Maleducato e ineducato sono uguali? – I compleanni sono piume sulle ampie ali del tempo.- Inorridito per l’orrido quotidiano.- Dal dio romano Marte a Martisor-Amareggiato-Tra eufemismo, metafore e similitudini-La mesta bandiera… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Maleducato e ineducato sono uguali?
A prima vista, sembrerebbe di sì, la base educato è indiscutibilmente la stessa se vado a vedere che cosa scrive il dizionario a proposito di ineducato, una parola che nell’italiano scritto è attestata a partire dalla fine del Settecento: “È meno grave di maleducato e indica piuttosto la mancanza, in una persona, di una sufficiente educazione, non solo morale e sociale ma anche intellettuale; può essere perciò usato talora con il significato di incolto, rozzo”. Certo sono dentro il campo della finezza linguistica, ma la distinzione sottile non è un vezzo, ma una necessità, quando si tratta di cogliere le sfumature. La precisazione del dizionario parte dalla considerazione della composizione della parola e dalla valutazione delle caratteristiche del prefisso in-, di valore negativo e comunemente anteposto ad aggettivi e sostantivi derivati dal latino, come ad esempio capace / incapace, a participi presenti o passati come consistente / inconsistente; previsto / imprevisto, o anche, ma più raramente, a sostantivi, colore / incolore. Secondo gli studiosi viene etichettato ineducato con la marca d’uso non comune. Ciò può aver contribuito ad attenuarne il senso spregiativo rispetto alle affini parole maleducato e screanzato, più diffuse. Maleducato, vocabolo attestato nell’italiano scritto a partire dalla fine dell’Ottocento, è gravato di una sanzione negativa più marcata rispetto a ineducato. Nel concreto il comportamento di certe persone è pura maleducazione, mi guardano di storto se dico o scrivo cose diverse da quello che vogliono sentirsi dire. Queste persone si innervosiscono e mettono a nudo nel loro animo l’arroganza e la superbia di avere sempre ragione. Dicono che la maleducazione sia parlare con la bocca piena, ma io dico che è parlare con la testa vuota e per loro la maleducazione è controproducente e prima o poi i modi vengono al pettine!
Favria, 27.02.2016 Giorgio Cortese

Se nella vita quotidiana modifico anche solo un piccolo tassello, tutto il quadro degli eventi cambia. Ogni giorno è il mondo che cambia e a cerca di modificare la mia vita
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I compleanni sono piume sulle ampie ali del tempo.
Oggi è il mio compleanno e per una qualche ragione, mano a mano che invecchio, compiere gli anni mi fa sempre di più pensare alla mia vita. La maturità porta con sé aspetti che la giovinezza si sogna. Ho provato a rileggere i miei libri preferiti di quando avevo 20 anni! È incredibile, rivedere le frasi che sottolineavo e quindi rivedere che cosa aveva colpito la mia attenzione all’epoca. Sarei falso se non temessi l’incessante fluire del tempo. Nei compleanni avverto nel mio animo come il tempo è letteralmente volato, gli anni sono passati come giorni, io sono cresciuto ma solo anagraficamente, dentro mi sento un bambino con il suo stupore per la vita. Il compleanno è solo il primo giorno di altri 365 giorni di viaggio intorno al sole. Certo il cammino della vita ogni tanto ha dei sentieri tortuosi, ma l’importante è mai mollare, anche nelle sconfitte la vita mi ha lasciato qualcosa di bello e il compleanno di oggi mi porta a pensare che se la felicità duratura, è sempre oltre l’attimo, il piacere invece, anche di un pensiero, si può trovare in un momento. Nessun tempo influisce in un lampo di luce, i momenti felici come oggi rendono la felicità, non sono scolpita nei ricordi come statue immobili. I giorni e gli anni migliori fanno parte della vita, e le impressioni più felici impresse in me, sono uniche, però col pensiero riesco a intravedere una nuova memoria, anche in un ricordo dal passato. I ricordi riportano sempre, il passato nel futuro. Per questo non penso che il più bello dei giorni non l’ho ancora vissuto. Oggi, è sempre uno dei giorni più belli! Sono arrivato a 58!
Favria, Giorgio Cortese 28.02.2016

La musica se priva di testo, non trasmette messaggi concreti né concetti decifrabili. Trasmette stati stabili o passeggeri. E persino quando un testo è cantato, la tessitura vocale spesso si oppone a una chiara pronuncia

Inorridito per l’orrido quotidiano.
Gli efferati delitti avvenuti recentemente qui nel verde, una volta Felix, Canavese mi pongono delle domande nell’animo su quello che sta avvenendo. Apprendo di questi feroci delitti che prima leggevo sulla cronaca nera dei giornali o vedevo in televisione, episodi che già avvenivano, ma toccavano il mio animo informa marginale. Personalmente non entro nel merito delle indagini, ma i recenti episodi sono motivo di riflessione sul valore del denaro nella nostra attuale società, un simbolo elevato a dio, il dio denaro appunto. Inizio allora con un celebre apologo tramandato dallo storico Tucidide: “Un ateniese si recò da Temistocle per un consiglio, gli disse che doveva maritare una figlia e doveva scegliere tra due pretendenti: uno ricco ma stupido e l’altro onesto e intelligente ma povero. E Temistocle gli rispose che era meglio un uomo senza beni che dei beni senza un uomo!” Ritengo che questo apologo abbia una sua validità anche ai nostri giorni, nonostante non sia più esplicita l’idea del “buon partito” per avere un matrimonio soddisfacente ma in questa società liquida prevale la superficialità e faciloneria. sulla base di un’esteriorità inconsistente, senza un incontro di coscienze, di esperienze, di sentimenti profondi e autentici. Ma l’apologo ha un valore più generale. Purtroppo da sempre nella storia “l’essere umano senza beni” ma bravo è svantaggiato e penalizzato rispetto a chi è ricco solo per il suo conto in banca e non certo per il suo pensare e agire. La sapienza popolare si è adattata e ha coniato una serie di proverbi che potrebbero essere l’ideale commento da quanto sopra citato, dalla Germania, “Quando il denaro bussa, le porte si spalancano… Dio regna nei cieli, il denaro sulla terra”; dalla Russia: “Quando parla il denaro, la verità tace”. Dalla Cina: “Col denaro si fanno parlare anche i morti, senza denaro non si fanno tacere neppure i muti… Persino i ciechi sono capaci di vedere il denaro”. Oggi non sappiamo più distinguere il bello dal brutto, il morale dallo scandaloso: innanzitutto valutiamo il valore commerciale. Il direttore d’asta che valuta miliardi un Cézanne, parla ancora di pittura? Al di là del denaro, è urgente ritornare al desiderio, perché il denaro fa schermo tra i desideri e noi. Dobbiamo abbandonare l’idolo e ritornare agli esseri umani, , perché il denaro si frappone tra noi e i nostri simili. Bisogna rimettere il denaro al posto che gli compete: nella cassetta degli attrezzi quotidiani. Allora, forse, il mondo verrà restituito e forse scopriremo tutti quanto siamo ricchi. Lo stesso concetto è esposto da J. K. Galbraith nel suo libro “Economia e benessere”, tradotto in Italia nel 1959; “Se un individuo, alzandosi ogni mattina, fosse vittima di tentazioni diaboliche e si mettesse a desiderare ora le camicie di seta, ora gli attrezzi di cucina, ora i vasi da notte, ora le spremute d’arancia, non vi sarebbe niente di male a soddisfare tali frenesie, per quanto strane esse siano. Ma se queste fossero il risultato del fatto che egli per primo ha stuzzicato il diavolo, e se soddisfarle incitasse il diavolo a sforzi sempre maggiori, egli potrebbe chiedersi quale sarebbe la soluzione più logica: a meno che non fosse schiavo di idee convenzionali, potrebbe domandarsi se sia meglio avere più beni o meno tentazioni e per non inorridire nell’orrore quotidiano con questi orripilanti episodi. Ricordo che i soldi servono per realizzare tante opere buone, per far progredire l’umanità, ma quando diventano l’unica ragione di vita, distruggono l’umanità stesse delle persone e i loro legami con il mondo esterno.
Favria 29.02.2016 Giorgio Cortese

Marzo
Dal dio romano Marte a Martisor
In Romania il primo marzo si festeggia la festa del “Marțișor”. Questa è una festa tradizionale romena che celebra l’arrivo della primavera e la rinascita della natura. In questa occasione, alle ragazze e alle donne si regalano dei “mărțișor”, simboli di buona fortuna e di prosperità. Il Martisor fa parte di quelle antiche e affascinanti usanze e credenze popolari che affondano le loro radici indietro di migliaia di anni. I “marțișor” sono piccole spille fatte di fili intrecciati di colore bianco e rosso. Il colore rosso ricorda il sangue, l’amore, la passione della donna, la rinascita della vita e il bianco è il simbolo di salute, di purezza, del bucaneve che è il primo fiore di primavera e dell’intelligenza dell’uomo. Il filo intrecciato simboleggia il legame tra l’uomo e la donna, l’unione di due forze opposte, ma complementari. Il “marțișor” viene portato vicino al cuore, attaccato al vestito. Gli scavi archeologici effettuati in Romania hanno evidenziato la presenza di antichi “marțișor” risalenti a 8000 anni fa. Questi erano in realtà piccole pietre di fiume dipinti di bianco e rosso, legate insieme con un cordoncino e portate al collo. Per i daci, gli antichi abitanti, il primo di marzo era considerato come l’inizio di un nuovo anno. Il nome del mese deriva dal nome del dio Marte, una figura della mitologia romana, protettore dei campi e del bestiame, dio che simboleggia la rinascita della natura. Il “marțișor” simboleggia la nascita e la morte della Baba Dochia, l’incarnazione della Dea della Terra, ma anche il trionfo della primavera sull’inverno, la vittoria della luce sulle tenebre. Esso era considerato un portafortuna, che dava a colui che lo portava un potere magico. I nostri antenati credevano fortemente nella protezione accordata dai fili intrecciati e dai nodi per poter allontanare gli spiriti maligni, e credevano che chi lo indossa non sarà mai bruciato dal Sole durante l’estate e sarà sempre sano e fortunato. I “marțișor” erano fatti di lana rossa e bianca o di filo di canapa, annodate in forma di un otto e decorato con monete d’oro e d’argento. La madre lo legava al polso e al collo del figlio pensando che in questo modo, il bambino sarà protetto dalle malattie. Col passare del tempo la tradizione è un po’ cambiata, i “marțișor” venivano indossati per 12 giorni, a volte fino alla fioritura degli alberi dopo di che venivano appesi ai rami in segno di riconoscimento e per assicurarsi un buon raccolto. Alcune ragazze giovani le indossavano fino alla fine di marzo, quando legavano ai rami il filo con una moneta rossa sperando che tutti i loro desideri si avverassero. Sotto l’albero si metteva formaggio fresco, pane bianco e vino rosso. Si credeva che in questo modo una ragazza avrebbe avuto una faccia bianca come il latte e liscia come la rossa.
Favria 1 marzo 2016 Giorgio Cortese

Chi non legge anche se arriverà centenario avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito. Perché la lettura è un’immortalità all’indietro.

Amareggiato
Un nuovo giorno, un mistero fatto di 24 ore. Pochissime certezze accompagnano il suo arrivo e fra queste, la voglia di viverlo, adombra tutte le altre. Sono convinto che si può cambiare la propria vita sempre, in qualsiasi istante. Perché per quanto sembri impossibile, non è mai troppo tardi per ricominciare. Ma ci sono delusioni che pesano sull’animo e come macigni, andare avanti diventa difficile. In quei momenti mi sento vuoto e amareggiato mi sento simile al tazzina del caffè quando è finito lo zucchero. Come il tintinnio del cucchiaino che cerca lo zucchero che manca così il mio animo cerca delle risposto all’atteggiamento di certe persone. Ma poi ricordo che nella vita che qualunque cosa accada potrà anche spezzare un sogno ma non la mia capacità di rialzarmi e di crederci sempre. Se la delusione mi ha spento un sogno, non devo lasciare che mi spenga la speranza e deve sempre mantenere la luce della serenità nell’animo. Anche se mi hanno deluso e lacerato la speranza nell’animo, soffrirò ma, la mia fragilità è la mia forza per andare avanti. Porto tutto dentro il mio animo senza rancore ma felice che da questa delusione ho acquisito maggiore esperienza. Nella vita di ogni giorno non si è mai abbastanza grandi per non cambiare, per rinnovarmi e migliorarmi. Capire i miei umani limiti, le mie fragilità, mia aiuta a crescere.
Favria 2.03.2016 Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno, comunque vada, cerco di non perdere mai la speranza! E se le cose non vanno come voglio, continuo a sperare nel domani. Perché il domani esiste comunque e sarà migliore.

Tra eufemismo, metafore e similitudini
Il lemma eufemismo è una figura retorica con cui si smorza l’asprezza di un’espressione, usando una perifrasi o dei sinonimi. Deriva dal greco euphemi parlare bene, composto da eu, bene e pheme cosa detta. Come detto sopra è una figura retorica comunissima, nel parlato: piuttosto che dire qualcosa di scontato o volgare o duro, si dice lo stesso ma con un giro di parole che ne attenua un po’ i toni, o con delle parole alternative buffe, o più consone al contesto. Quando si usa un eufemismo l’ironia, comunque, la fa da padrona. Quanto sono più fertili e ridenti gli eufemismi, rispetto alla piana descrizione della realtà! C’è del pensiero, dietro, e tengono elegantemente conto della sensibilità dell’ascoltatore. Ma a volte gli eufemismi possono essere goffi mezzi per mantenere o risolvere relazioni problematiche ad esempio: “il consiglio di amministrazione ha optato per una riorganizzazione della forza lavoro, per dire che una persona viene licenziata, oppure scacciare dal parlato immagini che la nostra cultura non accetta: se ci pensiamo un attimo, non esistono concetti che abbiano più eufemismi del sesso e della morte. Anche la metafora e la similitudine sono due bellissime figure retoriche. Metafora deriva dal greco metaforà, trasferimento composto da meta, oltre e da phero portare. La metafora consiste nel sostituire una parola con un’altra per rafforzare il concetto. Qualcuno potrebbe obbiettare che l’utilizzo della metafora sia un semplice vezzo linguistico. Con la metafora vi è un arricchimento del pensiero attraverso la ricombinazione di elementi comuni. Pervade incessantemente la lingua e il pensiero ecco alcuni esempi: “in auto sono un fulmine, l’entusiasmo arde”, come si vede molte volte si ricorre anche in maniera inconsapevole alla metafora. Secondo Aristotele, la metafora, consiste nel trasferimento del nome di una cosa ad un’altra cosa su termini con significati simili che vengono rivelati e cavalcati dalla metafora, che ovviamente non può cavalcare, ecco una metafora. Ma allora si potrebbe pensare che dopotutto è solo una similitudine implicita, priva di avverbi di paragone. Se dico che l’entusiasmo è vivido come una fiamma. Ma sarebbe un pensiero poco perspicace, ritengo che sia l’ellissi, alta figura retorica il gradino mancante che richiede il salto a fare della metafora uno strumento di collegamento intuitivo, di riorganizzazione fra luoghi comuni. Queste figure retoriche mi ricordano il mio quotidiano percorso, dove se seguo sempre un cammino lineare scavo un consueto sentiero, ma se cambio percorso e salto e devio ogni tanto rendo la vita frizzante e sempre con nuovi apprendimenti.
Favria, 3.03.3016 Giorgio Cortese

Nel confrontarmi con i miei simili non uso delle maschere, ma cerco di essere sempre me stesso. La mia personale dignità è sapere affrontare gli altri con la libertà del mio pensiero.

La mesta bandiera
Una sera una bandiera stava a mezz’aria il vento della giornata l’aveva avuta quasi vinta sulle corde che la tenevano ferma all’asta. Nella pausa presa dal vento prima della notte non garriva più, ma si ricordava di quella lontana mattina di primavera quando venne innalzata sul balcone dell’alto palazzo. La banda che suonava l’inno nazionale e varie marce patriottiche, i discorsi roboanti dei politici del momento e le gente festosa che applaudiva. E adesso male arrotolata pensa alla gloria passata, alla pazzia delle sue genti condannate ormai dalle proprie stelle cadenti, ma ancora la speranza di un futuro migliore al sorgere del prossimo sole
Favria, 4.03.2016 Giorgio Cortese

Ogni giorno nella vita incontro persone che fanno solo rumore e altre che invece in silenzio lasciamo profonde impronte nel mio animo

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