Mariegola o magiostrina – Il canto del cigno! – Scivolano tra le dita.. – Portano come divisa i colori del cielo e suonano in modo celestiale. – W la proloco favriese. – Palanca e palanca – Arcancel!…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Mariegola o magiostrina. Se scrivo mariegola o magiostrina, forse non capite di che cosa parlo, vi

aiuto se scrivo paglietta!  Con il termine paglietta si indica un cappello di paglia, perlopiù da uomo, rigido, dalla corona dura e piatta e dalla falda circolare racchiusa in un nastro Petersham che può essere di vario colore ma che di solito è nero o comunque scuro, impiegata per un uso casual ed estivo. Creato come cappello per bambini, Les coquelicots, fu in seguito usato anche da adulti, uomini e donne. Dalla fine dell’Ottocento completerà l’abbigliamento di artisti del cinema e del teatro. Era il cappello da scena e da set di Maurice Chevalier, di Odoardo Spadaro e, sfrangiato a stella, di Nino Taranto. È tra i cappelli più usati da Gabriele D’annunzio. Divenne il copricapo di coloro interventisti che manifestarono nelle piazze perché l’Italia intervenisse nella Prima Guerra Mondiale. Il cappello fu indossato dai canottieri, abbinato a blazer a strisce e pantaloni di flanella, costituiva l’uniforme per lo sport estivo del canottaggio dalla fine dell’Ottocento fino a circa il 1940. In versioni diverse la paglietta è divenuta decisamente popolare negli anni ’20 del secolo scorso, come copricapo femminile, con l’aggiunta di decorazioni varie, nastri, fiori e frutti artificiali, e similari, e come parte dell’uniforme estiva di molti collegi femminili inglesi. La storia della paglietta  è anche una storia italiana visto che l’industria della paglia era fiorente già dal 18° secolo in poi, in Toscana. Per ricordare questo, il 29 novembre 2014 è stato emesso dalle Poste Italiane un francobollo da 80 centesimi “Industria della paglia di Firenze”, in occasione del trecentesimo anniversario della fondazione dell’industria della paglia che si diffuse in un vastissimo territorio dell’hinterland fiorentino.   Sobria e garbata, dalla forma circolare o ovale e dal fondo piatto, la classica paglietta ha anche menzioni artistiche molto importanti avendo ricevuto vari omaggi pittorici da parte dei pre impressionisti e impressionisti francesi, artisti come Manet e Renoir,  dipingono signori di fine Ottocento e inizio Novecento che, con questi copricapo in testa, sono impegnati in diverse attività quotidiane: dal passeggiare e stazionare presso caffè e locali pubblici fino alle gite in barca sul fiume. A Napoli anche gli avvocati venivano chiamati in modo bonario “pagliette”, in origine proprio per la loro abitudine di portare in testa come tratto distintivo cappelli di paglia di colore nero. Inoltre la storia della paglietta si intreccia con quella di uno sport di resistenza e velocità come il canottaggio,  la paglietta fa parte della divisa del canottiere tanto che in passato, tra il 19° e il 20° secolo, non di rado si sentiva parlare di cappelli “alla canottiera”.  In Francia e in Inghilterra non caso la paglietta veniva e viene chiamata, rispettivamente, “boater”  e “canotier”. Alla fine dell’800 veniva usata con abiti da escursione e, ovviamente, sempre per look da giorno. La paglietta è ancora oggi usata per proteggersi dal sole, ma non è più quell’accessorio di moda maschile estiva che da maggio in poi era irrinunciabile almeno fino al periodo della vendemmia, da cui l’altro nome con cui veniva chiamata la paglietta, cioè “magiostrina”. La mariegola è il cappello del gondoliere che anticamente erano riuniti in una organizzazione chiamata “Fraglia dei barcaroli”, che si suddivideva in varie “fraglie di traghetto”; i componenti si chiamavano “fratelli di traghetto” e avevano i loro rappresentanti pubblici con a capo il gastaldo, che doveva tenere i conti e prestarli alle autorità, oltre a far rispettare le regole interne alla “faglia” stessa. Queste regole si chiamavano “Mariegole”, e contenevano sia regole interne, sia leggi emanate ad hoc dallo stato, come ad esempio le disposizioni per il soccorso ai gondolieri poveri o malati, le varie tariffe per i trasporti, o le disposizioni in materia di ordine pubblico, ed ecco il perché del nome.
Favria, 1.05.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Coraggio, dopo aprile ecco maggio. Felice domenica

Il canto del cigno!

in senso figurato, indica l’ultima e più pregevole opera di un artista. Fa riferimento alla credenza secondo la quale il cigno selvatico, poco prima di morire, avrebbe un canto armonioso. In realtà i cigni, a seconda delle specie, emettono suoni simili a schiocchi o a trombe. Lo fanno però raramente, quando si sentono minacciati. Secondo un’antica leggenda, ricordata da Platone nel dialogo il “Fedone”, i cigni prima di morire intonano un canto meraviglioso. Platone intende fare una similitudine tra il canto del cigno e il ragionamento finale di Socrate, che sta per essere ucciso mediante cicuta.  Socrate, in quel memorabile dialogo, dimostra l’immortalità dell’anima; per questo motivo la morte non deve far paura, ma deve essere affrontata con serenità e perfino con gioia da coloro che hanno agito secondo verità e giustizia. Questo è il suo canto del cigno. Era l’anno 399 avanti Cristo. È la bellezza del cigno, la sua eleganza nelle movenze, il candore del piumaggio, la maestosa leggerezza, che ha sempre colpito la fantasia popolare. Per questo, secondo la mitologia, Giove conquistò la bellissima Leda trasformandosi in cigno, dando argomento agli artisti per sbizzarrirsi in splendide opere. La “Leda e il Cigno” del Tintoretto (1578), agli Uffizi, a mio parere batte tutta la concorrenza, compresi Leonardo e Michelangelo. La letteratura non poteva mancare di dire la sua; e la fiaba “Il brutto anatroccolo” di Andersen (1843) è un vero e proprio capolavoro. In epoca romantica e moderna sono stati soprattutto i musicisti a trarre ispirazione dal cigno, benché si tratti notoriamente di un animale praticamente senza voce. E invece si parla del Cigno di Pesaro, per indicare Rossini, del Cigno di Busseto per Verdi, del Cigno di Catania per Bellini, e così via.  Certamente il Cigno di Saint-Saëns ha preso ispirazione da “Il lago dei cigni” di Tschaikovskij (1877). Alla fine del balletto, nella “Scena finale”, la morte del cigno è una delle pagine immortali della musica. Proprio un canto del cigno!

Favria, 2.05.2022 Giorgio Cortese

Ben venga Maggio e il gonfalon selvaggio,  ben venga primavera… Felice lunedì

Scivolano tra le dita….

Scivolano tra le di dita le giornate di Primavera, come sabbia, come il gatto, o il sapone della nonna. Eppure il pesco ha il tempo di fiorire, le gemme di aprire, giunge una pioggia e dopo una notte tutto cambia. Il giardino dalla finestra è già tutto verde e,  se sposto la tenda  diventa fiorito.

Favria, 3.05.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Maggio è il mese delle rose, delle spose e delle mamme. Felice martedì.

Portano come divisa i colori del cielo e suonano in modo celestiale.

Inizio questa riflessione con il termine “filarmonica” che, significa “amanti della musica” e questa terminologia viene utilizzata ancora oggi da molti raggruppamenti di musicisti. Banda evoca la libertà, cammina, marcia in piazze e strade, sotto il cielo ed in concerti al chiuso. Viene in mente l’aforisma del grande filosofo Kant che diceva “la legge morale dentro di me, il cielo stellato sopra di me”. Anche per questa sua capacità evocativa e per un senso morale che la Banda richiama, un organismo collegato al popolo. Ritengo che sia importante ricordare la grande importanza che hanno le Bande nella formazione musicale dei giovani; Il provenire da una stessa comunità, l’incontrarsi con i coetanei o con gli amici più grandi, lo stare insieme di generazioni differenti, il recarsi in un luogo comune per le prove settimanali, la passione per la musica, il rendersi conto dell’importanza che il gruppo svolge a per la Comunità, l’essere utili agli altri, alle istituzioni, tutto questo crea nei partecipanti al Gruppo bandistico un orgoglio di appartenenza, sano, positivo, propulsivo, profondamente ricco di senso, quanto mai importante in una (in)civiltà dei consumi che tutto mercifica e che riduce la comunicazione a un superficiale contatto. Oggi si parla tanto di comunicazione, ma è una falsa comunicazione, virtuale, fondata su rapporti impalpabili. Siamo dentro l’occhio del ciclone, ci passano accanto mille suoni e mille immagini, mille gesti e mille parole, ma nulla ci tocca davvero, tutto si svolge in superficie. Pochi i luoghi dove fare esperienze umane profonde, pochissime le modalità di incontro fra gli uomini intesi come entità spirituali, uno di questi luoghi è la Sede delle Bande, una di queste rare modalità sono i contatti veri e le relazioni che si instaurano fra gli appartenenti di una comunità come quella dei musicanti. Oggi a Favria molti adolescenti imparano a suonare ed uno di essi Giacomo Costantino, giovanissimo ha suonato con i veterani, non ha sbagliato nulla, anzi ha fatto gli squilli di tromba come un adulto, ben diretto dal Maestro Alberto Pecchenino e da tutti i bravissimi musici. Oggi nel settantasettesimo anniversario del XXV Aprile, nella ricorrenza della liberazione a Favria si respira un’atmosfera diversa ma nota, nuova dal sapore antico, si torna ad ascoltare il suono della banda musicale per le strade di Favria in di questa festa civile. Oggi la Filarmonica Favriese ha stupito tutti noi non solo per la sua consolidata bravura come complesso bandistico, forte di tantissimi elementi, che suonano in marcia una musica di ottimo livello. Oggi dopo due anni di pausa forzata, la Filarmonica Favriese, colonna sonora delle manifestazioni, ha suonato in occasione del XXV Aprile con nuove e sfolgoranti divise, che le danno un maggiore senso di appartenenza alla Comunità, uno dei due colori dal Gonfalone Comunale è l’azzurro come le loro divise. Chi dire, divise nuove con il colore del cielo, ottima musica, se non è il paradiso ci siamo vicino. W la Filarmonica Favriese.

Favria, 4.05.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno se voglio veramente amare, devo sforzarmi di imparare sempre a perdonare. Felice mercoledì

W la proloco favriese.

Anche al XXV Aprile sempre presente la Pro Loco Favriese che con gruppo numeroso ha partecipato alla manifestazione in occasione del 77 anniversario del XXV Aprile. Grandi i volontari della Pro Loco guidati dal presidente Alessia Basile. I volontari della Pro Loco Favriese sono persone straordinarie che mettono a disposizione tempo, risorse e capacità per animare e arricchire i territori e le comunità, invitando tutti noi alla partecipazione attiva. Grazie da parte di tutti i favriesi

Favria,  5.05.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Giorni di maggio in cui tutto è suggerito, nulla ancora realizzato. Felice giovedì

Amici

Ogni giorno conto la mia età dagli amici, non dagli anni. Conto la mia vita con i sorrisi, non con le lacrime. Una grande amicizia ha due ingredienti principali: il primo è la scoperta di ciò che ci rende simili, il secondo è il rispetto di ciò che ci fa diversi. L’amicizia senza interesse è una delle cose più rare e belle della vita e quando un amico chiede non esiste la parola domani.

Favria, 6.05.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Aprile fa il fiore e, Maggio gli dà il colore. Felice venerdì.

Palanca e palanca

Se pensiamo alla parola palanca viene subito in mente la canzone popolare cantata in Piemonte nelle risaie dalle mondine  e composto da un autore anonimo tra  il XIX e il XX secolo:“Sciur padrun da li béli braghi bianchi, fora li palanchi, fora li palanch…”, i palanchi della canzone sono una definizione dei soldi che  le donne reclamavano per il loro lavoro. La palanca dallo spagnolo, blanca, nome di  antica moneta di rame da uno o da due soldi, in Liguria, Toscana e nel Veneto. Per estensione moneta in genere, per definire i denari o quattrini. Ma esiste anche la parola palanca che deriva dal greco phàlanks, poi in latino palanca per indicare il tronco o randello. In edilizia la palanca è una grossa tavola usata per formare il piano praticabile di ponteggi e di impalcature ed in marina il ponte volante fra il bordo di un galleggiante e la terra o fra due galleggianti, la passerella.

Favria,  7.05.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Se posso sognarlo allora posso farlo e realizzarlo. Felice sabato

Arcancel!

In piemontese, in canavese con questa parola si indica  l’arco in cielo, si tratta infatti di un francesismo da arc en  ciel. Parlo dell’arcobaleno che da sempre per noi esseri umani, affascinati da questo fenomeno meto, sono sempre stati affascinati.  Uno dei significati più diffusi è quello di Ponte tra i mondi o tra Cielo e Terra e quindi tra realtà materiale e spirituale. Per gli antichi Greci infatti era il la personificazione della dea Iris, messaggera degli dei per i mortali. La dea iris. Sorelle della arpie, portava i messaggi infausti degli dei agli uomini, per le buone nuove ci pensava  Ermes, Mercurio. Dalla parola greca  iris deriva l’iride che significa sia l’arcobaleno che la membrana pigmentata dell’occhio, il cui foro centrale è la pupilla. Per i cinesi l’arcobaleno è l’elemento che congiunge e mette in comunicazione cielo e terra poiché composto da un drago a due teste; per gli antichi indiani Navajo è invece un serpente che può essere cavalcato come simbolo di iniziazione e di passaggio verso il mondo spirituale. Nella Genesi l’arcobaleno rappresenta  un patto tra Dio e l’umanità,  comparso per la prima volta dopo il diluvio universale in cui Noè e la sua arca riuscirono a sopravvivere, come promessa che non avrebbe più inondato la terra. È quindi simbolo di pace e di accordo tra gli esseri umani. Il suo significato di apertura e l’arco rimandano al passaggio, alla transizione e al cambiamento che dona sollievo e porta a pensare al soffio di pace e serenità. Oggi dove i venti guerra soffia sull’Europa e dove tutto sembra nero,  l’arcobaleno dona colore e aiuta ad aprirsi al futuro, a guardare avanti a tutti gli esseri umani, patrimonio comune di tutti noi per l’evento straordinario che tutti i colori compaiano nell’iride rende per antonomasia di  ogni cosa che stupisce l’occhio con i suoi colori cangianti. 

Favria, 8.05.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno penso al domani, quello con il sole vero, e allora lo devo immaginare migliore per costruirlo