Oggi la Resistenza significa lotta all’indifferenza e dare valore all’accoglienza! – AVVISO- Basilio Puoti, dal participio al congiuntivo. – In bocca al lupo! – Arriva senza dire nulla…. Le pagine di Giorgio Cortese

Formula della felicità: alla vita quotidiana sottrarre l’ansia, il risultato sommarlo alla positività e poi moltiplicare il tutto per l’allegria e mi raccomando non dividete nulla

Oggi la Resistenza significa lotta all’indifferenza e dare valore all’accoglienza
Oggi facciamo memoria del terribile eccidio accaduto qui a Barbania durante la lotta di liberazione. Nell’inverno del 1945 viene organizzata una rappresaglia dei nazi-fascisti per vendicare i due camerati, uccisi nel corso di un agguato avvenuto il 18 febbraio 1945 nei pressi del cimitero di Barbania, subito rastrellano parecchi cittadini sulla piazza principale del paese, poi desistono dal mettere in opera tale rappresaglia, successivamente i repubblichini preparano una lista di 22 ostaggi partigiani detenuti nelle carceri di Ciriè, ma grazie a pressioni varie e all’interessamento dei Salesiani di Lanzo 12 sono salvati. All’alba del 21 febbraio dal carcere di Ciriè, 10 patrioti vengono caricati sui camion e portati in pazza a Barbania, alle 10 del mattino: Battan Luigi nato a Sant’Angelo di Piave anni 24, Bettas Giuseppe nato a Nole anni 19, Caporossi Domenico nato a Mathi anni 18, Casagrande Ernesto nato a Fanzè di Piave anni 24, Rolle Vittorio nato a Savona anni 19 vengono fucilati proprio sulla piazza centrale mentre Bosa Luigi nato a Torino anni 18, Capasso Arcangelo nato a Somma Vesuviana anni 24, Modica Giovanni a Mazara del Vallo anni 24, Picatti Rinaldo nato a Coassolo anni 22, Spedale Pietro nato a Caltanisetta anni 24, dopo aver assistito alla esecuzione dei propri compagni vengono condotti nei pressi del cimitero e lì fucilati. Ad assistere spiritualmente questi 10 ragazzi sono presenti il vicecurato Don Antonio Faletti e Suor Luigina Ceriani superiora dell’Asilo Baretto di Barbania. Le persone che sono morte qui allora, sono morte per la Libertà! Durante, quegli anni, in Italia sono morte molte persone per i grandi valori in cui credevano. Il prezzo di sangue pagato allora fu altissimo: decine di migliaia di partigiani uccisi, feroci rappresaglie contro la popolazione, migliaia e migliaia di cittadini, uomini, donne e bambini, deportati nei campi di concentramento. L’esempio di queste persone non può essere celebrato soltanto in occasioni come queste, ma vissuto e praticato tutti i giorni, chiamandosi dentro e partecipando alla vita pubblica, studiando, informandosi, facendo al meglio il proprio lavoro. La protesta urlata non serve a nulla senza una proposta, essere liberi non significa poter insultare e deridere l’avversario, non significa ergersi A giudici sul colore della pelle, sulla religione sulle idee politiche e sulla cultura degli altri. Il dialogo non può avere mai come fine il consenso, ma la crescita di entrambi gli interlocutori. Riappropriamoci della storia, riappropriamoci della voglia di sostenere idee libere e non condizionate. Allora con la Resistenza maturarono i principi che oggi sono espressi in quel documento di altissima civiltà che è la nostra Costituzione. Oggi la nostra Costituzione, figlia della resistenza, ci ricorda tutti i giorni l’attualità della sua lezione di responsabilità civile. Essere cittadini liberi significa non essere mai indifferenti alle ingiustizie e alle prepotenze. Significa essere sempre capaci di un pensiero critico, pronti a farci carico delle sorti collettive di una Patria, che oggi, di fronte alla sfida della sostenibilità ambientale, deve essere allargata all’intero pianeta e alle generazioni future. Oggi, non viviamo una guerra di armi, ma una guerra di parole. Richiamarsi alla nostra Costituzione repubblicana, frutto della resistenza, è richiamare un pensiero, che si esprime attraverso parole. La Costituzione è figlia del sacrificio e del pensiero dei padri della nostra Italia: una ed indivisibile. La Costituzione ci ricorda che la nostra Italia è costituita e fondata su principi, dove si parte dai diritti, ed ai quali corrispondono doveri. Il mio diritto corrisponde infatti ad un dovere altrui; diversamente verranno sempre favoriti i più forti, i quali avranno sempre maggiori diritti di altri senza doveri. Si parla tantissimo oggi sui social network, con le nuove tecnologie, migliaia di parole, ma sempre le stesse. Oggi tutti esprimono rabbia, sdegno, schifo, mancanza di rispetto per le istituzioni. Ecco le parole che mancano: giustizia sociale, lavoro ed istruzione, ma ci servono le parole per esprimere quei concetti. Un esempio per tutti, pensiamo alle storture nate sulle parole nobili quali identità, o peggio, sul verbo federare, che significa mettere insieme e non dividere, condividere le differenze senza perdere le proprie caratteristiche. La storia ci racconta che abbiamo conquistato diritti, negli anni dopo la seconda guerra mondiale, ma conosciamo meno della metà delle parole dei nostri padri, dei nostri nonni, che sul duro lavoro hanno faticato per mandare a scuola i figli. Ma cos’è l’istruzione, se non l’elaborazione di pensieri poi tradotti in parole? La parola passa dall’istruzione, dalla scuola. Lo dico con convinzione, oggi i nuovi patrioti sono prima di tutto i docenti insieme a tutti coloro che insegnano agli altri ad elaborare un pensiero critico, autonomo ed indipendente, non bisogna mai prendere la conoscenza da qualcun altro o per sentito dire, ma ricercarla, scoprirla, capirla, elaborarla. Mi domando se sapremo essere all’altezza del sacrificio di chi partecipò alla Resistenza, dei valori che da loro abbiamo ereditato? Sapremo assumerci responsabilità collettive, come seppero fare i Partigiani? Avremo il coraggio di esercitare una cittadinanza attiva? La Resistenza costituisce la libertà che fu impegno di responsabilità dal basso, di emancipazione sociale e civile che portò gli italiani dall’essere sudditi passivi di un potere assoluto a cittadini, a soggetti attivi di una sovranità popolare. Ma Resistenza è anche accoglienza, mi sembra incomprensibile che l’ Italia, popolo di migranti possa restare indifferente di fronte alle tragedie del Mediterraneo. L’accoglienza è un valore della Resistenza. Ed il mio pensiero va subito ai tanti disperati che hanno trovato la morte nel canale di Sicilia, trasformato in una tomba d’acqua per centinaia e centinaia di esseri umani che stavano cercando di fuggire da fame e miseria. Ritengo che soltanto la conoscenza, la voglia di chiamarsi dentro ai problemi, ci possono aiutare ad affrontare sfide globali quali la migrazione epocale dall’Africa e dall’Asia all’Europa attualmente in corso. Non si cambia e non si ferma la storia con semplici slogan, ma con coscienza e con responsabilità la politica deve imporsi a livello europeo per evitare tragedie, per creare una vera rete di accoglienza europea. Le istituzioni devono essere coinvolte tutte, pronte ad affrontare questa emergenza, certi però che il dovere dell’accoglienza non può oscurare il dovere di un realismo che ci insegna che ospitare un numero potenzialmente infinito di persone provenienti da altri Paesi può provocare disagio e disorientamento e portare alcune persone a delinquere o per sopravvivere o per approfittare di queste situazioni per trarne guadagno. Oggi, questa giornata è l’occasione per ricordare il valore della Resistenza e del sacrificio compiuto dai nostri concittadini per donarci la democrazia, che è stata conquistata al prezzo di tante vite. Un fatto storico della massima importanza perché ha ridato libertà e democrazia all’Italia. Questa mattina celebriamo il sacrificio, di dieci patrioti morti per la nostra libertà. Questi sono valori da trasmettere alle nuove generazioni, soprattutto ora in cui sembra venire meno la solidarietà sociale. E allora i patrioti di oggi sono i giovani, le donne, i magistrati, gli imprenditori, le forze dell’ordine. Persone che rischiano la loro vita per mantenere la dignità, come hanno fatto tantissimi italiani, civili e militari, catturati e internati nei lager nazisti. Oggi chi si candida alle cariche pubbliche ha il dovere di essere al servizio dei cittadini, di interpretare il bisogno della gente, soprattutto di quella povera ed emarginata, dei giovani, e dei senza lavoro. In questa Costituzione c’è dentro tutto: la storia e il dolore, e dietro questi articoli si sentono voci lontane. Quando leggo che l’Italia ripudia la guerra, questa è la voce di Mazzini; quando leggo tutte le confessioni religiose sono libere davanti alla legge: c’è Cavour. O quando leggo la Repubblica è una e indivisibile, questo è Cattaneo. Oggi siamo qui a richiamare questi valori! Rappresentiamo tutti. Siamo una Repubblica fondata sulla Resistenza e tutto ciò che ne è derivato in termini di uguaglianza, sviluppo e cultura, di libertà da chi la pensa diversamente da noi. Forse i giovani non danno il giusto peso al sacrificio di chi oggi ci permette di vivere nella libertà. Ricordarlo non solo è opportuno, è un nostro preciso dovere. Anche perché senza esempio si può scadere nella violenza, nell’intolleranza. La Resistenza è un fiore che va innaffiato perché cresca rigoglioso. Sono personalmente annichilito dalla pochezza che ascolto nei discorsi di certi personaggi pubblici, della loro indifferenza che fa a pugni con i valori della Resistenza. La Resistenza ci ricorda l’accoglienza di chi in quei terribili anni non ha guardato alla razza, alla religione e al colore politico, ma ha sempre dato accoglienza a chi era braccato. Oggi chi ha paura di accogliere teme che gli possano togliere qualcosa in tema di benessere, di sicurezza, di lavoro. Non possiamo accettare un mondo nel quale le azioni non siano guidate da alcun principio, se non l’arroccamento e la difesa del piccolo benessere che ci è toccato in sorte. In un mondo in cui nessuno tende la mano in aiuto agli altri, prima o poi saranno costoro a prendersi ciò di cui hanno disperato bisogno. A “liberarsi”, appunto, dalla necessità e dall’indigenza. E’ dunque giunto il tempo, di dare vita a una nuova Resistenza, che non vuol dire prendere il fucile, ma contribuire ognuno per quel che può dare e fare, affinché prevalga una nuova coscienza unitaria, che ci porti in avanti. Serve a modificare la mentalità di noi cittadini, affinché si superi questa forma di egoismo che coinvolga tutti e affinché si consideri la ricchezza del mondo non solo proprietà di pochi, come ha detto papa Francesco, ma che, tale ricchezza, possa portare un pane ‘un po’ più grande’ a quanti hanno bisogno di sfamarsi. Per vincere questa sfida dobbiamo essere in tanti, con un’Europa che dobbiamo considerare una patria più grande. Uniti come nella Resistenza, possiamo ridare speranza ai nostri giovani: noi, i partigiani vecchi e nuovi siamo già in cammino. Oggi la Resistenza significa lotta all’indifferenza e dare valore all’accoglienza, queste giornate servono a ricordare i principi ed i valori di chi è morto, serve a non dimenticare mai il loro sacrificio per noi! Concludo con un verso di una Poesia di Giuseppe Ungaretti “Per i morti della Resistenza”, versi che sono sintesi e simbolo del significato della giornata di oggi e del doloroso riscatto che ha portato alla Liberazione: “Qui/vivono per sempre/gli occhi che furono chiusi alla luce/perché tutti/li avessero aperti/per sempre/alla luce” Viva l’Italia, viva la Costituzione, viva la Resistenza, W Barbania!
Barbania, 26.09.2015 Giorgio Cortese

Gli ostacoli sono quelle cose spaventose che vedi quando togli gli occhi dalla meta

AVVISO
Carissimi volenterosi donatori, sabato 19 dicembre, dalle ore 15,00 alle ore 19,00 oltre al consueto scambio di auguri e consegna dei panettoni, Vi comunico che verranno indette nello stesso pomeriggio le elezioni per il nuovo Direttivo per gli anni 2016-2017-2018. Chi è interessato a provare questa esperienza altamente gratificante dal punto di vista umano e conoscere quali sia le incombenze che comportano fare parte del Direttivo può mettersi in contatto con il sottoscritto contattandomi personalmente, o segnalando la personale disponibilità ai membri del Direttivo. Grazie
Cortese Giorgio cell. 333 171 48 27

Un vecchio detto afferma che la felicità non appartiene a chi possiede tutto, ma a chi sa apprezzare ciò che ha. Allora essere felice non significa che tutto è perfetto. Vuol dire che guardo sempre oltre le imperfezioni della vita.

Basilio Puoti, dal participio al congiuntivo
Leggendo recentemente un libro sul Risorgimento, mi imbatto nel letterato napoletano Basilio Puoti. Questo personaggio fu grammatico, lessicografo e critico letterario. Nato a Napoli nel 1782 e morto sempre nella città partenopea il 19 luglio 1847. Era un purista della lingua italiana, infatti, fonda una scuola di lingua italiana che rimane aperta fino alla sua morte. Per la verità Puoti la definisce “studio” e chiama “esercitazioni” le lezioni. Infatti egli invita i giovani alla discussione nella quale si aiutano l’un l’altro, e poi, i componimenti non sono corretti dal maestro, bensì dagli stessi discepoli. Fra questi meritano d’essere ricordati il De Sanctis, famoso critico della letteratura, e il Settembrini, noto per le sue prose e per il suo forte impegno nel Risorgimento italiano. Riferisce il Settembrini che il Maestro rivolge ai discepoli questo appello:” Se io vi dico di scrivere la vera lingua d’Italia, io voglio avvezzarvi a sentire italianamente e avere in cuore la patria nostra…Io vorrei che gli Italiani parlassero come il Macchiavelli ed operassero come il Ferruccio”. Dunque l’opera di Puoti serve politicamente a risvegliare le coscienze dei giovani Italiani ed a tenere accesa nei cuori la fiamma della libertà. Ma Basilio Puoti è rimasto anche famoso per la sua mania di purista linguistico. Tanto è , che per lui diventa una vera fissazione. Agli amici che si lamentavano pe le inaccettabili condizioni di vita sotto i Borboni, rispondeva: “Credete a me, le cose vanno male perché da noi non si conosce bene l’uso dei participi. Se fosse oggi vivo, magari assocerebbe la crisi politica ed economica al quasi inesistente uso del congiuntivo. tra i tanti scivoloni linguistici in cui si può incorrere non c’è peggiore sfortuna, italianamente parlando, di imbroccare in “Fantozzi” un congiuntivo sbagliato. Solo il grande Totò con: “ma mi faccino il piacere!”, battuta indimenticabile dove piegava l’italiano al suo copione. I suoi strafalcioni sono spassosi e al posto d’onore ci sono proprio i congiuntivi maccheronici con cui riusciva a dire se ne vadino! e se ne vadi, venghino e mi permettino con una disinvoltura che aumentava l’effetto ridicolo. Ma oggi lo scandalo è immediato, la sanzione sociale tagliente come una mannaia, tanto più se chi inciampa è in qualche modo scolarizzato, magari fa il ministro, l’assessore alla cultura, il manager d’azienda o il giornalista. Perché, sia chiaro, lo strafalcione è trasversale e tutt’altro che confinato alla cerchia di quanti nella vita non hanno studiato. Ma per costoro ci mostriamo tolleranti e persino comprensivi, agli altri, fior di professionisti, quelli che si ritiene dovrebbero parlare italiano con disinvoltura e correttezza, non si perdona. Il congiuntivo sbagliato o mancato vale un marchio di infamia linguistica. Parlare di congiuntivo comunque è di gran moda, denunciarne la scomparsa, come pure gridare alla decadenza della lingua ed elogiare i tempi in cui modi e tempi dei verbi non si sbagliavano. Oggigiorno l’espansione dell’indicativo è dovuto alla pressione dell’italiano parlato, più rilassato e disinvolto di quello formale scritto, e non certo all’uso degli sms o all’influenza dei dialetti. Gli apocalittici puristi non ci crederanno ma anche nel variegato mondo delle canzonette il congiuntivo da decenni tiene botta all’invadenza dell’indicativo. Da quel E se domani io non potessi rivedere te, mettiamo il caso che ti sentissi stanco di me, alla recentissima Bruci la città e crolli il grattacielo… esplodano le stelle, esploda tutto quanto… portata al successo da Irene Grandi. Certo fa più rumore uno svarione che suona come un gesso scricchiolante sulla lavagna, rispetto alle centinaia e centinaia di congiuntivi azzeccati. Il punto è un altro: come i medici che conoscono a fondo le defaillances del corpo, i linguisti sanno che il congiuntivo è un terreno minato, perciò si dichiarano indulgenti nei confronti di chi sbaglia. Non solo si inciampa perché il congiuntivo è un modo è difficile da usare, ma è anche difficile stabilire quando e come lui, il modo della possibilità, della supposizione, del dubbio e della soggettività, può venire sostituito senza timore di sbagliare dall’indicativo, il modo della certezza. A difesa di chi sbaglia il congiuntivo, voglio ricordare che, che persino mostri sacri come Dante, Boccaccio e Ariosto si presero le loro belle licenze poetiche. Con una sfilza di quei vadi, facci, stassi e dassi che oggi al solo sentirli danno una stretta al cuore. Congiuntivi maccheronici, geneticamente modificati che ci fanno sorridere soltanto se è la comicità di Totò o di Fantozzi a utilizzarli. Allora, ragioniere, che fa batti? Chiedeva il miope Filini iniziando un’indimenticabile partita a tennis nella nebbia. Ma mi dà del tu? Ribatteva Fantozzi? No, no, dicevo: batti lei! Spiegava Filini. Ah, congiuntivo… concludeva il ragioniere. Grandioso, senza dimenticare che non si può rinunciare ad usare uno strumento che può esprimere meglio un pensiero che ho in testa? Quando esprimo una certezza non ci sono troppe strade da prendere. Il pensiero è limpido e tradurlo in parole è facile. Si usa il modo indicativo, il modo della realtà. Ma quando voglio comunicare un’ipotesi o una probabilità, un dubbio o un timore allora anche le sfumature e le sottigliezze contano, e qui il congiuntivo calza a pennello.
Favria, 28.09.2015 Giorgio Cortese

Ogni tanto mi fermo un attimo a respirare la vita per cercare di sentirne la dolce carezza. Chiudo gli occhi per permettere al mio animo di volare libero tra i miei sogni. In quei brevi momenti smetto di inseguire a tutti i costi la vita quotidiana.

In bocca al lupo!
In bocca al lupo è un augurio scherzoso di buona fortuna che si rivolge a chi sta per sottoporsi ad una prova difficile. Anche se l’origine del modo di dire non è chiara, come altre analoghe espressioni che hanno per protagonista il lupo, sembrerebbe a prima vista legata all’immagine del lupo nella tradizione popolare come personificazione stessa del male. Infatti il lupo, considerato animale feroce e dall’insaziabile voracità nella tradizione antica e medioevale, era l’animale che portava la morte e terrore fra gli abitanti delle campagne e delle zone di montagna, soprattutto fra pastori e cacciatori, divenendo in tutta l’Europa il protagonista negativo di numerose favole, leggende e storie che furono tramandate attraverso i secoli. Al riguardo mi vengono in mente le favole di Esopo e di La Fontaine. Di questa visone paurosa del lupo permangono tracce in numerose lingue europee sotto forma di modi di dire e proverbi. L’espressione, ed altre simili come correre nella bocca del lupo, mettersi in bocca al lupo, cascare in bocca al lupo, andare nella tana del lupo, col significato di “finire nelle mani del nemico” o “andare incontro a grave pericolo” Il detto sarebbe quindi nato dal linguaggio dei cacciatori come frase d’augurio di buona fortuna, rivolta con significato opposto a quello letterale, ai cacciatori stessi, e, per estensione, a chi si appresta ad affrontare una prova rischiosa o difficile. La risposta “Crepi il lupo!” sarebbe invece nata per estensione da altre espressioni, costruite analogamente col verbo crepare, nelle quali alla lingua viene attribuito il potere magico di allontanare la cattiva sorte oppure di scongiurare un cattivo presagio, come, ad esempio, “Crepi l’avarizia!” e “Crepi l’astrologo!” Espressioni analoghe si ritrovano in varie altre lingue europee, testimoniando di una relativa omogeneità nella visione dell’animale sul continente; così: in francese: se précipiter dans la gueule du loup, precipitarsi in bocca al lupo, crier au loup, gridare al lupo, la faim fait sortir le loup du bois, la fame fa uscire il lupo dal bosco, les loups ne se mangent pas entre eux, letteralmente ‘i lupi non si mangiano tra di loro, lupo non mangia lupo, ma frasi anche del tipo: une faim, un froid de loup, una fame, un freddo da lupi. In inglese, cry wolf, gridare al lupo, hold a wolf by the ears, tenere il lupo per le orecchie, keep the wolf from the door , con il significato di tenere il lupo lontano dalla porta, ovvero ‘avere abbastanza denaro per sopravvivere, wolf in sheep’s clothing , lupo in veste di agnello, per significare una persona falsa, furba, infida. In tedesco: ein Wolf im Schafspelz, lupo in veste di agnello, anche con valore di intensità: hungrig wie en Wolf, affamato come un lupo. In polacco si dice guardare in lupesco, ovvero in cagnesco, la foresta attira il lupo, ovvero il male attira il male, ed infine raccontare favole sul lupo in ferro, ovvero dire cose incredibili, insensate. Ma forse la celebre espressione potrebbe avere un origine diversa da quella che si pensa e forse quando viene detto “in bocca al lupo” si dovrebbe rispondere con un semplice “grazie!” Si dovrebbe sire così partendo dagli antichi romani, che solevano augurarlo a causa dell’origine mitica di Roma riconducibile alla leggenda di Romolo e Remo. I due pargoli latini sarebbero finiti nella “bocca della lupa” che li aveva salvati dalle acque del fiume Tevere. Il perchè si augura davvero in bocca al lupo, lo si può capire dalla natura di questo animale. Il lupo, o la mamma lupa in questo caso, ha come abitudine quella di trasportare i propri cuccioli con la bocca o di proteggerli da eventuali pericoli coccolandoli nelle sue fauci e guai a chi osa toccarli! Insomma nelle fauci del lupo è il luogo più sicuro al mondo, proprio per il motivo sopra elencato. Quindi, l’augurio che viene fatto, con la risposta tramutata nei secoli, è quello di essere protetto come un cucciolo di lupo in bocca alla propria madre, che nonostante sia un animale feroce mette al sicuro nel posto dove potrebbe fare più male. E allora la prossima volta, proviamo a dire grazie a meno che non siate della contrada dell’Istrice o un cacciatore di lupi.
Favria, 29.09.2015 Giorgio Cortese
Dicono che il buio e l’attesa hanno lo stesso colore. Ma è anche vero che ogni attività nobile è un appostamento in attesa del momento favorevole di avere la luce dalla propria parte.
Arriva senza dire nulla….
Arriva senza dirmi niente., ma è una puntuale sorpresa come il pulman nella piazza nei giorni festivi, che alla fermata fa scendere dei furtivi viaggiatori, sperdutiti e distrutti dal caldo del mese di agosto. Arriva alla chetichella, senza fare rumore sotto la suola delle scarpe che bisbigliano all’asfalto caldo dal sole e poi me lo trovo al mio fianco nelle prime giornate uggiose. Mi accordo di Lui, quando mi sorride con le lacrime di una pioggia incalzante che mi bagna la testa quando esco dal lavoro. Alcuni la chiamano mezza stagione ma personalmente riempiono l’animo di ricordi, ricordi di attimi di vita vissuti, ricordi dolci e ricordi amari. Ecco è arrivato L’autunno con le foglie che con struggente malinconia danno l’addio all’albero che le ha viste germogliare, sentire il vociare dei bambini, i discorsi dei pensionati, e adesso planano leggiadre sul terreno. Foglie che cambino giorno dopo giorno colore prima di fare l’ultimo acrobatico volo e portano con loro sensazioni di una primavere e di un estate ormai passata, buongiorno Autunno!
Favria, 30.09.2015 Giorgio Cortese

Amo il mattino, perché è stupore. Al risveglio vi è quell’attimo in cui ogni cosa sembra essere perfetta, priva di qualsiasi pensiero quotidiano
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