Il verme di Lambton, l’umana trascuratezza. – Talos, l’automa. – Da zibolin a zibior! – Belomorkanal, 226 chilometri di inutili morti! – Spa! – Positivo! – Arbiciulù! …LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Il verme di Lambton, l’umana trascuratezza.
Recentemente ho letto una leggenda della tradizione inglese, Lambton Worm. La storia è

ambientata al tempo delle crociate, una storia sempre attuale per ognuno di noi che molte volte preferisce girare la testa dall’altra parte comodamente per quieto vivere, senza assumerci la responsabilità di prendere una posizione. Questa leggenda parla di un giovane ribelle, John Lambton, il quale una domenica mattina, al posto di recarsi in chiesa ad assistere alla S.Messa, da buon cristiano, decide di andare a pescare presso il fiume Wear. Arrabbiato perché non prendeva nulla, aveva proferito alcune sonore imprecazioni con grande scandalo della gente che passava da quelle parti per andare in chiesa. Alla sua lenza aveva infine abboccato un animale sconosciuto, di forma allungata e di aspetto disgustoso: John decise di disfarsene subito e lo gettò in un pozzo. Uno straniero di passaggio gli disse che quella strana creatura era di cattivo auspicio. In seguito John si pentì della sua condotta e andò in Terra Santa a combattere gli infedeli. La bestia continuò a crescere e il pozzo divenne troppo piccolo per contenerla. Arrivò a poter circondare tre volte con il suo corpo un colle che si dice essere stato il Worm Hill, la collina del verme. Il mostro era diventato un flagello per gli abitanti del luogo: divorava gli agnelli, succhiava il latte dalle mucche, abbatteva gli alberi. Gli abitanti per evitare le sue ire, gli facevano trovare ogni giorno una grande quantità di latte, alimento di cui era ghiotto. Molti valorosi cavalieri tentarono di uccidere questo mostro. Alcuni riuscirono anche a tagliare in due parti il suo lungo corpo, ma l’animale riusciva a ricomporsi, mentre i suoi sfidanti raramente uscivano vivi e illesi dallo scontro. Dopo sette anni John Lambton tornò a casa e vide i danni causati dalla creatura e decise di combatterla e il suo proposito si rafforzò quando seppe che era proprio quello strano animale che aveva pescato anni prima. Per affrontarlo ricoprì la sua armatura di punte acuminate e si pose su una roccia che sporgeva dal fiume. Quando la bestia cercò di stritolarlo, le punte penetrarono nel suo corpo e più stringeva più la danneggiavano. John con la spada tagliò in due l’animale e una parte fu portata via dalla corrente del fiume, così che la bestia stavolta non poté riunire le due parti e alla fine dovette soccombere. Ottenuta la vittoria, John avrebbe dovuto uccidere la prima creatura vivente che avesse incontrato. Per questo si era accordato con il padre perché, sentito l’avviso che la bestia era stata sconfitta, liberasse il cane. In caso contrario, una maledizione avrebbe colpito la stirpe dei Lambton per nove generazioni essi sarebbero morti di morte violenta. Il padre, però, pieno di felicità, dimenticò di lasciar libero prima il cane e corse incontro al figlio. John, ovviamente, non poteva uccidere suo padre e così la maledizione colpì nove generazioni di Lambton. Se vogliamo trarre una morale, il protagonista, come volte noi, agisce nel quotidiano senza pensare alla conseguenza dei sui gesti e noi molte volte fuggiamo dalle nostre responsabilità impegnandoci in altre imprese.
Favria,  13.04.2021 Giorgio Cortese

Il modo migliore per vivere una vita ottima e onesta è quello di non fare quello che si rimprovera agli altri.

Il sangue è destinato a circolare. Condividilo! Ti aspettiamo a Favria VENERDI’ 7 MAGGIO  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

Talos, l’automa.

l’idea che l’era moderna non sia altro che un riciclo di ere passate può dare un senso di smarrimento. Però è doveroso, con le dovute cautele del caso, affermare che nulla di nuovo sia stato pensato, ma solo elaborato e adattato nel corso dei secoli. Ritenete, per esempio, che i robot siano un’idea di nuova generazione? Nulla di più sbagliato: nelle civiltà antiche esisteva già il concetto di automa, perché la fantasia umana non ha tempo e non ha spazio, ma solo efficace possibilità di realizzazione. I racconti mitologici pullulano di creature forgiate innaturalmente. Una di queste, Talos, il gigante animato di bronzo. Egli ebbe vita nell’officina di Efesto, il dio abile nella lavorazione dei metalli tramite l’uso del fuoco. Pare che fosse un regalo commissionato direttamente dal padre degli Dei, Zeus, per una delle sue mille amanti. Zeus desiderava che la sua amata Europa, regina di Creta, potesse proteggere la sua isola da attacchi esterni; quindi le regalò un automa di bronzo, Talos appunto, in grado di muoversi con vita propria, esattamente come un uomo. C’è chi dice sia stato costruito da Dedalo, un abile architetto e artigiano, noto per il famoso labirinto da lui concepito e portato a termine sempre sull’isola di Creta. Chi l’abbia materialmente fatto conta molto poco, dato che tutti concordano con il compito che questo gigante assolveva: Minosse, figlio di Europa e re di Creta, lo mise a guardia dell’isola. Il possente Talos eseguiva scrupolosamente il suo lavoro tenendo lontani i nemici e intimidendo anche chi volesse scappare dall’isola senza un preciso accordo con il re. Percorreva a grandi passi l’isola più volte al giorno, sempre all’erta, sempre sorvegliando la costa e l’interno. Talos arroventava il suo corpo metallico e si gettava sui pochi temerari che osassero sfidare la sua vigilanza. Li cercava, li scovava e li bruciava vivi, in pratica, in un arroventato abbraccio mortale. Tutto si può dire, tranne che non fosse caloroso! Era anche esperto nel lancio di pietre e giavellotti, così da scoraggiare già a distanza l’attracco di navi indesiderate. Era un robot intelligente a tutti gli effetti, anche perché – per alcune fonti autorevoli – non era altro che l’ultimo degli uomini o semidei dell’epoca del bronzo, quindi indistruttibile ma con la capacità di autonomia di pensiero tipica dell’essere umano. Talos aveva un punto, nel suo corpo, che era per lui stesso vita e morte insieme: una vena pulsante di sangue, al di sotto del tendine di una delle due caviglie. Era vita, perché era ciò che gli consentiva l’animazione nonostante il corpo bronzeo; era morte, perché proprio quel punto pulsante di sangue umano rappresentava l’unico suo punto mortale, quindi debole. Quel che gli dava facoltà umana, allo stesso tempo, gliel’avrebbe potuta togliere da un momento all’altro. E così fu. C’è chi narra che sbatté accidentalmente con la caviglia contro uno scoglio appuntito. Chi, invece, racconta come la fine di Talos fu ad opera di una delle donne più magiche ed affascinanti di sempre: Medea. Trovatasi – per fatti che non sto qui a snocciolare – insieme agli Argonauti, Medea non ci pensò due volte a rimbambire Talos con uno dei suoi filtri magici e, poi, indicò ad un arciere dove fosse la vena di cartilagine e sangue, allo scopo di stendere quel bestione metallico. In entrambi i casi, comunque, Talos sentì venir meno la sua linfa vitale e, accasciatosi a terra con un tonfo assordante, morì come solo un uomo muore. La vita di un automa, quindi, era già nelle fantasie degli uomini antichi, con l’unica variante di un tocco di mortale umanità; lo stesso tocco che, al giorno d’oggi, sembra non competere nemmeno agli umani propriamente

Favria, 14.04.2021  Giorgio Cortese

La vita quotidiana è una successione di lezioni che devono essere vissute per essere comprese.

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Da zibolin a zibior!

In piemontese lo zibolin è lo zibolo giallo  è la specie di zigolo più diffusa e più frequente in Europa e vive di preferenza nei paesaggi agricoli con siepi, frutteti, campi e prati. Già all’inizio della primavera il maschio fa risuonare il suo semplice canto  costituito dalla monotona ripetizione di una sola nota, con finale accentuato e prolungato  ci-ci-ci-ci-ci-ci….ciuii. Un tempo, i disboscamenti, la campicoltura tradizionale e la tenuta dei cavalli avevano fortemente favorito lo Zigolo giallo, tuttavia questi tempi d’oro sono ormai finiti e la conservazione della specie dipende oggi da un’utilizzazione del suolo orientata anche verso la protezione della biodiversità. Lo zigolo giallo vive in Europa e Asia e sverna a sud dell’areale. Mel Patrio stivale  ha la massima diffusione tra i 700 e i 2000 metri di quota ed è comune anche come migratore e svernante. Predilige gli ambienti aperti con alternanza di spazi erbosi, siepi e alberi sparsi. Di forme snelle e allungate, ha un abito di colore marrone-rossastro, con capo e faccia gialli lievemente striati di scuro; l’apertura alare è di 23-30 centimetri. Si nutre soprattutto di semi di cereali e di altre graminacee, che ricerca sul terreno, dove cammina e saltella in posizione orizzontale, tenendosi basso sulle zampe. Lo zigolo giallo ha una socialità del tutto particolare, poiché conserva sempre la propria individualità, pur unendosi in gruppi misti con Fringillidi e altri Passeriformi. In piemontese lo zigolo giallo si chiama  zibolin e il suo  nome deriva  dal lemma latino sibilare , sibilare, fischiare. Da li il lemma piemontese zibior, uccellatore, richiamo per passeri che sembra affine ma deriva dalla parola di prima ma dal germanico antico babaiti, caccia al falco attraverso il medio tedesco bebeize. Da questo si deriva il  lemma zibiè selvaggina ma anche buono a nulla. Ma tutte queste parole non sono da confondere con zibèt che vuole dire forca, patibolo, voce questa che deriva dal francese gibet a sua volta dal germanico gibb, bastone biforcuto che si può immaginare a cosa serviva. Come vedete da una parola sono andato a zich  zach. Tortuosamente per zaspè, per macchiare la pagina di inchiostro per scrivere questo breve pensiero

Favria, 15.04.2021    Giorgio Cortese

Ogni giorno la vita quotidiana  nonostante le preoccupazioni e affanni può essere migliorata e degna di essere vissuta

Belomorkanal, 226 chilometri di inutili morti!

A ridosso della boscosa linea di confine tra la Finlandia e la Russia si stende, la fredda Carelia una landa di  terra bianca di neve. I dirigenti comunisti con Stalin in prima fila dovevano dimostrare ai russi e al mondo come anche  nella lontana e fredda Carelia portavano tutta la dirompente novità della Russia rigenerata dal socialismo. Nel piano di sviluppo della regione, era essenziale la costruzione di un canale che collegasse il Mar Baltico con il Mar Bianco: da San Pietroburgo, il il Belomorkanal, Canale del Mar Bianco, fu la vetrina dell’efficienza del primo Piano Quinquennale, nonché il banco di prova della rieducazione forzata attraverso il lavoro, 226 chilometri di morti! Venne costruito tra il settembre 1931 e l’aprile 1933 per volontà di Stalin, che pretendeva fosse ultimato in soli 20 mesi. La maggior parte degli uomini che vi lavorarono proveniva dal lager delle isole Solovki. Per il regime tutti si erano dedicati all’impresa con passione: studenti, intellettuali, soldati, contadini e perfino donne. Dati confermati dagli storici hanno invece stabilito che per realizzarlo morirono circa 100.000 persone, gli schiavi del Gulag, il lavoro schiavistico in Urss, celato dietro il nome di “lavoro correzionale”. Attraverso un lavoro durissimo questi uomini avrebbero, secondo l’interpretazione dei burocrati del Cremlino, espiato i loro peccati.  Nell’agosto del 1933, a lavori ultimati, Stalin inaugurò il canale andando in gita in piroscafo con Vorosilov e Kirov dopo aver ripulito il canale dai cadaveri, assieme a 120 scrittori che intrapresero analogamente una crociera lungo lo stesso. Lo scrittore russo Maksim Gorkij Gor’kij lodò così l’impresa, rivolgendosi a coloro che lo avevano costruito, ossia ai superstiti: diavoli di uomini, non vi rendete neppure conto di quello che avete fatto!”. Nessuna parola spesa per le 100.000 vittime. La letteratura ufficiale taceva per evitare di finire nei Gulag, ed era interessata solamente ad esaltare una tale creazione e compiacere Stalin. Nelle pagine di Arcipelago Gulag, che invito ad andare a leggere,  descrive la costruzione del canale Mar Bianco-Mar Baltico, Solzenicyn imita volutamente il tono retorico con cui essa fu celebrata dalla propaganda di regime e nel contempo, l’autore svela la drammatica realtà di quella grandiosa opera di ingegneria, costruita praticamente a mani nude, dal duro lavoro dei prigionieri. Scrive Solzenicyn i veri motivi che c’erano dietro la costruzione del canale: “a Stalin serviva una grande impresa realizzata da detenuti che assorbisse molta manodopera e molte vite, efficace come una camera della morte ma più a buon mercato di questa, lasciando al tempo stesso un grande monumento, sul tipo delle piramidi, del suo regno”.

Favria,  16.04.2021  Giorgio Cortese

La vita è come una moneta che posso spenderla come preferisco, ma la spendo solo una volta.

Spa!

La parola spa oggi indica un centro termale o centro benessere e arriva dall’inglese attraverso il toponimo della cità belga Spa. Nei vocabolari degli anni Novanta del secolo scorso, generalmente la parola non è presente, a ulteriore testimonianza del fatto che si tratta, per l’italiano, di un’acquisizione recente,  prima, le persone andavano semplicemente alle terme o al centro benessere. Secondo una ricostruzione curiosa alcuni affermano che la parola Spa sarebbe legato alla locuzione latina salus, o sanitas, per aquam, o per aquas, cioè salute attraverso l’acqua/le acque, e pertanto il termine spa sarebbe un acronimo, e anche per questo motivo si dovrebbe scrivere tutto maiuscolo: SPA!. Ma perché gli inglesi chiamo le terme con spa? Spa è una città belga, situata nella provincia vallona di Liegi, nell’est del Paese, non lontana dal confine con la Germania, ed è nota per le sue sorgenti. La fama degli effetti medicamentosi di queste fonti crebbe, attirando in maniera stabile turisti britannici pare già dal XVI secolo. Ma fu dal Settecento che Spa divenne un polo mondano di rilievo europeo. Accanto alle cure termali fiorirono arti, divertimenti e gioco d’azzardo con il  il primo casinò, concentrando un ambiente dal profilo sociale elevato, in cui si potevano principi russi, monarchi dell’Europa Occidentale, spie, avventurieri, scrittori filosofi e gaudenti come Giacomo Casanova. Anche noi in Italia abbiamo molte belle terme, meravigliose, ma non è difficile intendere perché sia il nome di questa località belga  che è divenuto per antonomasia il luogo in cui, con trattamenti d’acqua e delizie variegate, si cura il corpo  e forse anche lo spirito.

Favria,  17.04.2021   Giorgio Cortese

Ogni giorno manteniamo la calma e andiamo avanti.

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Positivo!

Oggigiorno essere positivo non è una scelta, è la parola stessa a custodirne una conferma. L’etimologia del lemma mi ricorda che non di una condotta, da sposare o disconoscere, Il latino medievale “positivus”, parente stretto del participio passato latino “positus”, svela il senso profondo della positività, espressione di ciò che è, inevitabile esito di chiunque essere umano che ha coscienza della propria identità e della propria esistenza. Così ragiono con i piedi piantati per terra, positivamente, senza il rischio di smarrirmi o di aprire le porte dell’animo al mio peggio avversario: la paura. Ogni giorno possiamo affrontare al meglio ogni cosa, anche la più inattesa e complessa se siamo nell’animo positivi. Perché ogni prova è un pezzetto di quell’esperienza terrena che ci è stata donata e che ci vede sempre e comunque privilegiati protagonisti. Siamo positivi e diffondiamo il virus della positività, di per sé potente antidoto, magari con un bel sorriso

Favria, 18.04.2021   Giorgio Cortese

Ogni giorno continuo a sorridere, perché la vita è una cosa bellissima e c’è così tanto per cui sorridere. 

Arbiciulù!

La parola piemontese arbiciulù, vuole dire sveglio e pronto, insomma nuovamente in gamba. La parola deriva dall’espressione bec, di origine celtica, becco, usato anticamente per richiamare gli animali, specialmente ovini e caprini. Dalla parola bec deriva il lemma piemontese beccia per indicare la cerva, la pecora o un gioco di carte. Da dalla radice bec nasce la parola  bech, becco  per arrivare  al termine  arbecch, con il significato  di introdurre cibo con il becco, oppure ribattere con il becco che non è l’ambecché un mofo di dire a chi suggerisce cosa dire o cosa fare per rimbeccare ad un discorso. Da arbiciulù abbiamo il lemma  arbeccé, recuperare le forze ma anche  farsi bello o rinvigorisi, poi abbiamo il pronome arbeccinesse, abbellirsi,  aggiustarsi la persona. Scusate se ho fatto questo breve viaggio con la parola iniziale ma ogni tanto sto con “nas al’arbeciàu”, con il naso all’insù e penso, in genovese  rececchio, non bisticciare o ribattere ma nel pensare alla bellezza della lingua piemontese anche se potò sembrare un duribéch, qui non come uccello frisone, ma come sciocco.  Ritengo bello pensare che gli esseri umani hanno migliaia di linguaggi estremamente complessi per esprimere i loro pensieri più seri  per poi esprimere la  gioia ridendo esattamente nello stesso identico modo arbiciulù!

Favria,  19.04.2021  Giorgio Cortese

La vita è ciò che facciamo, è sempre stato, sempre sarà.

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