Ringraziamenti per propaganda Fidas a S. Isidoro – Zimbello. – Ottusangolo – Da ciano alla radice dei colori – Si o no, cui bono? Referendum del 17 aprile… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Ringraziamenti per propaganda Fidas a S. Isidoro
Nella vita di ogni giorno abbiamo sempre tanti motivi per ringraziare, la gratitudine è una merce rara di questi tempi. Eppure basta poco, una parola: semplicemente grazie. Grazie a chi ci sta accanto, a chi ci accompagna, a chi ci sorride, grazie al mattino a ogni nuovo giorno che inizia, grazie alla vita. Ringraziare quando si deve è un gesto umano e che parla bene della persona che lo fa. Secondo un vecchio detto una persona può restituire un prestito in denaro, ma sarà sempre in debito a vita con chi è cortese nei suoi confronti. Ecco voglio ringraziare tutto il Direttivo Fidas presente oggi alla fiera di S. Isidoro e non che attraverso l’impegno di ognuno a permesso il bel risultato finale nella fiera per fare propaganda al dono del sangue. Cari amici del Direttivo vorrei ringraziarVi con tutto il cuore, ma per Voi carissimi, il mio cuore non ha fine. Nella vita di ogni giorno è vero che tutti noi siamo padroni del nostro destino, ma siamo pure capitani della nostro animo che se fiorisce è grazie a Voi carissimi che insieme mi dimostrate che in questa vita nulla è impossibile e che siete i fantastici giardinieri che fanno fiorire il mio spirito. Grazie di cuore a tutti gli amici donatori e non che oggi sono avvicinati al nostro Gazebo, grazie delle loro belle parole e dei sorrisi sinceri. Grazie a Favria Giovane che ci ha concesso oggi il gazebo. GRAZIE A TUTTI!
Favria Giorgio Cortese

Una delle cose più belle in questa vita è quello di cercare di rimanere nella mia mediocrità sempre me stesso, in mezzo a tanta gente che è solo inutile apparenza.

Zimbello.
Il significato principale di questa parola, attualmente, è quello di oggetto di scherno: lo zimbello è una persona di cui tutti ridono. Ma per definire meglio questo significato dobbiamo fare un passo indietro. Lo zimbello, in origine, era un uccello vivo usato come richiamo e tenuto legato, al fine di attirare suoi simili e procurare al cacciatore facili prede. Da questo significato si è sviluppato quello, più generico, di esca, lo zimbello è equivalente al celebre “specchietto per le allodole”. Lo zimbello attira l’attenzione lusingando e allettando, mentre cela un secondo fine. Certi venditori possono quindi usare per zimbello grandi striscioni con immagini magnetiche o motti sagaci, certi politici con maldestra demagogia prima delle elezioni promettono della fuffa elettorale. Anche uno scandalo ben calcolato funzionerà da zimbello per coprire trame più losche, e lo spettacolo di magia sarà uno zimbello ottimo, nel mentre che un complice del mago vuota le tasche degli spettatori stupiti. Ecco lo zimbello, inteso come oggetto di riso che nasce quindi dalla figura del povero ‘uccello che grida e saltella legato per la coda, attirando l’attenzione del suo gruppo. Oggi lo zimbello è anche quella persona che in mezzo e di cui gli altri ridono, il lemma deriva dal provenzale: cembel uccello da richiamo, dal latino cymbalum cembalo – strumento musicale usato per simulare il richiamo di un uccello. Al riguardo mi viene da pensare che se ogni giorno non sono coerente con le mie idee rispetto al mondo che mi circonda, allora ne divento il suo zimbello. Certo uso l’arma dell’ironia ogni giorno, ma questa presenta il rischio che se sbaglio il gioco dialettico, sono di una virgola, il punto esclamativo è troppo, riscio di diventare io lo zimbello di certi ignobili figuri ipocriti, che come laidi parassiti siedono sempre su due tavoli e portano due paia di scarpe. Di queste persone diffido, fare come causa con loro è come allearmi con un branco di lupi famelici. Allora con garbata ironia ogni giorno bordeggio come un novello Odisseo tra la Cariddi dello spasso e la Scilla della serietà, per evitare di scivolare dal sarcasmo al divertimento e anche di evitare di passare dall’allegoria in ovvietà ridondanti e ripetitive, per evitare di diventare on primo luogo lo zimbello del mio animo se vedo la mia ombra piena di luce riflessa.
Favria 9.04.2016 Giorgio Cortese

Forse per risollevare l’economia del Paese basterebbe mettere una tassa sulla maleducazione

Ottusangolo
Li ho incontrati tante volte quando a scuola nelle lezioni di geometria mi facevano studiare i triangoli, ricordo l’angolo retto, quello acuto e quello ottuso, tre parole che uso anche tutti i giorni, no? Una persona può essere acuta oppure ottusa se la si ritiene intelligente oppure stupida, mentre per essere retta occorre che si comporti bene. Qual è stato il passaggio tra il significato di tutti i giorni e quello matematico, e in quale direzione è avvenuto? Inizio, con la parola retto, l’aggettivo latino rectus sembra abbia avuto un grande successo a causa della Bibbia; per i latini infatti rectus, directus e iustus erano sinonimi, e anche noi diciamo appunto che una persona è retta oppure giusta. Dopo la caduta dell’Impero di Occidente iniziano anche ad apparire termini composti come rectificare, rectitudio, rectiangulus; i geometri, ma anche i grammatici, usarono il termine per rendere il greco orthos, che appunto significa equo, diretto, ma anche esatto.. Stranamente l’uso del sintagma, combinazione di due o più elementi linguistici linearmente ordinati nella catena fonica, “angolo retto” è molto tardo, e la prima occorrenza citata è del Grandi nel 1740; ma già nel XIV secolo la Pratica geometrie volgar parla di “angulo ricto”, accanto a “ortogonio“ e “angulo rectilineo“. Indubbiamente il termine ha poi preso piede a causa del notevole uso comune. Per quanto riguarda invece acuto, la storia è più breve. L’aggettivo latino è acutus, e deriva dal verbo acuere, che in italiano è diventato acuire. Anche in questo caso la parola acutiangulus è attestata nel latino tardo, VI secolo, presumo nelle discipline del quadrivio, e come calco dal greco oxygonios; si è così arrivati a scrivere acuziangolo prima dell’attuale acutangolo. Ma per vedere la parola in italiano con il significato di angolo minore di quello retto occorre aspettare fino a Leonardo, quando già da almeno due secoli la parola esisteva in italiano con svariati significati. Brunetto Latini – e quindi parliamo di un duecentista – lo usa per indicare qualcosa che termina a punta e quindi è aguzzo (beh, sì: anche ago ha la stessa etimologia…). Il solito Dante scrive acuto per significare ingegnoso, e finalmente Boccaccio aggiunge il significato di suono dalle alte frequenze. Paradossalmente per i matematici, non si parla di arco a sesto acuto fin quasi al 1800. Gli architetti hanno sempre paura della matematica, inutile. Anche ottuso ha la sua bella storia. Il verbo latino da cui deriva è obtundere, composto di ob- (contro) e -tundere (percuotere: avete presente il corpo contundente?). Dal suo participio passato obtusus sono arrivati i tre significati fondamentali del termine in italiano: spuntato, visto che a furia di battere un oggetto gli si tolgono le punte; stupido, perché a furia di prendere botte uno rimane rintronato; e di angolo spuntato e quindi maggiore di uno retto. In questo senso troviamo la parola già nel solito Dante; ma naturalmente già il tardo latino aveva obtusiangulus. In definitiva la storia delle tre parole è partita da origini diverse nel mondo comune; ma sono state conquistate dalla matematica da così tanto tempo da aver perso la relazione con il significato primigenio, ed essere così indissolubilmente legate tra di loro… o almeno è così per i matematici. Sembra impossibile, ma né la mitica Treccani ne altri vocabolari hanno traccia del significato matematico di questi termini: indubbiamente una congiura.
Favria 10.04.2016 Giorgio Cortese

Non sono le grandi gesta che fanno grandi le persone ma, sono le piccole azioni che il mio l’animo sente, la mente vede e il mio cuore serba per sempre.

Scriveva Albert Einstein che la saggezza non è il risultato di un’educazione, ma il tentativo di una vita di acquisirla, e alcuni purtroppo non riusciranno mai

Da ciano alla radice dei colori.
L’altra sera con l’amico Sandro e Mariangela eravamo in associazione per preparare la bozza di un depliants di invito alle festa dei Donatori di sangue Fidas Favria, da proporre al Direttivo, festa che si terrà domenica 12 giugno, quando la stampante segnala la mancanza del colore “ciano”. Mi viene da prendere in prestito la celebre battuta di Alessandro Manzoni per dire: “Ciano, ma che colore è?” Nei Promessi Sposi che per meglio illustrare il personaggio di Don Abbondio, gli fa dire con aria perplessa di fronte al nome di questo personaggio incontrato casualmente in un libro: “Carneade. Chi era costui?” Si vuole che Manzoni abbia a sua volta attinto a Sant’Agostino (Dialoghi, Contra Academicos,I,7. Carneade, oggi simbolo del perfetto sconosciuto, fu un filosofo greco vissuto attorno al 200 a.C.. Nato a Cirene e morto ad Atene, è considerato il maggior rappresentante della Media Accademia. Dopo questo preambolo mi viene da pensare che forse tutte le volte che usiamo i colori non mi sono mai chiesto da dove provengano i nomi dei colori? Arancio, per indicare il colore, questo termine è attestato circa dal 1540; prende il nome dal frutto dell’arancio, dall’etimologia curiosa: deriva dal sanscrito, naranga-s, che indicava appunto l’albero, passato poi al persiano narang, poi all’arabo naranj e acquisito in veneziano come “naranza”, poi alterato in “narancia”. La perdita della consonante iniziale fu dovuta forse perché venne scambiato per l’articolo n’arancia”; certo meglio di “una narancia), forse all’influsso del latino aurum, “oro”. Azzurro deriva dalla parola persiana lajvard, lazvard, che indicava il lapislazzuli o lo zaffiro. Beige, un colore “multifunzionale”, che sebbene sia un giallo crema sporco, finisce spesso per indicare altre tonalità di marrone, o di grigio. Il termine è francese, e indicava un tipo di tessuto fatto con lana non tinta, lasciata del suo colore naturale, il l beige, appunto. Il passaggio al colore bigio è molto vicino. Colore grigio cenere, esiste il modo di dire: “distinguere il bigio dal nero,” distinguere due cose diverse ma affini. Il lemma bigio viene anche indicato chi in politica, non sa decidersi per l’uno o per l’altro partito. Anticamente a Firenze furono furono chiamati Bigi i partigiani dei Medici, avversi al regime istituito da Savonarola, che mantennero però una posizione ambigua, facile ad alleanze momentanee con gli avversari, da qui il nome. Bianco deriva dal germanico blanc, o blanch, blank, che voleva dire “splendente”, “brillante”, “rilucente”, “scintillante”: era molto usato per le armi, il che è all’origine della moderna espressione italiana “arma bianca”. Il termine germanico rimpiazzò il latino albus, da cui “alba”, “albino”, “albume” e via dicendo, di identico significato. Blu, si rifà al germanico blao, a sua volta dal protoindoeuropeo bhle-was. Questa radice significava non solo “blu”, ma anche “color della luce”, “biondo”, “giallo”, e da essa deriva il latino flavus, appunto, “giallo”.Bordeaux a volte italianizzato in “Bordò”, deve il suo nome all’omonimo vino rosso, prodotto appunto presso la città francese di Bordeaux.. Il nome di questo toponimo deriva dal latino “Burdigala”, ha origini celtiche o pre-celtiche. Celeste, questa è semplice e intuitiva: dal latino caelestis, letteralmente “del cielo”. Fucsia, deve il nome all’omonimo fiore, la fucsia, che a sua volta è stato così battezzato in onore del botanico Leonhart Fuchs. Giallo, l’origine sta nel termine antico tedesco gelwaz, che significa proprio “giallo”, “verde pallido”; una parola correlata, galbus, galvus, era presente in latino. Può essere ricondotto alla radice indoeuropea -ghel, che, curiosamente, oltre a voler dire “brillante”, “splendente”, significa anche “urlare”, “gridare”. Inglese il verbo yell, significa appunto “urlare”. Il giallo è davvero un colore che attira l’attenzione! Grico dall’antico germanico grisja, gris, che indicava un colore nero mischiato al bianco, ed era usato perlopiù per capelli e penne di uccelli: questo significato è riflesso nel moderno termine tedesco greis, “vecchio”. Indaco, dal latino indicum, a sua volta dal greco indikón, letteralmente “proveniente dall’India”, “indiano”. L’indaco era infatti un colorante ricavato dalle foglie delle piante del genere Nerium native della regione. Magenta, questo rosso tendente al fucsia venne creato nel 1859 da François-Emmanuel Verguin, ossidando l’anilina. È stato così battezzato in memoria della famosa battaglia di Magenta, in riferimento al sangue che vi fu sparso. Marrone dal francese couleur marron, cioè “color castagna”. Il termine “marron” è di origine dibattuta. Viene ricondotto ora al greco maraon “castagna dolce”, ora al celtico mar, “grande”, ora a qualche ignota radice pre-romana, forse ligure. Nero, deriva dal latino nigrum, che significava “nero”, “scuro”, “cupo”, e in senso figurato voleva anche dire “tetro”, “sfortunato”, “cattivo” e altri concetti simili. Alcuni studiosi hanno ipotizzato anche una connessione al greco nekros, morte, potrebbe derivare dall’indoeuropeo nekw-t, notte. Ocra, dal greco ochros, con il significato di “giallo pallido”. Rosa, riprende pari pari il nome del fiore della rosa, l’origine sta nel greco rhodon, che si viole collegare alla radice indoeuropea, wrdho, con il significato di “spina”. Rosso, deriva dall’ indoeuropeo, reudh, da essa derivan il latino ruber, rufus, da cui l’italiano “rosso”. Dalla stessa radice deriva l’antico tedesco rauthaz , da cui l’inglese “red” e il tedesco “rot”, e anche i loro corrispettivi greci, slavi, celtici, sanscriti e in altre lingue ancora. Turchese , prende il nome dalla pietra preziosa, il turchese, che originariamente veniva dalla Turchia o da regioni vicine; il significato è proprio “turco”, “della Turchia”. Verde dal latino viridis, da virere, “essere verde”, “verdeggiare”, forse deriva dall’indoeuropeo ghvar, “essere verde, o giallo”, forse per estensione da “splendere”. Viola, si rifà al latino viola, imparentato con il greco ion, che indicava il fiore della viola, dal quale prende il nome questo colore. Ciano, infine, deriva dal greco kýanos, che significa “blu scuro”, e indicava anche gli smalti di quel colore e i lapislazzuli e deriva molto probabilmente, dal termine hittita kuwanna, che indicava il colore blu della patina che si forma sul rame.
Favria, 11.04.2016 Giorgio Cortese

Della mia vita trattengo tutto, sia dei momenti lieti che mi fanno gioire che degli attimi di angoscia. Vivere la vita è simile come stare sul piatto della bilancia, perché ho la sincera speranza che ciò che mi rende felice pesi di più di ciò che mi rende malinconico.

Si o no, cui bono? Referendum del 17 aprile
Mi permetto nel titolo di apertura di citare una frase detta da Cicerone nell’80 a.C. quando assunse la difesa di Sesto Roscio Armerino il cui padre era stato ucciso su mandato di due suoi parenti, d’accordo con Lucio Cornelio Crisogono, potente favorito e liberto greco di Silla. Cicerone svelò le responsabilità di Crisogono, con l’orazione Pro Roscio Amerino convincendo i giurati che l’assassinio favoriva gli accusatori e non l’accusato, insomma: “Cui bono? A vantaggio a chi?” Ed allora, per la prima volta nella storia della Repubblica, il prossimo 17 aprile noi elettori italiani saremo chiamati a votare a un referendum richiesto dalle regioni, e non come di solito avviene, tramite una raccolta di firme di noi cittadini contribuenti. Andremo a votare al referendum “No- Triv “, per decidere se vietare il rinnovo delle concessioni estrattive di gas e petrolio per i giacimenti entro le 12 miglia dalla costa dell’italico stivale. C’è da chiarire che il referendum, quindi, non riguarda il divieto di effettuare nuove trivellazioni, che sono già vietate entro le 12 miglia marine, e continueranno a essere permesse oltre questo limite anche in caso di vittoria dei Si. Mi sembra più che un referendum un’azione politica delle regioni che lo hanno promosso per dare un segnale contrario all’utilizzo delle fonti di energia fossile, come il gas e il petrolio estratti dalle piattaforme offshore. Le regioni richiedenti sono: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Purtroppo una raccolta di firme di noi cittadini per presentare il referendum era fallita lo scorso inverno. Nel testo della domanda referendaria se votiamo SI, si abroga la parte di una legge che permette a chi ha ottenuto concessioni per estrarre gas o petrolio da piattaforme offshore entro 12 miglia dalla costa di rinnovare la concessione fino all’esaurimento del giacimento e pertanto cessano la loro attività fino alla data di scadenza della concessione. Questa concessione può essere prorogata fino all’esaurimento del giacimento. Il referendum, quindi, non riguarda nuove trivellazioni, ma la possibilità per gli impianti già esistenti di continuare a operare fino a che i giacimenti sottostanti non saranno esauriti. Oggi in Italia ci sono 66 concessioni estrattive marine che si trovano oltre le 12 miglia marine, e che non sono coinvolte dal referendum. Il referendum riguarda soltanto 21 concessioni e sono una in Veneto, due in Emilia-Romagna, uno nelle Marche, tre in Puglia, cinque in Calabria, due in Basilicata e sette in Sicilia. Le prime concessioni che scadranno sono quelle degli impianti più vecchi, costruiti negli anni Settanta. Le leggi prevedono che le concessioni abbiano una durata iniziale di trent’anni, prorogabile una prima volta per altri dieci, una seconda volta per cinque e una terza volta per altri cinque, e al termine della concessione, le aziende possono chiedere di prorogare la concessione fino all’esaurimento del giacimento. Se al referendum dovessero vincere il SI, gli impianti delle 21 concessioni di cui si parla dovranno chiudere tra circa cinque-dieci anni. Gli ultimi, cioè quelli che hanno ottenuto le concessioni più recenti, dovrebbero chiudere tra circa vent’anni. In tutto in Italia ci sono circa 130 piattaforme offshore utilizzate in processi di estrazione o produzione di gas e petrolio. Quattro quinti di tutto il gas che viene prodotto in Italia, e che soddisfa circa il 10 per cento del fabbisogno nazionale, viene estratto dal mare, così come un quarto di tutto il petrolio estratto in Italia. Nessuno al momento ha calcolato quale percentuale di gas e petrolio viene prodotta entro le 12 miglia marine, né quanto sono abbondanti le riserve che si trovano in quest’area. Ma anche con la vittoria del SI, le compagnie petrolifere posso sempre compiere nuove trivellazioni oltre le 12 miglia marine e continuare a cercare e sfruttare nuovi giacimenti sulla terraferma, ed é è già vietato per legge effettuare nuove trivellazioni entro le 12 miglia marine dalla costa, ma con il referendum si limita l’ulteriore sfruttamento degli impianti già esistenti una volta scadute le concessioni, anche se sono ricchi di gas. Certo le trivellazioni sono a forte rischio ambientale e sanitario, anche se forse è remota la possibilità di un disastro ambientale come quello avvenuto nel 2010 nel Golfo del Messico, ma al mar Adriatico manca poco per andare un coma ecologico. Quelli che dicono di votare No, i pro fossili, per lasciare tutto come è adesso affermano che continuare l’estrazione di gas e petrolio offshore è un modo sicuro di limitare l’inquinamento, l’Italia estrae sul suo territorio circa il 10 per cento del gas e del petrolio che utilizza, e questa produzione ha evitato il transito per i porti italiani di centinaia di petroliere negli ultimi anni. Secondo loro, quelli del No, una vittoria del SI avrebbe poi delle conseguenze sull’occupazione, visto che migliaia di persone lavorano nel settore e la fine delle concessioni significherebbe la fine dei loro posti di lavoro. Sempre secondo i No, oggi in Italia acquistiamo l’80% dell’energia di cui ha bisogno dall’estero, mentre potrebbe abbassare questa quota anche al 60% se sfruttasse i giacimenti di idrocarburi ancora inesplorati, compresi quelli in mare, con un risparmio di un miliardo di euro l’anno. Inoltre, i sostenitori del No rilevano che la possibilità di scongiurare al 100% qualche incidente sia impossibile, ma le tecniche oggi a disposizioni permettono di trivellare senza dare fastidio all’ecosistema. Ma da profano mi sorge un dubbio, un giacimento sottomarino, poniamo in Adriatico o nel Canale di Sicilia, è come una bacinella dove succhia petrolio chiunque metta delle trivelle, magari nelle acque territoriali della Croazia o in Libia a un tiro di schioppo dalle coste italiane, che non sarebbero quindi risparmiate da eventuali incidenti.. Se dall’altra parte si mettono a trivellare, il giacimento sarà comunque sfruttato da chi estrae con la sua cannuccia dall’altra parte. La cosa ha una sua rilevanza economica perchè investitori, aziende e posti di lavoro potrebbero trasferirsi sull’altra costa e non rinunciare a un business che nel Mediterraneo si fa sempre più corposo. E poi se votiamo Si per non deturpare la nostra bella Italia, i nostri dirimpettai sull’uscio di casa e sfruttano le risorse che noi vogliano preservare come faremo ad impedirlo? Proporremo un referendum a casa loro? Sicuramente andrò a votare, perché ogni volta che si viene chiamati alle urne è moralmente etico andare per esprimere democraticamente il proprio voto e la questione che mi lascia sempre perplesso è che i referendum non sono un diritto dovere ma un optional per noi cittadini e se non andranno a votare il 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto il risultato non sarà valido ma le spese sostenute per effettuarlo si! Mi sorge un dubbio ma se vincono i Si chi chi smantellerà le piattaforme e le metterà in sicurezza perché non inquinino? Faremo ulteriore referendum, ma la politica cosa fa? Ma allora “Cui bono?”
Favria 12.04.2014 Giorgio Cortese

Fra tanta gente di agita e sgomita con maleducazione, ritengo che per essere alternativo e originale, basta così poco per distinguersi dalla massa, con la calma e l’educazione, ad esempio.

Ogni giorno della vita è unico, ma molte volte ho bisogno che accada qualcosa che mi tocchi per ricordarmelo. Certi giorni anche quando il cielo è coperto, il sole non è scomparso, lui è li ancora lì dall’altra parte delle nuvole. E allora certi giorni non importa se ottengo dei risultati o meno, se faccio bella figura o no, in fin dei conti l’essenziale della vita è qualcosa che non si vede, ma che percepisco con il cuore