Onesto o rispettabile – La solitudine e l’isolamento. – Da ager ad acro, alla giornata piemontese – Aspettare con..calma – Nuvole nere all’orizzonte – Il benessere ed il male di vivere – Si lottare con passione! – Il piacere di mangiare… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Onesto o rispettabile
Ho letto recentemente in un libro questa bella distinzione sulla differenza fra un uomo rispettabile e un uomo onesto che sta nel fatto che quest’ultimo rimpiange di aver compiuto un’azione indegna, anche quando essa ha dato buon frutto e lui non è stato scoperto. La frase sopra indicata è attribuita allo scrittore e giornalista statunitense Henry Louis Mencken che pubblicò tra il 1919 ed il 1927 su una raccolta di volumi con il titolo di Pregiudizi! Ecco questi pregiudizi che derivano da una parola che è già un programma, con il significato prima del giudizio. Opinione concepita sulla base di convinzioni personali e generali, senza conoscenza diretta dei fatti, delle persone, delle cose, spesso superstiziosa o senza fondamento. La frase sopra è un vigoroso attacco contro ogni ipocrita rispettabilità, e non bisogna dimenticare che lo scrittore aveva di mira gli stereotipi mentali e moralistici e il fariseismo puritano di allora. La sua distinzione tra uomo rispettabile e uomo onesto è inesorabilmente confermata nella storia, a partire dalla parabola del fariseo e del pubblicano. Vorrei, però, mettere l’accento su un altro aspetto significativo. La vera moralità si misura proprio nel tempo del successo. In quel momento, infatti, è facile essere tentati di considerare la fortuna come ricompensa divina, la “teoria della retribuzione” già presente nell’Antico Testamento secondo la quale il delitto è sempre punito e la giustizia sempre premiata. In tal modo, si mette la sordina sui mezzi adottati, si stende un velo sui compromessi a cui si è andati incontro, si tende a giustificare ogni violazione della correttezza e della stessa morale. Ma nella vita le persone oneste e rispettabili non sono necessariamente sinonimi.
Favria, 19.2.2016 Giorgio Cortese

Osservando una vecchia foto da bambino, mi è venuto da pensare che ci sono luoghi meravigliosi che non hanno tempo, fatti di colori e passioni, straripanti di incantevoli bellezze e di assolute originalità. Sono il luogo dove sono nato, che incontro, insieme al mio animo, dentro il soffio della mia vita.

La solitudine e l’isolamento.
Tornando a casa una di queste sere sono rimasto colpito da una persona solitaria che osservava, con lo sguardo perso l’orizzonte. Questa persona solitaria dallo sguardo smarrito mi ha fatto pensare che oltre alla solitudine delle persone, c’è anche quella delle cose. Parto da questa sulle cose per arrivare a quelle delle persone. Queste sere d’inverno mi capita dopo cena di fare delle piccole passeggiate e di guardare con la coda dell’occhio le luci nelle case. Mi viene da pensare che i proprietari magari sono usciti ed hanno lasciato volutamente le luci accese vicino alle finestre per vedere visibile la loro presenza in casa per paura dei ladri. Questo gesto mi ricorda quello del genitore che lascia la luce accesa in camera da letto al bambino, perché si addormenti senza paura. Una piccola luce è come dire: io ci sono. È una specie di metafora di noi stessi. O un’allegoria? O un simbolo? Non so, ma la cosa strana è che una sera, mentre camminavo, mi è successo un fatto strano, proprio mente mi avvicinavo ad un semaforo, questi è di¬ventato rosso proprio mentre lo stavo su¬perando, sul passaggio pedonale. Così, per un ver¬so mi sono sentito più forte di esso-lui, per¬ché a piedi avevo tutto il diritto di avanza¬re, anche se, per un altro verso, il privilegio mi procurava un sottile imbarazzo, e il mio passo è stato quindi percorso da un brivi¬do di superiorità rispetto all’ipotizzato pie¬de che preme l’acceleratore. Ora viene il fat-to strano, mi è sembrato che il semaforo si accorgesse di questa mia sensazione egoti¬stica, mista al disagio imbarazzato, e che quindi un po’ non vedesse l’ora di tornare verde per farmi superare dalle macchine, umiliando il mio privilegio, ma un po’ an¬che mi sorridesse benevolo, come a dare il consenso, al mio animo che ritengo buono, di procedere, laddove altri si erano dovuti fermare. Insomma, sia io che il semaforo, sembravamo combattuti nel sentimento da dover prova¬re, empatici nella confusione. Ritengo che nella vita sia una piacevole sorpresa scoprire alla fine che, quando siamo soli, non siamo poi così soli. La riflessione rimane sospesa per un po’ nell’animo, perché tocca un ragionamento poco praticato ai nostri giorni. Forse dovrei subito distinguere tra isolamento e solitudine: il primo è una condanna, la seconda a volte una necessità. Immagino adesso che scrivo questa breve riflessione, e poi quando verrà letta, se verrà letta, le tante persone in questo momento, isolate, senza uno squillo di telefono o una visita, dimenticate da tutti. Certo, esse possono anche godere di qualche momento di pace nella solitudine, ma il loro isolamento, perché malate o senza parenti e amici o perché straniere, è un incubo senza fine. Mi sgomenta leggere di quelle persone che cadute per terra alla sera, poco dopo l’uscita di casa della badante che l’accudisce o del parente siano rimasti abbandonate e ferite fino al giorno dopo, fino al ritorno della colf o del parente. Eppure, c’è l’altro aspetto da considerare, quello della solitudine, che purtroppo è spesso evitato soprattutto dai giovani che subito cercano compagnia, pur di non stare mai soli con se stessi. E, invece, si tratta di un’esperienza stupenda, quando è vissuta con sapienza. In quei momenti si scopre di non essere soli, si sente pulsare il mondo, si scende nelle profondità dell’Io, si intuisce la presenza segreta ma non muta di Dio. Pascal diceva che le nostre disgrazie vengono dal non essere capaci di stare soli un’ora al giorno. Forse, basterebbero anche solo cinque minuti perché si riveli a noi un nuovo modo di vivere.
Favria, 20.02.2016 Giorgio Cortese

L’educazione dovrebbe inculcare l’idea che l’umanità è una sola famiglia con interessi comuni. e di conseguenza rtagionare che la collaborazione è più importante della competizione.

Da ager ad acro, alla giornata piemontese
La parola acro deriva dall’inglese acre, derivato dall’inglese antico aecer, affine al latino ager, con il significato originario di “campo aperto”. L’acro in Inghilterra fu scelto come corrispondente all’incirca all’appezzamento di terreno arabile da un uomo con un bue in un giorno. Molto simile alla giornata piemontese che in origine equivaleva al terreno arato da un uomo e da un animale da tiro in un intero giorno di lavoro. Come si vede nelle unità di misura del mondo contadino in ogni latitudine le misurazioni avvenivano o con parti offerte dal corpo umano, quali appunto il braccio, il piede, il pollice, la spanna, oppure da quanto si poteva lavorare in un giorno. La specificità dell’acro inglese che l’area del campo era un rettangolo con un lato pari a una catena e l’altro pari a furlong. Lo stesso termine “furlong” deriva sempre dall’antico inglese furh , solco e lang, lungo. Nel Medioevo in Inghilterra i terreni comuni, corrispondenti ai nostri allodi, venivano divisi in strisce. Il sistema del “solco lungo” divenne necessario perché per un contadino era difficile far girare una coppia di buoi, quindi era molto avvantaggiato con un terreno lungo e stretto rispetto ad uno di forma quadrangolare. Per questa ragione, anticamente, il furlong veniva definito “lunghezza di un acro. Casualmente, 5 furlong sono 1005,84 metri (esatti) cioè approssimativamente un chilometro. Ecco perché nel libro che leggo come da tradizione anglosassone le distanze per le corse dei cavalli sono misurate in furlong, anche se quest’unità non è più nell’uso comune. L’uso ufficiale del furlong è stato abolito nel Regno Unito dal Weights and Measures Act del 1985, che abolì l’uso ufficiale di molte altre unità di misura tradizionali.
Favria, 21.02.2016 Giorgio Cortese

Certe persone spesso dicono che la motivazione non dura. Beh, neanche una doccia, ecco perché la facciamo ogni giorno. E allora con quotidiana tenacia vado avanti ogni giorno motivato sugli risultati da raggiungere

Aspettare con….calma
Vogliono tutto e subito, così mi sembrano certe persone dal loro frenetico atteggiamento simili alle palline del flipper. Non hanno la pazienza di attendere, di lasciar scorrere gli eventi con calma, di lasciare al corso delle cose i giusti tempi. Ma la frenesia del tutto e subito, penso che li si si ritorce contro. Se ottengono cosa vogliono senza sacrificio e passione rischiano di fare subentrare immediatamente la noia. Se invece non riescono ne fanno un dramma e quasi quasi mi addossano la colpa. Queste persone non possono viaggiare con sentimenti a corrente alternata, a giorni simpatici e a giorni antipatici e scorbutici. Quando poi vogliono piacere per forza, rischiamo di diventare antipatici a vita. Personalmente spesso perdo la pazienza, perché la mia mente è costantemente proiettata verso il futuro. Al contrario, provo ad assumere consapevolezza di ogni singolo momento della mia vita, vivendo bene il presente lasciando ad altri fantasie di gloria futura, vaneggiamenti irrealistici. In spagnolo aspettare si dice “esperar” , perché in fondo aspettare è anche sperare ed il bello sta proprio nella lentezza della creazione, nelle piccole cose, nei minimi gesti. Se si costruisse la casa della felicità, la stanza più grande sarebbe la sala d’attesa. Ma troppe volte chi vuole tutto e subito non se ne accorge. Mi viene sempre da pensare all’atleta paziente che non procrastina una decisione perché insicuro, bensì perchè capisce che non è ancora il momento giusto, e allora non si fa prendere dalla voglia di avere tutto subito col rischio di non ottenere nulla. Nella vita dobbiamo essere simili al campione che con la calma coglie la tempistica perfetta e ottiene il massimo risultato, insomma, ogni giorni cerco di esercitarmi nell’arte di saper attendere per ottenere grandi risultati. Non mi stanco mai di aspettare perché il giorno più bello della mia vita può arrivare domani e lascio sornione che il ragno continui a tessere la sua tela.
Favria, 22.02.2016 Giorgio Cortese

Ho imparato a mai fidarmi due volte della stessa persona, chi mi ha ingannato una volta, .lo farà sempre e allora come un fiammifero mi fregano una volta sola

Nuvole nere all’orizzonte.
Scriveva Jules Renard, scrittore e aforista francese: “ Il mio paese è là dove passano le nuvole più belle”. Mi è venuto da pensare a questa bella frase una sera nel rimettere nella rimessa l’auto ed osservando l’orizzonte gonfio di nuvole nere che spinte dal vento si avvicinavano sempre di più. Sicuramente erano dei nembostrati, di aspetto scuro che provocano pioggia continua o neve. Nuvole nere e tetre, incuranti oscurano la delicata luce del sole all’imbrunire, nubi che avanzano nel cielo plumbeo e greve. Queste nuvole nere sono simili all’animo, delle persone che soffrono o che nutrono muta rabbia verso tutto e tutti. Scriveva un poeta che siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni e nei periodi in cui personalmente cerco di mettere in atto un cambiamento positivo, può succedere improvvisamente di sprofondare nelle sabbie mobili dello scoraggiamento, ogni tentativo di miglioramento sembra destinato a fallire inesorabilmente e un senso di inutilità pervade la mia piccola esistenza. Ma, proprio in quei momenti, è importante comprendere che le nuvole nere del mio animo fanno parte del processo di trasformazione e sono indispensabili per superare le quotidiane avversità. Ritengo che sia importante accogliere il passato, per cambiare il presente e costruire il futuro, anche se nei momenti bui, mi viene da pensare che il destino si accanisca ingiustamente contro ogni mio tentativo di miglioramento. Ma, se raccolgo i miei pensieri con calma e tranquillità, mi rendo conto che l’emergere dei ricordi e delle sensazioni del passato accompagna tutte le azioni che vivo nel presente. Le nuvole in cielo sono simili ai sogni quando vagano nel fondo della mia mente. Certo è strana la faccenda delle nuvole, se non ci fossero in cielo come potrei ammirare al meglio il tramonto come quella sera che ho osservato le nuvole nere. Amo le nuvole, perché mi ricordano come sia bello il sole. Ma quelle che mi piacciono moltissimo sono i nuvoloni neri! Sono molto più complicati e interessanti dei cieli azzurri senza nuvole. Se i nuvoloni neri e grigi fossero persone, sarebbero quelle di cui mi piacerebbe conoscere la storia. E’ molto più interessante capire cosa potrebbe nascondersi dietro uno strato di nuvole che avere sempre di fronte una tavola azzurra. E poi non sempre le nuvole offuscano il cielo, a volte lo illuminano con le nuvole nere e forse proteggono gli occhi da un bagliore accecate, o pietose difendono delicatamente i miei pensieri. E poi sono delle nuvole, semplicemente nuvole.
Favria, 23.02.2016 Giorgio Cortese

La vita è come un libro: la scrivo ogni giorno, ma non conosco quando finisce.

Il benessere ed il male di vivere
Male di vivere! Nel Fedone di Platone, avevo trovato una frase interessante: “L’uomo è un prigioniero che non ha il diritto di aprire la porta della sua prigione e fuggire”. Sono diversi i significati di questa frase del celebre filosofo greco. Mi fermo al pensiero del male di vivere, Socrate in quel dialogo va incontro serenamente alla morte inflitta da altri, ma non la vuole accelerare con quel gesto che, invece, secoli dopo compirà Seneca, lo scrittore latino condannato a morte da Nerone. Certo ho profondo rispetto del dramma interiore di chi si toglie la vita. Ma perché c’è questo male di vivere in persone normali e senza apparenti problemi. Oggi viviamo in un benessere, nonostante la crisi, che i nostri padri, per non parlare dei nonni, neanche immaginavano. Circondati dal benessere, i giovani, che non hanno vissuto le esperienze di povertà delle precedenti generazioni, vivono in famiglia il più a lungo possibile, felici di essere curati e protetti ma non controllati né limitati in alcun modo. Oggi i giovani ricevono un’alimentazione abbondante e variata rispetto ai genitori e nonni, hanno la possibilità di studiare a lungo, ritardare, anche per la crisi, l’ingresso nel mondo del lavoro, praticare sport, viaggiare, ed infine rapporti agevolati con l’altro sesso per cui anche da questo punto di vista sono largamente appagati. Sembra la ricetta perfetta della felicità! E invece non è così, in questo nuovo Paese di Bengodi, i giovani rivelano una “sofferenza di vivere” che era pressoché sconosciuta agli adolescenti di 30 o 40 anni fa, che non possedevano quasi nulla, vivevano in un ambiente familiare e sociale povero, autoritario e fortemente impositivo e non avevano certo di fronte a loro grandi prospettive di lavoro e di successo. Eppure questi ragazzi, i diversamente giovani di oggi, erano pieni di entusiasmo e di voglia di vivere. Mi viene allora il sospetto che i giovani siano, in realtà, più poveri oggi di allora, poveri di spirito e di sentimenti forti, privi di tradizioni da amare e da rispettare, senza nessun rapporto con il passato, perché “chi non ha un passato non ha un futuro”. Questa felicità artificiale dispensata a tutti rende incapaci di comprendere e di accettare il mondo attuale che molte volte ha perso i valori morali e che sembra solo capace di offrire modelli di consumismo sfrenato. Viviamo un società dove il detto cartesiano: “Cogito ergo sum. Io penso quindi esisto” è stato sostituito da “Io sono connesso su internet, consumo, quindi sono”. E scusate ma mi sembra proprio un vuoto di valori come già prima detto. Oggi, manca il lavoro, ma al duro lavoro fisico, l’attuale società globalizzata ha messo in rete, scusate il gioco di parole, un mondo pieno di tecnologie sempre di più sofisticate, ma prive di qualsiasi altro fine che non sia quello di condurre un’esistenza più comoda ed appariscente possibile. Un mondo di personaggi che hanno un unico scopo: guadagnare, ad ogni costo, sempre più denaro per poter comprare sempre più oggetti, spesso inutili per vivere in una società dove sempre di più senza dignità e orgoglio, ma ove violenza, l’arroganza e la sopraffazione hanno largamente soppiantato le vecchie e nobili virtù dei nostri padri e nonni, fatte di tolleranza, pazienza, modestia e onestà. Mi chiedo dove sono finiti dei valori, che purtroppo nella storia del novecento sono stati anche abusati degenerandoli come la Fede, l’amor di Patria, l’orgoglio delle proprie radici e lo spirito di appartenenza alla propria terra. Forse la tecnologia ed il benessere ci hanno tolto oltre alla fatica del lavoro fisico anche la nostra anima e la nostra cultura instillando il mortifero virus del “mal di vivere”.
Favria, 24.02.2016 Giorgio Cortese

L’arroganza, la maleducazione, la presunzione, la cattiveria e tutte le bassezze del mondo hanno bisogno di esercizio, l’amore ha bisogno di esercizio contrario. Una questione di scelta di molta gente oggi! L’arroganza, la presunzione, la maleducazione sono i peggiori difetti dell’essere umano. L’amore, il rispetto e l’umiltà i migliori pregi per vivere in un mondo dove le persone saranno uguali per tutti, ed saranno soprattutto amati da tutti.

Si lottare con passione!
Ogni giorno lotto e combatto con tutte le mie forze per quello che vale a pena di essere vissuto, lotto fino a che ho fiato nei polmoni e quando scarseggia faccio un bel respiro e riprendo a lottare. Nella vita le sfide la rendo interessante, ma solo nel superarle che si da un ulteriore significato alla vita. E allora lotto per ciò che credo con passione ed entusiasmo seguendo il cuore, perchè quello che si fa con il cuore non ha prezzo, cercando sempre di fare la differenza. Non mollo mai e cerco di fare dei mei sogni delle realtà adesso. Ma quando mi rendo conto che certe strade sono impraticabili, risparmio le forze per percorrere altre. Certi giorni la vita è simile alla fotografia, sono necessari i negativi per lo sviluppo e se sono in difficoltà cerco di sorridere sempre alla vita e a chi incontro. Devo ogni giorno imparare ad ascoltare sempre di più, a giudicare di meno e se sbaglio chiedere scusa subito e poi ile quotidiane non sono davvero difficili le se divido in tanti piccoli pezzettini
Favria, 25.02.2016 Giorgio Cortese

Certi giorni penso di avere sbagliato mondo, perché i buoni hanno sempre torto ed i cattivi hanno sempre ragione.

Il piacere di mangiare
Mangiare è uno dei piaceri della vita e, quando ci è possibile, consumiamo gli alimenti che ci piacciono ed evitiamo quelli che non preferiamo. È stato dimostrato che mangiare i propri cibi preferiti può stimolare il rilascio di ß-endorfine che, come è noto, esaltano l’umore. E allora Vi consiglio vivamente di andare a mangiare al Ristorante Valentino, a Filia di Castellamonte, luogo già di per se bello nell’arrivare in una bella zona. Dire quale sia il cibo migliore da consigliare è difficile perché tutte le portate che ordinerete sono gradite alla vista, inebriano l’olfatto e portano in sollucchero le papille gustative. Locale con una lunghissima tradizione del mangiare bene , diretto dalla signora Angela con le figlie Elsa e Carla, persone amabilissime che accolgono con sincero calore gli avventori, metto a loro agio già quando entri nel locale, dove anche se non ci sei mai stato sembra di trovarti a casa tua. Aggiungo che tutto è ottimo ed eccellente e che Vi troverete benissimo, buon appetito
Favria, 26.02.2016 Giorgio Cortese

Ogni giorno siamo tutti attori e spettatori del nostro teatro, la recita della vita dove non conosciamo mai il copione che andiamo ad interpretare