Mille grazie, grazie ai mille più…… – Pania – Nel quotidiano vuoto imparare a volare – Gli occhi delle donne – Donna…. – Dialogo tra messer Campestre e madame Chéne – Sorrisi e simpatia per iniziare una giornata in serenità. – Tra apatica indifferenza e generosa compassione… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Mille grazie, grazie ai mille più……
Ci sono quelli che si credono fortunati perché vivono una vita agiata. Io invece mi sento fortunato perché quando ho recentemente compiuti gli anni con i Vostri più di mille auguri virtuali siete riusciti a sorprendermi. Mi avete reso l’animo colmo di felicità, mi avete teso delle mani e dei sorrisi virtuali mi avete fatto sorridere di gioia una giornata per me particolare. Mi avete fatto sentire oasi e non deserto, siete stati unici e stupendi. E non basterà mai nulla per dirvi grazie di esserci. E’ proprio vero che le persone belle non sono solo quelle che sorridono, ma sono anche quelle che somigliano a un fiore, e i fiori regalano felicità, come quella che Voi mi donate con la Vostra amicizia, grazie di cuore a tutti i mille e più, ho perso il conto, con i Vostri auguri avete impreziosito la mia giornata colorando una giornata piovosa con il Vostro impareggiabile calore umano, grazie di cuore, mi sono commosso. Buona vita a tutti.
Giorgio Cortese

Pania
Pania una parola che cerca di impaniare il suo significato etimologico. Pania deriva probabilmente dal latino, citata da Plinio al riguardo dei filari di viti disposti a rettangolo, ma anche un pergolato, cioè graticola di pali o stecconi piantati per sostenere i tralci delle viti, e quindi ramo invischiato, successivamente venne usata per indicare una colonna di scrittura, pare su derivazione del lemma pangere, fermare, fissare, ficcare, conficcare, in quanto la carta per scrivere, sempre dal latino charta, foglio di papiro, veniva fabbricata con la scorza interna del papiro compattata, pango, e compressa. La pania è una sostanza collosa, difficile a seccarsi, fatta con le bacche di vischio, che viene sparsa sui ramoscelli e utilizzata per la cattura di piccoli uccelli. Per estensione, gli stessi ramoscelli, denominati per lo più paniuzze. Questa barbara pratica di catturare gli uccelli è attualmente vietata in tutto il territorio nazionale in ottemperanza all’articolo 3 della Legge n. 157 del 1992, ma viene praticata su vasta scala per i bipedi creduloni che ogni giorno cascano in trappole ordite dal furbetto di turno e si lasciano impaniare e anche spennare.
Favria 5.03.2016 Giorgio Cortese

Ogni tanto rassegnarmi mi ricorda come insegnamento l’umiltà delle mie umane possibilità mi aiuta a riprendere fiato per riuscire, in seguito, in qualcosa di ancora più promettente di ciò che ho lasciato.

Nel quotidiano vuoto imparare a volare
Il vuoto per me è una condizione di “svuotamento”, di momentaneo esaurimento delle forze, di apatia. Pare che il “senso di vuoto” sia particolarmente avvertito nelle epoche di transizione: a me viene sempre in mente il 1600, dopo aver letto recentemente un libro che parla di quel secolo, epoca che sento particolarmente vicina a quella attuale, con il barocco e il rococò a sopperire quell’“horror vacui” imperante e sempre più diffuso dopo la rivoluzione scientifica, con Bruno e Pascal a mostrare le due facce della stessa medaglia: il primo, entusiasta degli “infiniti mondi” che si aprivano alla scoperta di non essere al centro dell’universo; il secondo, terrorizzato da quella stessa idea, partiva dalla paura del vuoto per arrivare alla paura del nulla con il famoso pensiero: “l’uomo è nulla di fronte al tutto…”Nel 1600 l’umanità era spaesata di fronte all’immenso cosmo che si apriva intorno alla terra, e forse da lì il vuoto si collega all’idea di vertigine. Vertigine intesa alla Jovanotti: “non come paura di cadere, ma voglia di volare”. Insomma la sensazione di non equilibrio dovuta ad un mutamento da riassorbire. E poi il senso del vuoto è un segnale della discontinuità rispetto al passato, qualcosa è successo, bisogna trovare un nuovo equilibrio. L’etimologia stessa della parola mi dà uno spunto in più: il dizionario in mio possesso alla voce “vuoto”, lo fa derivare da vo(c)ĭtus, participio passato di vocere, forma parallela a vacere, verbo di stato corrispondente a vacare, “essere libero”! Per dirla con le parole di Sartre: “L’uomo è condannato a scegliere” e aggiungo anche dare un senso alle mie scelte, riempio il vuoto, fenomeno irriducibilemente legato alla libertà, riadattandomi ai mutamenti, voluti e imposti e, proprio grazie alla libertà, imparando a volare ogni giorno.
Favria 6.03.2016 Giorgio Cortese

Dicevano gli antichi che l’esito delle azioni umane dipende dagli dei, ma la scelta dell’azione quotidiana rivela il nostro umano animo

Gli occhi delle donne
Recita un vecchio proverbio orientale che: “Ci sono certe cose dove l’occhio femminile vede sempre più acutamente di cento occhi maschili.” Prosegue un secondo detto: “gli uomini si innamorano con gli occhi, le donne con le orecchie”, per significare la loro maggiore intelligenza, infatti, gli occhi si fermano alla pelle, alla superficie della persona, alla sua apparenza più o meno attraente, mentre gli orecchi colgono i discorsi, i ragionamenti, i pensieri e, quindi, le qualità della mente e dell’animo. Ecco il genio femminile che è soprattutto una più intensa capacità intuitiva. Gli occhi dell’animo femminile quelli dell’animo che sanno perforare la realtà e penetrare in profondità, scavando anche il celato, il mistero, il segreto ultimo delle cose e delle persone. È, questo, un dono prezioso che anche noi maschietti dovremmo sforzarci di acquisire attraverso una maggiore riflessione e sensibilità, arricchendo di qualche diottria in più la nostra personale vista interiore.
W le donne
Favria 7.03.2016 Giorgio Cortese

Donna è amore, donna è bontà, donna è pazienza, donna è gentilezza, donna è generosità, donna è altruismo, donna è una persona pronta sempre ad aiutare e a sacrificarsi per il bene degli altri mettendo in ultimo piano se stessa!

Donna….
Donna, una parola che esprime amore, delicatezza e sincerità, tenerezza, fragilità, forza, sorriso, lacrima, speranza, compassione, comprensione, adattamento, sopportazione, ironia, spensieratezza, attenta, malinconica, pensierosa, conciliante, caparbia, arrendevole, ostinata, osservatrice, puntigliosa, accurata, generosa, pungente, battagliera, esplicita, aperta, festosa, mamma, figlia, moglie, nonna, sorella, amica, creativa e soprattutto creatrice della vita. Donna tutto questo e molto di più auguri per 365 giorni all’anno.
Auguri dalla FIDAS FAVRIA
Favria, 8.03.2016 Giorgio Cortese

Sarà una vera festa per tutta l’umanità quando la violenza, l’umiliazione e il non rispetto per le donne saranno finiti. Quella sarà una data da festeggiare. L’8 di marzo sarà ricordato come punto di arrivo per la parità di diritti e di dignità.

Signore, concedimi la grazia di accettare con serenità le cose che non possono essere cambiate, il coraggio per cambiare quelle che dovrebbero essere cambiate, e la saggezza per distinguere le une dalle altre. Signore donami pace e serenità, donami tantissima pazienza ma soprattutto frena il mio umano istinto. Grazie.

Dialogo tra messer Campestre e madame Chéne
In un fredda, ma non troppo, pallida domenica mattina d’inverno, quando nei campi ancora tutto tace, le gazze sono ancora nei loro ricoveri sulle alte piante, e anche gli sparuti passeri se ne stanno nei loro nidi ,e le ghiandaie non sono in giro cerca di ghiande dimenticate, insomma quando predomina il silenzio ed è possibile ascoltare le voci della natura, quella natura che poi durante la giornata viene soffocata dal rumore della nostra umana e caotica presenza. In un momento come questo, passeggiando nei campi che ho potuto ascoltare il dialogo tra messer A. Campestre e madame Chéne. Erano abbastanza vicini tra di loro e sentendoli parlare mi sono accostato cautamente, perché non volevo sembrare curioso e invadente. Messer Campestre, mi pare che si chiami così si lamentava di come fosse stato disprezzato da delle persone che hanno il coraggio di definirsi esseri umani, aveva avuto un taglio tremendo, gli faceva eco a bassa voce la signora Chêne, che si lamentava mestamente del taglio subito, mancante della più elementare armonia e che non era neanche alla moda ma, fatto per le personali esigenze di antipatici individui. Forse avete già capito chi sono, sono due alberi, un acero campestre ed un rovere. Il rovere di questo inizio racconto si chiama Chéne nome dato alla rovere nelle regioni francofone e risale alla gallico cassanus. Nelle regioni germanofone il termine tedesco è Eiche, che deriva da eih nel tedesco antico, e molti toponimi ci ricordano l’esistenza di questo imponente albero come le città di Eichwald, Eichtal, Eichberg, Eichholz, Eichenmühle, Eien, Eybach, e in quelle francofone: Chêne-Bougeries, Cheney. In Italia numerosi sono i riferimenti al querceto, al rovereto e ai termini dialettali “roro”, “roru” o “rouru”. Il sostantivo “roveréto” deriva dal latino roboretum, bosco di roveri, che nelle varianti Rorè, Roero, Roverédo e Rovereto è presente nella toponomastica. In Italia il cognome Dalla Rovere deriva da questaimportante pianta per l’evosistema. Tempo addietro ho visto un documentario ed era impressionante come questa specie arborea autoctona ospiti così tante specie di insetti e di animali. Da tempo immemorabile, la quercia è il simbolo di potere e forza, si suole dire infatti: “ una persona forte come una quercia.” La quercia o rovere è stato in passato un albero impiegato quale oracolo e per cerimonie a carattere giuridico che è stato adorato da molti popoli. Il più famoso albero in questo contesto è stata la Quercia di Donar presso Geisslar, in Germania, venerata per secoli dei Germani. Per quanto riguarda l’acero, già l’origine del lemma, forse dal latino acer, appuntito, aspro, duro spiega la forza di questo albero. Teofrasto scriveva che l’acero era prescelto per i mobili di maggiore eleganza e Ovidio, 43 a.C.- 17 d.C., ci ricorda che di acero era il trono di Tarquinio Prisco, quinto re di Roma nel 616-579 a.C.. Nella mitologia greca l’acero era l’albero di Fobos, il dio della Paura, considerato generalmente figlio di Ares, l’accolito nelle battaglie. Quest’attribuzione era certamente dovuta al colore rosso sangue delle foglie dell’acero pseudoplatano in autunno. Perciò, i Greci e i Romani gli preferivano di gran lunga il platano, le cui foglie non assumono quel colore sinistro, e già nell’antica Creta era un albero consacrato all’unione di Zeus e di Europa. Il carattere funesto fa sì che sia raramente citato nei testi antichi, e si riflette ancora nel folclore europeo, dove la paura s’è in un certo qual modo capovolta, non colpisce più gli uomini, ma l’oggetto del loro timore, ad esempio i pipistrelli. Si dice, secondo una leggenda, che in Alsazia e in Germania le cicogne mettessero ramoscelli d’acero nei nidi per tenerli lontani, perchè questi piccoli mammiferi volanti ne facevano abortire le uova solo toccandole. Nell’America del nord gli aceri si prendono una splendida rivincita, anche se è anche vero che si tratta di altre specie, come il famoso acero da zucchero, la cui foglia orna la bandiera canadese, o l’acero rosso, gloria dei boschi autunnali durante l’estate indiana nella Nuova Inghilterra. Tornando al frammento del dialogo ascoltato casualmente Messer Campestre era preoccupato di possibili ulteriori tagli e monna Chéne sgomentata dall’essere tagliata dalla mostruosa motosega, e prima di essere capitozzata, come dicono gli esseri umani quando tagliano del tutto la chioma e poi abbattuta brutalmente alla base. Monna Chéne in quel momento dice a messer Campestre: “ Oh basta smettila mi fai raggelare la linfa nel tronco dal terrore”. Poi accortisi della mia presenza smettono il loro interloquire. Questo dialogo mi fa pensare che alberi hanno un’importanza fondamentale nel sistema di rapporti equilibrati che consentono il mantenimento della vita sulla Terra, permettono agli animali di esistere, regolano la composizione dell’atmosfera, partecipano al riciclo del carbonio. Osservando gli alberi con attenzione si può capire e comprendere quanto noi singoli bipedi possiamo influire sulla qualità della vita della collettività e in questo modo apprezzare maggiormente le relazioni basate sul rispetto e sulla cooperazione, rinforzando il senso di bene comune se tutti assumiamo comportamenti attenti e responsabili nei confronti dell’ambiente. Ogni albero è come un palazzo pieno di vita in cui molti organismi diversi abitano, si muovono, si nutrono e si riproducono. Bisogna conservare gli alberi vetusti, ossia evitare la rottamazione arborea quando non è strettamente necessaria. Bisogna nel possibile impedire che delle belle piante vengano tagliate o rovinate con potature selvagge, fatte senza ne senso estetico ne di salute per la pianta stessa. Tornando a casa dalla passeggiata nei campi riflettevo su di una frase che mi pare fosse di Aristotele: “Ogni essere umano viene al mondo con una dotazione unica di potenzialità e aspira a realizzarsi così come la ghianda aspira a diventare la quercia che si porta dentro”, non distruggiamo il nostro futuro!
Favria 9.03.2016 Giorgio Cortese

Certi giorni la vita mi sembra simile ad un vaso invisibile e io vivo per quello che getto dentro. Se getto invidia, insoddisfazione e cattiveria, la mia vita traboccherà ansia. Se ogni giorno mi sforzo di versare gentilezza, empatia e amore, la mia vita traboccherà di serenità

Sorrisi e simpatia per iniziare una giornata in serenità.
Trovo una piacevole delizia che di mattino prima di iniziare la giornata, con i pensieri già proiettati sul lavoro rimangano piacevolmente impigliati in un sorriso. Il sorriso è ciò che indosso per affrontare il nuovo giorno, è un balsamo o forse una speranza o forse un modo per assumere dosi massicce di vitamine di buon umore e di ottimismo. Il sorriso rappresenta comunque nella cultura comune l’espressione della felicità. Il sorriso è poi l’espressione privilegiata per le pose nelle fotografiche, ed è uso comune, nella posa di una foto, pronunciare la parola inglese cheese, formaggio, per stirare la bocca alla vocale i, producendo quindi il sorriso. Si dice sorridere con gli occhi, perché per sorridere non basta la bocca ma bisogna anche coinvolgere anche gli occhi. La carica espressiva e comunicativa del sorriso deve proprio allo sguardo la sua profondità. Un sorriso sincero e istintivo stira le labbra di netto e rende più vivace e profondo lo sguardo. Al contrario, un sorriso forzato o di circostanza non cambia lo sguardo, limitando a contrarre i muscoli della bocca. Parlo di sorrisi perché questi portano serenità e alla serenità nulla contribuisce meno della ricchezza e nulla più della salute. Personalmente al mattino quando vado a gustare un buon caffè al bar rimango sempre benevolmente stupito dalla professionalità ed accoglienza di Gabriella e Katiuscia ed il buongiorno del sempre presente e cordiale Mario. Io ho un debole per chi mi ruba un sorriso e me lo restituisce e nella “Caffetteria c’era una volta Elsa” a Cuorgnè in via Torino, trovo appunto questo. Di bar ce ne sono tanti, ma sono pochi da quelli che si esce con il buon umore. Dicono che il sorriso sia l’arma più potente che gli esseri umani hanno a loro disposizione, solo che lo dobbiamo ancora scoprire, ma quando arriverà quel giorno, l’intera umanità avrà una svolta e ritornerà la pace dentro di noi e a chi ci starà intorno. Personalmente ogni giorno mi faccio il regalo di seminare gentilezza per cogliere attimi di gioia coltivando la serenità nel mio animo.
Favria, 10.03.2016 Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno per cercare di rimanere sereno non devo cercare che le vicende quotidiane si sviluppino come voglio, ma accertale per il corso che prendono.

Tra apatica indifferenza e generosa compassione.
Il recente crudele omicidio avvenuto in Canavese e le esequie tributate alla povera vittima con il lutto cittadino mi fanno riflettere che il nostro quotidiano cammino ondeggia come un pendolo tra indifferenza e lanci di generosa compassione. La logica dell’indifferenza, oggi così diffusa, sembra infiltrarsi nei settori più sottili della coscienza della società. Ci stiamo sempre di più convincendo di essere sempre più liberi, ma in realtà siamo sempre di più indifferenti a tutto quello che ci circonda, adattandoci sempre di più in un gaudente cinismo. L’indifferenza, esprime una mancanza di interesse e partecipazione emotiva, ed oggi ritengo che si viva in una società del cosiddetto benessere, che i nostri padri e nonni non potevano neanche immaginare nelle più rosee delle previsioni, ma questa società sempre più liquida dove pensiamo di essere liberi stravolge sempre di più l’idea di libertà in indifferenza. Ci ripieghiamo ogni giorno sempre di più sull’individualismo, edonismo, cercando di creare una barriera verso gli altri esseri umani, animali o ambiente salvo poi rinsavire quando molte volte ormai il danno è fatto, ed ecco che scatta nei nostri animi una generosa compassione. La compassione di partecipare alle esequie, di testimoniare vicinanza alla famiglia della vittima che paragonerei all’agnello sacrificale immolato a dei famelici lupi travestiti da agnelli. E di questi personaggi se ne trovano sulla cronaca nera dei giornali ogni giorno, persone che subdolamente con l’inganno escogitano sempre nuove trovate da malfattori per ottenere i propri abietti scopi con truffe, raggiri, furti commessi da questi malintenzionati che sfruttano la buona fede delle persone comuni. Queste azioni criminali hanno spesso successo appunto grazie alla velocità di adattamento di questi individui, non merita nemmeno chiamarli esseri umani, rispetto a una meno dinamica capacità di percezione della minaccia, da parte delle vittime inermi, nella maggior parte dei casi anziani o persone affettivamente sole. Che per quanto diffidenti possano essere, difficilmente sono in grado di distinguere se l’agnello che hanno di fronte in realtà é una vorace iena. Quello che mi domando è perché non riusciamo ad intervenire prima, perché non riusciamo a scorgere tra le pieghe degli sguardi, gli occhi si sa sono lo specchio dell’anima, il loro disagio, il cercare di aiutarli prima per non andare a consolarli per la truffa subita o peggio piangerli dopo con i parenti stretti.
Favria, 11.03.2016 Giorgio Cortese

Ogni mio respiro, ogni passo che faccio, può essere pieno di pace, gioia e serenità, la noia è sentire chi si lamenta che tutto è una perdita di tempo, la serenità è sentire che nulla lo è.