Ridondare e locupletare – Faber est suae quisque fortunae. – Da falegnami a mobilieri -Comunicare assertivamente è …. dire la verità! – Curriculum Vitae -Echino! – Non c’è solo sinallagma, nella vita!… le pagine di Giorgio Cortese

Ridondare e locupletare
Ridondante dal latino redundare traboccare, derivato da unda onda, preceduto dal prefisso red- indietro, di nuovo. Un’etimologia sorprendente. Infatti, visto che questa parola assume comunemente il significato di ripetitivo, sembrerebbe una parola onomatopeica, quasi a rendere il il riecheggiare di uno stesso suono. Ma non è così, questa parola nasce dai giochi che fanno le onde dei liquidi che rimbalzano fra le sponde di ciò che li contiene, si sollevano e traboccano. Il ridondante diventa quindi il troppo pieno, l’eccessivamente ricco, il sovrabbondante; il pleonastico, nel senso di inutilmente ripetitivo, non è che una conseguenza eventuale di queste qualità. Ad esempio, se parlo di un pasto ridondante, secondo il significato principale lo descrivo come esageratamente abbondante, ma potrei anche intendere che mi hanno servito uova di antipasto, primo, secondo e dolce. Se critico uno stile ridondante, intendo bacchettarne i barocchismi esasperati o magari voglio porre l’accento sul continuo ripetersi di medesimi concetti o figure retoriche. E se dico che una narrazione è ridondante, intendo dire che è locupletata di elementi inutili , oppure che gira su sé stessa tornando sui soliti elementi. Ho usato la parola locupletare che deriva dal latino: locupletare, derivato di locuples ricco, composto di locus terra e -ples pieno, ovvero pieno di terre. Locupletare è una parola bella e rara, che sono in pochi a conoscere e in ancor meno a usare. Locupletare significa arricchire, e denota questo significato a partire dall’immagine più primitiva della ricchezza, cioè la terra. Allora locupletato è chi o ciò che è stato fornito di averi ingenti, o arricchito in senso figurato. Il rampollo della casata si ritrova locupletato senza aver mosso un dito. Personalmente dopo certi pranzi ho locupletato la pancia. Ridondare e locupletare sono due lemmi sempre di mene usate, e che entrano nel circolo vizioso che pochi la conoscono, anche chi la conosce non la userà , abbandonandole, ed è un vero peccato linguistico.
Favria, 11.04.2015 Giorgio Cortese

Certi giorni ho la sensazione che la vita sia un immenso labirinto nel quale prendo la strada sbagliata prima ancora di aver iniziato il percorso..

Faber est suae quisque fortunae.
Ciascuno è artefice della propria fortuna. – Antica massima che Sallustio attribuisce ad Appio Claudio Cieco (Appio Cieco, in Sallustio, Epist. ad Caes., 2, 1), e che si suole citare per affermare che nella vita dell’uomo conta più la volontà e l’azione che l’intervento della sorte.

Da falegnami a mobilieri
Un tempo erano falegnami adesso sono mobilieri ma sempre legati alla materia prima: il legno. Il mobilificio Prati a Pertusio, che ringrazio per il gradito invito e la cordiale accoglienza, ha mantenuto le regole della bottega artigiana dove il valore della materia prima non era un argomento di vendita ma un dato di fatto imprescindibile. Oggi, come allora, questo mobilificio costruisce e tratta i mobili in legno, e alle regole del mercato oppone il fascino inimitabile della tradizione in grado di offrire una qualità di materiali, di lavorazione, di arte e di design che appagano e ripagano nel tempo. Sino dalle origini il destino degli uomini è stato associato a quello degli alberi con legami talmente stretti che mi domando che cosa ne sarà di un’umanità che sta brutalmente spezzando questi legami. Girando per il mobilificio domenica pomeriggio mi sono domandato che se molti mobili sono calchi del corpo umano, forme vuote per accoglierlo così tutto l’ambiente finisce col diventare un calco dell’animo, l’involucro senza il quale l’animo si sentirebbe come una chiocciola priva della sua conchiglia. Nella casa l’arredamento diventa il teatro della vita privata, quella scena dove ogni stanza permette il cambiamento, la dinamica degli atteggiamenti e delle situazioni, insomma certi giorni la a casa è il è palcoscenico della vita e chi meglio che dal Mobilificio Prati a Pertusio può dartelo, visitare per credere
Favria, 12.04.2015 Giorgio Cortese

Comunicare assertivamente è …. dire la verità!
Leggendo un libro ho trovato il lemma assertivo, cercando nel vocabolario ho scoperto che l’etimologia del termine deriva dal latino “asserere”, composto dalla particella “ad” indicante scopo e da “sèrere” che sta per “intrecciare” e quindi per “discorrere”, intendendo “discorso” come “parole e concetti intrecciati”. Il significato di “assèrere” è, per estensione, anche quello di “annettere a sé” e quindi “far proprio” da cui il senso figurato di “arrogarsi un’opinione e sostenerla come vera”, ossia “asserire”. La parola asserire che ha la stessa radice latina. Come esseri umani siamo animali sociali e le relazioni con i miei simili sono fonte di felicità, con l’assertività cerco di essere al timone della mia vita anziché in balia degli eventi. Il primo a parlare di “assertiveness” fu nel 1949 Salter, uno statunitense studioso del comportamento umano. Studiando le cause e gli effetti dell’ansia sociale, elaborò le prime teorie sui comportamenti assertivi. Negli anni Cinquanta s’interessarono altri studiosi del comportamento americani e da allora, il concetto dell’assertività è stato studiato nell’ambito di diversi approcci psicologici. L’assertività è allora la capacità di esprimere i miei sentimenti, la scelta del mio comportamento in un dato contesto esprimendo serenamente la mia opinione, di solito con una lettera su internet sempre in modo propositivo, costruttivo e positivo. Oggi il sostantivo “assertività” e l’aggettivo “assertivo” sono diventati di uso comune nella lingua italiana e corrisponde al verbo italiano “asserire”, usato comunemente come semplice sinonimo di “affermare”. Negli ultimi dieci anni il concetto di assertività ha trovato largo impiego anche in Italia soprattutto nella comunicazione e nella formazione aziendale. Con assertività cerco di superare le dichiarazioni rabbiose, e con calma riflessione rafforzo il concetto, ad esempio di fronte all’ingiustizia e alla sopraffazione, invece di gonfiare il collo e arrocchire la voce ritengo che si può fissare con placida calma olimpica una ferma e decisa asserzione della nefandezza compiuta, scrivendo che cosa si merita. L’assertività è una modalità di comunicazione flessibile attraverso la quale affermo i miei punti di vista senza prevaricare né essere, il punto di equilibrio tra aggressività e passività, è in sintesi la sottile arte di vincere senza combattere nell’ambito di una relazione interpersonale. I quotidiani problemi a volte mi sembrano simili a dei torrenti che escono dagli argini, e cercare di fermare l’evento è in quel momento simile a sostenere uno scontro frontale con il torrente furioso, ma con calma e pazienza posso sempre cercare di mutare la direzione del corso dell’acqua convogliando in tanti rigagnoli separati, dividerne la forza. Il grande Pascal cosi scriveva: “L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante…”. Ecco nella vita certi giorni mi sento come una piccola canna di bambù che, sferzata dal vento e dalla pioggia della tempesta, si flette ma non si spezza mentre la vigorosa quercia si spezza. Concludo che per far parlare un mio simile la mia lingua, devo prima parlare la sua e non mi riferisco alla lingua in se, ma per estensione alla rappresentazione della realtà che io ho e ai simboli, parole e suoni che percepisco che molte volte mi portano ad adattare questi segnali che provengono da tutto quello che ho intorno e che poi adatto al mio uso e consumo facendo nascere l’incomunicabilità tra i miei simili, e allora comunicare assertivamente è …. dire la verità. Certo la persona che si comporta in modo assertivo non è affatto sempre pacata e sorridente o “diplomatica”, nella vita di ogni giorno è l’importante sapere equilibrare, con tanto buon senso, a seconda delle circostanze, aggressività e passività
Favria, 13.04.2015 Giorgio Cortese

Più doniamo il nostro sangue e più ci arricchiamo nel nostro animo. Noi donatori di sangue siamo per quello che abbiamo donato, degli eroi del quotidiano

Che cosa può essere un superficiale senza la sua presunzione? Se togliete le ali a una farfalla, non resta che un verme. Se al superficiale togliete l’autorità non rimane nulla e si dissolve al primo refolo di vento

Curriculum Vitae
Mi ha recentemente scritto una cara amica Erminia chiedendomi quale era il plurale di curriculum? Da mediocre ragioniere non mi ero mai posto il problema e allora mi sono documentato. Il lemma curriculum deriva dal latino con il significato di correre, talvolta abbreviato in CV), che tradotto dal latino significa corso della vita e degli studi, è un documento redatto al fine di presentare la situazione personale, scolastica e lavorativa di una persona. Curriculum è una parola latina acquisita nella lingua italiana. La parola latina curriculum è entra in italiano attraverso la locuzione invariabile curriculum vitae ‘corso della vita in breve’ nel 1892, e solo successivamente si trova la forma singola curriculum, documentato in italiano dal 1941. Secondo il vocabolario data la derivazione della lingua italiana dal latino, il plurale di curriculum è curricula, derivante dal plurale proprio della lingua latina. Secondo altri la forma corretta del plurale di curriculum, quindi, resterebbe curriculum, secondo l’argomentazione che “curriculum” debba essere considerato un sostantivo invariante alla stregua di tutti gli altri latinismi radicati nella lingua italiana. Secondo tale regola la lingua italiana non adotta comunemente il plurale latino per le parole forum, fora, referendum, referenda., Entrambe le soluzioni sono attualmente in uso, ma è considerata preferibile solo la seconda. Questo corso della vita, questa corsa della vita mi fanno rifletter sul correre della vita che certamente non vuol dire andar dritti per la propria strada, come se gli altri non esistessero, e sicuramente vuole dire avere la sensibilità e il rispetto verso chi ha un passo più lento del mio. Oggigiorno la perdita di senso del tempo in questa società sempre di più liquida dove prevale sempre di più la cultura dell’adesso e cultura della fretta che insieme mettono in crisi i rapporti tra noi esseri umani. Nel mio correre la vita ringrazio della fortuna di essere circondato da persone che mi vogliono bene e che sicuramente, nei momenti difficili, mi prenderanno sotto braccio e mi aiuteranno a riprendere la corsa accettando che altri hanno un passo più veloce del mio e per questo non li invidio ma li prendo sempre per esempio per migliorami.
Favria, 14.4.2015 Giorgio Cortese

Nella vita sopravvivo di ciò che ricevo, ma vivo di ciò che dono

Echino!
Ritengo che vivere sia la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste, e di questi trovi sempre il tipo echino, che non è una parolaccia. Certo ognuno ha il proprio carattere più o meno estroverso. Ci sono persone molto introverse, chiuse, ermetiche. Non sono numerose, ma spesso mi imbatto in loro. All’apparenza normali ma che celano un complesso carattere solitario. Loro interiorizzano tutte le esperienze, socializzano con difficoltà. Ritornando alla parola echino che è il nome scientifico di alcuni ricci di mare, già la parola echino è un programma, deriva dal greco echinos e da questo lemma traggono come detto il nome tutte le specie animali irte di spine, istrice, porcospino e il riccio di mare come sopra detto, ma anche l’involucro esterno della castagna, detto comunemente riccio. Ma con echino viene anche designato con tale nome l’elemento del capitello dorico e ionico posto sotto l’abaco, che nello stile dorico ebbe un profilo dapprima molto sporgente, convesso e schiacciato, che in seguito diventò sempre più alto, più rigido e meno aggettante, mentre nel capitello ionico ebbe in genere un profilo simile a un quarto di cerchio e si arricchì di ornati a intaglio, di regola ovoli. Ritornando a quelle persone chiuse e spinose di solito poco ciarlieri, telegrafici nelle risposte e non parlano soprattutto mai di loro, sono di una riservatezza maniacale. La oro vita privata viene gelosamente protetta dagli estranei e per loro non esiste mescolanza tra la vita lavorativa con quella privata. Sicuramente detestano luoghi molto affollati e se proprio si trovano ad essere presenti “obtorto collo” in questi luoghi pubblici preferiscono stare sempre ai margini, preferiscono sicuramente i luoghi solitari, i paesaggi dove non c’è nessuno, le trattorie poco frequentate, i mercatini con poco clamore, le viuzze strette dei borghi, le cime innevate, le stradine di montagna, le spiagge deserte, le vie poco illuminate, gli amici poco ciarlieri, la luna silenziosa, la musica dolce poco rumorosa, la luce soffusa e rosata. Penso che non amino gli specchi, verdersi come sono e stare anche sui palchi in primo piano. La vita di un echino è ripiegata tutta su se stessa, avvolta intorno a un unico nastro, il film della propria vita, condotta in punta di piedi senza farsi vedere. I solitari non amano la superbia, l’orgoglio, la tracotanza, l’invidia, la gelosia, i pettegolezzi. Difficilmente si lasciano trascinare in lunghe conversazioni, in oziose divagazioni. I solitari sono un popolo silenzioso forse in via di estinzione. Il poeta Petrarca amava fare passeggiate in solitudine nel suo canzoniere, dove l’amore vissuto viene interiorizzato al massimo livello. Il poeta innamorato diventa un solitario per ripensare in solitudine il suo amore, sentimento tutto interiore. I solitari vivono intensamente i sentimenti ma non li esteriorizzano, si tengono tutto dentro. Sono solitari perché hanno subito un qualcosa che li ha fatti ritirare in se stessi al punto di chiudere tutte le porte. Spesso è proprio nella solitudine che si realizzano le idee più belle, che si concretizzano pensieri e desideri. Il solitario spesso si considera sfortunato ma nel suo piccolo può realizzare sempre qualcosa. Nella sua solitudine elabora idee e pensieri. Anche molti animali sono dei solitari e quando un solitario incontra uno di questi animali nasce una amicizia bellissima. Un solitario può essere anche un buon amico, basta saperlo prendere e non ferirlo. Sono le ferite della vita a renderci solitari. Un sorriso donato a un solitario può ridare fiducia a un cuore spento.
Buona giornata
Favria, 15.04.2015 Giorgio Cortese

Il significato reale della ricchezza è di donarla generosamente.

Non c’è solo sinallagma, nella vita!
Certe persone pensano sempre di giustificare tutto nella vita come un sinallagma. Questa parola poco usata è carica di significati. Sinallagmatico deriva da sinallagma, che deriva dal greco synàllagma accordo, da synallàsso stipulare, composto da syn insieme e allàsso prendere e dare in cambio. Si tratta di una parola usa nel repertorio giuridico, un gran parolone, ma non vano, infatti ha un significato molto preciso e rilevante. In giurisprudenza si dice sinallagmatico quel negozio che fa sorgere delle obbligazioni corrispettive fra le parti contraenti. Il caso più semplice di contratto sinallagmatico è la compravendita, io ti consegno un oggetto, tu mi versi un prezzo. Questa parola mette in luce un equilibrio di interessi naturale e curioso: la mia prestazione trova la sua causa nella tua prestazione. Il sinallagmatico resta quindi ciò che è caratterizzato da reciprocità: ad esempio, non sono sinallagmatici un testamento, un comodato, una donazione; invece lo sono compravendita e locazione. Certo fuori dal gergo giuridico, difficilmente questa parola può essere usata ma, il concetto che offre è importante, mi parla di una reciprocità concreta, su cui si fonda la società in cui vivo ma mi invita anche a pensare sul valore del dono e mi rammenta che umanamente, quando si riceve qualcosa, il denaro non è che un mezzo per onorare sapere, energie e tempo che mi sono stati messi a disposizione. Nella vita di ogni giorno molte persone sono capaci i di fare una cosa saggia, molti di più di farne una furba, ma pochissimi sonoi capaci di farne una generosa. La reciprocità ha più valore del sinallagma e sopravvivo di ciò che ricevo, ma vivo di ciò che dono.
Favria 16.04.2015 Giorgio Cortese

La vera generosità è quando un compio un atto generoso e nessuno lo sa.