Fare appartenenza significa riscoprire le nostre radici. – Da flinà a flinga – E sono trentasei! – Dal Paropamisadae al Kafiristan. – Il virus della disinformazione! – Camminando a settembre. – Calma olimpica. – Nel mezzo del cammin….700 anni morte del sommo Dante…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Fare appartenenza significa riscoprire le nostre radici.
Ritengo che raccontare la storia del territorio in cui si vive è la cosa più intrigante per ripercorrere

quanto è stato fatto e per sentire nostro il luogo in cui abitiamo. Solo così possiamo conoscere l’ambiente in cui viviamo, riflettere sulla nostra identità,  e ci riappropriamo del passato così da non dimenticarlo, scoprendo che ogni borgo, comune del Canavese ha una propria storia e una tradizione letteraria, storico-artistica, etnografica e artigianale che vale la pena ritrovare e raccontare, e allora facciamo nostro quanto scriveva Hannah Ardent: “Il mondo è pieno di storie, circostanze e situazioni curiose che aspettano solo di essere raccontate”. Questa ricerca ci permette di riscoprire il concetto di “territorio”. Il concetto di territorio  ha subito, specialmente negli ultimi decenni, una trasformazione radicale: da semplice risorsa materiale suscettibile di sfruttamento, da spazio controllabile nel quale le differenziazioni sono viste come resistenze alla trasformazione, si è giunti ad una interpretazione in cui è riconosciuto il carattere relazionale e incerto proprio di un sistema complesso. Ilo  territorio non è il luogo neutro su cui si svolgono gli eventi, ma è il frutto delle dinamiche interattive che si svolgono continuamente tra di essi. Ecco che allora il Canavese il nostro territorio è un soggetto vivente dovuto all’interazione nei millenni tra gli esseri umani che si sono insediati e l’ambiente che è stato trasformato, questo ne ha creato una grande ricchezza di edifici, storie e tradizioni. Ecco il Canavese, il nostro territorio, l’ambiente in cui viviamo si è  ciclicamente trasformato dal succedersi delle civilizzazioni umane. Ritengo importante  conoscere la storia del nostro habitat  non solo per ragioni meramente culturali, ma perché su di esso sono state realizzati manufatti, storie e tradizioni che è giusto non far cadere nell’oblio. Le giovani generazioni devono conoscere gli esseri umani e le vicende che hanno portato il paesaggio che hanno attorno ad assumere le attuali fattezze. In realtà non si tratta solo di questo, che già sarebbe tanto. Conoscere il passato senza fini utilitaristici è, infatti, un grande esperienza culturale formativa. E’ prima di ogni altra cosa, un’opera di bonificazione della nostra mente oggi dove siamo sempre portati a  considerare importante solo ciò che presenta una evidente utilità funzionale nell’immediato. La conoscenza del passato, le nostre radici è importante anche per ragioni civili e politiche rilevantissime che investono il nostro presente e ci guidano verso il futuro. La ricostruzione del passato che ci informa sulla fragilità e instabilità di alcune aree, ci suggerisce le necessarie strategie dell’edificazione, i moduli di costruzione degli abitati e dei manufatti. La conoscenza della sua storia, dei suoi caratteri e della sua trasformazione è dunque imprescindibile per governarne l’evoluzione, per tutelarne la sicurezza. E dovrebbero bastare questi pochi cenni per comprendere quanto la risorsa suolo sia preziosa in questo territorio che noi chiamiamo Canavese. Se indaghiamo nel nostro passato possiamo conoscere quanto hanno compiuto i contadini in  un’opera tanto oscura quanto preziosa come quella della manutenzione del territorio. Sono stati, infatti, i contadini a creare e tenere sgombri fossi e canali per il deflusso dell’acqua piovana, a erigere e riparare muretti di protezione, a piantare alberi, a controllare frane e smottamenti. Anche in questo caso la storia ci informa di una rilevante novità. Queste figure sociali che facevano manutenzione quotidiana del territorio, questi controllori del nostro habitat non esistono ormai più da decenni. l’importanza della storia del territorio non risiede soltanto nella consapevolezza della sua vulnerabilità e fragilità. Esiste un passato del nostro territorio che è importante conoscere anche per altre e più positive ragioni. Nel nostro passato e nella coscienza civile dei contemporanei si lega indissolubilmente il destino di noi esseri umani per affrontare consapevolmente il comune futuro. Ecco questo dovrebbe stare a cuore ad ognuno di noi per motivarlo alla sua custodia, come si prodiga la compagnia dello Zodiaco con Simona e Francesca e il bravo regista Cristiano in collaborazione del gruppo storico Yporegia, presieduto da Maria. Certo questo dovrebbe essere ovvio, per lo meno per chi è ancora in grado di pensare con la sua testa.  Venite a Pavone domenica 12 settembre ore 17, in piazza del Municipio,  Rapimento del Vescovo Pietro De La Chambre, anno domini 1364. Spettacolo Gruppo Teatrale LO ZODIACO, in collaborazione con Gruppo Storico YPOREGIA, Gruppo Storico CREDENTARI, ASD IL VOLO, NUOVO TEATRO STABILE DI DANZA, patrocinio del Comune di Pavone.
Favria, 6.09.2021 Giorgio Cortese 

Buona giornata. Le giornate estive si accorciano ed io come sempre, in questo periodo dell’anno mi sento addosso lo sguardo del tempo. Felice lunedì.

Rievocazione storica a Pavone domenica 12 settembre ore 17, in piazza del Municipio,  Rapimento del Vescovo Pietro De La Chambre, anno domini 1364. Spettacolo Gruppo Teatrale LO ZODIACO, in collaborazione con Gruppo Storico YPOREGIA, Gruppo Storico CREDENTARI, ASD IL VOLO, NUOVO TEATRO STABILE DI DANZA, patrocinio del Comune di Pavone.

Se non sappiamo  cosa è accaduto nei tempi passati, è come se rimaniamo sempre bambini e allora se non si conoscono gli eventi del territorio dell’età passata, rimaniamo sempre  nell’infanzia della conoscenza e  senza una memoria.

Stupirsi ogni giorno vuol dire apprezzare le meraviglie che la vita ci dona. Ti aspettiamo a Favria MERCOLEDI’ 6 OTTOBRE  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Da flinà a flinga

Flin in piemontese è la rabbia e quando si dice “A l’é montaje la flinà, gli  è salita la collera, insomma   si è arrabbiato. La parola flina ha la stessa origine di fliè che deriva dall latino fellinam, fiele, diminutivo di  fellem, bile. La parola flinga arriva nella lingua piemontese dal lontano fiammingo, forse dai rapporti avuti i piemontesi del tempo li vedevano  sempre arrabiati forse per il loro idioma che appariva arrabbiato e duro a chi parla la lingua neoromanza più dolce come il piemontese.  In fiammingo la parola flinke vuole dire colpo o percossa, in francese la parola è diventata flinquer, tagliare a strisce di uguali dimensioni. Da flinga arriviamo al bearnese flincà colpire con una cinghia, battere in catalano flingar. Preciso che il bearnése in francese béarnais,  vuole dire appartenente a Bèarn è una regione della Francia sud-occidentale., nel dipartimento dei Bassi Pirenei. Tornando alla parola flinà, la collera umana viene chiamata così  forse per alcuni di derivazione dall’aggettivo latino felinam, felina. Ritengo che la collera è la più inutile delle umane emozioni, contro gli oggetti non conviene adirarsi, giacché esse non se ne curano affatto. Molte volte a renderci irascibili è o l’ignoranza o l’arroganza, e se ci pensiamo bene  la  flina, collera è uno tra i principali ostacoli alla tranquillità dell’animo e alla salute del corpo. Chiedo scusa di quanto ho scritto forse  è solo una brodaria, un ricamo ornamentale, in questo caso di parole.

Favria, 7.09.2021    Giorgio Cortese

Buona giornata. Finirà anche la notte più buia e sorgerà il sole. Nella vita a volte è necessario saper lottare, non solo senza paura, ma anche senza speranza. Felice martedì.

Stupirsi ogni giorno vuol dire apprezzare le meraviglie che la vita ci dona. Ti aspettiamo a Favria MERCOLEDI’ 6 OTTOBRE  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

E sono trentasei!

Il numero trentasei deriva dal latino triginta sex, un numero pari, in astronomia ha dato il nome con 36P/Whipple, una cometa periodica del sistema solare, con 36 Atlanta un asteroide ai margini del sistema solare ed con NGC 36 una galassia a spirale della costellazione dei Pesci. 36 sono i numeri dei tasti del pianoforte ma oggi, otto settembre siamo nella 36 settimana dell’anno. Oggi festeggio con mia moglie il mio anniversario di nozze, una ricorrenza ha sempre  qualcosa di speciale: il ricordo di un giorno importante, la gioia di rivivere un momento unico

Favria, 8.09.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita tutto ciò che viene fatto in questo mondo è fatto con speranza e dalla gioia di vivere. Felice mercoledì.

Dal Paropamisadae al Kafiristan.

Nella vecchia toponomastica ellenistica veniva indicata come Paropamisadae o Parapamisadae una satrapia, provincia dell’Impero alessandrino l’attuale  Afganistan e Pakistan, che  in gran parte ha conciso  con l’antica achemenide provincia di Parupraesanna. Paropamisadae, forma latinizzata del nome greco che a sua volta derivava dall’antico persiano Para-uparisaina, che significa oltre l’Hindu Kush, indicato anticamente come Uparisaina, luogo superiore a l’Aquila.  Questa antica indicazione dice tutto di questo paese attraversato dall’imponente catena montuosa dell’Hindu Kush con cime di 7mila metri, privo di sbocchi sul mare e il territorio è in buona parte costituito da deserti aridi e rocciosi. Fin dai tempi antichi la popolazione si è concentrata nelle vallate più fertili, dedita all’agricoltura e alla pastorizia. In una estenuante lotta per la sopravvivenza, vista la scarsità di risorse e il clima difficile. In questo territorio cosi duro alla vita umana, fu proprio Alessandro Magno uno dei primi condottieri a fare i conti con l’inespugnabilità afghana, quando nel 330 a.C. scatenò nel Paese una caccia all’uomo degna di quella lanciata contro Osama Bin Laden. Il macedone aveva da poco sconfitto il re achemenide di Persia Dario III e si sentiva il nuovo padrone del suo impero, che comprendeva varie province, o satrapie, in area afghana. Gli ambiziosi signorotti locali gli misero però i bastoni tra le ruote, infatti ad attendere l’armata macedone c’erano alcuni dei satrapi che avevano assassinato Dario, tra cui Besso, satrapo della Battriana, ricercato numero uno era proprio lui che a capo di 7.000 cavalieri battriani si era autoproclamato a sua volta Gran Re. Nel 329 a.C., dopo un epico inseguimento e un’avventurosa traversata dell’Hindu Kush, il macedone lo colse di sorpresa, uccidendolo dopo atroci torture. La resistenza continuò per altri due anni, ma alla fine Alessandro riuscì a prevalere, fondando nuovi insediamenti, tra cui Herat e Kandahar. Nel 327 a.C., aveva inoltre sposato la principessa battriana Rossane, figlia di Ossiarte, satrapo successore di Besso. Tracce del passaggio dei macedoni si trovano nellealti valli del Pakistan, nell’angolo nord-occidentale che confina con l’Afghanistan, nella Kalash Valley nell’interno del sistema montuoso dell’Hindū-Kūsh.  E’ questo è il Kalasha Desh, più noto come Kafiristan, dove sono alcuni villaggi di etnia Kalash. Parecchi abitanti presentano tratti somatici europei con capelli biondi e occhi blu, a costituire una vera anomalia rispetto al resto del Pakistan. La loro origine è controversa. La leggenda dice che alcuni soldati al seguito di Alessandro Magno si fermarono in questi luoghi nel IV a.C. transitando sulla via del Subcontinente Indiano e, mescolandosi con la gente del luogo, diventarono progenitori degli attuali Kalash. Essi hanno una loro peculiare religione sciamanica e politeista, una cultura unica al mondo e un atteggiamento gioioso verso la vita, ciò che li classifica inequivocabilmente come kafir, termine dispregiativo arabo che vuol dire infedele e con cui è chiamato chi non è musulmano.  Sono considerati come gli ultimi pagani al mondo, conservano persistenti tracce del culto degli antenati e del fuoco, nonché un pantheon affollato di dei e spiriti minori, subordinati a Khozai, il Creatore e la dea Jestak protettrice dei loro figli e delle loro case, e a lei, come ad altre divinità, sacrificano le capre nelle occasioni importanti.  Quando i kalash si incontrano dopo tanto tempo usano fare il baciamano, gesto di cortesia, saluto e rispetto molto praticato specialmente in ossequio ad una persona anziana. Secondo una leggenda araba quando Allah creò il mondo, raccolse le pietre avanzate e le scaraventò sulla Terra, ecco secondo la leggenda, prese forma l’Afghanistan. Incastonato nel cuore dell’Asia, che nel corso dei secoli ha generato guerriglieri forgiati dalle avversità naturali e insofferenti a ogni dominazione. Alcuni degli eserciti più potenti l’hanno attaccato nei secoli, ma nessuno ha avuto vita facile, ed è per questo che il territorio afghano si è guadagnato il soprannome di tomba degli imperi. Nelle montagne più remote esistono tribù che non solo non sono mai state conquistate, ma che non hanno mai visto radicarsi un potere interno. Nel paese transitano sino dall’antichità le  rotte carovaniere tra Oriente e Occidente, la cosiddetta “Via della Seta”, e hanno attirato per questo i famelici appetiti degli imperi confinanti. Persiani, greci, arabi, mongoli e indiani hanno contribuito a farne un crogiuolo di etnie, tanto che ancora oggi, accanto alla maggioritaria pashtun, se ne contano almeno altre 13, tra cui spiccano quelle tagika, uzbeca, hazara, turkmena. Il paese pur travolto  da orde ostili, la sua popolazione ha  sempre dimostrato un’incredibile tenacia, vendendo cara la pelle e pagando un alto tributo di sangue. Come quello reso a Genis Khan, capo mongolo nel XIII secolo quando fu sconfitto momentaneamente nella storica battaglia di Parvan nel 1221 da  truppe turche e pashtun. Tre secoli dopo i pashtun si ribellarono ai potenti Moghul con l’eroico poeta-guerriero Khushal Khan Khattak, che dedicò la propria vita alla lotta per l’unificazione delle rissose tribù di questa etnia, di cui lui stesso faceva parte. Due secoli più tardi, nel XIX secolo, gli afghani dovettero lottare contro un altro nemico, l’Impero britannico. Per tutto il secolo gli inglesi si contesero con la Russia il dominio dell’Asia Centrale, in quello che sarà chiamato il “Grande Gioco”. Fu in questo contesto che, nel 1839, per frenare la crescente influenza russa, i britannici, che già controllavano l’India, penetrarono in Afghanistan, occuparono Kabul e detronizzarono l’emiro al potere, Dost Mohammed. L’arroganza degli inglesi esasperò però la popolazione locale, alla cui guida si pose, nel 1841, Mohammed Akbar Khan, figlio crudele del sovrano detronizzato. Vittima delle sue trame fu una delle massime autorità inglesi, William Hay Macnaghten, ucciso a tradimento durante un incontro. Il cadavere di Macnaghten fu poi decapitato in piazza, quindi la testa e gli arti furono fatti sfilare in una macabra processione per le strade di Kabul. Ma era solo l’inizio. Sentendosi in trappola, nel 1842 il comandante britannico William Elphinstone decise di evacuare i suoi connazionali, compresi donne e bambini, concordando con gli afghani un salvacondotto. Purtroppo fu un errore fatale, e adesso la storia si ripete. Mentre la colonna dei britannici erano in marcia per Jalalabad venne circondata dai guerriglieri afghani e massacrata. Su 16mila persone partite, soltanto un inglese e una manciata di indiani arrivarono a Jalalabad. Gli altri, in gran parte civili, furono uccisi o fatti prigionieri. Un bagno di sangue che rimase a lungo impresso nell’immaginario collettivo degli inglesi, i quali rientrarono nel Paese solo sul finire del secolo instaurandovi un parziale protettorato. In tempi più recenti, pur dilaniati dai soliti conflitti intestini, gli afghani non hanno temuto neanche la forza militare di una superpotenza come l’Urss, che nel 1979 invase il Paese per sostenere il traballante governo filosovietico, alle prese con una rivolta ispirata dai mullah, o capi religiosi. Giunti in poco tempo a Kabul, i sovietici rimasero invischiati in una durissima guerra contro i mujaheddin, combattenti per la patria, che arroccati sui monti sfiancarono i soldati russi con imboscate e sabotaggi. Gli Usa, Arabia Saudita e Iran, foraggiavano il fronte antisovietico che poteva contare sia su pericolosi fondamentalisti, come il saudita Osama Bin Laden e il tagiko Ahmad Shah Massoud originario dei monti del Panshir. Così, nonostante la superiorità tecnologica e il massiccio uso dei bombardamenti aerei, nel 1989 i sovietici furono costretti a ritirarsi, lasciando dietro di sé un’immane scia di sangue. Dopo Massoud si ritrovò a lottare contro la frangia estrema dei talebani, gli “studenti coranici” saliti al potere nel 1996. Massoud condusse la sua ultima battaglia sulle alture del Panshir, guidando l’Alleanza del Nord, il fronte della resistenza antitalebana. Dopo gli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono nel 2001, gli Usa invasero l’Afghanistan, volta a rovesciare i talebani. Oggi che il Paese è di nuovo in mano ai talebani suona profetica, e ancora attuale, la risposta che due secoli fa l’anziano capo di una tribù locale diede al generale britannico Elphinstone, che voleva convincerlo ad accettare i vantaggi di un governo stabile: “Ci adattiamo alla discordia, ai disordini e al sangue, ma non ci adatteremo mai a un padrone”. Gli afghani quando  agiscono  per una causa comune, la loro nazione non è viene soggiogata dallo straniero, finita la minaccia esterna: lasciati a loro stessi, invece, gli afghani si sono sempre combattuti tra loro.

Favria, 9.09.2021   Giorgio Cortese

Buona giornata. Viviamo sempre nel presente, lanciati in ogni onda, trova la tua eternità in ogni momento. Felice giovedì.

Stupirsi ogni giorno vuol dire apprezzare le meraviglie che la vita ci dona. Ti aspettiamo a Favria MERCOLEDI’ 6 OTTOBRE  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Il virus della disinformazione!

Oggigiorno il mondo con la crescita esponenziale di internet e smartphone sempre più sofisticati, grazie alla scienza e tecnologia è sempre più inquinato dalle cosiddette bufale o se volte dirlo con l’anglicismo fake news. Sui social i tentativi di diffondere dottrine fondate su pregiudizi ideologici o credenze false, che negano fatti e spiegazioni scientifiche su cui si è costruito il nostro benessere economico, sanitario e psicologico, se ne leggono o si vedono i video ogni giorno. Oggi la classe politica usa con grande disinvoltura i social a fini comunicativi e non sempre esercita quell’autocontrollo richiesto a chi prende decisioni che hanno ampie ricadute, a volte senza fare troppa attenzione in un carnaio di polemiche  con teorie che definirei da ignoranti ciarlatani. Oggi nell’era dei viaggi spaziali, la credenza nella Terra sia piatta ed altro come i no vax è stata alimentata soprattutto dalle speculazioni cospirative, insieme alla dissonanza cognitiva e a una forma di bias cognitivi, decisamente anticonformisti,  fondati, senza giudizio critico, su percezioni errate e deformate da pregiudizi  ideologici. I terrapiattisti sostengono ci sia una cospirazione mondiale che, come nel film Matrix, che ci fa vivere una realtà che non esiste ed è frutto di manipolazioni. E’ inutile portare prove, perché i terrapiattisti possono anche credere in alcune prove e conservare le loro pseudo – credenze e continuare la credenza della disinformata della teoria cospirativa. Dalle foto dei satelliti si vede la terra tonda e i pianeti anche, ma la teoria della cospirazione, come quella che l’uomo non è mai andato sulla Luna continua. Non parliamo poi dei vaccini, alcuni pensavano con cattiveria che con il covid 19 i no-vax sarebbero scomparsi, no i no vax sono vivi e vegeti. Neanche questa pandemia li ha fatti rinsavire, anzi a creato in loro ancora più violenta acredine sui vaccini soffiando sul vento di paura e diffidenza su vaccini preparati in fretta e furia per contrastare la pandemia e salvare vite umane. Purtroppo i novax  guardano il morto da vaccino e non contano i milioni salvati dallo stesso. Direte pazzia, no è l’effetto della troppa informazione che per paradosso ha portato la nascita di una crescente disinformazione. La teoria complottista dell’origine del virus e il relativo vaccino, o meglio dei vaccini che secondo i detrattori non hanno copertura a sentire i no vax. Oggi la cosa importante per noi è mantenere attivi i nostri neuroni celebrali, anche con buone letture per poter sfoltire la peste delle false notizie. Oggi purtroppo le persone leggono sempre di meno i libri su carta e si bevono come acqua fresca le scempiaggini scritte sulla rete, dove tutti vomitano le loro presunte verità, come la mia adesso. Oggi i terrapiattisti e loro sostenitori no vax   presentano le loro assurde teorie in modo astuto, sembrano molto ben informati e sono molto convinti di quello che sostengono. Oggi la  nostra capacità non solo di farci ingannare dai sensi, ma anche di farci influenzare dagli altri che di adescano con  argomenti apparentemente razionali per difendere credenze e metodi sbagliati. Adesso il virus più velenoso da combattere è quello che ci ha già instupidito oltre misura, la propaganda, è l’informazione distorta. La storia purtroppo ci insegna che se le persone non ottengono le soluzioni dei disagi che vivono possono anche arrabbiarsi, e se le cose andassero molto male, diventare violente. Quindi sarebbe opportuno cercare di mantenere efficiente e libera dalla politica la scienza, che porta di per sé dei vantaggi sociali ed economici, anche facendo in modo che a livello generale le persone abbiano accesso a informazioni scientifiche valide e non filtrate politicamente e artificiosamente manipolate e portano ad una campagna di odio contro i giornalisti rei solo di divulgare l’informazione.

Favria,  Giorgio Cortese, 10.09.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana se non basta la pelle del leone , allora  indosso la pelle della volpe. Felice venerdì

Stupirsi ogni giorno vuol dire apprezzare le meraviglie che la vita ci dona. Ti aspettiamo a Favria MERCOLEDI’ 6 OTTOBRE  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Camminando a settembre.

Cammino per le strade della campagna favriese In un periodo che sempre più, riporta le persone alla riscoperta della natura ed alle passeggiate nel verde, e rifletto che se anche giro il mondo in cerca di ciò che è bello, o lo porto già dentro di me o non lo troverò mati. Beh, credetemi sui bordi delle strade di campagna esiste una bellezza di fiori selvatici stupefacente. Che bello settembre con i suoi giorni che conservano ancora il calore dell’estate, quando il sole è alto nel cielo, ma alla sera che si allunga sempre di più nella notte mi ricordano quanto l’autunno sia vicino. Le fioriture di questo mese sono bellissime, colorate e ridenti come l’aria settembrina, cosi frizzante ma attraversata dai caldi raggi del sole. Inizio parlando dal convolvolo che cerca di avvolgere un palo lungo la strada. Il nome convolvolo,  deriva dal latino convolvere, e la dice lunga sul  portamento tipico di questa pianta, che avvolge reti, pali o altre piante rendendone difficile il loro sviluppo, fino a provocarne il disseccamento. I fiori vengono detti belli di giorno, perché al calere del sole o la giornata è nuvolosa, si chiudono. Il mio sguardo nel camminare cade su del sorgo selvatico, Sorghum halepense, pianta  erbacea originaria del bacino del Mediterraneo, pianta invasiva e  resistente a diversi diserbanti. Le foglie foglie  possono causare accumulo di gas nell’apparato digerente degli erbivori a causa di un eccessivo accumulo di nitrato. Una curiosità il nome americano di questa erbacea è Johnson grass, legato a quello del Colonnello William Johnson, proprietario di una piantagione dell’Alabama,  che seminò i suoi semi su un terreno agricolo sul fondo del fiume intorno al 1840. La pianta era già stata stabilita in diversi stati degli Stati Uniti un decennio prima, essendo stata introdotta come potenziale foraggio o accidentalmente come contaminante del semenzaio con risultati nel tempo disastrosi per gli animali. Proseguo allietato dal suono della gagliarda roggia che scorre li vicino e noto, mi pare al bordo di un campo, vicino ad un boschetto di verne, ontani, che fanno da bordura alla roggia delle  ortiche chiamata ortìa, ortica, ortìa enrabià, erbacea perenne, spontanea, coperta di peli urticanti, ma che è anche il vegetale più ricco di clorofilla. Cresce in ogni  dove: negli incolti, nei campi, nei boschi, lungo i sentieri. Una volta una persona anziana mi aveva detto che il terreno migliore e più ricco è proprio là dove  cresce l’ortica e mi aveva suggerito di prendere qualche pugno di terra per arricchire i vasi in cui si vogliono piantare i fiori. I greci ne erano ghiotti ed Aristofane ne raccomandava la raccolta in primavera, prima che i fusti fossero induriti; gli svedesi, costretti dalla natura, la coltivano per usarla come verdura: e pensare che, quando ci si vuole sbarazzare di qualcosa di inutile, si dice “gettalo alle ortiche”. Ed io proseguo il mio cammino e mi imbatto nell’Ambrosia artemisiifolia, con i suoi fiori verde giallastro, una pianta erbacea infestante che è immigrata dal Nord America,   che si è diffusa rapidamente in Italia che  può causare riniti e gravi crisi asmatiche per le persone allergiche al polline. E si settembre è tempo di migrare scriveva il Vate, oggi il mondo è interessato da nuove migrazioni. Molto differenti dal viaggio che i pastori di D’Annunzio affrontavano a settembre. Popolazioni sempre più numerose sono costrette da eventi tragici, dalle guerre, a fuggire. Vanno in cerca di nuovi percorsi di salvezza. Si spostano, da zona a zona, nel tentativo di sottrarsi alla miseria o alla morte.  Ma come i pastori della poesia,  sono “cuori esuli” che “vanno verso il mare”.

Favria, 11.09.2021   Giorgio Cortese

Buona giornata. Certi giorni c’è qualcosa di buono in tutto ciò che sembra un fallimento, a volte non lo vedo adesso, aspetto con pazienza. Felice sabato

Calma olimpica.

Da oltre  un secolo, una volta ogni quattro anni le nazioni del mondo inviano i propri campioni di tutti gli sport a sfidarsi alle Olimpiadi, moderne eredi della tradizione dei Giochi Olimpici della Grecia antica. Gli sport di oggi sono ormai tutti molto diversi da quelli praticati nell’antichità, e non si vedono più gare di volteggio sui tori o di pancrazio.Un’altra grande differenza tra i Giochi moderni e quelli antichi risiede nella pace. Durante le Olimpiadi dell’antica Grecia infatti, questo periodo di contese sportive metteva a tacere ogni altro conflitto tra le polis partecipanti, dalle contese politiche e commerciali alle guerre dichiarate. La tregua olimpica era un’istituzione sacra e inviolabile che costringeva a congelare persino le inimicizie personali, pubbliche o private che fossero. Proprio per il valore di quest’antica usanza è giunto fino a noi il modo di dire “calma olimpica” che usiamo per esprimere uno stato di tranquillità assoluta e inalterabile. Ma parliamo di tempi lontani, molto. Durante le Olimpiadi moderne infatti, la pacificazione olimpica non ha mai potuto prendere il sopravvento sulle ostilità. Al contrario, le Olimpiadi hanno dovuto cedere il passo alle due guerre mondiali, una prima volta nel 1916 quando venne annullata la sesta edizione dei Giochi che avrebbe dovuto tenersi a Berlino; e una seconda volta durante la seconda guerra mondiale, quando il conflitto impose la cancellazione della dodicesima edizione prevista nel 1940 a Tokio, e la tredicesima fissata per il 1944 a Londra. Per non parlare della scioccante violazione della sacralità olimpica avvenuta durante l’edizione di Monaco nel 1972, quando terroristi palestinesi di Settembre Nero sequestrarono e trucidarono 11 atleti e tecnici israeliani. Una “calma olimpica” insomma mai raggiunta con le Olimpiadi dell’era moderna: viviamo purtroppo un’epoca in cui non è possibile distrarsi dall’odio nemmeno per un mese ogni quattro anni.

Favria, 12.09.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici. Buona domenica

Stupirsi ogni giorno vuol dire apprezzare le meraviglie che la vita ci dona. Ti aspettiamo a Favria MERCOLEDI’ 6 OTTOBRE  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Nel mezzo del cammin….700 anni dalla morte del sommo  Dante

La vita di Dante Alighieri è strettamente legata agli avvenimenti della vita politica fiorentina. Alla sua nascita a Firenze il 29 maggio 1265, la data è presunta, comunque compresa tra maggio e giugno, la città era ormai da più di cinque anni nelle mani dei ghibellini. Firenze era in procinto di diventare la città più potente dell’Italia centrale. da una famiglia della piccola nobiltà. Nel 1274, secondo la Vita Nuova, vede per la prima volta Beatrice (Bice di Folco Portinari) della quale si innamora subito perdutamente. Dante ha circa dieci anni perde la madre e nel 1283 muore anche suo padre Alighiero di Bellincione, commerciante, ee Dante a 17 anni diviene il capofamiglia. A partire dal 1250, un governo comunale composto da borghesi e artigiani aveva messo fine alla supremazia della nobiltà e due anni più tardi vennero coniati i primi fiorini d’oro che sarebbero diventate le monete  dell’Europa mercantile. Il conflitto tra guelfi, fedeli all’autorità temporale dei papi, e ghibellini, difensori del primato politico degli imperatori, divenne sempre più una guerra tra nobili e borghesi simile alle guerre di supremazia tra città vicine o rivali. Nel 1289 prese parte alla guerra dei Guelfi contro i Ghibellini. A Firenze, tra i venti e i trent’anni, partecipò intensamente alla vita culturale della città difendendo il volgare, continuando i suoi scritti e i suoi studi filosofici. Poi, dal 1295, fece politica attiva, per ciò si iscrisse alla Corporazione dei Medici e Speziali. Nel 1295 fu tra i Savi consultati per l’elezione dei Priori. Nel 1296 appartenne al Consiglio dei Cento che deliberava le spese della città. Nel maggio del 1300 fu inviato ambasciatore a San Gimignano per ottenere l’adesione di quel Comune in un momento difficile. Vi fu eletto Priore ma si rese conto ben presto della debolezza di quel comune e vi rimase un solo bimestre, giugno-agosto. In quel tempo la maggiore minaccia alla libertà comunale di Firenze era costituita dal Pontefice Bonifacio VIII che tendeva ad assicurare alla Chiesa l’egemonia sui comuni dell’Italia Centrale, in particolare sulla Toscana. All’interno di Firenze la lotta politica era tra due famiglie, I Cerchi e i Donati, Bianchi e Neri. Attorno ai Cerchi erano i ghibellini che Dante disdegnava giudicandoli poco energici. Nell’ottobre 1301 si accostò a Firenze Carlo di Valois mandato dal Papa, per sedare la lotta tra Bianchi e Neri. Dante fu uno dei tre ambasciatori mandati dalla Signoria di Firenze al Papa da cui Dante fu trattenuto. Intanto Carlo di Valois consegnava ai Neri, il cui capo era Corso Donati, il governo del comune di Firenze. Dante non tornò a Firenze ma preferì andare a Siena dove gli giunse la notizia di essere stato condannato, in contumacia, 27 gennaio 1302,  all’esilio per 2 anni e all’esclusione perpetua dagli uffici. Non essendosi presentato a pagare l’ammenda e a scolparsi fu condannato al rogo. Cominciò il suo esilio, dapprima affiliato agli altri fuoriusciti, poi da solo, dal 1304, quasi mendicando. Il primo rifugio fu a Verona presso gli Scaligeri, poi a Treviso. Nel 1306 era in Lunigiana ospite di Morello Malaspina, ma pungente era la nostalgia per la sua Firenze e la preoccupazione per i figli anch’essi mandati in esilio con un provvedimento del 1303. Fu in quegli anni che cominciò a scrivere il “Convivio” e il “De vulgari eloquentia”. Nel 1310 discese in Italia Arrigo VII di Lussemburgo col consenso di Papa Clemente V che lo considerava un sovrano pacifico e giusto. L’avvento di Arrigo VII dette grandi speranze a Dante, ma ben presto il fallimento di Arrigo, la rottura tra la Chiesa e l’Impero,  lo sconvolse perché era stato escluso dalla amnistia concessa dal Comune di Firenze agli esuli guelfi nel 1311. Nel 1315 Dante rifiutò l’amnistia concessagli da Firenze, che esigeva che si dichiarasse colpevole e per le condizioni troppo umilianti previste. Perciò la condanna all’esilio fu estesa a tutta la famiglia. Di questi problemi Dante accenna ne “La Monarchia”, nell’epistola ai Cardinali italiani, ed anche nelle invettive ne “Il Purgatorio” e ne “Il Paradiso”. La Signoria fiorentina ribadirà la condanna a morte contro di lui e i suoi figli. Il suo problema politico si convertì in una missione religiosa già in lui sentita, di cui sono testimoni i suoi scritti. Dopo la morte di Arrigo VII Dante accettò l’ospitalità di Cangrande a Verona come si legge nell’epistola a lui dedicata nella terza cantica del Poema allora appena iniziato. A Verona era ancora nel gennaio del 1320 mantenendo ottimi rapporti con Cangrande cui mandava tutti i canti del Paradiso a mano a mano che li componeva. Poi passò a Ravenna sotto a protezione di Guido Novello da Polenta da cui fu mandato come ambasciatore a Venezia. Aveva appena finito di comporre “La Divina Commedia”. Sulla via del ritorno ebbe un grave malore e morì, il 13-14 settembre del 1321. Sia l’uomo Dante che la sua opera sono strettamente legate alle vicende della sua vita, l’incontro e la prematura morte di Beatrice, la sventura politica dell’esilio da Firenze, l’attesa di un rinnovamento politico e sociale rappresentano quei nodi tematici senza i quali non è possibile comprendere la figura del sommo Poeta. Ma non è soltanto il desiderio per la donna amata e per la propria città, entrambe perdute, a guidare l’attività poetica e letteraria di Dante: a fronte della situazione politica del suo tempo e dello stato di corruzione in cui versava la Chiesa romana in continua lotta col potere temporale, il poeta fiorentino può essere considerato una tra le voci più importanti che, tra XIII e XIV secolo, criticarono i propri tempi.  Dante è molto di più, ritengo che possa essere considerato un autore universale, perché non ha solo parlato alla propria generazione ma all’umanità intera affinché essa, oggi come allora, possa intraprendere, proprio come ha fatto lui in prima persona, un percorso di redenzione e di rinnovamento. La sua è una poesia che parla direttamente al cuore di ognuno di noi a settecento anni dalla sua morte. Ogni volta che leggo quanto ha scritto ne colgo sempre una sfumatura emotività passionale, soggettiva che rende l’opera artistica unica e irripetibile. 

Favria, 13.09.2021  Giorgio Cortese

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