Stralciare la sermenta: poè! – La memoria è un presente che non finisce mai di passare. – Il Savoiardo. – I pennuti! – Ij di dla merla – L’orso nel mito della civiltà contadina…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Stralciare la sermenta: poè!
Devo iniziare a potare gli alberi da frutta,  prima la potatura la facevo con mio papà, da

qualche anno tocca a me. Ritengo che potare sia una delle cose più difficili, non certo tagliare che è semplicissimo, ma potare bene ti consente di avere un buon raccolto l’anno dopo, se poti male potresti non raccogliere nulla, e questo capita al sottoscritto. Oggi pensavo alla sermenta che in piemontese è il tralcio di vite potato e ripiegato come legna da ardere dopo essere stato legato con altri in una fascina. La sermenta per estensione sono tutti i tami di alberi potati. La parola deriva dal latino sarmentum, ramoscello, tralcio di vite potato. Della stessa parola in latino abbiamo la parola sarpere, che significa potare, la sarmenta in italiano si dice sarmento, in francese sarment, occitano sarmen, catalano sarment, spagnolo sarmiento e portoghese sarmento. Riflettendo sulla parola tralcio mentre potavo, ecco il verbo stralciare che in origine significava appunto potare le viti tagliandone i tralci, ma anche separare un elemento da un insieme. Dal dizionario consultato alla sera apprendo che l’etimologia composto da una s- privativa e da tralcio, derivato del latino traducere trasportare, trapiantare. Come si vede il significato concreto di questa parola è cristallino, stralciare significa in primis tagliare i tralci della vite. Fin qui niente di complicato. Ma astraendo questa semplice azione si può tratteggiare uno stralciare che sia, in generale, il togliere un elemento da un insieme per esaminarlo o di eliminarlo. Insomma da una lista di candidati si possono stralciare i nomi di chi abbia già esperienza nel settore oppure quando muore un grande scrittore ecco sui social viene condiviso una frase stralciata da una sua poesia o romanzo. E qui arrivo all’ultima parola, poé, potare e da li abbiamo in piemontese la parola poerin roncola potaoio o se la roncola è grande si dice poiress o poiras, che deriva dal latino putare, potare. Mi viene il dubbio, subito fugato che potabile intesa che si può bere senza pericolo per la salute, derivi dalla stessa parola latina che ha generato la parola italiana potare Ma poi pensandoci bene sono simili ma non uguali e hanno origini diverse. La voce di origine latina potabile è una voce dotta del Seicento, non si è limitata all’uso che nella stragrande maggioranza dei casi ne facciamo oggi, quello riferito all’acqua ma anche al vino non potabile perché sono imbevibili o il libro acquistato che leggo con piacere. Invece il lemma potare usato per indicare l’operazione compiuta nel frutteto deriva dal latino putar, e qui la sorpresa, esattamente quel verbo che conosciamo oggi coi significati di ritenere, pensare, che sta alla base di reputare, deputare, computare, disputare e via dicendo. In questo verbo latino il significato di ripulire, tagliare, quel potare che mi riferivo all’inizio. Si tratta quindi di un pensare, come questa riflessione, che scaturisce dal potare. Dopotutto quando penso, scelgo, calcolo, e non faccio qualcosa di diverso dal tagliare, dal cernere. Tornando al potare gli alberi da frutta, per ogni albero bisogna sapere quali sono i rami che fruttificheranno l’anno successivo e allora oggi mentre potavo ho pensato che questo vale anche per la mia vita, ogni tanto sarebbe importante sfoltire, eliminare, e capire quali sono i rami che continueranno a farmi fruttificare. Nella vita arriva un momento che bisogna iniziare a potare, togliere, eliminare, sfoltire, è solo per il mio bene, certo come nelle piante è importante sapere cosa bisogna eliminare. Quello che mi pare di vedere, che ci sono alcuni che non sono disposti a togliere niente ed altre persone che nello sfoltire per fare prima tagliano direttamente il tronco. Ecco, non sono un grande esperto, ma direi che non è cosa ne saggia ne buona e neanche giusta e scusate se Vi ho tediato con questa piccola riflessione

Buona giornata. Nella vita quotidiana perdere il passato significa perdere il futuro, la dimenticanza è sciagura, mentre memoria è riscatto. Felice mercoledì. .

Viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo a Favria VENERDI’ 4 FEBBRAIO 2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

La memoria è un presente che non finisce mai di passare.

La memoria è determinante perché gli esseri umani che non hanno memoria sono poveri di umanità.

La memoria arricchisce la vita,  permette di fare confronti e dà  possibilità di pensare ad errori o cose giuste fatte. Non si tratta di un esame di coscienza, ma di qualche cosa che va al di là, perché con la memoria si possono fare dei bilanci, delle considerazioni, delle scelte. Intendo come memoria non ricordare solo la scadenza di una data, ma qualche cosa di più, che dà molto valore alla vita.

Ogni al 27 gennaio dobbiamo tutti dire forte: “mai più!” perché il mostro della disumanità potrebbe ancora rinascere.

Ma oggi il  27 gennaio, Giorno della Memoria, per evitare che diventi quasi un esercizio retorico, ricordare la Shoah vuol dire anche capire cosa accadde in Germania  e in Europa negli anni Trenta del Novecento, dal punto di vista storico, solo così la Shoah è utile perché il mostro dell’ignoranza e dell’indifferenza è sempre in agguato.

Oggi tutti sappiamo che riprodurre le condizioni di quell’orrore è purtroppo possibile se non si sorveglia costantemente. Se non ci si trasforma in intransigenti guardiani della democrazia e del rispetto dei diritti umani.

Ricordare e commemorare le vittime della Shoah non significa affatto trascurare altri genocidi, né tantomeno stabilire inutili priorità tra stermini e dolori di un popolo piuttosto che di altri popoli.

Il giorno della memoria  non è solo un omaggio alle vittime, ma  un riconoscimento pubblico e collettivo di un fatto particolarmente grave di cui l’Europa è stata capace, e a cui l’Italia ha attivamente collaborato.

Purtroppo i negazionisti dell’Olocausto, sono sempre in agguato, e il pericolo più grande è che, dopo la scomparsa degli ultimi sopravvissuti-testimoni, si faccia strada un oblio generalizzato, magari lasciando spazio a teorie infamanti, alimentate da una diffusa, e da alcuni voluta, ignoranza.

Con l’obiettivo di cancellare una delle pagine più terribili della storia dell’umanità: l’annientamento di sei milioni di ebrei.

Colpevoli di un solo crimine: appunto, di essere ebrei.

La memoria sulla shoah non riguarda solo il popolo ebraico, ma l’intera umanità, perché da questi avvenimenti si possono trarre insegnamenti.

La  memoria è un presente che non finisce mai di passare e tiene lontana l’indifferente ignoranza.

Favria,  27.01.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana la memoria non è ciò che ricordiamo, ma ciò che ci ricorda. La memoria è un presente che non finisce mai di passare. Felice giovedì.

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Il Savoiardo,

ammetto che spesso e volentieri cedo alle tentazione dei dolci.  La famosa dieta che si comincia di lunedì generalmente termina di domenica, per me nche prima e sempre con uno strappo alla regola, il dolce e per dolce intendo il tiramisù che si fa con un biscotto particolare, il savoiardo! Ma perché questo biscotto si chiama così? Il savoiardo si chiama così dal nome della famiglia Savoia,  o meglio della regione sotto il dominio della stessa: infatti letteralmente significa appunto originario della Savoia, ora appartenente alla Francia. I biscotti di Savoia furono creati nel  XIV secolo al tempo di Amedeo VI il Conte Verde che in occasione della visita alla corte sabauda dell’imperatore Carlo IV di Lussemburgo  nel 1358, richiese al cuoco un nuovo dolce. Il cuoco elaborò allora un nuovo tipo di biscotto dalla forma allungata con base di farina, zucchero, tuorli d’uovo e albumi montati, assai leggeri e digeribili. La ricetta venne presentata a banchetto e tutti ne rimasero estasiati tanto che presto divenne così famoso da essere molto ricercato, soprattutto dagli stessi membri della casa reale sabauda. Oggi il Savoiardo  è conosciuto in altri paesi europei sotto diverso nome: in Gran Bretagna lo si chiama Lady Finger,letteralmente dito di dama proprio per la sua somiglianza alle raffinate dita di una nobildonna, in Francia lo si chiama biscuit à la cuillère e cioè a forma di cucchiaio. Oggi i  Savoiardi sono conosciuti in tutte le regioni italiane che hanno subito l’influenza dei Savoia. Per tale motivo sono diffusissimi e tipici in Sardegna, dove venivano prodotti in passato nelle famiglie, con il nome anche di “pistoccus de caffè”, e dove tuttora fanno parte della tradizione dolciaria artigianale. Sono diffusi anche in Sicilia che fu sotto il dominio dei Savoia, per breve tempo nel Settecento, dove la ricetta è stata reinterpretata dalla tradizione pasticcera isolana[, in particolare a  Caltanisetta, dove vengono chiamati raffiolini e sono venduti insieme alla carta da forno. Il Savoiardo mantiene anche oggi una certa regalità perché mai si scompone ad un morso né perde il suo decoro zuccherino se lo si azzanna voracemente. Parrebbe comunque impossibile farlo dato che davanti a tanta maestà occorre tenere un certo comportamento di deferenza.

Favria 28.01.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. La gioia di ogni giorno è una sorpresa mai costruita, ma che è maturata con la nobiltà del tempo. Felice venerdì.

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I pennuti!

I mammiferi in genere si comportano in una maniera e gli uccelli hanno un modo di agire molto più semplice di quanto si pensi. Nuovi studi dimostrano che la nostra tradizionale idea di come gli uccelli comunicano, nutrono i piccoli, si corteggiano, in altre parole, di come vivono sia molto limitata. L’intelligenza alla base di queste attività e la presenza di comportamenti che una volta consideravamo unicamente nostri come mammiferi evoluti come l’inganno, la manipolazione, il rapimento, persino l’infanticidio, ma anche l’ingegnosa comunicazione tra specie diverse, la ricerca di cooperazione, l’altruismo e il gioco, sono tutti aspetti che gli studiosi stanno scoprendo e che stanno cambiando completamente la nostra percezione di quello che è veramente il mondo degli uccelli. I pennuti si sa grazie alla loro capacità di volare si sono potuti diffondere ovunque nel mondo, colonizzando quasi tutta la terra e anche i mari. Gli uccelli sono caratterizzati dal fatto di avere il corpo solo sostenuto dagli arti inferiori, mentre quelli anteriori si sono trasformate in ali, atte per quasi tutte le specie al volo, sono esclusi i pinguini e gli struzzi. Il loro corpo è ricoperto di piume che serve a trattenere il calore e penne che servono per mantenerli in volo. Gli uccelli a differenza dei mammiferi sono ovipari e alcune specie sono monogame. Quello che è interessante sono i processi  coscienti del cervello. Misurando i segnali cerebrali, un gruppo di specialisti in Germania ha dimostrato per la prima volta che dei passeriformi possiedono esperienze soggettive, che ha  permesso agli studiosi di vedere che alcuni corvidi studiati sono in grado di percepire consapevolmente gli input sensoriali. Fino ad ora questo tipo di coscienza era stato osservato solo negli esseri umani e in altri primati,  che hanno strutture cerebrali completamente diverse da quelle degli uccelli. La capacità di percepire le cose in modo cosciente negli uomini e nei primati è localizzata nella corteccia celebrale e per molto tempo la neuroscienza si è interrogata se gli animali con un cervello strutturato in modo completamente diverso, ovvero senza corteccia cerebrale, possano avere anch’essi una percezione cosciente. Per scoprire la presenza di processi coscienti nel cervello degli uccelli, gli scienziati di Tubinga, in Germania, hanno addestrato due corvi che dovevano segnalare se avevano visto uno stimolo su uno schermo muovendo la testa. La maggior parte degli stimoli erano percettivamente inequivocabili e i corvi segnalavano in modo coerente la presenza o l’assenza di questi stimoli.  Ripetendo l’esperimento con stimoli deboli, alla soglia della percezione, i corvi a volte indicavano di averlo visto, mentre in altri casi non reagivano allo stimolo con una percezione soggettiva. Mentre i corvi rispondevano agli stimoli visivi, i ricercatori registravano simultaneamente l’attività delle singole cellule nervose nel cervello rilevando che le cellule nervose erano influenzate dall’esperienza soggettiva, o più precisamente, producono esperienze soggettive. Questo significa che,  in termini di storia evolutiva, le origini della coscienza potrebbero essere molto più antiche e diffuse nel regno animale di quanto si non pensasse in precedenza e che la sua attività non è vincolata alla presenza della corteccia cerebrale. Interessante è leggere il libro di Jennifer Ackerman: “La vita segreta degli uccelli. Come amano, lavorano, giocano e pensano”. Edito La nave di Teseo nel 2021.  Parlando di pennuti mi viene in mente il passero, uccello molto comune che la presenza degli esseri umani ha modificato anche le sue abitudini, essendo una specie che si adatta facilmente ad ogni ambiente, ha modificato le proprie abitudini in funzione di quelle umane.  Nonostante tenda ad evitare le zone eccessivamente chiuse, come per esempio i boschi troppo fitti, il passero è stato in grado di colonizzare i più svariati ambienti anche a stretto contatto con noi umani al quale, se è alla ricerca di cibo, non disdegna di avvicinarsi. Una volta costruito il proprio nido, che raramente si trova tra i rami degli alberi, questo passeriforme è restio ad abbandonarlo proprio per la sua caratteristica di uccello stanziale. In alcuni casi però, possono avvenire degli spostamenti più o meno rilevanti come, per esempio, lo spostamento dei giovani dal nido di nascita, da cui si allontanano, solitamente, solo di qualche chilometro; oppure, altro caso in cui possa verificarsi uno spostamento circoscritto, è quello in cui il passero decida di andarsene alla ricerca di luoghi più ricchi di cibo, seguendo quindi l’andamento dell’agricoltura e dei campi. Più rari sono i casi in cui, i piccoli stormi che abitano le regioni più settentrionali decidono di migrare alla ricerca di luoghi più caldi ed ospitali. Animale gregario, il passero tende a vivere in stormi di circa dieci esemplari, salvo alcune eccezioni in cui lo stormo raggiunge un numero considerevole di esemplari e la disgregazione dello stormo può avvenire, in modo più o meno accentuato, a seconda delle condizioni di vita come le condizioni ambientali o di quelle alimentari. Nel periodo riproduttivo, il maschio prepara diversi nidi e la femmina, attirata in uno dei nidi, vi deporrà dalle 4 alle 8 uova. La coppia rimarrà insieme per tutto il periodo riproduttivo anche se, in alcuni casi può verificarsi la poligamia e, più precisamente, sia la poliginia, un maschio con più femmine, sia la poliandria, una femmina con più maschi. I piccoli rimarranno assieme ai genitori fino al momento in cui non saranno in grado di provvedere autonomamente a sé stessi; da quel momento i giovani formeranno dei piccoli gruppi in cui si alimenteranno insieme. Progressivamente, questi gruppi si uniranno fino a formare uno stormo più numeroso e completamente autonomo. Che mondo straordinario quello dei pennuti che sono responsabili di almeno tre grandi maledizioni che colpiscono gli esseri umani. Ci hanno dato la voglia di arrampicarci sugli alberi, di volare e di cantare e poi quando volano in cielo pensiamo che ad ogni loro zampa  è legato il filo dell’infinito.

Favria, 29.01.2022   Giorgio Cortese

Buona giornata. Il valore di un’amicizia si manifesta nelle anime che hanno i colori dello stesso altruismo. Felice sabato

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Ij di dla merla

Secondo la tradizione i giorni 29,  30 e 31 gennaio,  sono  i giorni più freddi dell’inverno, detti i giorni della merla o, in piemontese “ij di dla merla”.  Secondo la tradizione se i giorni della merla saranno freddi, la primavera sarà bella, se saranno caldi, la primavera tarderà. Perché si chiamano così ci sono storie diverse e oggi ne racconto una leggermente diversa. In questa leggenda si parla di un cannone. In questa storia, narrata da Paolo o Pauli Sebastiano, nato il 4.11.1684 a Villa Basilica, in territorio lucchese, religioso in seno alla Congregazione dei Chierici regolari della Madre di Dio, insegnante di retorica nelle scuole della sua Congregazione, narra di un pesante cannone nero, per questo chiamato “la merla”, che alcuni soldati piemontesi dovevano spostare sull’altra riva del Po. Era gennaio, il fiume era in piena e la forte corrente impediva la costruzione di un ponte di barche che permettesse il trasbordo. Solo il gran freddo degli ultimi tre giorni di gennaio e l’impressionante gelata consentirono ai soldati di trascinare il pesante pezzo di artiglieria sul fiume ghiacciato fino all’altra sponda. Così, per ricordare l’impresa, divennero i giorni della merla. Lo stesso autore riportò anche un’altra ipotesi, secondo la quale un tempo una nobildonna di Caravaggio, dal cognome De Merli,  doveva attraversare il fiume per incontrare il futuro marito e vi riuscì solo in quei giorni, quando le acque erano gelate. Sicuramente la credenza non ha un fondamento scientifico sicuramente ma esiste un fondo di verità storica. Nel calendario romano infatti il mese di gennaio durava solo 29 giorni. oggi  Noi noi sappiamo che gennaio ha sempre 31 giorni mentre febbraio ne ha 28 o 29 nel caso dell’anno bisestile. In alcune zone in questi freddi giorni si accendevano falò  vicino ai sagrati delle chiese e poi dopo canti contadini e laude per l’imminente primavera. Interessante è questo antico canto  a Cremona sulle rive dell’Adda: “Trà la ruca ‘n més a l’éra/ Se gh’è nìgul se ‘nserena/ volilela volilà/ volì vola/ volì e volì e volela/…. Dove la credenza era che se non cantavano la Merla non facevano un buon raccolto di bozzoli, un rito  propiziatorio del cantare “La Merla” si è persa nei paesi, nelle campagne già alla fine degli anni trenta, legato al ciclo di  riti propiziatori d’inizio anno, il rito della Merla, costituisce  una  tappa fondamentale  del calendario contadino, era necessario assicurarsi il buon andamento dell’annata agricola ed in particolare  la riuscita dell’allevamento dei bachi da seta, un tempo primo prodotto dell’anno  e prima fonte di guadagno per la famiglia contadina.

Favria, 30.01.2022

Buona giornata. Il valore di un’amicizia si manifesta nelle anime che hanno i colori dello stesso altruismo. Felice sabato

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L’orso nel mito della civiltà contadina.

Il tempo  del carnevale è profondamente caratterizzato da maschere, una volta di animali che con la loro pubblica uscita nella comunità predicono il corso della nuova annata agraria, suggerendo al contadino una strategia da tenere circa i lavori agricoli. Il calendario festivo del Piemonte rurale è da sempre scandito da una vasta e complessa cerimoniali imperniata su usanze legate al risveglio della terra. In questo mondo, la luna era il più importante regolatore dei ritmi tradizionali, perché permetteva di stabilire con largo anticipo la natura dell’annata ventura consentendo di impostare il lavoro agricolo. L’orso carnevalesco andava in letargo ogni anno l’11 di novembre a San Martino che segnalava l’imminente arrivo della  stagione invernale. Il risveglio dell’orso era associato alla comparsa nel cielo della luna invernale che annuncia la Pasqua: in questa notte tra il 1 e il 2 febbraio, l’orso usciva dalla sua tana per osservare la posizione dell’argenteo astro nel cielo. In relazione alla fase lunare, decideva se tornare in letargo oppure uscirne definitivamente. Secondo un proverbio molto diffuso, se in questa notte fatidica il cielo è scuro, risveglio in luna nuova,  l’orso abbandonerà il suo giaciglio e quindi inizierà presto la primavera. Se  al contrario il cielo è chiaro, risveglio in luna piena, l’orso tornerà a dormire per quaranta giorni e la primavera tarderà ad arrivare. Ciò serviva al contadino per ricordare, di anno in anno, come interpretare la posizione della luna e quindi sapere se sarebbe stata un’annata favorevole, Pasqua alta o negativa, Pasqua bassa. Ma perché l’orso assume il ruolo di predire il risveglio della primavera, perché durante il freddo inverno trascorre in letargo sotto terra. Nella tradizione contadina tutti gli animali la cui ricomparsa o uscita dal letargo è legata all’avvicinarsi della primavera sono visti nel ruolo  di guida delle anime dei defunti. L’orso è dunque il conoscitore del mondo dei morti e delle relative divinità, e il suo letargo era interpretato come uno stato di quasi-morte stagionale da cui l’animale risorge, diventando un vero e proprio vincitore sulla morte. Per questo verso l’inizio  e la fine dell’inverno  erano anticamente percepiti con apprensione dalle comunità rurali, le quali credevano che le schiere dei morti tornassero a mescolarsi con i vivi. Ecco che il costume di travestirsi per identificarsi con queste schiere di anime riflette un’idea familiare, e cioè che per comunicare con i morti occorra diventare, almeno temporaneamente uno di essi. Questa tradizione sopravvive  ad esempio a Cortemilia (CN), sulle colline dell’Alta langa, con l’orso di piume  o a Valdieri con l’orso di segale, antichi  carnevali che hanno per  protagonista la trasformazione di un uomo in Orso, a simboleggiare il ritorno ad uno stato selvatico, di natura, a quella natura primordiale e misteriosa, generatrice di vita e sostentamento.

La figura mitica dell’orso, con varie declinazioni, di piume, di segale, di foglie di mais, o dell’uomo selvatico con tratti animaleschi è un leit motiv presente in molti carnevali tradizionali del territorio piemontese, ed il denominatore comune è sempre il legame con la terra, alla fine dell’inverno, celebrato dalla comunità rurale con un rito di fertilità e rinascita, in un momento culmine del calendario rituale contadino.

Favria, 31.01.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata.  Nelle vita un detto afferma che  bisogna bastare a sé stessi! Niente di più falso poiché ognuno di noi ha bisogno di qualcuno non solo quando piange, ma soprattutto quando si è allegri, perché si ama condividere l’euforia della gioia in compagnia. Felice lunedì