Ristorante Oriente di Filia, EST! EST! EST! W la leva del 1958 – Come si possono. – Auguri mamma! – Pensieri da libri. – Solo l’essere umano colto è libero! – Il menabò. – Perché donare sangue?…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Che fine ha fatto la semplicità? Sembriamo tutti messi su un palcoscenico, e ci sentiamo tutti in dovere di dare spettacolo. Pensare che anche i più grandi progressi sono spesso figli di soluzioni semplici di problemi che sembravano inestricabilmente complicati.

Ristorante Oriente di Filia, EST! EST! EST! W la leva del 1958!
Sono stato a mangiare sabato 30 aprile 2016 al ristorante Oriente, Filia, Strada Castelnuovo Nigra nc 28 a Castellamonte. Sono già stato altre volte e tutte le volte trovo come con leggera semplicità riesce sempre a fare gustare dei cibi di altà qualità in un ambiente amabile. Come riesce sempre piacevolmente a stupirmi la qualità del cibo ad una rivisitazione attenta dei piatti della tradizione locale, ad una raffinatezza delle pietanze e ad estrosità della composizione e dei gusti. Si punta tutto su buon cibo e mi viene sempre voglia di tornare. L’atmosfera è intima, mi fa sentire coccolato. La gentilezza del personale è estrema. Il costo giusto e proporzionato. Oggigiorno un un errore diffuso è pensare che il semplice sia facile, il complesso difficile. Molto spesso è vero il contrario. Lo diceva anche Ovidio duemila anni fa. “La semplicità, è cosa rarissima ai nostri tempi”. Ogni tanto, nelle esperienze della nostra vita, incontro persone “semplici” che sono molto più intelligenti di tanti cosiddetti “intellettuali. Questo mi è successo sabato sera con la cena dei coscritti del 1958 di Favria che questo anno siamo arrivati a 58 ani di età. La festa dei coscritti è una tradizione molto sentita e affermata nelle nostre piccole Comunità. In origine rappresentava il passaggio all’età adulta, una tappa che segnava tutti i giovani ragazzi che potevano finalmente entrare di diritto nella società civile. Ora è un momento di festa, anche se abitiamo quasi tutti a Favria è un momento di riannodare i fili della memoria. Ma mai come quest’anno avevo capito l’emozione e la gioia che trasmette questa festa, e la fortuna che abbiamo a saperla mantenere viva, continuando a “tramandarla” alle nuove generazioni, nominando ogni anno i due priori a cui l’onore di organizzare la festa per l’anno successivo. E vi assicuro che non è solo un momento di svago, di divertimento, di bevute e risate. E’ molto molto di più. Percepire le loro emozioni, perché ce ne hanno trasmesse davvero tante, in discorso, ricordo, canto, pranzo o cena trascorsi insieme. Serate uniche, pazzesche, dove il lato più “bambino” di tutti noi è potuto mostrarsi in tutta la sua semplicità. Le amicizie si risaldano, il tempo si ferma e si ritrova quella sintonia nata da tanti anni di scuola insieme o come il sottoscritto che è immigrato di trentanni di vita favriese. A tutti Voi va il mio grazie, avete emozionato il mio animo. Grazie per avermi fatto ricordare quanto è bella la nostra età, così spontanea nonostante le rughe dell’esperienza della vita lavorativa e della vita quotidiana
Favria, 5.05.2016 Giorgio Cortese

Come si possono…
“Come si possono comprare, il cielo e il calore della terra?” questa domanda veniva fatta dal capo indiano Sealth della tribù Suwamish scrisse nel 1854 al grande “Capo bianco” a Washington. Se rifletto bene se non possiedo la freschezza dell’aria e lo scintillio dell’acqua, come posso acquistarli? Che il territorio sia la ricchezza fondamentale dell’uomo è una verità millenaria, ma perché spesso ce ne dimentichiamo? La lettera la trovo di straordinaria attualità, le idee dominanti del potere e dell’economia, nel secolo scorso, hanno ridotto la terra ad un bene di consumo, da sfruttare indefinitamente, fino al suo esaurimento. Nella nostra società viaggiamo con i sentimenti su di un pendolo tra ambientalismo estremo e rapina della terra, e dimentichiamo che la terra è fonte di ricchezza per tutti e per le future generazioni. La terra ha sempre dato senza mai chiedere nulla in cambio, ma fino a quando? L’invivibilità delle città, il buco nell’ozono e le sanguinose vicende terroristiche, sembrano fenomeni assai diversi, ma hanno tutti la stessa matrice, il controllo e il consumo della terra e dell’acqua per il massimo profitto monetario. Le idee dominanti nella nostra società, crescita, efficienza, controllo, hanno portato a misurare ed esaltare la terra nel suo valore monetario. La terra è un bene primario per la produzione, e non è riproducibile, ed è da ottusi consumare qualcosa che non si è in grado di produrre. Il territorio può essere concepito come un soggetto produttore complesso, costituito da elementi materiali e fattori immateriali. I primi sono dati in natura, le montagne, le valli, le pianure, l’acqua, l’aria, o costruiti da noi esseri umani, le strade, i ponti, le macchine, le comunicazioni, mentre i secondi, considerati di tipo immateriale, costituiti dal nostro umano sapere, intendendo ilo sapere fare la la cultura, la conoscenza. Come si vede il territorio è un insieme inseparabile di tutto ciò, ma la furia cieca del profitto ha spesso distrutto i fattori immateriali. Per brevità dirò che senza il sapere degli umani, gran parte degli elementi materiali sono inutilizzabili a fini di sviluppo, ma ciò non ha impedito di usarli intensamente per la crescita finanziaria, il che non è la stessa cosa. Ci son voluti ben 139 anni per interpretare il messaggio del Capo Indiano Sealt, ma, in tutta sincerità, abbiamo ancora dubbi che sia stato capito davvero nel suo significato profondo. I dubbi generano nella nostra vita quotidiana, quando ci sentiamo definire “clienti”, “consumatori”, “fornitori”, “prestatori d’opera”; … tutte definizioni asettiche, che separano l’umanità dai suoi saperi e dalla sua intelligenza e tendono ad un modello di “efficienza finanziaria” elevato a stile di vita. In questa ottica, volendo tornare al territorio, poco importa se i prodotti della terra siano salubri e nutrienti, poco importa se per sfruttare la rendita fondiaria di un suolo si devia un fiume o si costruisce in ambienti a rischio idrogeologico, poco importa se l’inquinamento e la guerra uccidono persone innocenti. Se il “risultato atteso” è l’efficienza finanziaria, il “Dio degli uomini”, qualunque esso sia, cede alla forza selvaggia del dio-denaro. Se intendiamo l’efficienza come efficacia nel raggiungimento di obiettivi di Sviluppo Umano, dovremmo tutti convenire che il liberismo selvaggio ha portato ad una crisi di sistema. Non è una crisi di passaggio, è una crisi strutturale che ci porta a ragionare sui fondamenti dell’economia, a riconsiderare i modelli che, sin ora, ci hanno influenzato negativamente, ad esempio l’idea di poter accumulare denaro con il denaro, trascurando del tutto il valore del lavoro e della produzione di beni e servizi di qualità. Credo che la sfida del nostro tempo sia di ridare senso alla parola “sviluppo” e, dunque, dare a ciascuno dei fattori materiali e immateriali, il giusto ruolo e il giusto riconoscimento nei processi di produzione, accumulo e distribuzione della ricchezza. In questa fase, probabilmente, andrebbero meglio considerati i fattori immateriali: i saperi, l’intelligenza, la passione, la creatività diffusa, la potenza delle nuove tecnologie di comunicazione, piuttosto che il loro “controllo”. Tale creativo ripensamento del territorio come risorsa, è una traccia di lavoro di più ampie suggestioni, suggerisce nuovi paradigmi per lo sviluppo, sollecita gli uomini e le donne a concepire il lavoro come prodotto non separato dalla loro intelligenza, come fattore di emancipazione sociale ed economica. È triste doverlo dire. Avremmo dovuto meglio ascoltare quanto ci ha detto il Capo Indiano Sealth tanti anni fa. Forse avremmo imparato a possedere la freschezza dell’aria e il baluginio dell’acqua … ma non è mai troppo tardi.
Favria, 5.05.2016 Giorgio Cortese

Nella vita tutto scorre, anche se all’apparenza nulla si muove.

Auguri mamma!
Auguri a Te mamma che non ci sei più, ma sei presente nella Tua assenza. A Te che non puoi darmi più il bacio della sera, però mi accogli nel Tuo abbraccio d’amore. Un pensiero a tutte le mamme del mondo da figli che spesso non fanno ritorno! Una riconoscenza a tutte le mamme della terra che ogni giorno combattono la quotidiana guerra! Non esiste in tutto il mondo una parola più bella, più dolce e più chiara come quella della “mamma”. È lei l’altare su cui si possano tutti i nostri cuori. È Lei la vita eterna, che non muore mai. Auguri a Te mamma e a tutte le mamme del mondo con tutto il mio cuore.
Favria, 8.05.2016 Giorgio Cortese

Pensieri da libri.
L’altro giorno in biblioteca un libro si pavoneggiava in pubblico e pensava di sé: “Sono proprio un best seller!” in un altro scaffale un libro aveva un’idea fissa nel frontespizio: restare in bianco. Nell’ultima sala della biblioteca un libro fuori allenamento arrivò a piè di pagina e prese fiato. Un libro di poesia perse la licenza e andò fuori commercio. Un altro libro esaurito fu rilegato d’urgenza e un libretto indolente e sfaccendato rispondeva sempre ai genitori, alzando le spalle: “Menabò!” Quando la biblioteca chiude un libro incontra un altro libro che nessuno aveva mai letto fino ad allora, e osservandolo bene, dall’alto in basso della costola con un un’aria di sufficienza, gli dice: “Che intonso sei!” . E al fondo dell’ultima pagina un libro ebbe un brutto presentimento: sentì avvicinarsi la “fine”.
Giorgio Cortese 9.05.2016 Giorgio Cortese

Ammetto la mia colpa ho assassinato un libro in modo atroce divorandolo in una notto e ho lasciato il suo scheletro abbandonato nella trama di un romanzo.

Solo l’essere umano colto è libero!
Nella cultura non si dà ricetta: ma, poiché la cultura non è l’erudizione, cultura diviene solo quella che, entrando a far parte della conoscenza, accresce la coscienza. Questa frase è del senese Cesare Brandi 1906-1988, ho trovato questa frase trai miei appunti tratto una rivista letta diverso tempo addietro. Non conosco questo autore, e dai dati che ho reperito è stato uno storico dell’arte, critico d’arte. Mi ha molto colpito questa frase che mi fa pensare al ruolo della cultura e cosa è la cultura. Ritengo che tutti chi più, chi meno hanno fatto degli studi, letto e ascoltato delle persone dotate di media o grande cultura. Personalmente io ho incontrato ed ascoltato obtorto collo, per educazione, degli eruditi altezzosi, incapaci di comunicare quello che sapevano, ma ho avuto la fortuna di incontrare insegnati e persone comuni con la passione nell’animo, per trasmettere la loro conoscenza. Questo mi fa pensare che essere colto non vuole dire essere sapiente, la vera Cultura è possibile a tutti, nessuno si deve sentire scartato, ma solo che ci sono dei livelli differenti. La cultura non è ammasso di dati, come certe persone cercano di propinare pensandoci simili alle oche di Strasburgo. La cultura, quella vera è la mobilitazione della conoscenza che è simile a un campo fertile che attende di essere seminato e sfruttato per dare maggiori frutti alla società. Il famoso filosofo greco, vissuto a Roma, Epitteto nelle sue Dissertazioni affermava che “solo l’uomo colto è libero”. È per questo che le dittature tengono i sudditi nell’ignoranza. Non per nulla Hermann Goering, gerarca nazista, affermava: “Quando sento qualcuno parlare di cultura, la mano mi corre al revolver!”. Oggi anche se siamo in uno stato libero, molti sono i condizionamenti, televisione, pubblicità, moda, che vogliono costringerci aa avere solo poche idee, le loro, ed essere superficiali per impedirci di comprendere veramente e di giudicare. Insomma il mio è un sincero appello alla coscienza perché ci attrezziamo a giudicare, e a scavare in profondità nelle tematiche che ogni giorno affrontiamo per amore della conoscenza.
Favria, 10.05.2016 Giorgio Cortese

Nella vita ogni persona che incontro ha paura di qualcosa, ama qualcosa e ha perso qualcosa e allora se non posso essere intelligente posso essere sempre gentile

Il menabò.
Leggendo una rivista mi sono imbattuto in questa parola. Il lemma Menabò deriva da un’’espressione gergale lombarda dei tipografi mena bò,mena i buoi, con allusione alla funzione di traccia del lavoro. In tipografia, modello di un lavoro di stampa, fatto incollando su fogli, muniti di riquadrature corrispondenti all’esatta giustezza e altezza delle colonne e pagine, le bozze di stampa ritagliate e gli stamponi delle illustrazioni. Secondo altri il lemma menabò significa “augurio” o “che il giorno sia buono. In inglese si scrive dummy o layout. Generalmente è diviso in 6 colonne, strisce verticali, ma non si tratta di una regola assoluta. Se parliamo di quotidiano o bollettino non dobbiamo dimenticare il timone che è il complesso, in forma schematica, delle pagine previste per il giornale. Comprende anche gli spazi destinati alla pubblicità e ai redazionali. In quanto successione di tutti i menabò, cambia ogni giorno, anche a seconda degli avvenimenti che si sono verificati e della pubblicità da inserire. Per i tipografi, esiste un metro specifico per ogni battuta, che è l’unità di misura della lunghezza del pezzo. In genere indica le lettere. Battutometro: si riferisce ad una corrispondenza tra un certo numero di moduli e un certo numero di battute. L’unità di misura è il punto tipografico o punto Didot (dal nome del tipografo francese che lo stabilì nel Settecento, Firmin Didot). Tale unità corrisponde a poco meno di 0,376 mm, nei Paesi anglosassoni a 0,352 mm. Il punto è anche chiamato “piccola unità tipografica”, in virtù del fatto che esiste la “grande unità tipografica” o riga, corrispondente a 12 punti. Con il termine corpo si definiscono le dimensioni del testo espresse in punti tipografici. Ad esempio, corpo 12 equivale a 12 x 0.376 mm. Il menabò è affidato al capo servizio, responsabile di una unità operativa del giornale (dell’attualità, per esempio), mentre il timone al redattore capo, il giornalista che tecnicamente dirige il giornale dietro indicazione del direttore. Nella pratica, ogni mattina il capo servizio mette insieme i vari menabò concernenti il settore di cui è responsabile, e li divide tra i giornalisti a lui subordinati. Il giornalista è tenuto al rispetto del menabò. Il documentarmi sulla parola menabò e sul suo uso in tipografia mi fa riflettere che siamo circondati da lettere ovunque, esse fanno parte del nostro paesaggio e della nostra vita. La tipografia è qualcosa di quotidiano e di uso comune. Infatti, proprio in questo momento, e proprio come le scarpe sono progettate per farci camminare ed andare lontano i caratteri tipografici ci servono per leggere dei testi lunghi, o dei brevi saggi come questo, perché dopo il linguaggio e la fotografia la tipografia altro non è che uno strumento, un veicolo di trasmissione dei pensieri e, spesso, di evocazione di sensazioni e sentimenti.
Favria 11.05.2016

Ricordati che Ti sorriderò ogni volta che con rabbia mi guarderai. Ti sorriderò ad ogni mossa che muoverai contro di me. Ti sorriderò quando l’invidia ti divorerà perché non riuscirà a far morire nemmeno una briciola di me. Ti sorriderò compiaciuto il giorno in cui ti vedrò cadere sommerso dai tuoi errori. Tranquillo Ti perdono ma umanamente non dimentico e vivo con l’animo sereno

Perché donare sangue ?
Una domanda semplice, che può percorrere la mente e le sue vie neurali per incontrare il prossimo. Donare sangue potrebbe essere un modo per guardarsi attorno oltre il proprio ego. Potrebbe essere un modo per rendersi conto che accanto a noi, nella realtà quotidiana, nella comunità dove viviamo, nel nostro normale vivere, nel complesso quotidiano che tutti noi avvolge, ci possano essere persone in “difficoltà” nel loro stato di salute e che abbisognano di un po’ d’ attenzione. Noi tutti viviamo ed apparteniamo alla società umana detta anche comunità civile; ne facciamo parte sia come persone sia come individui, pertanto essendo noi tutti persone, abbiamo oltre a diritti anche doveri morali ed etici, come la solidarietà verso chi soffre. L’ attuale società umana subissata com’è da innumerevoli apparenti necessità, riesce in modo falsato ed ambiguo, ma incessante a nascondere realtà difficili a noi vicine, distraendoci ed allontanandoci dalla presa di coscienza di avere anche doveri morali verso chi chiede solo un po’ di attenzione. Guardarsi attorno, essere un po’ altruisti, perché nell’ altro c’è sempre qualcosa anche di noi; prestare attenzione a chi soffre può essere una forma attiva di partecipazione e di solidarietà che richiede poco del nostro tempo, ma ci fa sentire utili verso chi nel dolore cerca aiuto, magari con un fil di voce. Donare sangue, richiede apertura d’ animo, mente aperta, richiede di mettere a lato l’egoismo che a volte invade le nostre giornate e ci avvolge come una nefasta quanto inutile aura di protezione dall’ altro, inteso come qualcosa che non ci appartiene e trovare banali scuse dove nascondersi; richiede disponibilità e poco tempo ricavato dal nostro quotidiano, ma senz’ altro una grande soddisfazione per aver potuto aiutare non a parole, ma con i fatti, persone sofferenti.
Ps Vi aspettiamo venerdì 13 maggio, cortile interno del Comune ore 8-11,00 Favria
Favria 12.05-2016 Giorgio Cortese

La semplicità e la verità sono le sole cose che contano veramente, vengono da dentro e non si possono fingere