In estate non tutti…- L’antico frinire delle cicale. – Al bicerin – Mrs. Astor e i 400. – Portatori di speranza. – Cerea neh…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

In estate non tutti…

In estate non tutti possono andare in vacanza. Di sangue c’è sempre bisogno, soprattutto ad Agosto. Prima di partire ricordatevi di donare. Le malattie non vanno in vacanza.  In estate, come spesso accade, il calo dei donatori è evidente. Ma non quello dei malati, che hanno bisogno di aiuto, o delle persone che fanno cure specifiche. Sembra banale ma lo ricordiamo: i malati non vanno in ferie. Il sangue non si usa solo per i traumi, per gli incidenti stradali o gli interventi chirurgici ma pure a scopo terapeutico: ad esempio è un ottimo supporto per i malati oncologici. Ci sono poi persone che vivono grazie a trasfusioni fatte ogni due settimane. Per questo è necessario avere un flusso costante di sangue. L’appello è rivolto a tutte le persone di buona volontà ed in buona salute, età compresa tra i 18 ed i 60 anni e che pesino almeno 50 chili, per prenotare la propria donazione, di sangue intero a Favria giovedì 18 Agosto, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Per info e prenotare cell. 3331714827 o mail  favria@fidasadsp.it

Con questo appello mi rivolgo a tutti i donatori e i potenziali donatori, che sono  persone generose e altruiste capaci di esprimere la massima solidarietà soprattutto nei momenti di difficoltà. Siamo tutti donatori, aspettiamo a braccia aperte per ridare le speranze a chi ormai le aveva perse: il sangue è sempre rosso, non distingue etnia e sesso, donare è universale.

Grazie

Favria, Agosto 2022  Giorgio Cortese

L’antico frinire delle cicale.

Quando nel caldo pomeriggio estivo gli infuocati raggi invitano al riposo pomeridiano, senza l’accompagnamento del canto della cicala, non ci sarebbe la colonna sonora dell’estate.

Sotto il tremolio dell’aria estiva, al sole e sotto un caldo estremo, il frinire delle cicale è come una danza senza musica. Ancora e ancora, il grido instancabile delle cicale trafigge l’aria afosa dell’estate come un ago al lavoro su uno spesso panno di cotone.

Il lamento delle cicale oggi pomeriggio riempiva il cielo, era come una loro preghiera al cielo nel parco Martinotti a Favria per invocare la pioggia.

La panchina di legno nel parco scottava al sole, e le cicale erano le sole padrone dell’ora.

Dopo quattro anni di aspro lavoro sotterra e un mese di gioia al sole: ecco quale sarebbe, dunque, la vita della Cicala. Non rimproveriamo più all’insetto adulto il suo delirante trionfo. Per quattro anni esso ha portato nelle tenebre la sua sordida casacca di cartapecora, per quattro anni ha rovistato la terra con la punta delle sue pinze; ed ecco la cicala vestita ora in elegante costume, dotato d’ali che rivaleggiano con quelle degli uccelli, abbronzato dal sole, inondato di luce, gioia suprema di questo mondo. I cembali non saranno mai troppo fragorosi per festeggiare questa felicità, così bene guadagnata e così effimera.

Care cicale siete la a colonna sonora dell’estate però non Vi ho mai vista in faccia. Praticate il mimetismo e se qualcuno si avvicina al Vostro ricovero tacete di colpo, per sottrargli la traccia.

A voi cicale, bionde dei raggi del sole, amanti dell’afa, che l’estate cantate a dispiegate gole, sia lode per il vostro inno giocondo che par dica che la gioia non è morta nel mondo. E la mia anima si nutre d’estasi come la cicala di rugiada. E quando il Vostro frinire tace o si dirada, l’aria appare come vuota, e nel parco sembra che un vuoto cada.

Poi verrà l’autunno, e i Vostri biondi involucri  si screpoleranno, come sembreranno lontani questi giorni afosi estivi dove ci inebriavamo dal canto delle cicale con il Vostro cantare a gole dispiegate, dove pareva che mietevate l’afa opprimente con le Vostre strida, simili a novelle Baccanti.

Ricorderemo il Vostro rumore rauco, e lento, cadenzato, il Vostro canto che ha qualcosa di antico, ancestrale, come quelle cose arrivate a noi attraverso i millenni e che a volte si trasformano in esperienze straordinariamente attuali.

Favria,  18.08.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno possiamo fare degli sbagli, ma l’importante e capirli e ripartire. Felice giovedì

Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo oggi a FAVRIA  prelievo straordinario GIOVEDI’ 18 AGOSTO  2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Al bicerin

Torino sia la capitale italiana del cioccolato è un fatto, possiamo dirlo, assodato. Girando per le vie della città tra caffè storici e nuove cioccolaterie, il capoluogo piemontese è un trionfo di cioccolatini, dai mitici gianduiotti ai deliziosi cremini, cioccolate calde,  dolci ricoperti o ripieni di quello che Linneo definì “il cibo degli dei”. Torino è la capitale del cioccolato in Italia per il fatto di aver dato i natali al primo cioccolatino della storia. Ebbene si, il cioccolatino più antico del mondo è nato a Torino e si chiama “diablottino”  o diablutìn in piemontese.

L’amore ricambiato tra Torino ed il cioccolato risale a diversi secoli fa. Nel 1560, Emanuele Filiberto di Savoia servì ai cittadini torinesi una tazza fumante di cioccolata calda per festeggiare il trasferimento della capitale ducale da Chambéry a Torino. Fu amore a prima vista, anzi a primo sorso. Alla corte erano ghiotti di questa novità e già dal 1600 iniziò il rito della Merenda Reale,  per spezzare la fame tra il pranzo che si svolgeva alle 11.00 e la cena prevista alle 16.00, ma anche durante la serata,  che diventò ben presto una consuetudine. Come vedete a Torino sono più avanti dell’Inghilterra Vittoriana con il te alle cinque che  fu presumibilmente inventata intorno al 1840 da Anna Russel, Duchessa di Bedford, amica e dama di corte della Regina Vittoria. A quei tempi l’etichetta imponeva di cenare verso le 20.00, ma durante il lungo intervallo tra pranzo e cena alla Duchessa Anna veniva sempre un certo languorino. Così, prese l’abitudine di farsi servire come spuntino del tè accompagnato da pane, burro e dolci. La Merenda Reale del ‘700 era  composta da una cioccolata calda fatta con acqua e cioccolato fondente in cui si intingevano dei biscotti secchi tradizionali, detti “Bagnati”, e che si gustava con altri cioccolatini, tra cui appunto i diablottini che furono i primi ad apparire a corte. Si  racconta che questi deliziosi cioccolatini, preparati con cioccolato fondente, zucchero e vaniglia, fossero diventati famosi in tutte le altre corti d’Europa. I nobili europei ne apprezzavano la bontà e la praticità per il fatto di poter essere gustati non solo durante la merenda, ma a qualsiasi ora ed in qualsiasi posto. Leggenda narra anche che Giuseppe Pietri, compositore italiano specializzato in operetta e autore di “Addio Giovinezza”, ambientata proprio a Torino, abbia concepito il duetto del cioccolato “Cioccolatini cioccolatin” proprio ispirandosi ai diablottini. Da allora i diablottini non hanno mai lasciato la città e ancora oggi  sono il simbolo delle migliori cioccolaterie di Torino,  insieme ad altri prodotti di eccellenza. La Merenda Reale dell’Ottocento comprendeva il bicerin. Bicerin, significa letteralmente “bicchierino” e, prima di iniziare a conoscerne la storia, è fondamentale fare una distinzione. Il classico Bicerin piemontese di cui stiamo parlando, non ha niente a che vedere con l’omonimo  liquore al gianduia.  La sua nascita risale al 1763, presso  lo storico locale torinese Caffè al Bicerin. Qui, miscelando in maniera eccelsa pochi ingredienti quali cioccolato, caffè e fior di latte, vede i natali questa specialità che da anni riesce a conquistare il palato dei golosi piemontesi e non. Le dosi però, vengono ancora conservate gelosamente, nonostante il passare degli anni. L’antenato del Bicerin è la Bavareisa, bevanda settecentesca allora di gran moda che veniva servita in grossi bicchieri ed aveva come  ingredienti caffè, cioccolato e crema di latte dolcificata con sciroppo. 

Anticamente gli ingredienti venivano serviti separati poiché davano vita a tre diverse eventuali combinazioni, chiamate in lingua piemontese:

“pur e fior”, simile all’attuale cappuccino;  “pur e barba”, caffè e cioccolato; “un poch ad tut”, un po’ di tutto. L’ultima scelta fu quella che ebbe maggior successo e che tuttora viene servita nei locali di Torino.

Nel 1763, quando l’acquacedratario, antico mestiere di strada del tempo, Giuseppe Dentis apre la sua piccola bottega nell’edificio di fronte all’ingresso del Santuario della Consolata, non sa di avere aperto il primo caffè  di concezione moderna in Europa.  Nel 1843 un tale di nome Calosso contradaiolo della Dora Grossa (l’attuale Via Garibaldi), ovviamente a Torino, ebbe l’idea di applicare un manico ad ogni bicchiere di formato più piccolo, che venne poi utilizzato per la bevanda e da quì il termine “Bicerin”.

Pensate che Hernest Hemingway lo inserì tra le 100 cose del mondo che avrebbe salvato e tra estimatori noti, oltre Hemingway, ci furono Picasso, Alexander Dumas, Umberto Eco che lo cita nella sua opera “Il cimitero di Praga” e sopra tutti il Conte Camillo Benso di Cavour.

Favria,  19.08.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. La vita quotidiana è il regno delle sorprese dove quasi nulla avviene come previsto. Felice venerdì

Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo oggi a FAVRIA  VENERDI’ 2 SETTEMBRE  2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Mrs. Astor e i 400.

Li chiamavano The Four Hundred, i 400. Formavano l’inner circle, la cerchia ristretta di cui faceva parte solo chi poteva contare su antiche e consolidate fortune. A custodire le regole della vecchia New York era la sua sacerdotessa, Caroline Schermerhorn Astor. Nata nel 1830, aiutata da Ward McAllister, colto gourmet del Sud che si diceva sapesse “più cose sulle tartarughe di qualsiasi cordon bleu”, Mrs. Astor regolava l’ingresso nel club dei privilegiati “seduta sul  suo divano come su un trono, con la tiara di diamanti appollaiata sulla testa”, come scrive Esther Crain. Le famiglie rispettabili dovevano avere, come lei, radici nella colonia di New Amsterdam, il primo nome di New York, in quei knickerbocker olandesi che fondarono la città.

Qui serve una precisazione, la parola knickerbocker negli Usa indica i pantaloni alla zuava, meglio, calzettoni con disegno a riquadri. Il nome deriva da Diedrich Knickerbocker, autore fittizio a cui Washington Irving, lo stesso che le ha dato il nome di Gotham City, città delle capre per intendere la pazzia dei suoi abitanti nella sua storia di New York nel 1809, illustrata con disegni in cui si vedeva questo tipo di pantaloni. Tornando a Mrs. Astor e i 400, il cronista mondano di Vogue Frank Crowninshield descrisse il suo come un potere assoluto: “Amava le vecchie famiglie, i vecchi modi, i vecchi domestici, le vecchie opere, i vecchi merletti e i vecchi amici”. La lista dei 400, che poi era il numero di persone che entravano nella sua sala da ballo, fu pubblicata dal New York Times nel 1892. Suo figlio, John Jacob Astor IV, costruì l’hotel Astoria che, unito al Waldorf del cugino, divenne l’albergo più lussuoso, il primo con elettricità e bagno in camera. Nel 1912 morì nell’affondamento del Titanic. Il testimone di Mrs. Astor, morta nel 1908, fu raccolto dal “triumvirato”: tre stelle nascenti che sgomitavano per far parte della Old New York: Alva Vanderbilt, Mamie Fish e Tessa Oerlichs, figlia di un immigrato irlandese che aveva trovato Big Bonanza, la vena d’argento più ricca del Nevada, ma questa è un’altra storia.

Favria, 20.08.2022   Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana ogni scelta implica, di per sé, l’abbandono di tutte le alternative. Se non fossimo costretti a scegliere, saremmo immortali. Felice sabato

Portatori di speranza.

Albert Einstein una volta disse: “Il valore di una persona risiede in ciò che è capace di dare e non in ciò che è capace di prendere,” un po’ come l’amicizia, che risiede nella fiducia reciproca che le persone sono capaci di tessere attraverso legami di reciproco sostegno, accomunanza di valori, solidarietà ed affetto. Fin da bambini, i nostri genitori, ci dicono che “Chi trova un amico trova un tesoro.” In effetti a quell’età non diamo valore a questa frase, poi però, cresciamo e conosciamo persone che ci fanno capire il significato vero di questa frase: Almeno una volta, ognuno di noi si è sentito dire “Sarò qui a sostenerti” o si è trovato a difendere il compagno nonostante tutto.  Non volendo soffermarci tanto sul numero di amici che si ha, è importante riconoscere la qualità degli amici.  Non pensiamo infatti che tutti debbano esserci per forza amici.  L’amicizia è quell’intesa perfetta che ti fa entrare nella mente di una persona e ti fa capire come reagisce a qualcosa ed a intuire i suoi sentimenti e questo succede per pochi. Una grande amicizia ha due ingredienti principali: il primo è la scoperta di ciò che ci rende simili e il secondo è il rispetto per ciò che ci rende diversi. Due amici possono a volte litigare, ma sanno che in nessun modo potranno mai dividersi, principalmente in questo momento che tutti noi stiamo vivendo di difficoltà, quando un abbraccio o una semplice mano che scalda la tua è importante. Alphonse Karr un giorno disse: “troppi amici, ma poca amicizia.” Dunque questo forte legame è anche una sfida che consiste nel trovare persone, che ti dimostrano tutto l’affetto per quello che sei realmente.

Favria,  21.08.2022   Giorgio Cortese

Buona giornata. Vedere il cielo in estate al mattino è poesia, anche se non è scritta in nessun libro. Felice domenica

Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo oggi a FAVRIA  VENERDI’ 2 SETTEMBRE  2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Cerea neh

Cerea neh, non esiste canavesano che non abbia pronunciato o sentito almeno una volta nella vita questo tipico saluto piemontese, molto diffuso nel passato e un po’ meno ai nostri giorni. Difatti, in piemontese esistono due espressioni linguistiche per esprimere tipico saluto di commiato, ovvero quando si saluta una persona prima di andare via:

arvedze e cerea.

La prima espressione è ovviamente una traduzione dell’italiano “arrivederci”, mentre la seconda è una espressione tipicamente piemontese che non ha corrispettivi nella lingua nazionale. Il saluto piemontese cerea ha una connotazione un po’ più formale del “ciao”. Si tratta di un saluto che denota una certa distanza tra gli interlocutori, ma che allo stesso tempo esprime in modo elegante il rispetto che c’è tra le persone coinvolte.

Ma perché usiamo cerea e  qual’è la sua origine?

Adesso sentiamo dire cerea nella rappresentazioni teatrali comiche, ma in origine era  una forma di saluto reverenziale.

Poi col passare del tempo poi questa espressione è divenuta un po’ più colloquiale.  Sull’origine del termine piemontese esistono due teorie, la prima  fa derivare la  parola deriverebbe dal termine greco chaire, imperativo del verbo chairo che significa “rallegrarsi/gioire”.

 Una delle leggende legate a questa interpretazione narra che un cadetto di casa Savoia, volendo vantarsi del fatto di conoscere il greco, avesse preso l’abitudine di salutare tutte le persone che incontrava dicendo chairo. Gli abitanti della città di Torino, per compiacere la casa reale, si erano messi ad imitare il saluto di questo cadetto trasformandolo poi nel più popolare cerea. Se a livello fonetico la somiglianza tra le due parole c’è, a livello semantico sembra invece reggere molto meno. Per la  seconda teoria,  quella più accreditata, il saluto piemontese deriva invece dall’espressione “Saluto alla Signoria Vostra”, con alterazione della parola “Signoria” che nel parlato popolare è diventata sereia, serea, molto simile al saluto genovese scià o a quello veneziano sioria vostra. Questa origine giustificherebbe anche il tono reverenziale del saluto poiché indirizzato in passato a qualcuno di estrazione sociale medio-alta.  Il dizionario Treccani  viene in supporto a questa teoria definendo il termine “cerea” così: [da serèa «signoria»; cfr. sere «signore»], regionale – Forma di saluto, in origine reverenziale, poi divenuta familiare, in uso nel Piemonte

Oggi cerea viene ancora usato ma, purtroppo è sempre più raro, e pensare che cerea è una forma di saluto rispettosa e cordiale, ma non equivale al ciàu, l’italiano ciao, più confidenziale e inflazionato. Ed è pure qualcosa di più di un semplice “bondì”, buongiorno!. Così come è più completo e meno limitato di un “arvrdze!” arrivederci, perché  cerea lo si può usare sia al momento di un incontro che al momento del commiato. Il cerea è una filosofia, una cultura, uno stile di vita, un modo di salutare che racchiude tradizioni, storie antiche, e orgoglio di piemontesità. È stima, gioia di un incontro, è rispetto, ma al tempo stesso, anche un segnale di discrezione, tipico di chi non vuole invadere troppo l’altrui sfera personale. Perché si sa: chi a dà tròpa confidensa, a perd la riverensa, chi dà troppa confidenza, perde la riverenza.

Concludo con una curiosità, cento anni fa,  risuonava cristallino in tutte le strade, nelle botteghe, nei caffè: la gente si scappellava e con un inchino appena accennato, si abbandonava a scambi calorosi di “cerea!”. Questo saluto, schietto e rispettoso, come è nello stile della gente subalpina, rievoca i fasti delle prime e gloriose storiche società sportive di canottaggio, sorte a Torino lungo il Po tra gli anni Sessanta e Ottanta dell’Ottocento. Come la Reale Società Canottieri Cerea  indossavano mute sportive con i colori bianco e azzurro, a righe orizzontali, ed una stella sul petto.

Cerea neh!

Favria, 22.08.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Il nostro quotidiano dovere è quello di salvare i nostri sogni. Felice lunedì.

Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo oggi a FAVRIA  VENERDI’ 2 SETTEMBRE  2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio