma che, prevista nel “Regolamento per le divise degli 14 Uffiziali, Bass’Uffiziali, Carabinieri e Allievi”, che diverrà e rimarrà il simbolo maggiormente caratterizzante della sua uniforme. Il fregio dei Carabinieri è una granata sormontata da una “fiamma” con 13 punte piegata dal vento con monogramma RI, Repubblica Italiana,  un segno di vicinanza con i Granatieri, che hanno uguale granata ma con la fiamma ritta. Oltre ad essere da sempre l’emblema di tutti gli appartenenti all’Arma dei Carabinieri, esso richiama i concetti di lealtà, fedeltà ed altissimo onore.

Favria, 23.02.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Se amiamo la vita più della sua logica, solo allora ne capiremo il senso. Felice venerdì.

L’antica via Lata.

La strada, tra le più famose della città, è lunga circa un km e mezzo e si snoda tra Piazza Venezia e Piazza del Popolo, nel cuore del centro storico. Anche per questo rappresenta uno dei luoghi più caratteristici e antichi della città. Già esistente in epoca repubblicana con il nome di via Lata, faceva parte del Campo Marzio e fu nobilitata in età imperiale dalle tombe di personaggi illustri, tra cui quelle dell’imperatore Augusto e di Nerone. Nel Medioevo la zona venne abbandonata e si ruralizzò, restando spopolata per oltre mezzo millennio. Soltanto nel XV secolo l’antica strada tornò ad avere un ruolo centrale nell’urbanistica della città grazie all’intervento di diversi pontefici che la considerarono un’importante via di comunicazione con il porto fluviale di Ripetta. Nel 1467 il papa decise che la strada dovesse ospitare le corse del Carnevale, fino a quel momento relegate al Testaccio. Il nome cambiò quindi in via del Corso con evidente allusione alle corse carnevalesche, che vedevano gareggiare non solo cavalli e asini, ma anche i ragazzi e gli ebrei. Via del Corso si trasformò quindi in una specie di ippodromo cittadino “Urbis Hippodromum” come ricorda ancora oggi una targa di Alessandro VII datata 1665, visibile all’incrocio con Via della Vite. Le corse furono abolite nel 1883 da re Umberto I di Savoia, dopo che un ragazzo nell’attraversare la strada fu travolto dai cavalli sotto gli occhi della consorte, la regina Margherita. Da allora, eliminate progressivamente le attività commerciali e artigianali più “veraci”, la strada divenne una via di passeggio sempre più “chic”, allietata dalla presenza di negozi di alta moda, gioiellerie, librerie e antiquari. E anche oggi resta uno dei luoghi dello “struscio” più frequentati, insieme alle vie laterali che l’attraversano

Favria, 24.02.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. La vita non è uno spettacolo muto o in bianco e nero, è un arcobaleno inesauribile di colori. Felice sabato.

La battaglia di Pavia

Per tutta la giornata del 25 febbraio 1525 armi e cannoni tuonarono sul campo di battaglia di Pavia in un epico scontro tra gli eserciti dei due più potenti sovrani europei: il re di Francia Francesco I di Valois e l’imperatore Carlo V d’Asburgo, re di Spagna e signore di mezza Europa. Fu un episodio della lunga guerra inaugurata dalla discesa di Carlo VIII in Italia nel 1494 per il controllo della ricca penisola, madre della cultura rinascimentale e ambita preda delle due corone, la cui chiave militare e politica, il ducato di Milano, vide infatti l’alternarsi di occupazioni militari in guerre sanguinose destinate a imperversare per mezzo secolo con il loro tragico seguito di devastazione, saccheggi, violenze e malattie, che trovarono il loro grande storico in Francesco Guicciardini. Quando si pensa all’Italia di Bembo e Raffaello, di Ariosto e Tiziano, di Machiavelli e Pontormo, di Aretino e Michelangelo, è bene tener sempre presente questa tragica realtà, giunta al culmine con il brutale sacco di Roma perpetrato dagli imperiali nel 1527. Dopo aver sconfitto il suo rivale in Provenza nel 1522, Francesco I si era ripreso Milano e il suo intento era quello di sbarazzarsi delle ultime guarnigioni spagnole arroccatesi a Lodi e Pavia, che fu messa sotto assedio alla fine di ottobre del 1524, quando il freddo invernale e l’esaurirsi dei viveri si accingevano a mettere a dura prova tanto gli assedianti quanto gli assediati. Sotto l’abile ed energica guida di don Antonio de Leyva la città riuscì comunque a resistere fino all’arrivo di un poderoso esercito imperiale proveniente dal regno di Napoli, guidato da Charles de Lannoy, Francesco Ferdinando d’Avalos e il connestabile Carlo di Borbone, ribelle al suo re. Il combattimento si concluse quando gli archibugieri spagnoli, tedeschi e italiani, sfruttando un’imprudenza del nemico ormai certo della vittoria, furono in grado di annientare la cavalleria pesante francese, il fior fiore della nobiltà transalpina, sparando a distanza ravvicinata con le armi da fuoco o disarcionando con le lunghe picche i cavalieri, rendendoli inoffensivi. Anche i lanzichenecchi riuscirono ad avere la meglio sulla fanteria avversaria, impadronendosi tra l’altro di molti cannoni. Inutilmente Francesco I cercò di fuggire per sottrarsi alla cattura, ma cadde dal suo destriero ferito e fu circondato e fatto prigioniero, per essere poi trasferito in Spagna, donde sarebbe poi potuto tornare in patria, ma lasciando i suoi figli in ostaggio. Secondo i contemporanei il re avrebbe rifiutato di arrendersi al traditore Carlo di Borbone, e chiesto di consegnare la spada al Lannoy, che la scambiò con la sua e si inchinò davanti a lui, onorandone la dignità regale e il valore di combattente.  La Francia era in ginocchio: “Tutto è perduto tranne la vita e l’onore”, scrisse il re alla madre, Maria Luisa di Savoia, mentre le truppe imperiali tornavano a impadronirsi di Milano, e questa volta per restarci stabilmente. La battaglia è stata una trionfale vittoria spagnola nel conflitto che opponeva iltrentenne re Francesco, cristianissimo, bello e affascinante, ricco e potente, al recattolico e sacro romano imperatore, più giovane di lui, piccolo, sgraziato, gravemente afflitto da una malattia ereditaria asburgica  che gli rendeva difficile parlare e masticare, assente dal campo di battaglia, ma sempre capace di interpretare con grande dignità il suo ruolo di supremo tutore della cristianità. Conclusa la pace, il conflitto sarebbe inevitabilmente ripreso pochi anni dopo, ma ciò non consente di relegare quella sanguinosa battaglia a un episodio, sia pure importante, delle guerre d’Italia.  La  sconfitta del re di Francia, infatti, Pavia segnò la fine di un modo di fare la guerra e con esso dei valorosi  cavalieri cantati dall’Ariosto, travolti dalle fanterie e dalle armi da fuoco, dai quadrati di picchieri svizzeri, dai lanzichenecchi tedeschi, dagli invincibili tercios di Castiglia. In qualche misura si potrebbe dire che in tal modo le forme della guerra si democratizzava e rendevano obsoleta la cavalleria pesante e con essa la nobiltà, i bellatores,coloro che combattono nella rigida divisione della società medievale, esistevano poi gli oratores, colore che pregano e i laboratores, coloro che lavorano. I bellatores combattevano con la lancia, la spada e il sangue pagavano al loro re e al loro Paese il tributo che li esentava dalle tasse. Un anonimo proiettile vagante poteva uccidere un principe del sangue, o anche solo il suo cavallo, lasciandolo a terra immobilizzato dalla pesante armatura, in balia di un rozzo fante plebeo pronto a dargli il colpo di grazia con una pugnalata tra l’elmo e la corazza. E così anche le alte mura dei castelli che per secoli avevano segnato fisicamente e simbolicamente il potere della nobiltà diventavano una risibile barriera contro le palle di cannone, che le facevano crollare come fuscelli. L’arte della guerra, per così dire, cambiava il mondo. La nobiltà di spada perdeva la ragione sociale dei suoi privilegi fiscali e del suo potere politico, ormai ingiustificati, destinati tuttavia a resistere ancora per secoli, fino al 1789 e oltre, tanto robuste e tenaci ne erano le radici storiche. Nonostante il perdurare del ribellismo aristocratico, i sovrani acquisivano il monopolio della violenza, premessa indispensabile dell’evolvere dell’autorità regia assolutistica, come amava dire poi Luigi XIV di Francia : “l’État c’est moi”. Da allora sempre di più la potenza degli eserciti si sarebbe basata sulle armi da fuoco e sulle fanterie, che dovevano però essere reclutate, equipaggiate, nutrite, addestrate e pagate, imponendo agli Stati di dotarsi di enormi risorse finanziare e di capillari apparati amministrativi. A pagare il prezzo di questa svolta, dunque, furono soprattutto i ceti produttivi, e in primo luogo i contadini, sui quali si abbatterono una fiscalità sempre più esosa, pesanti corvées militari, reclutamenti forzosi, acquartieramenti di truppe, i quartieri d’inverno. La miseria delle campagne, anche quando non erano investite direttamente dagli orrori delle guerre, fu tra gli effetti tutt’altro che secondari della rivoluzione militare consumatasi sul campo di battaglia di Pavia.

Favria, 25.02.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno sapersi meravigliare in continuazione è la radice di ogni sapienza. Felice domenica

I cestini dei rifiuti in Giappone.

Ho recentemente letto in un libro la curiosa assenza dei bidoni per la raccolta dei rifiuti per le strade giapponesi dovuta in primo luogo all’avversione dei nipponici verso la presenza della spazzatura, e dei relativi cestini, nei luoghi pubblici. Perché non vengono da noi? Pensate che nella terra del Sol Levante fino dalle elementari, i bambini sono infatti educati a pulire gli spazi comuni, circostanza che rende il Giappone una delle nazioni più pulite al mondo. Le persone tendono poi a portare con sé i piccoli rifiuti prodotti durante il giorno, come cartacce o mozziconi di sigaretta. Accanto a tali motivazioni culturali, la mancanza dei bidoni è legata anche a ragioni di sicurezza: il 20 marzo del 1995, la metropolitana di Tokyo fu infatti colpita da una serie di attentati terroristici al gas sarin che uccisero 12 persone. L’agente chimico in questione era stato nascosto proprio in alcuni cestini della spazzatura e, al fine di evitare altri episodi simili, da allora le autorità decisero di rimuovere per sempre tutti i contenitori in questione

Favria, 26.02.2024

Buona giornata. La vita è come un eco: se non mi piace quello che mi rimanda, devo cambiare il messaggio che invio. Felice lunedì

Il sangue è una vita, Condividilo! Il sangue viene rigenerato dopo pochi mesi, ma la vita no, per favore dona il tuo sangue. Vi invitiamo a donare il sangue per una ragione che si chiama vita.  vita. Lo scopo della vita di noi essere umani è quello di accendere una luce di speranza nei nostri simili anche donando il sangue. Ti aspettiamo a FAVRIA VENERDI’ 29 MARZO  2024, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te.  Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio