Marzo. – La maschera dietro al volto.-Un epidemia di elefantiasi che minaccia dei sorci verdi-Da giunco a Giunta-Res gestae favriesi, da splendente, illustre e famoso a Berta.- Scripta manent the brick- Bertavel!- 8 marzo! – Scripta manent, la spagnola! di Giorgio Cortese

Marzo.
Da Marte dal dio della guerra al timido passerotto
Marzo è il mese di Marte, Martius nell’antico calendario precedente la riforma giuliana dava principio all’anno. E iniziava anche la stagione guerresca, che si concludeva ad ottobre. Il mito racconta che Marte era armato di una lancia, curis, da cui anche il nome della città di Curi, capitale appunto della Sabina. Dopo la fusione tra Romani e Sabini, dopo il mitico ratto, i cittadini di Roma si chiamarono Quiriti, cioè portatori di curis; e anche “figli di Marte”, cioè di colui che era rappresentato da una lancia. Una curiosa leggenda, riportata da Ovidio, fa nascere Marte dalla sola Giunone, Era, fecondatasi da sola con un fiore procuratole da Flora. Marte è senza dubbio, in Roma, almeno nell’età classica, il dio della guerra. Ma appare anche come dio della primavera, poiché la stagione della guerra iniziava con la fine dell’inverno; ed è anche il dio della gioventù, sono i giovani che vanno in guerra. E’ lui che conduce, nel ver sacrum, la sacra primavera, i giovani sabini che emigrano per fondare nuove città. E questi emigranti, spesso, erano guidati nel loro cammino dal picchio o dal lupo, animali sacri a Marte. E figli di Marte, che feconda la vestale Rea Silvia, sono i gemelli Romolo e Remo. Oltre a questo mese, ricordano il suo nome il giorno di martedì, i nomi Marco, Marcello, Martino, il pianeta Marte, il popolo dei Marsi e il loro territorio Martia Antica, l’odierna Marsica, Marrucini, Mamertini. In questo mese si sente già nell’aria una fragranza frizzante, sono il profumo dei fiori che sbocciano. Sento dentro di me una rinnovata energia mentre cammino nei viali ormai punteggiati di fiori e accompagnati dal cinguettio degli uccellini. Eccola! E’ qui! E’ la Primavera. L’arrivo della Primavera è legato sin dagli albori dell’uomo all’idea di rinascita. Ed è facile capirlo: sbocciano i fiori, gli uccelli depongono le uova e i giovani animali nati a febbraio zampettano ovunque. L’equinozio, ovvero giorno uguale alla notte, è il momento in cui il sole finalmente supera la soglia notturna e le giornate cominciano ad essere sempre più lunghe delle notti… ormai un ricordo del buio invernale. In questo senso si può dire che la Vita supera la Morte, ovvero la vince: e chi rinasce dalla morte può essere solo divino. Nei millenni le divinità che si sono distinte per essere morte e rinate in Primavera sono innumerevoli, ci sono parecchie simbologie legate a questa festa e senza spendere altre parole vado ad elencarvele e a spiegarle come meglio posso. Le dee legate alla rinascita primaverile sono sempre state viste come giovani donne, gioiose e pronte all’amore. Dalla metà di marzo fino a maggio le feste antiche che celebravano le giovani dee erano tantissime. Ma in questa particolare occasione, chiamata Ostara o Oestara, la dea patrona è Eostre. Ella si presenta con lunghi capelli biondi, pelle chiara, vestita di sole e fiori. La sua iconografia ricorda molto quella della romana dea Flora, per intenderci. E’ la dea dell’Est, della primavera e del sole che torna. In questi primi giorni di primavera non ho potuto non pensare al popolo degli uccelli che è vasto, e tra di essi ce ne sono di maestosi. Il passero non appartiene certo all’assemblea dei «grandi»: pesa un nonnulla, il suo piumaggio è scialbo, il suo cinguettio discreto. Le aquile abbondano sulle bandiere dei paesi conquistatori. Il passero, invece, non incute soggezione, è buffo e grazioso, forse un tantino insolente. Il suo corpo minuscolo esulta di leggerezza e di semplicità, è una strofa viva uscita dal poema della Natura e che modula gioiosamente l’aria della libertà. Anche sul mio balcone con la bella vista del Parco Martinotti, i passeri si sono affacciati, impauriti solo dai più prepotenti merli de dalle insolenti gazze. È una gioia vedere questo uccello, rivestito come un frate francescano, non per nulla in francese è chiamato moineau, da moine, monaco, becchettare libero, bagnarsi nelle piccole pozze d’acqua, esprimere la sua felicità di essere in vita, libero, senza preoccuparsi del domani. Il passero mi offre un’immensa lezione: come modificare la povertà in festa, la fragilità in bellezza e penso allora che oggi giorno siamo sempre di più incupiti, preoccupati nel raggiungere i vari obbiettivi nel lavoro e molti sempre più tesi verso l’esasperato successo, smaniosi di predominare, se si fermiamo un attimo e osserviamo il tenero passerotto forse capiremmo come vivere la vita in serenità staccando un attimo le pile da questo mondo sempre più sofisticato in possessi pesanti, in piaceri spossanti
Favria 1 marzo 2015 Giorgio Cortese

Certi politici di lungo corso possono stare tranquilli, finché non verrà tolto il calcio alla domenica, non ci sarà alcuna rivoluzione.

La maschera dietro al volto.
Il quadro di Maria Pia mi ha molto colpito come sempre, perché quando Lei posa il colore sulla tela compone un messaggio universale che sta a me spettatore leggere. I suoi quadri sono un continuo scambio tra sensazioni interiori e la realtà che vivo ogni giorno. In questo quadro penso che sia predominante il tema tra il volto di un’identità violata e la maschera che vengono obbligate a portare le donne nel mondo vittime di abusi e di violenze indicibili. La maschera del quadro è significativa nel denunciare la condizione umana dell’altra metà del cielo. Che cos’è la maschera? Una barriera che cela il pianto, il dolore ed il riso ma che non può nascondere la sua autenticità di essere umano. La maschera che tutto cela, che tutto nasconde dove tutto è finzione dietro ad un volto vero che per violenza fisica e mentale obbligano alle donne portare. Per celare nel nero i Tuoi meravigliosi occhi che esprimono contemporaneamente l’energia e la Tua fragilità di donna. La bocca che Ti chiude nell’artificiale celata con mille spilli di sopraffazioni giornaliere, che invece nasconde delle splendide labbra dove si fondono la delicatezza e la soavità di essere Donna. La maschera: il complesso di quegli aspetti di facciata che vengono fatti assumere alle donne per velare la loro umanità violata. La maschera, nella nostra attuale civiltà liquida ed edonista, del tutto e subito, è la patina superficiale del costume, della moda, che lega molte reazioni sociali tra la vita individuale e la vita collettiva, che cerca di annullare le radici dell’umana esistenza. Ma dietro al volto del quadro, l’artista con maestria fa intuire i piccoli ma importanti grandi segnali di una presenza vigile attenta che è sempre pronta ad esprimere delicatezza, dono in quanto donna. Da dietro quella maschera c’è anche la paura di uscire per entrare nel mare della vita e nel nuotare con i suoi simili senza paura che la sua identità venga violata. Certo la vita è proprio simile ad un mare oggi calmo e placido domani burrascoso, ed è ancora difficile raggiungere la linea oltre l’orizzonte senza maschere obbligate per scoprire la bellezza del mondo, finalmente pari all’uomo e non sua sottoposta. Siamo stati creati uguali e non basteranno delle maschere per impedirti di realizzarti.e non più fermati come identità violata!
Favria, 2.03.3015 Giorgio Cortese

Purtroppo noto sempre di più che certe persone si mettono in politica dimenticando che cosa sono stati e ricordando soltanto cosa avrebbe voluto essere.

Un epidemia di elefantiasi che minaccia dei sorci verdi
Sorci Verdi erano l’emblema della 205ª Squadriglia della Regia Aeronautica appartenente al 41º Gruppo BT (Bombardamento Terrestre) del 12º Stormo inquadrato nella IIIª Squadra Aerea. Precisamente, tutti gli aerei di questa squadriglia portavano disegnati sulla fusoliera, giusto davanti al portellone, tre topi (in romanesco ed altri dialetti dell’Italia centromeridionale: sorci) verdi, ritti sugli arti posteriori. Questa squadriglia ebbe così tanti successi militari e non solo (come ad esempio la trasvolata dell’oceano atlantico partendo da Roma e arrivando a Rio de Janeiro), che rimasero impressi nella cultura e nella società degli anni ’40 tanto da far nascere anche molti modi di dire come appunto far vedere i sorci verdi nel senso di umiliare un avversario in una competizione. Curiosità: C’è anche chi sostiene esattamente il contrario, cioè che dal modo di dire sia nato il simbolo, ma la cosa non appare convincente, in quanto i topolini verdi erano disegnati sulla fusoliera già prima delle gare in cui la squadriglia si distinse. Una cosa è sicura, quando il sole della cultura è basso, i nani hanno l’aspetto di giganti e purtroppo fra i nani ogni tanto infuriano epidemie di elefantiasi.
Favria, 3.03.2015 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana i volutamente perdenti vedono dei temporali ad offuscare la loro giornata, invece i vincenti vedono degli arcobaleni.Se ragiono da pessimista vedono solo una strada ghiacciata sul mio cammino, ma se sono ottimista mi metto ai piedi i pattini da ghiaccio!

Da giunco a Giunta
Giunco è il nome di una pianta i cui steli flessibili e resistenti venivano usati una volta per legare. Il nome pare che derivi dal provenzale joncs, che deriva a sua volta dal lemma latino jungere con il significato di congiungere. Dalla stessa radice deriva giunca che è un tipo di imbarcazione tipico della Cina e dell’ Estremo oriente, ed è così chiamata perché uno dei principali legni utilizzati per la costruzione è il giunco. Ma qui la derivazione della parola è dal cinese tciuen battello, nave, anche se l’origine pare sia dall’arabo giunk che significa giunco alla faccia dell’origine latina della parola. Dalla parola giunco deriva anche il formaggio fresco giuncata, così chiamato perchè in origine nella fascera, stampo di legno o di metallo, quadrato o circolare, in cui si poneva la cagliata in modo che, espellendo il siero, prendava la forma tipica del formaggio che si intendeva produrre, era fatta di giunco. E così arriviamo alla Giunta, il nome attribuito alla magistratura collegiale, derivato dal riunirsi insieme per deliberare come quella Comunale o Regionale. La prima Giunta di cui si hanno notizie è quella nominata in Genova nel 1639 e composta di un senatore, un procuratore e due cittadini, per consigliare la Signoria. In Venezia si disse Zonta un certo numero, da 10 a 25 di gentiluomini, scelti tra i più stimati del Maggior Consiglio o del Senato, che furono aggiunti al Consiglio dei Dieci dalla congiura di Marin Faliero sino al 1595. Si chiamarono anche zonta o muda i 30 gentiluomini che i Pregadi uscenti designavano ogni sei mesi per sedere in consiglio insieme con gli altri sessanta Pregadi eletti dal Maggior Consiglio. Insomma Giunta con il significato di congiungere e legare nelle decisioni, da una semplice pianta, quanti significati hanno dato o suoi steli.
Favria, 4.3.2015 Giorgio Cortese

Certi giorni la vita mi sembra simile ad un’equazione di matematica, dove per ottenere il massimo, devo saper convertire il negativo in positivo.

Res gestae favriesi, da splendente, illustre e famoso a Berta.
Si tratta di un cognome che si trova in varie parti d’Italia che a sua volta è una variante di Berti. La base è costituita dal vezzeggiativo del nome medievale Berto. Che a sua volta è nato con la riduzione delle sillabe iniziali, l’aferesi, di nomi di origine germanica terminanti in –Berto come, tra i più comuni, Alberto, Adalberto, Lamberto, Roberto, Umberto, Uberto. Ma potrebbe anche darsi, che Berto e i suoi derivati siano una continuazione diretta di ipocoristici, dei vezzeggiativi, di nomi composti, ma già autonomi nel VII secolo e sin dall’VIII attestati in Italia nelle forme latinizzate di Bertus, Berto, Berta e Bertane, nomi di tradizione gotica e successivamente longobardica e franca che risalgono tutti all’aggettivo germanico. Bertha con il significato di splendente, illustre e famoso, dal nome o dall’aggettivo al cognome il passo è poi stato breve nel medioevo.
Favria, 5.03.2015 Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno cerco di trarre il meglio da tutto quello che mi arriva e il minimo da tutto quello che lascio andare via.

Scripta manent the brick
Il 6 marzo 1983 è in vendita in commercio del primo cellulare. sStretto e lungo, tutt’altro che maneggevole e per giunta molto costoso. Si presentava così il DynaTAC 8000x, il primo cellulare a debuttare nei negozi. Paragonato ai moderni smartphone fa un certo effetto… eppure cominciò da qui l’era della telefonia mobile! Alto circa 25 cm e dal peso di 800 grammi, con la sua forma rettangolare, stretta e lunga, e con l’altrettanto lunga antenna di gomma, dava più l’idea di un walkie-talkie che di un telefono portatile e costava non poca fatica portarselo dietro. La tastiera si componeva di dodici bottoni standard, con numerazione da 0 a 9 più l’asterisco (*) e il cancelletto (#), e di ulteriori nove tasti con funzioni speciali, tra cui “recall”, “volume” e “clear” Alla poca maneggevolezza e alla scarsa durata della batteria (reggeva al massimo un’ora di chiamate) si univa il prezzo esorbitante, accessibile soltanto ai più benestanti: 4.000 dollari (equivalenti oggi a 9.000 dollari e 6.500 euro circa). Ciononostante, le prenotazioni per acquistarlo superarono di gran lunga gli esemplari in commercio, spingendo gli ingegneri a lavorare già a un secondo modello. Il primo modello vista la poca maneggevolezza venne soprannominato per questo «il mattone», in inglese “the brick”.
Favria 6.03.2015 Giorgio Cortese

Siamo arrivati al paradosso odierno, dove è talmente sottile il confine fra giustizia ed ingiustizia che ormai entrambe si fanno odiare allo stesso modo.

Bertavel!
In piemontese si dice Bertavel uno strumento per pescare, che è una specie di gabbia a ritroso, simile alla nassa, è così chiamato per la sua forma tondeggiante o, perché il pesce quando vi entra non può pèiù tornare indietro. In italiano si chiama BertAvello, Bertabèllo, Bertibèllo. o bertavello, il lemma deriva dal francese antico verviexm che deriva a sua volta dal lemma latino vertibellum, da vertere, volgere, girare. Di forma analoga è il bertuello per la cattura di uccelli (beccaccini, combattenti, ecc.): un tempo molto diffuso, è proibito, salvo che la rete non costituisca parte della quagliara. In toscano, , impiccio, inganno; mettere nel bertuello, mettere in difficoltà; essere il bertuello, lo zimbello.
Favria, 7.03.2015 Giorgio Coirtese

Donna Delicato Dono. Auguri non solo oggi perché la festa della donna è di 365 giorni all’anno, Voi donne siete il perno della società!

8 marzo!
Donna Delicato Dono. Auguri non solo oggi, perché la festa della donna è di 365 giorni all’anno, Voi donne siete il perno della società, le donne solo colore che danno la vita anche a noi maschietti, sono quelle che sacrificano per i figli forse più di noi padri. Ritengo la festa della donna una ricorrenza stupenda. A volte criticata perché come tutto ormai è diventato una festa commerciale e purtroppo anche una ricorrenza in cui alcune donne non pensano ad esaltare la loro importanza nella società, ma ad essere per un giorno come tanti uomini che vanno a donne o assistono a spogliarelli, perché “tanto” è tutto “normale”. Una società in cui l’apparire e la trasgressione è ormai “normale” senza avere più ne decenza ne pudore ma soprattutto rispetto per chi si ama e ancor più verso quello che rappresenta essere una “vera donna” o un “vero uomo”. Per me, la festa della donna, sarà una vera festa solo quando in tutto il mondo le donne non saranno umiliate, considerate solo oggetti sessuali, picchiate, violentate, “uccise”. Allora “si” potrà essere veramente festa. E lo potrà essere anche quando molte donne capiranno che non è vendendo il proprio corpo che possono fare carriera, ma usando in modo saggio il loro cervello, perché ne hanno da vendere rispetto a noi maschietti. Ricordo la festa della donna dell’8 marzo che mi da anche l’opportunità di rammentare quando in quel lontano 8 marzo del 1917 le donne di San Pietroburgo scesero in piazza per chiedere la fine della guerra, dando così vita alla “rivoluzione russa di febbraio”. Un augurio speciale va a tutte quelle donne che combattono per i loro sogni, quelle che ogni giorno si fanno in quattro per la famiglia, per i figli. Un augurio anche a quelle che ogni santissimo minuto si scontrano con la realtà e non si abbattono, ma l’affrontano sempre con dignità e coraggio. Un augurio ultra speciale va soprattutto a quelle donne, che ogni giorno piangono in silenzio, a quelle che maltrattate, picchiate, deluse continuano ad amare, a credere, a sperare, a quelle che non hanno ancora avuto il coraggio di riprendere la loro vita in mano dico; “forza e coraggio” la Vostra volontà può tutto. Per te donna, mamma, figlia, nonna, combattente, sognatrice: auguri. Per te che hai mille lacrime nascoste dentro magnifici sorridi. Per te va il mio augurio più grande, perché sei unica, e ogni giorno se pur con fatica non ti arrendi, ma fai tutto per non mollare. Hai tanti valori nel cuore tanto da essere speciale, e a chi non sa capirti, ascoltarti, amarti, gli dico; non hai capito niente, apri gli occhi e il cuore! Auguri che ogni giorno possa splendere il sole sulla tua vita! Auguri a tutte le donne.
Favria, 8.03.2015 Giorgio Cortese

La donna è un magnifico fiore dalle mille sfaccettature, ma ha solo un cuore, capace di donare incondizionato amore. Auguri donne, simbolo della purezza e dell’amore, Vi voglio bene onorandoVi tutti i giorni con il mio rispetto.

Scripta manent, la spagnola!
Con la Prima guerra mondiale alle battute finali, il mondo fu sconvolto dalla più grave forma di pandemia che l’umanità abbia conosciuto: l’influenza spagnola! Chiamata “spagnola” per via del fatto che i primi a lanciare l’allarme furono i giornali spagnoli, liberi dalla censura militare imposta dagli eventi bellici, si manifestò con particolare virulenza tra il 1918 e il 1919, facendo 50 milioni di vittime in tutto il mondo, più del triplo di quelle provocate dalla Grande Guerra. Il primo caso accertato venne registrato a Campo Fuston, in Kansas, l’8 marzo del 1918. Responsabile del contagio il virus H1N1, che innescava una reazione eccessiva del sistema immunitario, provocando l’accumulo di sangue nei polmoni e una morte dolorosa e fulminea. I sintomi comuni dell’influenza erano tosse, dolori lombari e febbre ma all’inizio venne sottovalutata nella sua gravità. Molto avrebbero potuto fare per arginarla gli antibiotici ma la scoperta della penicillina sarebbe arrivata dieci anni dopo. Manifestatasi in Italia nel settembre dello stesso anno, fece numerose vittime illustri, tra cui il pittore austriaco Gustav Klimt e il poeta francese Guillaume Apollinaire. Ricostruito da un’equipe di ricercatori statunitensi, il virus H1N1 venne studiato in seguito per limitare gli effetti dell’influenza aviaria.
Favria 8.03.2015 Giorgio Cortese