Res gestae favriesi, dai bigatt sul filo della memoria di… seta -Se nella vita…-Farfalla-…strage di Fiumicino del 1973- Caro Gesù Bambino…. di Giorgio Cortese

Di fronte all’arroganza e alla prepotenza devo sempre cercare di opporre la mitezzae non solo nel periodo del Santo Natale .

Res gestae favriesi, dai bigatt sul filo della memoria di… seta
L’origine dell’allevamento del baco da seta si perde nella leggenda. In uno dei libri di Confucio si trova ricordata una tradizione secondo la quale un’imperatrice cinese, avrebbe insegnato ad allevare il baco da seta e ad estrarre la seta dal bozzolo più di 2600 anni a. C.; per questo beneficio recato al suo popolo fu divinizzata e adorata come dea della seta. Secondo uno storico cinese, in un tempo anche più remoto, nel 2900 a. C., la seta era già adoperata per fare le 36 corde del liuto. Certo è che l’uso di allevare il baco, in Cina, fu sempre tenuto in grande onore presso la corte imperiale e dalla corte fu diffuso e insegnato a tutto il popolo. Si ha ragione di ritenere che i Cinesi fossero gelosissimi di questa loro coltura e cercassero con ogni mezzo di conservarne il segreto. Ciò nonostante, nel sec. IV dell’era volgare, una principessa che andò sposa al re di Kothan (oggi Turkestan cinese), per non rinunciare al suo abbigliamento, portò fuori del suo paese, nascoste nei capelli, le uova del prezioso insetto, che poi passò in India e quasi contemporaneamente nel Giappone. I Greci e i Romani dei primi secoli dell’era cristiana adoperavano la seta senza conoscerne l’origine; la comperavano dai mercanti cinesi, pagandola a peso d’oro. Le spedizioni in Oriente promosse dall’imperatore Marco Aurelio nel 160 d. C. per carpire il prezioso segreto non riuscirono nell’intento. L’introduzione in Europa della coltura del filugello si deve a due monaci dell’ordine di S. Basilio, i quali, essendo andati come missionari in India, spintisi fino in Cina, al loro ritorno nel 551 d. C. si presentarono all’imperatore Giustiniano e gli narrarono di aver visto che la seta è un prodotto di alcuni animali e di aver appreso il modo di allevarli. Persuasi dall’imperatore, con promesse e preghiere, ritornarono sui luoghi, e riportarono a Bisanzio le uova del baco da seta, nascoste entro il cavo dei loro bastoni di bambù. Queste uova furono covate nel letame, e in primavera si svilupparono i bacolini, che, nutriti con foglia di gelso, compirono regolarmente il loro sviluppo. La bachicoltura in Europa era incominciata. Da Costantinopoli si diffuse nella Grecia, e di qui in Italia. Per quanto in molti trattati l’introduzione della bachicoltura nel nostro paese venga attribuita a Ruggero II re di Sicilia, nella prima metà del sec. XII, pure è certo ormai che esisteva nella provincia di Avellino già nel 1036.. In Piemonte la coltura del gelso e l’allevamento del baco da seta furono per lungo tempo ragione di orgoglio. Purtroppo il paesaggio agrario che caratterizzava Favria della prima metà del secolo scorso oggi è scomparso e, a testimonianza dell’epopea della gelsi-bachicoltura, non restano che pochi segni, delle sparute piante dove una volta c’erano dei rigogliosi filari, solitari relitto di quel tempo. Qualche terreno ha conservato il toponimo di allora come un campo denominato la Murunera in Borgata S. Giuseppe, ma i segni di questa cultura materiale costituiscono un vero e proprio “archivio della storia”, andrebbero riqualificato e tutelati per concorrere al miglioramento del territorio. Una volta la coltura di questa pianta e l’allevamento del baco da seta furono per lungo tempo ragione di orgoglio per la Comunità di Favria, pensate che nell’inventario dei beni del Castello del 1789, che sarà oggetto di un prossimo articolo erano elencati il loro numero, terreno per terreno di proprietà del feudatario. Nel 1900, in seguito alla comparsa delle prime malattie dei bachi, all’utilizzo delle fibre sintetiche e, soprattutto, all’invasione delle sete orientali nei mercati europei, inizia la grande crisi della bachicoltura, che causa la scomparsa di quest’attività non solo a Favria ma in tutta l’Europa. Si cerco negli anni trenta una sua ripresa per motivi anche di politica autosufficienza della dittatura fascista del tempo. Nel 1933 a Favria c’erano 3.525 abitanti Durante il Periodo Fascista, il Comitato Intersindacale Provinciale (C.I.P.) di Torino, pubblicava un piccolo volume per incentivare l’incremento della bachicoltura nella Provincia di Torino. L’edizione era curata dall’Unione Provinciale Fascista Agricoltori di Torino con le note scritte dal Dott. G. Castellari. Eccone un piccolo estratto: “Chi ha i capelli bianchi ed anche soltanto grigi, sa che l’allevamento dei bozzoli1 ha avuto dei periodi floridissimi nei quali le grandi aziende avevano vaste bigattiere2 e facevano larghi allevamenti ed anche i piccoli coltivatori diretti, tutti o quasi, solevano produrre un po’ di bozzoli. Seguirono tempi nei quali la pratica dell’allevamento decadde e poi si tornò a fiorire per ridursi quasi a zero due anni or sono (siamo nel 1933). ..La campagna bacologia decorsa, ha premiato chi ha avuto fede nelle direttive delle Organizzazioni Sindacali Agricole, mercè l’opera svolta degli Ammassi bozzoli e il premio governativo, nella nostra provincia sono stati pagati ai produttori, che hanno portato i bozzoli agli Ammassi, Lire 6,25 al chilo. Ho parlato degli Ammassi bozzoli, ma è bene chiarire cosa sono gli Ammassi e che cosa servono chiaramente. Chi dominava i mercati e fissava i prezzi erano pochi compratori, pochi rappresentanti di filande e più spesso qualche speculatore. Facile era l’accordo tra questi sul prezzo da pagare e naturalmente il produttore doveva accettare il prezzo offerto. Come fare altrimenti?I bozzoli non sono né granoturco, né grano, né vino che almeno per un certo tempo si possono conservare. Bisogna venderli altrimenti sfarfallano e non sono più commerciabili. Questo stato di fatto, che si verificava prima della costituzione degli Ammassi, ha spinto l’Organizzazione degli Agricoltori a costituirsi sotto forma di società tra produttore di bozzoli. Per la parte esecutiva, gli Ammassi si sono giovati delle associazioni agrarie. I bozzoli prodotti, vengono così raccolti e consegnati all’Ammasso, il quale provvede all’essiccazione e alla cernita. Ottenuta così l’uccisione delle larve all’interno dei bozzoli, questi vengono scelti per preparare la merce in modo che possa essere conservata e presentata agli acquirenti nella dovuta forma commerciale. L’Ammasso fa in modo che le vendite si facciano in diverse volte, approfittando del momento che il mercato si presenta più favorevole in modo da realizzare il massimo utile. I produttori erano abituati a consegnare i bozzoli agli acquirenti e a riscuotere subito il relativo prezzo. L’Ammasso ha cercato di provvedere a non turbare tale consuetudine e difatti quando il prodotto viene consegnato al magazzino di raccolta, il produttore percepisce subito un anticipo. In seguito, quando i bozzoli raccolti all’Ammasso sono venduti, dalla somma totale ricavata si tolgono le spese ed il resto viene equamente distribuito tra coloro che hanno consegnato il prodotto.” Ma nonostante gli Ammassi dei bozzoli che prima sono stati voluti dall’Organizzazione Sindacale degli Agricoltori e sono ancora riconosciuti ufficialmente dal Governo Fascista, la bachicoltura italiana non ritorno più in auge come prima del 900 e dopo la guerra decadde in rovina. Il termine piemontese murun deriva dal latuni morus, per indicare le bacche del gelso le more. Il termine piemontese bagat deriva dal latino bombyx, baco da seta, e da li anche l’italiano bigatto per indicare il baco da seta. Ringrazio l’amico Claudio per la bella mostra che ha allestito, per il gentile invito. Ritengo che i segni di questa cultura materiale costituiscono un vero e proprio “archivio della storia”, che va rivalutato e tutelato. Ma questo patrimonio che rischia invece l’oblio, se adeguatamente valorizzato potrebbe concorrere alla riqualificazione del territorio per ritornare ad una coltura del sapere fare che potrebbe riportare ricchezza nel nostro territorio.
Favria, 14.12.2014 Giorgio Cortese

L’inverno è il tempo del conforto, del buon cibo e di una chiacchierata e dei ricordi nel tepore della casa, ma come deve essere gelido nell’animo l’inverno per coloro che non hanno lieti ricordi
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Se nella vita….
Se nella vita quotidiana, ogni giorno faccio un piccolo sforzo contro me stesso so già che il me stesso non opporrà resistenza. Questo semlice pensiero mi ricorda il continuo cercare di calmierare il personale egoismo e l’orgoglio. Il “Me stesso” lo scrivo perché è per me, certi giorni un vero e proprio idolo che cerca di prendere il soppravvento. In certi momenti mi sembra ipocrita l’impegno che proclamo per correggermi, perché sono consapevole che poi lo adatto alle esigenze del mio ego. Mi sembra che in certi giorni ci sia una buona dose di falsità in tanti miei propositi di virtù e di rigore, perché sono già in quel momento consapevole che non voglio infierire più di tanto sulle mie umane mancanze e sulle mia comodità mentali. Quando mi accade, mi sembra di vivere un gioco delle parti, da un lato la volontà che emette indirizzi di comportamento severi, che poi si perdono nella vita quotidiana, simili alla nebbia con il sole. Quando non riesco trove sempre con Me stesso delle scuse e delle giusatificazioni per il mio animo. Ma poi riprendo la rotta con la realizzazione coerente e costante, ed è sempre la vera e unica l’unica prova della serietà di un autentico impegno morale.
Favria 15.12.2014 Giorgio Cortese

Nella vita ritengo che la nascita e la morte sono i due momenti in cui l’infinito diventa finito, e il finito è il solo modo di fare parte dell’infinito

Farfalla.
Ho recentemente visto un bellissimo quadro ad acquarello dove molto semplicemente viene rappresentata una farfalla ed un fiore. Questo mi ha fatto pensare alle passate estati quando la leggiadra farfalla vola, con veloci ed impalpabili battiti d’ala, sembra che danzi intorno al pistilli dei fiori. Se chiudo gli occhi rivivo gli istanti di estate passate quando osservavo con quanta delicatezza le farfalle passavano da un fiore all’altro, impollinandoli tutti, senza curarsi del rumoroso bombo, dell’infaticabile lavoratrice dell’ape operaia, quest’ultima sempre insidiata dal malvagio calabrone, sempre pronto a ghermirla. Quello che invidio alle farfalle è che per quanto sia breve la loro stagione di vita non contano i giorni ma solo i magnifici attimi nel loro volare leggiadro ed impalpabile. Vedendo il quadro mi viene da pensare che la farfalla è simile a molti esseri umani, infatti se Tu dai Tuoi incontri con i pistilli fecondi nuovi frutti noi esseri umani ogni volta che incontriamo i nostri simili fecondiamo nuove amicizie. Mi viene pensare a quanto scriveva lo scrittore americano dell’Ottocento Nathaniel Hawthorne, l’autore del famoso romanzo La lettera scarlatta: “ la felicità è come una farfalla: se la insegui, non riesci mai a prenderla; ma se ti metti tranquillo, può anche posarsi su di te”. Certo che afferrare una farfalla è un’impresa ben ardua. Così è con la felicità. La rincorro ogni giorno freneticamente, mi apposto quatto quatto per sorprenderla, mi organizzo per ottenerla a ogni piè sospinto e inesorabilmente essa mi sfugge, anche quando mi sembrava di averla acchiappata. Eppure non è impossibile conquistarla, basta raggiungere nell’animo una quiete serena. Essere in pace con la propria coscienza, impegnato nelle piccole cose quotidiane, affidato agli affetti semplici e sinceri, ecco che la farfalla della felicità si posa su di me. Ma devo stare attento la felicità come la farfalla è una presenza lieve, ad ogni sussulto può svanire nell’aria. Proprio per questo uso il lemma “felicità” e non “allegria”, si sa che l’allegria fa rumore e riempie da subito la bocca di riso, fa fracasso ma veloce come è arrivata mi abbandona e si dissolve come le farfalle che da bambino cercavo di prendere per le ali, ma per paura di fargli del male mi sfuggivano lasciandomi solo una polvere colorata sulle dita. Le povere farfalle che per mia imperizia rimanevano senza le ali erano la personificazione di che cosa a diventa un presuntuoso, spogliato della sua presunzione? Senza le ali una farfalla non è che un verme! Quanti accostamenti ha la farfalla con il nostro umano carattere, simbolo della ricerca della felicità, con l’incontro con il pistillo del fiore feconda nuove e durature amicizie e senza ali, simbolo della boria altezzosa. Ritornando al quadro penso al volo delle farfalle lontano dai rumori e nel riconquistato silenzio posso ascoltare le farfalle che mi volano per la testa. In quei brevi istanti è necessaria molta attenzione e persino del raccoglimento perché il loro battere d’ali è quasi impercettibile. Un respiro un po’ più forte basta a coprirle. Io che ho tutti i sensi vigili e il cervello in piena funzione spesso perdo un’infinità di eventi, di dati, di meraviglie che mi circondano. Lascio che nel mio animo irrompa il brusio di fondo delle città, di internet, della televisione a tenere occupato orecchio, occhio e mente. Il battere d’ali delle farfalle, cioè il segreto profondo della realtà, mi è ignoto. Fermo come sono sulla superficie delle cose, distratto dal rumore e dal clamore, non conosco più il linguaggio del silenzio, della meditazione, della contemplazione.
Favria 16.12.2014 Giorgio Cortese
I falsi umili ed i falsi modesti covano solo rabbia repressa!

Chi si ricorda della strage di Fiumicino del 1973
Il 17 dicembre 1973 un commando terrorista palestinese gettò due bombe al fosforo all’interno di un aereo della compagnia statunitense Pan Am, uccidendo trenta persone, tra cui quattro italiani, e ferendone diciassette. I nomi dei quattro italiani uccisi sono: l’ing. Raffaele Narciso, Giuliano De Angelis, la moglie Emma Zanghi e la loro figlioletta Monica. Un’altra vittima fu il giovanissimo (appena ventenne) militare della Guardia di Finanza Antonio Zara, il quale venne ucciso nel tentativo di opporsi all’attentato, il finanziere è stato poi decorato con una medaglia al valore militare. I terroristi si impadronirono poi di un aereo della compagnia tedesca Lufthansa e obbligarono a salirvi alcuni ostaggi, tra cui sei poliziotti. Costrinsero quindi l’equipaggio, che già era a bordo, a far decollare il velivolo. A bordo dell’aereo uccisero il tecnico della società aeroportuale Asa, Domenico Ippoliti, che venne abbandonato sulla pista di Atene dove, nel frattempo, l’aereo aveva fatto scalo. Il velivolo della Lufthansa volò per molte ore alla ricerca di un approdo che potesse fornire garanzie per i terroristi. Dopo il rifiuto all’atterraggio da parte di numerosi aeroporti, alla fine l’aereo atterrò all’aeroporto di Kuwait City. Il giorno successivo, a notte fonda, vennero liberati gli ostaggi. I terroristi negoziarono la loro fuga, ma vennero catturati poco tempo dopo. Le autorità del Kuwait, dopo aver interrogato i terroristi, decisero di non sottoporli a processo e valutarono la possibilità di consegnarli all’OLP. Da quel momento non ci sono state più notizie certe sulla loro sorte e sono rimasti impuniti!
Favria 17.12.2014 Giorgio Cortese

Il giorno del S.Natale non mi importa cosa trovo vicino al prespio, ma chi trovo lo Li!

Caro Gesù Bambino….
Caro Gesù Bambino mi rivolgo a Te, perché non sento parte della mia cultura scrivere a Babbo Natale, che mi sembra solo una moda di importazione, vorrei ricevere anch’io i tuoi regali come quando ero bambino, ma siccome so che per me non avrai tempo, quest’anno ho deciso di chiederti di non farmi nessun regalo del genere una casa più bella e più grande, perché non potrei pagare l’IMU, la TARES. TARI, TARSU, IUC. Non Ti chiedo di darmi una lunga vita, mi basta quella che hai deciso già di concedermi, Ti chiedo di dami sempre lucidità nel ragionare e tanto buon senso. Non Ti chiedo tanti soldi, è vero aiutano a vivere ma non rendono felici nell’animo. Se proprio hai avanzato qualcosa nel fondo della Tua gerla, allora Ti chiedo di concedermi di aiutarmi ad essere sempre onesto e giusto, di essere tollerante e paziente anche con le persone arroganti e prepotenti. Caro Gesù Bambino, un grosso regalo sarebbe quello di aiutarmi a coltivare la mitezza dell’animo, di dare un pasto caldo alle persone che hanno bisogno ed un tetto sotto cui vivere, di dare la sicurezza nel fiuturo a tutti giovani di un posto di lavoro. Caro Gesù Bambino se hai ancora un attimo Ti prego dona la fiducia nel futuro alle persone disperate, di potere donare un sorriso ogni giorno alle persone che ne hanno bisogno e donare un po si sollievo nell’animo e nel corpo alle persone che soffrono. Caro Gesù Bambino so di non essere stato sempre buono durante l’anno che si sta concludendo, so di aver fatto infastidire delle persone, e questo mi duole. Caro Gesù Bambino ho sempre detto la verità che dava fastidio, forse i miei pensiei e riflessioni hanno urtato ed irritato il perbenismo di facciata di qualcuno, ma credimi caro Gesù Bambino, posso dirti di non aver mai raccontato bugie, di non avere ingannato mai nessuno, di essere stato sempre onesto e di avere sempre cercato la verità e la giustizia..
Spero per il prossimo anno di comportarmi meglio cercando sempre di migliorarmi, con più pregi e meno difetti. A te e a tutti quelli che mi leggono……Buon Natale.
Favria 18.12.2014 Goprgio Cortese