Farandola! -Res Gestae Favriesi,Le maschere antigas per i dipendenti comunali- La splendida palma blu -Il baccala è grande! – Risparmio e mi illumino di meno! di Giorgio Cortese

Farandola!
Strana parola che deriva da un’antica danza provenzale, e la stessa parola deriva dallo spagnolo farandula, altri sostengono che deriva da un termine dell’antico greco con il significato catena, perché coloro che danzano la farandola sono uniti in lunga catena. Partecipavano alla danza una numerosa schiera di uomini e donne i quali si tenevano l’un l’altro per la mano e per mezzo di nastri e fazzoletti. Ne è capo un giovane preceduto da due o più suonatori di gaboulet, un fischietto campestre usato in Linguadoca o in Provenza, e di tambourin, tamburelli. Celebre è la farandola dell’Arlesiana di Bizet. Dalla farandola pare anche che derivi il ballo della Carmagnola della Rivoluzione Francese. con il refrain: “Dansons la carmagnole, Vive le son, vive le son. Dansons la carmagnole, Vive le son du canon !” Quest’ultimo canto, di autore anonimo, fu composto nel 1792 in concomitanza con la creazione della Convenzione Nazionale e l’arresto di Luigi XVI e con il successivo ‘avvento del Regime del Terrore, nel testo i reali vengono sopranominati Monsieur Véto e Madam’ Véto, Signore e signora Veto. E qui bisogna dire che la ballata della Carmagnola, successivamente adattata dai sanculotti rivoluzionari francesi è di origine Piemontese, da Carmagnola appunto e che tra sempre origine dalla farandula spagnola. La farandola con il significato di catena umana mi fa riflettere che ogni giorno dobbiamo pensare ad un modo per cambiare il mondo e metterlo in pratica, ognuno di deve impegnare a fare bene il proprio dovere e se faccio dei favori mi auguro che non mi vengano ricambiati, ma fatti ad altri per espandere sempre di più la catene dalle solidarietà umana. Una buona azione che sia veramente di aiuto a una persona, insomma fare qualcosa per qualcuno che non può farla da solo, ed una volta fatta che bisogna dire a questa persona fortunata di non restituire il favore ma di ripetere a sua volta l’azione ad altre persone e così di seguito, in modo da generare una catena infinita di solidarietà umana.
Favria, 15.2.2015 Giorgio Cortese

La cosa curiosa che come elettori mai ci sentiamo responsabili dei fallimenti dei Governi che ci amministrano e che abbiamo votato.

Res Gestae Favriesi,Le maschere antigas per i dipendenti comunali
Sin dall’antichità l’uso di armi “avvelenate” veniva condannato o espressamente vietato. La nascita di un nuovo tipo di arma suscita spesso paura o proteste, ma quando si tratta di armi non convenzionali, come quelle chimiche o biologiche, lo sdegno è maggiore, si pensa a conseguenze oscure e spaventose, si colpisce un tabù ancestrale; però durante gli eventi bellici, l’uomo non ha avuto scrupoli nel violare a più riprese quel tabù per riuscire a prevalere sui suoi simili. Già Tucidide nel V secolo a.C., riferendosi al conflitto tra spartani e ateniesi, racconta dell’uso bellico dei fumi di legna impregnata di bitume e zolfo e convogliati in tubi di metallo per asfissiare i nemici. Plutarco nel I secolo a.C., parla di zolfo e calce viva fatti disperdere nell’aria da cavalli al galoppo, sfruttando la direzione del vento per sopraffare gli assediati questa nuvola venefica non aveva finalità diverse di quella che, circa due millenni dopo, sarà utilizzata dai tedeschi a Ypres durante la Prima guerra mondiale. Nel Novecento questa arma viene perfezionata nella tecnologia militare facendo acquistare alle armi chimiche un terribile potere distruttivo. La possibilità di usare l’aereo per il lancio dei gas, i progressi dell’industria chimica e farmaceutica inducono i pianificatori militari a prendere in seria considerazione l’arma chimica. E’ in questo contesto di paura dopo al I guerra mondiale che il Podestà del Comune di Favria-Oglianico, il 17 maggio 1940, Anno XVIII, con Delibera N. 983 di acquisire 10 maschere antigas per i dipendenti comunali. Questa acquisto avviene su disposizione Circolare Prefettizia del 10 ottobre u.p. N. 1367/8 Div.P.A.A. che stabilisce di provvedere immediatamente all’acquisto dell’intero fabbisogno di maschere antigas; e visto di doverne ancora acquistare dieci, delle quattordici occorrenti ai Dipendenti comunali. La delibera prosegue indicando il tipo della maschera T.35, Pir o PC 35- vetri composti, dischi antiappananti, valvola di riserva ed un filtro di riserva tipo T 35, IAC 35 e PIR 35 – è di lire 89,75 come dal listino annesso alla lettera 18 aprile 1940-XVIII, n. 33299 JF EP del Consorzio Industriale Manufatti di Roma (CIM). La spesa per 10 maschere era di lire 897,50 che nel bilancio del 1940 vengono imputate nella voce “SPESE IMPREVISTE”.
Segue infine l’elenco dei dipendenti comunali, con incarichi oggi poco consueti, dotati di maschera antigas:
1. Segretario: Geom. Canale Luigi
2. Applicata: Rubeo Angela
3. Applicato: Rolando Davide
4. Messo: Balma Tivola Giovanni
5. Guardia Roggiaro: Bernardi-Gra Domenico
6. Cantoniere: Capello Pietro
7. Cantoniere: Baudino Francesco
8. Seppellitore: Chiarabaglio Domenico
9. Bidello: Coha G. Battista
10. Bidello: Barberis Costanzo
11. Medico Condotto ed Ufficiale Sanitario: Pene Dr. Francesco
12. Ostetrica: Coha Maria Alessandra
13. Bidella S.Francesco: Barberis Teresa
14. Telefonista: Masserano Camillo
Favria, 16.2.2015 Giorgio Cortese

Quando certi appetiti si tramutano in ingordigia, il tepore della mensa arderà in un baccanale.

La splendida palma blu.
Parlavo con l’amico Pietro della Liguria e di come nella sua casa al mare possedeva nel bel giardino amorevolmente curato dalla moglie una maestosa ed elegante, palma blu, che nel periodo della fioritura deve essere splendida, ma anche in assenza di infiorescenze, quando le foglie garantiscono comunque uno spettacolo unico. Il nome scientifico è Brahea armata, meglio conosciuta come Palma blu, una pianta originaria dell’America centrale, del Messico mi pare, ed appartenente alla famiglia delle Arecacee. Certo noi esseri umani, pensando ai fiori, diventeremmo folli di sogni se i fiori brillassero nel cielo e non nel giardino, ma vedere il blu del cieli nel giardino mi ricorda sempre che una delle cose più affascinanti nei fiori è il loro meraviglioso riserbo. Ma potremmo a immaginare che cosa sarebbe l’umanità sarebbe se non avesse conosciuto i fiori. I fiori sono gli occhi con cui guardare la natura. Nella vita gli avvenimenti sono uniti da legami invisibili e allora non possiamo cogliere un fiore senza turbare una stella del firmamento stellato.
Favria, 17.02.2015

Il malessere della nostra attuale società è nella insufficiente tutela del lavoro, della vita sul lavoro. Se riescono a risolvere questo problema si supera l’attuale crisi.

Il baccala è grande!
All’inizio di Quaresima si inizia a mangiare il baccalà o lo stoccafisso, la differenza tra i due prodotti che derivano dal merluzzo è che lo stoccafisso viene essicato, mentre il baccalà attraversa un processo di salatura o di salatura e una successiva essiccazione. Baccalà deriva dal basco bacalao usato per la prima volta nei primi anni del ‘500. Alcuni pensano che derivi dall’antico olandese kabeljauw oppure che abbia origine dall’etimo romanzo cabilh, capo, testa, ovvero pesce testuto. Altri ancora lo riferiscono al latino baculus e cioè bastone. Insomma l’origine del termine baccalà resta misteriosa. Il nome stoccafisso deriva molto probabilmente dalla cittadina norvegese di Stokke, ma secondo alcuni potrebbe derivare dal norvegese stokkfisk oppure dall’antico olandese stocvisch, ovvero “pesce a bastone”, secondo altri dall’inglese stockfish, ovvero “pesce da stoccaggio” con il significato di scorta, approvvigionamento, altri ancora sostengono che pure il termine inglese sia mutuato dall’olandese antico, con lo stesso significato di “pesce bastone”. In Italia sono piatti tipici. Esiste in Basilicata il cosiddetto baccalà alla lucana che viene preparato, come da tradizione, con peperoni rossi dolci essiccati e scottati detti cruschi. In Calabria è molto in voga il baccalà alla cosentina, preparato da tradizione con patate, olive nere, peperoni, salsa di pomodoro, alloro, prezzemolo, sale e pepe. Nella cucina tradizionale siciliana viene consumato il baccalà alla siciliana, con pomodori, patate, olive nere, pinoli e uvetta. Nel Triveneto e nelle altre aree un tempo appartenenti all’antica Repubblica di Venezia il termine “baccalà”, ancor oggi identifica comunemente lo stoccafisso, merluzzo essiccato, e non il merluzzo salato. L’Italia è il secondo consumatore mondiale di questo prodotto, dopo il Portogallo. Ma come mai il baccalà e lo stoccafisso sono divenuti da cibo dei poveri a prelibatezza gourment servita nei migliori ristoranti italiani e al centro dei piatti dei migliori chef! E poi come hanno fatto queste due lavorazioni del merluzzo ad arrivare nell’Italico Stivale? Tutto grazie all’intraprendenza di navigatori veneziani e della navea Querina che era partita sul finire dell’estate 1431 da Candia, l’attuale Creta, con destinazione le Fiandre. La comandava Pietro Querini, patrizio veneziano, mercante, armatore, navigatore spericolato, aveva un equipaggio di 68 uomini ed un carico di 500 tonnellate, tra cui 800 barili del vino Malvasia prodotto dalla famiglia Querini nelle sue tenute a Candia, spezie, cotone, cera, allume di rocca. In viaggio verso il nord Europa fu investita da una violenta tempesta e arrivò, pere quel che ne rimaneva della nave, sulle scialuppe nell’arcipelago delle Lofoten, quasi all’estremo nord dell’attuale Norvegia. Da li avvistarono i fuochi di alcuni pescatori della vicina isola di Røst che li soccorsero, li trasportarono al loro villaggio, li curarono finché ripresero completamente le forze. E proprio in luogo i veneziani scoprirono il baccalà ed il merluzzo. Era il primo incontro di un uomo dell’Europa del Sud, in quel periodo centro del mondo civile, con lo stoccafisso. veneziani furono ospiti dei pescatori di Røst per quattro mesi, poi il 15 maggio 1432 iniziarono il lento rientro a Venezia che raggiunsero il 12 ottobre. In tutto questo tempo il nostro Querini non aveva dimenticato di essere un commerciante e così portò dai lontani mari del Nord alcuni esemplari di stoccafisso che propose, con scarso successo per la verità, al Senato come provvista da imbarcare sulle navi della Serenissima Repubblica per le sue caratteristiche di conservazione nel tempo. L’anno seguente, convinto che prima o poi lo stoccafisso avrebbe sfondato anche sulle terre controllate da Venezia, Querini tornò dai suoi amici di Røst per scambiare vino e spezie con stoccafisso. A questo punto, la storia diventa leggenda. Giunto alle Lofoten, il suo spirito avventuroso lo spinse ancora più a settentrione, per conoscere quel mare sconosciuto. Sparì tra i ghiacci eterni, come un eroe delle saghe nordiche. La storia avventurosa dello stoccafisso, chiamato in Veneto bacalà (da non confondersi con il baccalà noto nelle altri parti d’Italia che è merluzzo conservato sotto sale) non finisce con la misteriosa scomparsa di Querini. Infatti, ci volle un secolo perché ottenesse la meritata rivincita. Fu per merito delle direttive del Concilio di Trento (1545-1563) che sancirono l’obbligo dell’astinenza della carne per quasi 200 giorni e raccomandarono proprio lo stoccafisso come piatto magro tutti i mercoledì ed i venerdì. Inoltre, era insostituibile nei quaranta giorni della Quaresima. E allora che dire se non che il Baccalà è grande!
Favria 18.02.2015 Giorgio Cortese

Risparmio e mi illumino di meno!
Risparmio e mi illumino di meno! Anche quest’Anno il 13 febbraio c’è stata la celebre campagna di sensibilizzazione radiofonica sul Risparmio Energetico e sulla razionalizzazione dei consumi, lanciata da Caterpillar, Rai Radio2. Che bello se questa campagna durasse 365 giorni all’anno con lo spegnimento delle luci quando non servono ed invece purtroppo se ne vedono sempre troppo accese negli Enti Pubblici e uffici e case dei privati durante la notte anche se dentro non c’è nessuno che lavora, a volte lasciate belle apposta per paura dei ladri. Ma anche ognuno di noi può fare bene la sua parte spegnendo e non lasciando in stand by gli apparecchi elettronici. Per non parlare del riscaldamento, vedere degli uffici con le finestre spalancate in pieno inverno fa male all’animo e al portafoglio, perché lo spreco lo paghiamo tutti noi. Ma cambiare è possibile. Consumare meno risorse e valorizzare le relazioni sociali, rispettare l’ambiente e anche risparmiare. Sono decine di migliaia gli italiani che lo stanno già facendo. Il loro segreto? Determinazione, creatività e, soprattutto, la scelta di mettersi in rete, perché insieme cambiare è più facile e anche più divertente. Le esperienze di organizzazione dal basso per modificare lo stile di vita e avere un impatto positivo sulla società e sull’ambiente sono moltissime. Tutte partono da piccoli gesti legati ai vari settori della vita quotidiana. Piccoli gesti che, è questa la buona notizia, chiunque può imitare, a cominciare da subito, mettendo in gioco se stesso e la propria famiglia. Vorrei infine ricordare che la sostenibilità è quello sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza mai compromettere quelli futuri preservando le risorse e la terra che non è nostra ma ci è stata data in affidamento per lasciarla alle future generazioni
Favria 19.02.2015 Giorgio Cortese.