Ronco: il Monveso di Forzo candidato a diventare una “montagna sacra”? a cura di Marino Pasqualone

Ma in valle Soana c’e’ chi critica questa proposta

( da IL RISVEGLIO POPOLARE del 9 dicembre 2021 )
RONCO CANAVESE – Il prossimo anno il Parco Nazionale del Gran Paradiso festeggerà il centenario della sua istituzione e, tra le iniziative che si stanno allestendo per ricordare questo prestigioso anniversario, sta facendo discutere quella che vorrebbe portare all’istituzione di una “Montagna sacra”, cioè di una cima da cui gli alpinisti ed i frequentatori del Parco dovrebbero “astenersi” d’ora in poi dal salire in vetta.
E, tra le numerose montagne che compongono il massiccio del Gran Paradiso, i promotori dell’iniziativa, tra cui vi sono il consigliere dell’Ente Parco Toni Farina e l’ex-direttore del Pngp Antonio Mingozzi, hanno prescelto il Monveso di Forzo, un’elegante piramide di 3 mila e 332 metri che si eleva sullo spartiacque tra la Valle di Forzo (vallone laterale della Valle Soana) e quella di Cogne, e che unisce quindi idealmente il versante canavesano e quello valdostano del Parco.
Si tratta, per la verità, di un’idea del tutto nuova per le Alpi e, più in generale, per il nostro mondo occidentale, mentre esempi del genere, intesi però in senso religioso, sono presenti in oriente ad esempio nel Nepal, in Cina ed in Australia (Ayers Rock o Uluru per gli aborigeni), anche se nel caso del Monveso di Forzo a prevalere sarebbe invece l’aspetto “laico” di una cima che, almeno nelle intenzioni del comitato promotore, dovrebbe di fatto diventare “inaccessibile” alla presenza umana.
A quanto è dato di sapere non si parla di divieti ed eventuali sanzioni per chi, comunque, dovesse salire in futuro la proclamata “Montagna sacra”, ma più di un progetto ed una scelta che gli ideatori si augurano verrà condivisa e rispettata dai frequentatori di quest’angolo bellissimo ma poco conosciuto delle montagne del Parco, che potrà essere valorizzato anche da nuovi itinerari da creare intorno al Monveso di Forzo.
Il progetto, forse ancora poco noto agli stessi abitanti della Valle Soana, ha già raccolto le adesioni di alcune centinaia di persone, però da qualcuno viene visto come una sorta di imposizione calata dall’alto e lontana dalle tradizioni e dalla sensibilità di chi, in queste valli e montagne, ha disegnato e disegna la sua vita quotidiana.
Tra questi è uscito decisamente allo scoperto il giovane valligiano Loris Lonati, che proprio ai piedi della futura “Montagna sacra” vive tutto l’anno nel villaggio di Forzo, e che queste montagne ama e frequenta da sempre anche da valente alpinista: “Il messaggio che si vuole trasmettere è sublime, meno performance e più spirito, sono il primo a essere d’accordo – scrive infatti Loris in un post pubblicato su Facebook – ma allora andiamo a farlo dove si vive di performance, dove c’è un turismo e un tipo di alpinismo nocivo per la montagna stessa, non venite a imporre purezza in un luogo già di per sé puro”.
Se davvero il Monveso di Forzo dovesse diventare, almeno idealmente, “off limits” per tutti, Loris si chiede “ Perché un povero alpinista amante delle nostre montagne, dovrebbe essere “linciato” dalla folla per esser salito su questa montagna, e criticato magari dagli stessi che prendono una seggiovia o una funivia per scalare qualche quattromila? Ma poi, perché dovremmo introdurre una cultura orientale nelle nostre montagne? Abbiamo bisogno di imitare o di copiare? Non abbiamo già dei posti e una tradizione unica?”.
“ Forzo è un luogo sacro, cinquant’anni fa poteva sembrare un posto “sfigato” perché non ha subito il boom economico, ma, oggi, il fatto che da noi il territorio sia rimasto puro e intatto rappresenta il suo più grande pregio – scrive ancora Loris nel commentare l’iniziativa – Amé Gorret stesso diceva, 150 anni fa, che se si porta la città in montagna potrebbe non esser piacevole per il cittadino che la visita; ebbene noi oggi siamo una delle poche valli dove la montagna vera esiste ancora, e tutti coloro che la rispettano e ne apprezzano queste qualità sono i benvenuti”.
Se ci è concessa una riflessione finale, è probabile che anche sulle nostre montagne ormai i luoghi “sacri”, creati nei secoli dalla religiosità popolare e dalle tradizioni della civiltà alpina, non bastino più a soddisfare una fagocitante modernità, che prima tutto dissacra e poi vuole ricreare artificialmente nuovi luoghi di culto e pellegrinaggio “laico” al loro posto, che siano oggi una “panchina gigante” o domani una “montagna sacra”.
Però, più che alle moderne trovate di marketing pubblicitario, che pure potrebbero anche avere la loro utilità dal punto di vista del richiamo turistico, restiamo dell’idea che chi ama la montagna dovrebbe puntare maggiormente alla valorizzazione di quanto intere generazioni di montanari hanno saputo costruire con il loro ingegno e le loro mani nude, in un’epopea di antropizzazione degli spazi alpini che nulla avrebbe da invidiare alla celebrata “conquista del West”.
Un patrimonio prezioso ma fragilissimo che oggi, nelle valli Orco e Soana come altrove, sta andando in malora nell’indifferenza di tutti, nel silenzio dei valloni e nei villaggi abbandonati di quella che lo scrittore Mauro Corona ha genialmente definito come “la montagna dove non nevica firmato”.
Marino Pasqualone