Relazione anno 2015-Brahms, la sua musica ha tutto ciò che mi manca!-Da ravanet a barbaforte, il rafano!-Arriva il lunedì!-Profumo corroborante di lavanda in inverno-Res gestae favriesi, quote tennis Favria.-Donare è una festa per l’animo…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Non voglio sicuramente insegnare la morale a nessuno, ma ricordare che l’educazione è l’arma più potente che si possa usare per cambiare il mondo, questo si! Voglio ricordare a certe persone che se l’istruzione finisce nelle classi scolastiche, l’educazione finisce solo con la vita, allora l’educazione consiste nel dare delle idee, ma la buona educazione nel metterle in pratica ogni giorno. Ritengo che lo scopo dell’educazione sia quello di trasformare gli specchi in finestre nel nostro animo, purtroppo certe persone hanno sempre le finestre del loro animo murate con mattoni pieni. Relazione anno 2015 Gruppo Comunale L.TARIZZO- D. CHIARABAGLIO ADSP FIDAS FAVRIA La donazione di sangue è l’azione volontaria, dettata da puro spirito di solidarietà di chi dona il proprio sangue affinché siano possibili trasfusioni a chi ne ha bisogno. Donare il sangue è un gesto di solidarietà. Significa dire con i fatti che la vita di chi sta soffrendo mi preoccupa. Il sangue non è riproducibile in laboratorio ma è indispensabile alla vita. Indispensabile nei servizi di primo soccorso, in chirurgia nella cura di alcune malattie tra le quali quelle oncologiche e nei trapianti Tutti domani potremmo avere bisogno di sangue per qualche motivo. Nonostante la sempre più attenta e ponderata utilizzazione del sangue, il fabbisogno è costantemente in aumento, per l’aumento dell’età media della popolazione e per i progressi della medicina, che rendono possibile interventi anche su pazienti anziani, un tempo non operabili. Il Donatore di Sangue è un cittadino di un età compresa tra i 18 e i 65 anni, in buona salute, pesare più di kg 50,0. Il 2015 per il Gruppo Comunale L. TARIZZO- D. CHIARABAGLIO è stato sicuramente è stato un anno travagliato con l’Istituzione della figura del Candidato Donatore. Le prime donazioni dell’anno non sono andate molto bene è hanno pesato come raccolta sacche totali alla fine del 2015. Infatti dopo le prime donazioni in flessione rispetto ai precedenti anni, i donatori hanno risposto con entusiasmo e numerosi sono venuti a donare. Durante il periodo estivo abbiamo ottenuto lusinghieri risultati con i candidati donatori, futuri donatori alla successiva chiamata come è avvenuto a novembre e anche con il recupero di donatori dormienti che da tempo non donavano più. Ritengo che il promuovere la propaganda per avere nuovi candidati donatori e il recuperare donatori che da tempo non donano più sono due filoni che dovremo proseguire nel 2016 per credere sempre di più come gruppo. Nel 2015 abbiamo raccolto n 513 sacche, di cui sangue intero n. 440 sacche, plasma n. 65 e n 8 piastrine, con n. 3 donatori, la crescita di donazioni di plasma e piastrini denotano una maturità del gruppo e dei donatori nel diversificare l’importante gratuito dono. La base dei donatori attivi nel 2015 è stata di 334. Colgo l’occasione per ringraziare tutti i donatori che hanno permesso ad una comunità di n 5.232 abitanti di avere una invidiabile media pro capite 1, 2% di donazione, e come gruppo una performance di donazione pari al 1,5%. Grazie di cuore e avanti così e arrivederci alla festa sociale di Domenica 12 giugno dove saranno premiati circa 67 Donatori di cui 21 con diploma, 16 uomini e 5 donne-; n.20; bronzo 15 uomini e 5 donne; n. 16 argento di cui 12 uomini e 4 donne; n.8 prima oro, 7 uomini, 1 donna; 1 seconda medaglia oro e una Onorificenza Re Baudengo. Saluto tutti ricordando che donando il sangue non solo si salva una vita, ma si tutela anche la propria salute, venite a donare! Favria, 12.02.2016 Giorgio Cortese Direttivo Gruppo Comunale Fidas Favria L. Tarizzo- D. Chiarabaglio. Anno 2016 – 2018 Presidente Cortese Giorgio, vice presidenti Macri Nicodemo- Gazzetto Sandro – Tesoreriere- Resp Propaganda Varrese Vincenzo – Segretario Salvajre Maria Angela – Revisori dei Conti Caboni Bartolomeo – Zaccaro Morena – Consiglieri Spaducci Antonello – Lazzarano Carmela- Pretari franco- Massaro Barbara- Giolitto Deina Giovanni – Foresta Santa- Ottino Irvin Nella vita avrò con me stesso solo sempre quelle sole ricchezze che avrò donato ai miei simili, ricchezze non materiali ma di conoscenza, di rispetto, onestà e onore, questa è la vera ricchezza Brahms, la sua musica ha tutto ciò che mi manca! Recentemente ho ascoltato il “Quintetto per pianoforte Op. 34”, Allegro non troppo” di Johannes Brahms, la sua musica di Brahms ha tutto quello che manca all’uomo contemporaneo, tutto! C’è profondità, consapevolezza, disciplina, rigore, emozione e grandezza. Tutte doti che mancano all’uomo di oggi e non credo proprio che siano concetti superati, al contrario sono di grande attualità. Da profano ritengo che i suoi brani esigano virtuosismo, per veri talenti. È arduo tentare di decodificare con poche parole quello spessore poetico insito in ogni sinfonia, nell’eterogenea produzione brahmsiana mi ha colpito il Requiem tedesco che rappresenta un deciso tentativo di unire in modo solenne orchestra e coro. Anticipatore dei lavori sinfonici post 1875, il Requiem è il capolavoro indiscusso del musicista tedesco in campo sacro. L’autore vi riversa in modo inequivocabile la propria religiosità, ma può anche essere definito una contemplazione laica e malinconica della morte, una meditazione sulla sorte dell’uomo. Brahms può essere considerato per certi aspetti il continuatore di Schumann da un lato e di Beethoven dall’altro. Del primo ricorda la fusione tra classicismo e romanticismo che si ritrova nei lieder e nella musica da camera; al secondo può essere ricollegato soprattutto per le sinfonie, nelle quali seguiva lo schema formale classico del compositore di Bonn. Leggendo la biografia di Brahms, la sua immagine viene principalmente influenzata dalle fotografie che lo ritraggono durante la sua vecchiaia. In piedi o seduto viene raffigurato un uomo dallo sguardo affabile e serio, con un barbone bianco. Mi sembra, quasi, di sentire l’odore del suo grosso sigaro, mentre lui, trasognato, guarda l’obiettivo. Nella foto si vede quel Brahms malinconico, che, quando era di buon umore, pare facesse cantare al suo coro Lieder tanto vivaci quanto Das Grab ist meine Freude, La tomba è la mia gioia. Tornando al brano che ho ascoltato, nel quarto e ultimo movimento del Quintetto Op. 34, “Finale”, si apre con un’introduzione lenta che getta un’ombra sinistra sulla tensione musicale, uno stato d’animo di presagio oscuro, molto “beethoveniano”, forse un attimo nella vita di Brahms in cui è prevalso il pessimismo, la sconfitta esistenziale. Ma veramente un attimo. In un istante, infatti, le ombre si disperdono non appena il violoncello inizia a dipanare una veloce e allegra melodia. Dopo un drammatico sfogo, una seconda melodia appare leggermente più veloce nel tempo. Un tema vigoroso sincopato porta l’esposizione al termine. Lo sviluppo, finalmente libero e a briglia sciolta, conduce alla coda, una sintesi di tutto il Quintetto, in un turbinio sfrenato, splendido e in un certo senso, anche terapeuticamente, trionfale. Riascoltato d’un fiato, questo impareggiabile pezzo cameristico assegna al pianoforte un ruolo di primaria importanza, di genere concertante, e agli archi il compito di trasmettere, grazie a un’infinita serie di giochi e rimandi timbrici, il senso d’un respiro sinfonico-orchestrale. Alla fine vi sentirete pieni di musica, di bellezza, di dignità. Favria 13.02.2016 Giorgio Cortese Nella vita il sogno scrive bellissime frasi nel mio animo, la realtà a volte le cancella, ma la speranza non muore e la vita va avanti nonostante tutto, ecco non mollare mai perché se ci credo la speranza si trasforma in coraggio perché è il coraggio che realizza i sogni. Da ravanet a barbaforte, il rafano! Prima della coltivazione del rafano per molto tempo l’uomo primitivo ricercava questa radice allo stato selvatico per le sue proprietà medicamentose e per nutrirsene ben prima che iniziasse a coltivare, circa 10.000 anni fa. Pare che il rafano fosse già noto ed apprezzato dai Greci intorno al 1000 a.c. ed in Gran Bretagna prima dell’arrivo dei Romani. Nel 1597 John Gerard sosteneva che “il cren, pestato con poco aceto, è comunemente usato dai tedeschi per preparare una salsa da accompagnare al pesce e alle carni al posto della mostarda”. Verso la metà del secolo successivo, in Inghilterra e in Francia si diffuse il gusto per la salsa di cren, oggi popolare in tutto il mondo. Ancora oggi questa radice, dalle straordinarie proprietà, è tenuta in grande considerazione e la coltivazione del rafano è comune in tutta Europa. In Italia questa pianta si può trovare, inselvatichita, anche allo stato spontaneo. I sinonimi che vengono attribuiti al rafano e che sono utilizzati comunemente nella lingua parlata sono, oltre al rafano, cren e barbaforte. Nei vari dialetti i nomi dati a questa pianta sono davvero numerosi, perché la coltivazione del rafano è diffusa in tutta Italia. Ne voglio citare alcuni che attestano la capillare e antica diffusione di questa radice nel nostro paese. Nel dialetto ligure il rafano si dice “Ravanasso”, in quello piemontese “Ravanet, in Lombardia “Remolass”, in Emilia “Crein”, il dialetto toscano lo indica come “Barbaforte” e “Erba da Scorbuto”, nel dialetto umbro viene chiamato “Pizzica lingua” mentre in Sicilia è il “Rafanu di Spagna” e in Sardegna è l’”Armurata”. In Basilicata, per il sapore forte e aromatico della sua radice, viene indicato come “il tartufo dei poveri”. In Basilcata mi hanno detto che viene usato per la preparazione della cosiddetta rafanata materana, in cui il rizoma grattugiato fresco è unito a formaggio pecorino, uova sbattute, prezzemolo e pepe nero per la preparazione di una frittata alta circa un decimetro, ricca pietanza tipica del periodo di Carnevale. Il rafano crudo è il condimento principe dello ‘Ndrupp o “intoppo”, il ragù tipico della città di Potenza, dove viene grattugiato fresco, direttamente sul piatto di ragù appena preparato, in aggiunta al formaggio, e subito portato in tavola. Viene anche utilizzato per creare un surrogato del wasabi, conosciuto anche con il nome di ravanello giapponese. La prima cosa che si avverto quando, delizia il palato con preparazioni a base di rafano è il gusto aspro e piccante, balsamico e notevolmente aromatico, davvero insolito. Nulla a che vedere con il buon pepe o con il solito peperoncino, stimolatori cui siamo più abituati, il rafano è più subdolo, intrigante e dispettoso. Se sbagliamo la dose, diventa invasivo, forse sgradevole, quasi luciferino. La presenza dei suoi composti solforosi, nelle giuste dosi, ne fanno un buon espettorante ed è consigliato nei casi di bronchiti, influenze e affezioni delle vie respiratorie, ma dosi errate possono vanificare la buona riuscita di un piatto. In Italia, pur essendo diffuso, non è molto frequente trovarlo in cucina forse perché questa radice, che è inodore quando è intatta, emana un effluvio pungentissimo appena la si taglia o la si gratta. Come se non bastasse anche da un punto di vista scientifico ha più di un nome: infatti in botanica il rafano è catalogato come Armoracia rusticana, Cochlearia armoracia, Radicula armoracia e Nasturtium amoracia. Il nome generico deriva dal latino”armoricus”,“bretone”, perché si coltivava in Bretagna. Il rafano o barbaforte, chiamato anche Cren, è una pianta perenne dotato di una grossa radice principale, dalla quale si snodano fittoni secondari, ha foglie commestibili e fiori bianchi che compaiono durante il periodo estivo. Il principale utilizzo è quello delle radici, ma anche le foglie sono utilizzate; possono essere consumate in insalata, condite con olio d’oliva. Si apprezzano per il loro leggero sapore piccante che da tono alle verdure. Decisamente più importante l’utilizzo delle radici, che dopo essere state raccolte nel periodo giusto, nel tardo autunno, sono grattugiate finemente, così da poterle utilizzare per preparare salse e condimenti. Il rafano, rilascia molto tiocianato, composto contenente zolfo, che nelle giuste quantità apre le vie aeree, ma in eccesso la lacrimazione è assicurata. Questa radice ha numerose proprietà, è un eccellente diuretico e depurativo del sangue, quindi dicono che è particolarmente consigliata a chi soffre di reumatismi, gotta e ritenzione idrica. Personalmente amo la salsa di rafano per accompagnare perfettamente i bolliti, con il pesce non ho mai sperimento, ma dicono che è squisito per aromatizzare il ragù, tipico uso della città di Potenza. Mi ha detto un caro amico che in cucina era alle prese con il rafano, grattando questa radice, era raffreddato, intasato nelle vie nasali, il suo profumo così pungente ha aperto in un attimo i condotti nasali anche quelli più ostruiti, provato di persona e garantisco sul risultato. Non per nulla il rafano venne impiegato, molto prima di venire usato come alimento, fra le piante officinali come una radice dalla grande forza terapeutica capace di alleviare raffreddori, raucedine, tosse e infezioni del tratto urinario, un antibiotico naturale tenuto in grande considerazione nei secoli passati e dalle capacità curative che non sono state ancora ben valutate dagli studi scientifici che continuano ancora oggi. Pensando al rafano il suo sapore la sua intensità ed unicità che rievocano emozioni nell’animo per il suo gusto che non sa avvolger ma assale quando associo la sua anima acre e piccante, a morbidi bolliti. Favria, 14.02.2016 Giorgio Cortese Dobbiamo trovare qualcuno con cui mangiare e bere prima di cercare qualcosa da mangiare e da bere, perché mangiare da solo significa vivere solo come un leone o di un lupo, ma non come essere umano Arriva il lunedì! Il lunedì come si sa è il giorno della settimana tra la domenica e il martedì, deriva dal latino lunae dies, giorno della Luna. In molti Paesi europei, Italia compresa, è considerato il primo giorno della settimana, mentre negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Portogallo e Brasile è il secondo. Per questo motivo in alcune lingue, arabo, greco, ebraico e portoghese, il nome significa “secondo giorno”. I nomi dei giorni furono assegnati dai Babilonesi ed ereditati dai Romani. Hanno origine dai nomi del Sole e dei pianeti perché gli astrologi dell’epoca pensavano che i corpi celesti “governassero” a turno la prima ora di ogni giorno. Così dopo il lunedì, già sopra menzionato, martedì di Marte, Martis dies, mercoledì di Mercurio, Mercuri dies, giovedì di Giove, Iovis dies, venerdì di Vener, Veneris dies. Sabato era in origine il giorno di Saturno, Saturni dies, tanto che la denominazione si ritrova nell’inglese Saturday. Però, con il diffondersi in Occidente del cristianesimo, il termine ebraico “shabbat”, ovvero “giorno di riposo”, sostituì in molte lingue il nome pagano. Analogamente il nome domenica, in latino Dominica, ovvero giorno del Signore, fu introdotto da Costantino, convertito al cristianesimo, in sostituzione del più antico Solis dies, giorno del Sole, che resiste nell’inglese Sunday e nel tedesco Sonntag. Dopo questa premessa, parlo del lunedì mattina, quando sono al calduccio, sotto il caldo abbraccio del piumone, i sogni mi confortano avvolgendomi nella loro nebulosa coltre e non c’è nessun altro luogo al mondo nel quale vorrei essere. Ma ecco, improvviso e spiacevole che mi strappa dall’idillio, il dispettoso il trillo della sveglia delle sei di un freddo lunedì mattina. Il weekend mi ha ormai voltato le spalle e il mio più ardente desiderio sono ora cinque minuti di ozio puro, solo ancora cinque brevi minuti. Purtroppo sono i classici cinque minuti che all’improvviso si trasformano in dieci e sono venti minuti, sono quasi costretto a catapultarmi fuori dal letto. Fa freddo, le palpebre sono pesanti e chiedono pietà, i pensieri si rincorrono e giungono là dove non vorrei, al lavoro e a tutte le incombenze della giornata. In quel momento penso che il lunedì mattina assomiglia ad un vestito scomodo che ho lasciato al venerdì pomeriggio e che dovrò di nuovo indossarlo per cinque giorni. Ma se penso a questo sono condannato senza possibilità di appello! Nessuna speranza di superare l’ansia, la tristezza, la malinconia per affrontare il lunedì con energia e serenità. Ecco che allora penso che, il l’idea vincente di ogni lunedì, è quello di credere sempre in me stesso, non aver paura di tentare, non aver paura di cadere, e se mai capitasse di rialzarmi subito, togliermi la polvere di dosso, e provare ancora, sempre con il sorriso, cercando sempre di fare il doppio di ciò che potrei fare. Perché la vita è così straordinaria che non so mai quali esperienze mi riserva! Buon inizio settimana, Felice Lunedì! Favria 15.02.2016 Giorgio Cortese Nella vita non passeranno mai di moda un sorriso e l’educazione. L’educazione è non il rispetto delle regole ma il rispetto degli uomini. Profumo corroborante di lavanda in inverno In questi giorni un collega ha acquistato un sacchettino di lavanda. Nel sentire la gradevole e unica fragranza che ha reso questa pianta fondamentale per l’industria dei profumi anche il mio animo ne ha tratto corroboramento. Già la parola stessa corroborare esprime bene il concetto, deriva dal latino, cum indicante mezzo roborare irrobustire, a sua volta da robur forza, che è poi il nome latino della quercia farnia. Il profumo della lavanda è stato corroborante per il mio animo come ad un tè caldo quando il freddo e l’umido sembrano arrivare alle ossa, la presenza e l’abbraccio di un amico in una delle tempeste della vita, un bel bicchiere di vino a fine giornata quando la luce del sole arrossisce in compagnia di veri amici. IL sentire il caratteristico profumo di lavanda dato dagli oli essenziali che vengono prodotti da ghiandole, localizzate in tutte le parti verdi della pianta, fiori, foglie e gambi, ma particolarmente concentrati nei fiori. Questo intenso profumo ha rinfrancato lo spirito e il corpo, mi ha dato tono all’euforia aiutando a raddrizzare la schiena. I semi della lavanda nel sacchetti mi fanno pensare alle sue origini e come tutte le storie affascinanti che si rispettano anche questa pianticella vede le sue origini avvolte nel mistero. Sono molte le supposizioni fatte sulla sua provenienza e alcune di queste la vedono protagonista sia in Arabia che in Nord Africa. Ma non solo, numerose testimonianze chiariscono che già i Greci la identificavano con il nome, nardo, dal nome della città da cui credevano provenisse e associandola alla specie Nardostachys grandiflora, utilizzata per creare oli essenziali. Successivamente i Romani iniziarono a fare un largo uso della lavanda e si deve a loro il nome, che deriva dal latino, lavare, conosciuto così anche oggi. L’utilizzo principale era, appunto, la profumazione dell’acqua da bagno con olio e fiori di lavanda. Nelle epoche successive, la lavanda mantiene la sua fama e conquista l’appellativo di erba curativa grazie alle testimonianze dell’epoca di Plinio il Vecchio. Nel Medioevo, invece, la lavanda veniva utilizzata principalmente per produrre un medicinale che curava crampi intestinali, nausea e singhiozzo. I pittori fiamminghi del Rinascimento scoprirono che l’olio di lavanda funzionava benissimo come diluente. Nell’Inghilterra Elisabettiana, poi, le dame inglesi abitualmente cucivano sacchetti con fiori di lavanda all’interno dei loro vestiti per lasciare una piacevole scia di profumo e per combattere le tarme. Sulla lavanda sono nate numerose credenze e leggende, ed una delle più antiche è legata alla dea Venere e ai riti magici dell’amore. Grazie al suo profumo, infatti, si credeva potesse attirare gli uomini e quindi essere perfetta per gli incantesimi d’amore. Ma non solo, era usata per garantire, oltre all’amore, anche felicità, protezione, purificazione e gioia. Da queste credenze nacque la tradizione popolare con la quale si pretendeva che per assicurare felicità e prosperità alla futura sposa, le spighe di lavanda dovessero essere messe all’interno del suo corredo. Molto diffusa in Francia è la leggenda che associa la fata Lavandula alla nascita e diffusione della lavanda in tutta la Provenza, ho trovato un testo che recita cosi: “Una bellissima fata di nome Lavandula nata fra le lande selvagge della montagna di Lure, aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri. Lavandula, un giorno, si mise a cercare un bel posto dove andare a vivere e iniziò a sfogliare un libro di paesaggi. Ad un certo punto, si fermò sulla pagina della Provenza e cominciò a piangere alla vista delle povere terre aride e incolte. Ecco allora che tutte le sue lacrime caddero sulla pagina e finirono per macchiarla. Cercando di nascondere il danno fatto, la fata si asciugò i magnifici occhi blu ma provocò ancora più danni, spargendo le gocce di lacrime dappertutto sulla pagina. Disperata, la fata prese un grande pezzo di cielo blu sulla Provenza per dimenticare tutte le macchie. Da quel giorno, la lavanda cresce in quelle terre e le fanciulle bionde di Provenza hanno gli occhi blu con scintille color lavanda, soprattutto quando in estate, al calar della sera, si mettono a guardare il cielo che scende sui campi di lavanda in fiore. Beh siamo ancora in inverno, ma il pensare alla lavanda dopo averne sentito tutta la sua fragranza nel sacchetto acquistato da Bruno mi ha fatto riflettere che nel bel mezzo dell’inverno che c’è sempre in me una voglia invincibile d’estate. Nutro nell’animo sempre la speranza, che è simile ad un filo invisibile, ma a volte talmente resistente che riesce a legare saldamente il mio sogno anche contro tutto e contro tutti, perché quel sogno diventa la mia ragione di vita. Favria, 16.02.2016 Giorgio Cortese Quando l’animo è corroborato e sereno mi sento simile ad una quercia calma e solida dalle larghe fronde e l’alto tronco, che serafica osserva lo scorrere della vita. Res gestae favriesi, quote tennis Favria Dalla Gazzetta del Canavese del venerdì 21 luglio 1972: “dal 1 agosto le quote di associazione al Tennis Club Favria vengono fissate in lire 15.000 per i superiori ai 21 anni, in lire 10.000 per i giocatori compresi tra i quindici ed i 21 anni e in lire 5.000 per gli inferiori ai quindici anni. L’iscrizione al Club dà diritto all’accesso ai campi ed è valevole per tutto il 1972 a campi scoperti. Per le ore notturne si deve versare una modesta quota oraria per l’illuminazione. Favria17.02.2016 Giorgio Cortese Nella vita di ogni giorno nostro Signore mette a profitto dei buoni anche i peccati dei cattivi . Guido Piovente (La Gazzetta Nera, Pagliai, Firenze 2012) Donare è una festa per l’animo Ci sono scelte che nella nostra vita lasciano un segno. Le possiamo prendere con convinzione, a volte sono dettate dal cuore e altre dalla ragione. Una in particolare mette insieme tutte e tre queste circostanze. Per scegliere di diventare donatore di sangue non serve essere un super eroe, basta avere passione e amore per il prossimo. Perché per salvare una vita non servono super poteri ma bastano 5 minuti del Tuo tempo per una donazione di sangue. A Favria venerdì 12 febbraio è avvenuta la donazione, una festa, n 68 donatori sangue intero – 3 candidati- 3 nuovi donatori- 2 donatori sono venuti a fare esami e 7 donatori non sono sti ritenuti idonei. A Favria ogni donazione è una festa e pertanto mi sento in dovere per chi ha donato perché grazie a loro si sono salvate delle vite. Le trasfusioni di sangue e dei suoi componenti permettono di salvare milioni di vite ogni anno, contribuiscono a garantire una qualità di vita migliore a chi soffre di malattie croniche e sono indispensabili per poter effettuare procedure mediche e chirurgiche complesse, senza dimenticare il ruolo cruciale in caso di disastri di origine naturale o umana. Nonostante la sempre più attenta e ponderata utilizzazione del sangue, il fabbisogno è costantemente in aumento per l’aumento dell’età media della popolazione e per i progressi della medicina, che rendono possibili interventi chirurgici anche su pazienti anziani, un tempo non operabili. Chi dona contribuisce a salvare quelle persone che ogni giorno rischiano la vita per mancanza di sangue. Chi dona alimenta il valore della solidarietà e il progresso sociale e culturale della nostra società. Chi dona aiuta anche se stesso: solo una grande disponibilità di sangue garantisce salute e sicurezza per tutti. Anche la Tua, grazie al Direttivo ai donatori a vario titolo intervenuti e alla equipe medica, grazie a tutti. Favria, 18.02.2016 Giorgio Cortese Domani è la parola che spesso uso e oso pronunciare, ma domani è sempre una promessa e un’incognita che profuma di speranza e stupore.