Agenore il fenicio. – Wilhelm Gustloff. – Porphyrios. – Febbraio. – Burkardusweck. – Carosello. – L’aurora boreale a Roma. – Il palo colorato del barbiere…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Agenore il fenicio. Re delle città fenicie Tiro e Sidone, nato da Poseidone, Nettuno, e

da Libia; il fratello gemello Belo regnò sull’Egitto, ed entrambi sono alternativamente considerati avi della punica Didone, per la tradizione latina, discendenti di Agenore sono Annibale, Asdrubale e tutto il popolo cartaginese. Da Agenore nacquero fra gli altri Fenice, Cadmo, Cílice ed Europa, incerto il nome della moglie, per la quale le fonti si riferiscono talvolta a Telefassa, talaltra a Argíope o Antíope. Durante la ricerca di Europa, rapita da Zeus, Giove, i figli di Agenore, inviati dal padre, fondarono colonie in ampia parte delle coste del Mediterraneo: avrebbero avuto cosí origine, in particolare, le popolazioni dei Fenici (Fenice), dei Tebani (Cadmo) e dei Cilici (Cilice). Il nome Agenore è attestato anche per altri personaggi del mito e della tradizione letteraria greca: un guerriero troiano figlio di Antènore (Iliade XXI 544-605), che affrontò Achille in combattimento, salvato poi da Apollo e portato in salvo dentro le mura di Ilio. Il re argivo padre del mostro Argo. Infine Agenore era uno dei figli di Fègeo che assassinarono a tradimento Alcmeone e furono a loro volta uccisi dai figli di quest’ultimo
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Wilhelm Gustloff

La più grande tragedia in mare in termine di vite umane il costo più alto non è legato all’incidente del Titanic del 1912, in cui persero la vita più di 1.500 persone. Meno celebre, ma con un bilancio delle vittime ancora più drammatico, fu l’affondamento della Wilhelm Gustloff, un transatlantico colpito da un sommergibile durante la Seconda guerra mondiale. La Wilhelm Gustloff era la nave passeggeri ammiraglia della compagnia tedesca Kraft durch Freude. Varata nel 1937, prendeva il nome da un politico tedesco assassinato l’anno precedente. La Wilhelm Gustloff era lunga più di 200 metri, per una stazza di 25.893 tonnellate e, arredata in maniera lussuosa, ospitò in diverse crociere la ricca borghesia tedesca. Tuttavia, negli anni precedenti lo scoppio della Seconda guerra mondiale e dopo l’inizio del conflitto, fu adibita al trasporto truppe, a caserma e anche a ospedale. Il 30 gennaio 1945 salpò dal porto di Gotenhafen, in Polonia, con un carico di oltre 10.000 persone fra ufficiali, militari, donne delle Unità Navali Ausiliarie, feriti e rifugiati. Alle 21:08, nelle pessime condizioni del Mar Baltico, un sommergibile russo intercettò la nave colpendola con tre siluri. In meno di un’ora, la Wilhelm Gustloff affondò portando con sé oltre 9.000 persone. Solo in 1.320 sopravvissero a quella che fino a oggi risulta la tragedia in mare con il maggior numero di vite umane perdute.

Favria, 30.01 2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita le tigri dell’ira sono son più sagge dei cavalli della sapienza. Felice martedì.

Porphyrios

Il Signore fece venire un gran pesce per inghiottire Giona: Giona rimase nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. Così la Bibbia racconta la vicenda di Giona finito nelle fauci di una spaventosa balena, eletta a simbolo del castigo divino per i peccatori. Il terrore delle popolazioni marine per le balene è antichissimo, metafora della lotta titanica contro le insidie del mare, che col suo fascino attira i naviganti e poi si scatena come una furia contro di loro. Le balene, nell’antichità e nel medioevo, rappresentavano gli animali più grandi e misteriosi che l’uomo avesse mai conosciuto. In secoli dove il pianeta era ancora un luogo misterioso popolato da animali sconosciuti, le balene, che apparivano improvvisamente tra le onde degli oceani, erano viste come dei veri e propri mostri, esattamente come quelli che popolavano miti e leggende. Non per niente questi enormi mammiferi appartengono all’ordine dei cetacei, dal greco ketos , che significa appunto mostro marino. Per tutti erano il simbolo della forza travolgente della natura e su di loro si raccontavano storie terrificanti, in ogni parte del mondo, dai mari della Cina a quelli norvegesi, dalle coste del Giappone allo Stretto di Bering, sino a quello di Magellano. Forse proprio uno di questi racconti potrebbe aver ispirato Melville per il suo libro Moby Dick. Nella “Historia de gentibus septentrionalibus”, datata 1555, l’arcivescovo svedese Olaus Magnus raccontava di una balenottera con la testa coronata di lance spinose e con il muso seghettato che affondava navi mercantili. Un altro esempio di questi mostri. Tra le leggende più antiche e diffuse c’è quella di Porphyrios, un mostro che nel VI secolo infestò per cinquant’anni le coste del Bosforo, seminando il terrore tra i marinai e mettendo in ginocchio la potente flotta bizantina. L’origine del nome è ancora oggi incerta: potrebbe derivare dal gigante Porfirio come riferimento alle grosse dimensioni della balena figlio della dea Gea. Altri invece pensano che si riferisse alla parola “porpora”, simbolo del trono imperiale, e servisse quindi a battezzarlo come “re dei mari”. A quel tempo regnava sull’impero romano d’Oriente il grande Giustiniano, a cui toccò il compito di fronteggiare la balena gigante, che metteva a rischio i pro􀣅cui commerci di Costantinopoli. Tra le diverse fonti che raccontano di questa vicenda, la più precisa e autorevole è quella di Procopio di Cesarea, secondo il quale tutto cominciò quando comparve un pesce così grande da oscurare il sole. Il mostro fu poi avvistato più volte nelle acque del Bosforo, lo stretto che separa il Mar Nero dal Mediterraneo. Appariva improvvisamente sollevandosi sulle onde e attaccava furiosamente ogni nave che incrociava, soprattutto quelle di piccole dimensioni, che sparivano tra le sue fauci. Pare che fosse lungo circa quattordici metri e larga più di quattro, dimensioni che in seguito a molti parvero inverosimili. Non si sa era una balena o un capodoglio, o forse un’orca. La cattiva fama di Porphyrios a condizionava negativamente i traffici marini. Quel mostro marino non era solo enorme, era anche molto astuto, si spostava continuamente fra l’Egeo, il Mar Nero e il Mar di Marmara, appariva e scompariva, spesso dopo aver affondato navigli di grande stazza. Non c’erano armi per opporsi ai suoi feroci assalti. Talvolta spariva per lunghi periodi, per poi riapparire improvvisamente, più aggressivo che mai. Un comportamento inconsueto per una balena o un capodoglio, il che aumentava la paura delle popolazioni delle coste bizantine, inducendole a pensare che fosse un mostro marino sconosciuto, primordiale, emerso dalle profondità dell’oceano. Nel VI secolo Costantinopoli non era un villaggio di pescatori ignoranti e superstiziosi, ma la capitale del più grande impero del mondo, erede di Roma. Eppure la sua flotta era incapace di eliminare questa balena che aveva fatto del Bosforo il suo territorio di caccia. Alcune navi sparivano con il loro carico e gli armatori stentavano a mettere insieme gli equipaggi, offrendo compensi fuori dalla norma perché i marinai avevano paura di imbarcarsi. E anche quelli che accettavano, appena prendevano il largo cadevano in preda al panico. Una situazione insostenibile, tanto che lo stesso imperatore, che ambiva a riconquistare l’occidente occupato dai barbari e riunificare l’impero romano, vedeva ormai come una sfida personale la guerra a Porphyrios, che minacciava l’economia dell’impero, mettendo in crisi la sua maggiore risorsa: i commerci. La flotta era uno strumento vitale per Costantinopoli, così come il suo traffico mercantile, che non poteva essere impedito da un animale, per quanto grosso potesse essere. Così, Giustiniano proclamò una vera e propria campagna militare contro Porphyrios, con navi inviate per ucciderlo o catturarlo. La balena però si rivelò un osso duro, dimostrandosi non solo aggressiva, ma anche furba: si spostava continuamente e spariva per lunghi periodi, per poi riapparire all’improvviso e attaccare le navi di passaggio, comprese quelle inviate per abbatterla. Più di una volta qualche nave si convinse di aver ucciso Porphyrios, ma dopo un po’ il “mostro” tornava a colpire, dimostrando che al suo posto probabilmente era stato ucciso un altro animale. Non c’è dubbio che tra gli equipaggi serpeggiasse una psicosi che faceva vedere Porphyrios in qualsiasi essere marino di grandi proporzioni. Questo, agli occhi della popolazione, rendeva la fama della balena ancora più temibile, come avvolta da un’aura di invincibilità. A un certo punto, di fronte all’impossibilità delle navi imperiali di distruggere Porphyrios, molti ritennero lo stesso Giustiniano incapace di risolvere la questione. Una spiegazione possibile, avanzata da molti, è che in quel periodo i mari di Costantinopoli fossero popolati da numerose balene di una specie particolarmente grande, rese aggressive dall’invasione del loro habitat di navi che davano loro la caccia. Va anche tenuto conto che, se le balene non vivono nel mare Mediterraneo, non si può escludere che uno o più esemplari provenienti dall’oceano fossero finiti in quelle acque. Quale che fosse la spiegazione della presenza di Porphyrios, dopo cinquant’anni passati a terrorizzare le acque di Costantinopoli il “mostro” trovò la morte, non per merito di una nave, ma per una fatalità. Mentre attraversava il passaggio tra il mar di Marmara e il mar Nero, probabilmente attratta da un branco di delfini, perse l’orientamento e si avvicinò troppo alla costa. Qui finì per spiaggiarsi, senza riuscire più a riprendere il largo. Il grande animale che aveva tenuto testa alla flotta imperiale e affondato tante navi, era ora intrappolato in pochi centimetri d’acqua dove gli era impossibile nuotare. Lottò disperatamente ma il suo grande corpo non riuscì a riprendere il largo, incapace di vincere le correnti che spingevano verso terra. La sua agonia non passò inosservata e la gente dei villaggi sulla costa accorse ad assistere all’insolito avvenimento, che annunciava la  fine di un incubo. E non mancò di accanirsi contro il “mostro”. In un primo momento cercarono di ucciderlo usando coltelli, bastoni, forconi e picconi, ma la balena aveva ancora la forza per respingere quegli assalti. Allora i suoi aguzzini ricorsero a un altro espediente: riuscirono a conficcare delle corde, grazie a degli uncini, sul corpo di Porphyrios, con le quali lo trainarono fuori dall’acqua, lasciandolo poi agonizzante sulla sabbia e sotto il sole. Quando il gigante marino restò senza vita tornarono e lo tagliarono a pezzi, che si spartirono per mangiarli o per conservarli come lugubri ricordi. Ammesso che quello fosse il leggendario Porphyrios, moriva così uno dei più temuti nemici mai affrontati da Costantinopoli e cessava il terrore dei naviganti.

Favria, 31.01.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Se la sofferenza conducesse alla sapienza, lo studio del dentista sarebbe pieno di idee luminose. Felice mercoledì.

Febbraio.

Febbraio è il secondo mese dell’anno nel calendario gregoriano, quello che da ormai più di quattrocento anni usiamo in Italia e in molti paesi del mondo. È un mese ancora di pieno inverno, anche se iniziano a farsi sentire alcuni segni di risveglio, e l’allungamento delle giornate nell’emisfero settentrionale si fa sempre più evidente. Febbraio è anche il mese più corto dell’anno: dura 28 giorni, ogni quattro anni come quest’anno è di 29 giorni in quanto anno bisestile.  Ogni quattro anni però, negli anni bisestili, la sua durata è di 29 giorni, per rimediare all’errore che altrimenti accumulerebbe l’anno civile. Il nome febbraio viene dal latino februarius, derivato di februus che significa “purificante”. Nell’antico calendario romano era infatti il mese destinato alla purificazione. Durante questo mese si celebravano i Lupercali, con i rituali di purificazione. Nell’antica Roma il calendario era un po’ diverso da quello che usiamo oggi. Inizialmente prevedeva solo dieci mesi, iniziava a marzo e terminava a dicembre, basandosi sui cicli lunari e le stagioni. Aveva sei mesi dalla durata di 30 giorni e quattro mesi dalla durata di 31 giorni. In totale durava 304 giorni. Nel 46 a.C. Giulio Cesare introduce una importantissima riforma del calendario, che diventa praticamente uguale a quello che usiamo ancora oggi, il nostro calendario ha quindi più di duemila anni.  Questo calendario venne realizzato dall’astronomo greco Sosigene di Alessandria, che era stato presentato a Cesare dalla celebre regina egizia Cleopatra. A partire dalla riforma giuliana del calendario, introdotta da Giulio Cesare nel 46 a.C., venne eliminato il mese intercalare, mercedonio, e la durata dell’anno si allinea a quella dell’anno solare: 365 giorni. Per rimediare al fatto che in realtà l’anno solare dura 365 giorni, 5 ore e 48 minuti, la riforma giuliana introdusse anche gli anni bisestili di 366 giorni, uno ogni quattro anni.  Febbraio diventò il secondo mese dell’anno, con 28 giorni, che diventavano 29 negli anni bisestili, proprio come oggi. Un’altra curiosità è che il mese di luglio, fino ad allora il mese di Quintilis, quinto dell’anno,  viene dedicato a Julius, il nome proprio di Giulio Cesare in latino, dando il nome all’attuale mese di luglio, che in spagnolo si chiama julio, in francese juillet, in rumeno iulie, in portoghese julho, e che conserva quella radice anche nell’inglese july e nel tedesco july.Poco tempo dopo anche il primo imperatore romano, Ottaviano Augusto, avrebbe avuto il suo mese: il mese di agosto, un tempo sextilis.  Una nuova importante modifica del calendario è avvenuta nel 1582, con la riforma gregoriana del papa Gregorio XIII. Oggi il calendario che usiamo è il calendario gregoriano, che ha mantenuto praticamente le stesse caratteristiche di quello giuliano, aggiungendo però una importante correzione sugli anni bisestili: sono bisestili gli anni divisibili per quattro, ma tra gli anni secolari sono bisestili solo quelli divisibili per 400. L’altra grande correzione riguardò invece il mese di ottobre del 1582, dal quale vennero eliminati di colpo ben dieci giorni, per rimediare all’errore che era andato accumulandosi per la differenza tra anno solare e anno giuliano.

Favria, 1.02.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. A febbraio tutto pare di cristallo, tutto brilla, volano i passeri con piume simili all’ d’argento. Felice giovedì.

Burkardusweck.

Venuto dalla natia Inghilterra, Burcardo diventò uno degli apostoli missionari della Germania ancora pagana. Da giovane si fece monaco benedettino e verso il 735, preso dal suo desiderio di essere un missionario, seguì il suo compatriota s. Bonifacio Winfrido in Germania; dimorò a lungo nel monastero di Fritzlar fondato dallo stesso Bonifacio, in seguito lo lasciò per recarsi missionario in Turingia per convertire gli abitanti ancora pagani.  Verso l’ottobre del 742 s. Bonifacio istituì la diocesi di Würzburg per la Turingia Meridionale e per la Franconia Orientale, consacrando Burcardo come primo vescovo, la nomina come regola dell’epoca, fu approvata da Carlomanno, figlio di Carlo Martello,  che dotò la diocesi di numerosi benefici.  Burcardo fu presente, il 21 aprile del 743 al primo concilio germanico e poi nel 747 al concilio generale dei Franchi, convocato da S.Bonifacio, ebbe anche l’incarico di portare gli atti dello stesso concilio al papa Zaccaria. Ancora nel 750-751 ritornò a Roma, inviato da Pipino il Breve, come legato per trattare la questione dinastica franca; l’8 luglio 752 consacrò il monastero di S. Andrea a Würzburg e nella stessa città morì santamente nel 753.  Il 14 ottobre di un anno non ben determinato, le sue spoglie furono traslate nella chiesa di S. Andrea ad opera del vescovo Ugo, 984-990 d.C. Si  sa che nel 1552 esisteva solo la testa del santo vescovo, conservata in un artistico reliquiario d’argento, che scomparve insieme alla reliquia, durante la guerra dei Trent’anni.  La festa di s. Burcardo si celebra il 14 ottobre giorno della traslazione delle reliquie, sia a Würzburg che a Bamberga, Fulda e a Berceto, Parma, dove però è stato confuso probabilmente con S.Burcardo II abate di San Gallo, morto in Italia nel 1002, le cui reliquie sarebbero quelle conservate nel Comune di Berceto.
Il Martyrologium Romanum pone la data di culto al 2 febbraio. Nel Medioevo la festa di san Burcardo nella diocesi di Würzburg veniva celebrata come la festa più importante. Il Burkardusweck,filone di Burcardo, un pane a forma di anello, era allora un’usanza popolare. Il santo viene invocato contro i dolori articolari ed i reumatismi in genere, così come contro la lombalgia ed i calcoli renali.

Favria, 2.02.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. Il saggio sa di essere stupido, è lo stupido invece che crede di essere saggio. Felice venerdì

Carosello.

Il 3 febbraio del 1957 è una data storica per l’Italia: va in onda la prima puntata del Carosello e nasce ufficialmente l’advertising televisivo in Italia. Ripercorriamo assieme la storia del Carosello, il programma che,  fino al  1 gennaio 1977,  ha cambiato le abitudini degli italiani. Alla nascita della televisione italiana, la RAI monetizzava i suoi proventi unicamente dal canone,gli abbonati però erano un numero ancora esiguo. Già da tempo aleggiava l’idea di creare un contenitore pubblicitario, proprio perché le aziende italiane vedevano nel palinsesto televisivo un importante canale da sfruttare per promuovere i loro prodotti. Non si voleva proporre agli inserzionisti la classica lettura di annunci pubblicitari come avveniva in radio, ma qualcosa di innovativo, emozionante, non invasivo, attraverso l’intrattenimento e lo spettacolo. Nacque così l’idea di Carosello: scenette comiche e divertenti per catturare l’attenzione del target e convogliarla alla presentazione del prodotto alla fine dello sketch. l progetto pilota, una sorta di protocarosello, vide diversi siparietti realizzati a Torino, Milano e Roma. Il più famoso è “La pianola magica” del 1955, un cortometraggio di 25 minuti, in cui un giovane Paolo Ferrari suona con una pianola degli intermezzi per alcune scenette interpretate da attori quali Mario Carotenuto, Alberto Bonucci, Marisa Allasio, Maria Grazia Francia, Alberto Sorrentino, Umberto Melnati che pubblicizzano prodotti di fantasia. È, di fatto, ciò che sarebbe stato il Carosello due anni dopo. L’origine del nome si deve al film “Carosello Napoletano” del 1954 , la prima “pellicola-rivista” incentrata sull’attività del cantastorie: come nel film, l’idea era quella di raccontare, cantare e far divertire in un tempo brevissimo. “Carosello”, infatti, significa torneo, parata di cavalieri, scontro spettacolare. I l giorno precedente al debutto la Sacis si accorse che mancava una sigla iniziale, e l’incarico fu dato al regista Luciano Emmer in collaborazione con Cesare Taurelli, uno dei primissimi e più importanti produttori di pubblicità televisiva. La sigla riprendeva una serie di sipari che si aprivano in sequenza; vennero eseguiti anche dei disegni dalla moglie dell’architetto Gianni Polidori. La colonna sonora fu presa da un documentario sulla vita delle lumache; una tarantella del repertorio napoletano dell’Ottocento,“Pagliaccio”. Finalmente la sigla era pronta. Una curiosità: il giornale satirico “Asso di bastoni sollevò una polemica in quanto dietro le gambe delle ballerine presenti in uno dei siparietti si poteva leggere la sigla PCI.

Favria,  3.02.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita la bontà è l’unico investimento che non fallisce mai. Felice  sabato.

L’aurora boreale a Roma.

Nella tarda serata del 4 febbraio 1872 un bagliore sfavillante illuminò i cieli di Roma. Si trattava di un’aurora boreale, un fenomeno decisamente inconsueto per non dire straordinario a tali latitudini. Un gesuita, padre Angelo Secchi, all’epoca direttore dell’Osservatorio del Collegio Romano, raccolse i dati nella stazione telegrafica che egli stesso aveva fondato, con tecniche e strumenti all’avanguardia per l’epoca, lasciandoci forse la prima osservazione scientifica sistematica di un tale fenomeno. Gli effetti furono drammatici: la cosiddetta “tempesta magnetica” che si scatenò produsse addirittura l’interruzione del servizio telegrafico tra Europa e Stati Uniti, che avveniva tramite un cavo transoceanico che era stato posato nel 1866. A ricordare l’evento è uno studio di IVGAmbiente, che aggiunge che simili interruzioni nelle trasmissioni telegrafiche vennero segnalate in varie parti del mondo, per esempio in Inghilterra, ma anche in altre parti d’Italia. Dalle misure raccolte e analizzate dallo stesso padre Secchi nel suo trattato “Sull’aurora elettrica del 4 febbraio 1872”, sembra che la tempesta da lui osservata sia stata probabilmente la seconda più intensa mai registrata strumentalmente dall’uomo. Solo quella del 1859 è stata più devastante. Secondo IVGAmbiente, «se un tale evento dovesse verificarsi oggi, dato l’enorme progresso tecnologico occorso nel frattempo, le conseguenze potrebbero essere molto più drammatiche». È per questo che molti governi e istituzioni transnazionali si stanno attivando da anni per studiare e mettere in opera strategie di mitigazione e protezione di un fenomeno che potrebbe ripetersi in qualsiasi momento e senza alcun preavviso

Favria, 4.02.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno non siamo ricchi per ciò che possediamo, ma per ciò di cui possiamo fare a meno. Felice domenica.

Il palo colorato del barbiere

L’uso dei caratteristici pali a strisce bianche e rosse, e talvolta anche blu, risale al Medioevo. Si lega al fatto che un tempo, tra i compiti svolti da questa categoria professionale, assieme al taglio dei capelli e alla rasatura, c’era anche quello di praticare salassi, cioè prelievi di sangue a scopo terapeutico: una “cura” molto diffusa all’epoca. Da qui la colorazione del palo, che serviva a individuare più facilmente la presenza del barbiere: il rosso rimandava appunto al sangue, mentre il bianco, pare, alludeva ai bendaggi che venivano praticati dopo il prelievo ma anche dopo altri interventi “chirurgici”. Tripla colorazione. L’usanza nacque nel 1163, quando Papa Alessandro III vietò ai religiosi di eseguire salassi, riservando questa pratica ai barbieri. Iniziarono così a spuntare i primi pali “segnaletici” davanti ai negozi che, secoli dopo, a partire dagli Stati Uniti, divennero girevoli. Inoltre si arricchirono del colore blu, forse con richiamo alla bandiera statunitense.

Favria, 5.02.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. A febbraio il sole si insinua nei rami e tinge i germogli e gonfia le foglie che sono dentro. Felice lunedì.