Lo sguardo. -Ma che fai! Ti metti a taggare?-Lo stolido insulso di Giorgio Cortese

Lo sguardo.
Mi rendo sempre più conto che il mio sguardo, che intendo ciò che viene visto, varia di attimo in attimo. Panta rei, mai due volte quel che osservo è la stessa cosa, perché il fiume del tempo e della luminosità che avvolge le cose e le persone durante la giornata è sempre un altro e un altro ancora. Ma il paradosso vale anche per chi osserva che è sempre diverso di momento in momento. Insomma in ogni attimo della giornata sia io che il mio interlocutore siamo sempre in continua trasformazione. Penso che per realizzare il giusto rapporto tra il scrutante e lo scrutato o viceversa, è come fare sparare verso l’alto due proiettili da una pistola e da un fucile e sognare che le loro rispettive traiettorie si incrocino e che i due proiettili vi giungano nello stesso istante. O, ancora, è come se due angeli in volo libero si incrociassero e, presisi sottobraccio, continuassero a volare insieme, remando ognuno, sincronicamente, con l’ala periferica. Perché un guardare sia vero, occorre che accada un miracolo. Questo è il prodigio che riesce a ottenere l’artista, quando sta di vedetta sul mondo. Tutto questo si mescola, nella betoniera della mente, con la storia del mondo e con il pensiero del singolo. La sintesi che ne lievita è forse l’opera d’arte o quello che intuisco possa essere
Favria, 3.12.2014 Giorgio Cortese

Un proverbio francese dice che a Dicembre le giornate sono corte ma lunghe le notti. L’ape tace e il giunco geme!.

Ma che fai! Ti metti a taggare?
Oggigiorno il verbo taggare si usa sempre più frequentemente, deriva dall’italianizzazione del verbo inglese to tag, che significa “etichettare”. Il termine è entrato nel linguaggio comune grazie a Facebook: nel social network, “taggare” significa dare un nome ad un volto presente all’interno di una foto o di un video. L’utente può etichettare un volto conosciuto cliccandoci sopra con il mouse e scegliendo il nome corrispondente alla persona dalla lista dei propri amici. La foto taggata apparirà sulla bacheca dell’amico in questione e verrà indicizzata nella sua cartella “foto”. In informatica, significa marcare gli elementi di un file o nel gergo dei writers, firmare un graffito con la propria sigla. Da qualche tempo la funzione del tag è stata ampliata: possiamo taggare gli amici nei nostri status oppure nei luoghi in cui ci troviamo. Non è la prima volta che internet porta all’italianizzazione di verbi inglesi, era già successo con linkare, ovvero creare un collegamento ad un indirizzo internet, chattare con il significato di comunicare utilizzando una chat, postare con il significato di scrivere un articolo, o post, su un blog, zippare per comprimere un file in formato zip, bannare per eliminare un utente da un forum ed infine il lemma googolare per cercare sul motore di ricerca su internet, Google. Una curiosità, tutti i verbi importati dal linguaggio inglese seguono la prima coniugazione. Come detto, taggare, vuole dire etichettare. Etichetta deriva dal francese come etiquette che deriva dal francese antico estiquer, con il significato di attaccare. Il lemma proviene dal gotico stiggan / stikken con il significato di pungere e penetrare. Ma la parola etichetta attraverso lo spagnolo etiqueta, con il significato di prescrizione, significa anche il complesso degli usi che regolano la vita dell’alta società o di ambienti molto formali, com il cerimoniale di corte, il codice, la consuetudine, la norma, il protocollo, la regola. Anticamente veniva usata nello scrivere in cartelli per il cerimoniale delle corti, da li è passato a quelle regole che si osservano nel conversare con le persone che si conoscono. Insomma l’etichetta è quell’insieme di consuetudini, solo formalmente seguite, che regolano il vivere civile. Dalle etichette nasce anche una forma di collezionismo denominato labellofilìa, parola composta dall’inglese label, etichetta e filia. Attività collezionistica dedicata alla raccolta di etichette di vini, di liquori, di bevande varie, ma anche di formaggi, di fiammiferi. Sempre da etichetta, deriva il lemma inglese ormai di uso comune, netiquette, composto aplologico di net/work, rete e e/tiquette, etichetta, ovvero etichetta della rete telematica. Nel linguaggio di Internet, insieme delle norme di comportamento, non scritte ma a volte imposte dai gestori, che regolano l’accesso dei singoli utenti alle reti telematiche, specialmente nelle mail e nella chat. Faccio solo una parentesi, aplologìa, deriva dall’inglese haplology, comppsta da haplo, aplo e logy, logia. In linguistica, la scomparsa di una sillaba, per una sorta di dissimilazione con una sillaba uguale o simile nella stessa parola o in un gruppo di parole strettamente unite, ad esempio, cavalleggeri per cavalli leggeri; smog, termione inglese nato dalla contrazione di smoke, fumo e fog, nebbia; brunch la contrazione di breakfast, colazione, e lunch, pranzo, si potrebbe continuare con mineralogia per mineralologia, cartolibreria, furgonoleggio, cantautore e altri ancora. Per tornare all’etichetta anglofona taggare c’è ancora il termine hashtag, lemma che deriva dall’inglose, parola composta da hashmark, cancelletto e da tag, etichetta. Come si è visto il taggare vuole mettere in evidenza un nome su di una foto e questa dovrebbe essere solo fatta dalle persone che sui social forum sono amici, anche se solo virtual.
Favria 4.12.2014 Giorgio Cortese

Nuvole di settembre, pioggia di novembre e gelo di dicembre.

Lo stolido insulso
Ci sono delle persone che per mascherare la loro arroganza cercano di passare per modeste. Jean de La Bruyère affermava che “la modestia è una forma raffinata di vanità”, e Gustave Flaubert affermava che “L’orgoglio è una bestia feroce che vive nelle caverne e nei deserti; la vanità, invece, è un pappagallo che salta di ramo in ramo e chiacchiera in piena luce”. Conosco alcuni falsi modesti, e somigliano ai pappagalli; hanno anche i tratti del viso compunti del pènthos, o dolore contrito, e così si portano nel mezzo della folla plaudente, incapace di vedere il vero volto del falso modesto. Ma queste persone hanno connaturata una stolidità insulsa. Stolido è un lemma latino stolidus, affine a stultus stolto. Certo non mi mancano le parole per denotare lo stupido, ma ciascuna ha la sua peculiare sfumatura. “Stolido” ha un connotazione antica e meno volgare di attuali sinonimi, la mancanza d’intelligenza dello stolido è infatti espressa in maniera meno tagliente rispetto all’ottuso, scusate il gioco di parole, o e meno aggressiva rispetto allo stupido, e forse proprio il suo appartenere ad un registro lievemente stagionato gli dà anche il sapore di un giudizio più calmo. Insulso deriva sempre dal latino insulsus, composto da in non e salsus salato, spiritoso. Un lemma piacevole che da subito il senso di quello che si afferma, parla direttamente al senso del gusto, la persona insulsa è quella che non ha sale, non ha sapore e quindi, metaforicamente, non ha vivacità né spirito. Va detto che non si tratta di una metafora ricercata: il riferimento alla sapidità al fine di indicare mediatamente il carattere deciso e accattivante di qualcosa è molto comune, basta pensare agli usi della parola insipido o sciocco. Ma il lemma insulso rispetto al altri suoi sinonimi mi sembra che comunichi un giudizio più intenso, con una sonorità sibilante così affilata da diventare protagonista della frase in cui è usata. Mi sembra che dietro molte false modestie stia questo detto popolare che “è inutile che cerchiate di lusingarmi: non sono presuntuoso, anche se avrei mille motivi per esserlo “ Persone simili alla puzzola, se infatti la puzzola tra tutti gli animali è forse quella che si dà più arie, state tranquilli che lo stolido insulso è un ottimo competitore. In conclusione si può parlare dell’insulso personaggio che cerca di affermare il suo ego citando frasi di poeti importanti per celebrare se stesso attraverso delle verità filosofiche da bar, e chiedo scusa per i frequentatori abituali dei bar.
Favria 5.12.2014 Giorgio Cortese