W le zucche. – 250anni dell’indipendenza di Alpette – L’Unitre di Cuorgnè riparte con i corsi anno 2023 – 2024 – Ruffa, baruffa. – Honos et Virtus – Marguerite Louise d’Orleans – Il Grande Dittatore – L’acqua fonte di vita…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

A volte senti di non avere molto da offrire? Hai la risorsa più preziosa di tutte: la possibilità di salvare una vita

donando sangue! Aiuta a condividere questo dono inestimabile con qualcuno che ha bisogno. Esiste dentro di noi la gioia di aiutare. Basta ascoltarla. Lo scopo della vita di noi essere umani è quello di accendere una luce di speranza nei nostri simili anche donando il sangue. Ti aspettiamo a FAVRIA MERCOLEDI’ 18 OTTOBRE  2023, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te.  Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

W le zucche.

Barbara e Andrea, titolari dell’azienda agricola la Borgheisa, località San Giuseppe, Favria, hanno avuto la bella idea del “Villaggio della zucca” per fare divertire grandi e piccini. Penso che tutti abbiamo un debole per le zucche piene, quelle straboccanti di cuore. Mi  piacciono le zucche per come si arrampicano sulle altre piante, si avventurano nell’orto per fiorire lontano dalla buca piena di letame dove sono state piantate, lunghi draghi di foglie nell’erba. Mi piacciono le forme bizzarre, i colori dal giallo all’arancio al verde al caffelatte, la compattezza delle piccole zucche.

W le zucche e il Villaggio delle zucche a Favria dal 14, ore 10,00  al 31 ottobre.

L’idea di Barbara e Andrea mi porta a pensare al significato della parola zucca, dall’etimologia incerta. Secondo il dizionario Zingarelli, potrebbe derivare dal latino “cucutia”, cioè testa. Quando dal latino si passa alla lingua volgare il termine diventa cocuzza ed infine zucca. Le origini della coltivazione della zucca sono remote ed incerte. Si ritiene che il genere “lagenaria”, di forma cilindrica e lunga fino a due metri, sia quella arrivata per prima in Europa dall’India. Forse furono gli Etruschi a coltivarle, oppure ancor prima i navigatori Fenici approdati alle foci dei fiumi italici. Comunque la zucca era conosciuta dagli antichi Egizi, dagli Arabi e dagli Africani del Niger, anche se si trattava di specie molto diverse tra di loro. Ma è in Messico che abbiamo la testimonianza più antica della presenza di questo ortaggio: infatti vi sono stati ritrovati semi di zucca risalenti al 7000/6000 a. C. Sia Discoride che Plinio definiscono la zucca “refrigerio della vita umana, balsamo dei guai”. Presso i romani, la zucca era simbolo di stupidità, di scempiaggine e di follia.  Nella Bibbia viene raccontato come Dio fece crescere una piante di zucca per far ombra a Giona. La pianta divenne per questo un simbolo della resurrezione, ma Dio non invitò Giona ad assaggiarla, così che nessuno pensò alle sue proprietà nutritive, o alle belle e saporite pietanze che si potevano fare con quel frutto. La zucca è uno tra gli ortaggi più conosciuti, consumati ed apprezzati in tutte le culture, ormai da millenni. Molto del suo successo si deve al fatto che se ne utilizzano tutte le parti: la polpa in mille ricette diverse; i semi, essiccati e salati, ottimi in insalate e come snack, oltre ad essere usati nella medicina naturale ed in cosmesi; e poi  i fiori, buoni fritti ed in molte altre preparazioni ed addirittura la buccia che, svuotata dalla polpa ed essiccata, diventa così leggera ed impermeabile da fornire materiale per piatti, vasi, cucchiai e suppellettili, oltre che per strumenti musicali come le maracas sudamericane. Per queste sue straordinarie caratteristiche, essa si è meritata l’appellativo di “maiale dei poveri”, sia perché anche della zucca “non si butta via niente” e sia per il ruolo fondamentale che ha ricoperto nella storia dell’alimentazione come alimento base per i poveri. Le zucche turchesche, il genere cucurbita, quelle che sono oggi più diffuse, vennero introdotte in Europa nel XVI secolo dopo la scoperta dell’America: gli indiani d’America le coltivavano già quando arrivarono gli europei. Le zucche che venivano dal Nuovo Mondo erano molto grandi e succose e da queste sono derivate le specie più diffuse e consumate in Lombardia, Veneto ed Emilia, le regioni dove l’ortaggio si è meglio acclimatato. Nel Medioevo I tantissimi semi contenuti nella loro polpa ne fanno simbolo di resurrezione dei morti e veniva utilizzata,  dopo essere stata essiccata e svuotata,  dai viandanti e dai pellegrini come borraccia dalla quale dissetarsi nei loro lunghi viaggi tra un luogo santo ed un altro. Un caso singolare è quello di Borso, duca di Ferrara, che erige la zucca a suo emblema. La ritroviamo, come elemento decorativo, in alcuni quadri di CosmèTura commissionati nel 1469 da Borso, ad esempio nel San Giorgio e la principessa, ora nel Museo della Cattedrale di Ferrara. L’ortaggio era coltivato nei terreni sabbiosi lungo il fiume Po, che Borso aveva bonificato restituendoli alla lavorazione della terra. Sempre in questo periodo nasce a Ferrara la celebre ricetta dei “cappellacci” di zucca. L’umile alimento, per poter accedere ai banchetti delle persone illustri, veniva impreziosito con zenzero e spezie levantine e successivamente condito con burro e cacio parmigiano. In Italia Nel Mezzogiorno viene chiamata cocuzza e suca o cossa In Piemonte. La  zucca è presente in molte leggende e miti, nell’antica Roma  troviamo la parola “apokolokyntosis”, che in greco antico significa “trasformazione in zucca”, opera dello scrittore Seneca contro l’imperatore romano Claudio. Sulla zucca è celebre per l’usanza, diffusa in occasione della festa di Halloween, di svuotarla, intagliarla in modo che ricordi un volto umano, e inserire al suo interno una candela o un’altra luce. Il personaggio così ottenuto prende il nome di Jack -o’-lantern. I tipi di zucca solitamente usati per questa creazione sono la Jack-o’-lantern pumpkin variety (Cucurbita pepo), oltre alle Captain Jack, Connecticut field pumpkin, Aspen, Orange Bulldog, Gladiator, Howden Field pumpkin, Kratos Pumpkin, Cronus Pumpkin, secretariat pumpkin variety, Ares Pumpkin, Autumn Gold ed Atlantic Giant. Una leggenda diffusa nei Balcani e associata al popolo Rom dove si racconta che se si abbandona una zucca in un campo in una notte di luna piena, essa si trasforma in vampiro. Nella versione di Charles Perrault della popolare fiaba  Cenerentola, la Fata Madrina trasforma una zucca in carrozza, così da permettere a Cenerentola di recarsi al ballo. Lo scrittore americano Mark Twain scrisse un romanzo mentre era in Italia poi uscito a Londra del 1894 dal titolo Wilson lo zuccone. Il protagonista del romanzo, un giovanotto di origini scozzesi, David Wilson, che abita nella cittadina di Dawson’s Landing, tra Missisipi e Missouri, nell’anno 1830, viene da tutti considerato uno stupidone, uno zuccone per l’appunto, per le sue strane abitudini, come quella di prelevare, catalogare e conservare, tutte le impronte digitali dei suoi compaesani. Grazie a questo Wilson riesce a scoprire lo scambio di due gemelli operato da una donna e diventa per questo eroe della cittadina sotto lo stupore e l’incredulità di tutti. Detto questo sulle zucche evviva all’imprenditore agricolo

Favria, 10.10.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Peccato che nella vita di ogni giorno non  sia tutta rose e fiori di zucca fritti. Felice martedì.

250anni dell’indipendenza di Alpette

La manifestazione vuole rievocare l’indipendenza di Alpette avvenuta, dopo secolari liti, il 15 ottobre del 1773: infatti prima di tale data il comune di Alpette faceva parte del territorio amministrato da Pont Canavese. Quest’ultimo comune aveva versato ad Alpette, nel 1622, 200 ducatoni affinché non si staccasse dalla propria amministrazione. Le vicissitudini dell’indipendenza di Alpette si intrecciano che le vicende del ducato di Savoia divenuto poi Regno di Sardegna, due secoli che sono le nostre origini.

Favria, 11.10.2023   Giorgio Cortese

Buona giornata. La donazione di sangue è un grande atto di umanità. Felice mercoledì.

L’Unitre di Cuorgnè riparte con i corsi anno 2023 – 2024

L’Unitre Cuorgnè è una realtà socioculturale universitaria di volontariato costituente un centro di aggregazione e di formazione permanente per persone di tutte le età, senza distinzione di condizione sociale, di cultura, di nazionalità, di convinzioni politiche e religiose. L’Unitre è l’università per tutte le età per un vero incontro generazionale,  sono infatti presenti insieme giovani e meno giovani per un incontro di scambio tra generazioni che favorisca la crescita di cultura e di spirito critico in tutte le età, secondo la proposta dei ricchi percorsi proposti per l’anno accademico 2023- 2024 con ben  31 corsi presso la ex Chiesa della Santissima Trinità, iscrizioni tutti i mercoledì delle conferenze ore 14,30/25,30, oltre

Corso di ginnastica dolce – Docente: Simone Galvani

Corso di Inglese e Francese – Docente: Daniela Bertino

Corso di canto corale: Docente: Giovanni Usai

Corso di disegno – Docente: Giuseppe Pietro Obertino

Supporto per uso di Smartphone e pc – Docente:Angelo Tomasi Cont

Amici della lettura – Docente: Manuela Muzzolini

Fotografare: i consigli di un amico – Docente: Osvaldo marchetti

Presentazione due libri presso la Libreria Colibri,  il venerdì alle ore 18 in via Arduino – Cuorgnè

Poi si terranno gite e passeggiate o nuove iniziative  che saranno comunicate durante le conferenze  del mercoledì e attraverso whatsapp.

Cosa aspettate da qualche parte, qualcosa di incredibile attende di essere conosciuto e la strada che porta alla conoscenza è una strada che passa per dei buoni incontri con L’Unitre di Cuorgnè

Conferenza inaugurale mercoledì  11 ottobre ore15,30 ex Chiesa SS Trinità- via Milite Ignoto a Cuorgnè dal titolo  “Polizia locale: ieri, oggi, domani”, docente il Comandante della Polizia Locale di Cuorgnè, Linuccia Amore.

Per informazioni contattare la Direttrice dei corsi  Maria Calvi di Coenzo tel 3473617703

Ruffa, baruffa.

Voce di probabile origine longobarda che indicava una calca di molte persone che si spingono e lottano violentemente per arrivare a conquistare qualcosa. La Baruffa è anche questa una parola che indica  una  mischia, un litigio confuso e rumoroso. Anche questa parola deriva dal longobardo dalla stessa radice di ruffa, raup,  poi azzuffarsi, biroufan. La ricercatezza anche blanda di una parola ha degli effetti straordinari sulle sfumature dei suoi significati. Se poi ci aggiungiamo un suono buffo ed evocativo, il risultato si fa piacevolmente complesso. Queste parole evocano una bassezza umana la triviale zuffa. Evoca  il rumore e la confuzione che la contraddistingue. Le parole ruffa e baruffa ricordano le continue zuffe notturne fra gatti sulla strada. Tornando all’etimologia la radice longobarda raup è molto simile  alla voce latina  rumpo, molto simile nel significato.

Favria, 12.10.2023  Giorgio Cortese

Buona La vita assomiglia ad uno specchio, tutti ci si possono riflettere sopra per un momento, ma nessuno ci rimarrà impresso per sempre. Felice giovedì.

Honos et Virtus

Honos et Virtus sono due delle divinità romane che simboleggiano l’idea astratta dell’Onore e della Virtù. Sono, insieme, appartenenti alla sfera religiosa di Marte e per questo evocate dai generali e dai soldati dell’esercito romano. In particolar modo il loro culto si sviluppa con la costruzione di templi che avviene in seguito alle vittorie militari di Roma. Honos, Onore, soprattutto nella sua accezione militare, è di solito rappresentato come giovane con la cornucopia nella mano sinistra ed una lancia nella mano destra. Sappiamo da Plutarco che i sacrifici in suo onore venivano effettuati secondo il rito greco. La festa di questa divinità venne fissata nel periodo augusteo al 29 maggio. Virtus, Virtù, soprattutto militare, viene invece rappresentata su monete di età repubblicana con la sola testa, mentre in età imperiale si trova in piedi con elmo, spada e lancia, e una corta tunica come quella delle Amazzoni. Vista la sua valenza militare fu spesso associata a Bellona, dea della guerra. Per i Romani la Virtus rappresenta l’attività per eccellenza del grande uomo di stato e del soldato valoroso. Nel corso del tempo la sua raffigurazione cambia e spesso la si trova rappresentata seduta o con diversi attributi come lo scudo o la corazza del nemico conquistato o un ramo di ulivo come segno di pace. Sorprende la somiglianza con le rappresentazioni di Roma che, sulle monete, si distinguono solo attraverso le iscrizioni. Soprattutto in età imperiale troviamo diversi epiteti della Virtus, spesso associata all’imperatore, Virtus Augusti, e altre volte all’esercito e alle sua componenti, Virtus militum, equitum, exercitus. Insieme compaiono soprattutto sulle monete imperiali a sottolineare le qualità militari degli imperatori, soldati e uomini d’onore e virtù per eccellenza soprattutto dopo campagne militari vittoriose. Note in particolar modo per le raffigurazioni su monete dell’imperatore Galba e di Vespasiano. Queste due divinità vengono spesso raffigurate insieme sulle monete perché insieme avevano anche luoghi di culto a Roma. Il più famoso tempio delle due divinità si trovava probabilmente subito fuori Porta Capena, forse in relazione con il tempio di Marte che doveva sorgere nelle vicinanze. Secondo la testimonianza di Cicerone il tempio originario venne realizzato nel 234 a.C. e dedicato il 17 luglio di quell’anno da Q. Fabio Massimo Verrucoso, poi divenuto più noto con il soprannome di Temporeggiatore, dopo la vittoria riportata sui Liguri. Nel 222 a.C. M. Claudio Marcello, dopo aver sconfitto i Galli Insubri a Clastidium, odierna Casteggio vicino Pavia, fece il voto di erigere un tempio a Honos et Virtus, voto che venne da lui rinnovato dopo aver conquistato Siracusa, e così ridedicò, nel 208 a.C., il preesistente edificio di Honos et Virtus. Ma visto il divieto inflitto dai pontefici di venerare due divinità nello stesso tempio, un divieto che rientrava nelle lotte di potere tra le gentes più influenti di Roma che si colpivano a vicenda anche attraverso il diritto sacrale, Marcello lo raddoppiò costruendo un altro edificio di culto affiancato e creando un unico santuario per le due divinità. Per decorare questo complesso sacro da lui creato usò molte opere d’arte greca provenienti dal bottino preso a Siracusa e la dedica venne fatta, dal figlio di Marcello, nel 205 a.C. All’interno del tempio c’era anche un antico sacello o un’edicola in bronzo dedicata alle Muse che gli autori datavano al tempo di Numa Pompilio, che venne danneggiata dopo essere stata colpita da un fulmine e trasferita nel santuario di Hercules Musarum nel Campo Marzio. All’interno del recinto, o nei pressi del tempio inoltre dovevano essere le statue di M. Marcello, di suo padre e di suo nonno, tutti consoli della Repubblica, e che probabilmente facevano parte della tomba di famiglia. Durante il grande incendio di Nerone il santuario venne distrutto e venne ricostruito sotto Vespasiano con il lavoro di due artisti romani di cui conosciamo il nome grazie alla menzione che ne fa Plinio  Cornelius Pinus e Attius Priscus. Dagli autori antichi sappiamo che proprio da questo tempio partiva ogni 15 di luglio la Transvectio Equitum, si tratta di un dato che contrasta con quanto riferito all’inizio dal passo di Cicerone, e che ha spinto qualcuno a identificare come originario fondatore del tempio Q. Fabio Massimo Rulliano che istituì questa sfilata di cavalieri nel 304 a.C. con punto di partenza proprio dal tempio di Honos et Virtus. Probabilmente nell’area davanti al tempio nel 19 a.C. il Senato fece costruire l’ara Fortunae Reducis come indicato nelle Res Gestae di Augusto. L’ultima notizia relativa a questo tempio è del IV secolo d.C. quando compare inserito tra i monumenti della I Regio nei Cataloghi Regionari. Non si hanno tracce archeologiche sicure di questo santuario.

Favria, 13.10.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita molte volte non può accadere quello che vogliamo, allora cerchiamo di volere ciò che è possibile, Felice venerdì.

Marguerite Louise d’Orleans

Nel 1661 Marguerite Louise d’Orleans fu costretta a sposare Cosimo III de’ Medici, futuro granduca di Toscana. L’unione non ebbe un risvolto felice, la granduchessa fu una donna che incarnò, seppure fatalmente, lo spirito contraddittorio del suo tempo. Tre secoli dopo, su di lei persiste ancora l’oblio. Marguerite nacque nel castello di Blois il 28 luglio 1645 dal duca Gastone d’Orléans, fratello minore del re di Francia Luigi XIII, e dalla duchessa Margherita di Lorena. Nonostante l’appartenenza a una stirpe regale e a quella che lo storico Lester Crocker definì l’epoca che ebbe “l’ossessione per la felicità”, Marguerite riuscì a strappare ben pochi momenti di gioia. Già prima della sua nascita le premesse non erano state delle migliori, suo padre Gastone era stato costretto a celebrare le nozze con Margherita per ben tre volte nell’arco di undici anni, poiché ogni volta l’unione veniva annullata da re Luigi, il quale non tollerava che un’appartenente al clan dei Lorena, la stirpe nemica della Corona francese, entrasse a far parte della famiglia reale. Alla fine i due riuscirono a spuntarla e nel 1643, sul letto di morte, Luigi XIII perdonò e benedì la coppia. Le rocambolesche vicende affettive dei genitori incisero profondamente sul carattere della piccola Marguerite, la quale crebbe ritenendo, istigata dalla madre, che il diritto di amare e scegliere autonomamente il proprio compagno fosse al di sopra di qualsiasi altra norma. Nell’Europa dell’Ancien Régime, tuttavia, le donne, soprattutto quelle di estrazione nobiliare, erano considerate merce di scambio e non avevano voce in capitolo circa le decisioni inerenti i loro matrimoni. Tutte le trattative al riguardo erano gestite dagli uomini. La giovane principessa, dal canto suo, decise di ribellarsi a tale sistema coercitivo e di lottare per la propria libertà. Quando infatti il cardinale Giulio Mazzarino, ministro del regno di Francia, le comunicò che per lei era stato scelto come marito futuro granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici, Marguerite rifiutò categoricamente di sposarlo. La giovane infatti era già follemente innamorata del cugino Carlo V di Lorena, conosciuto nel 1660 a Blois. Con le sue rimostranze la madre riuscì solo a rallentare le trattative: a corto di argomentazioni considerate valide, per sostenere la figlia arrivò ad affermare che la corte fiorentina non fosse adatta alla giovane poiché non vi si trovavano bravi violinisti. Ma tutto fu vano. Nel 1661 il re di Francia Luigi XIV, cugino di Marguerite da parte paterna, la costrinse a scegliere tra accettare il matrimonio mediceo o chiudersi in convento. Marguerite optò per le nozze pronunciando a malincuore la frase: “Sire, sono contenta”. Questa unione fu fortemente voluta da entrambe le famiglie: i Medici, che non potevano vantare origini antiche né aristocratiche, pensavano di rafforzare il loro prestigio grazie a una principessa della famiglia reale francese, al tempo la più potente d’Europa. I Borbone, invece, incoraggiarono le nozze poiché quella dei Medici era una delle famiglie più ricche al mondo. Inoltre, a causa della deferenza dimostrata da Ferdinando II de’ Medici a Luigi XIV, questi riuscì a imporre al granduca l’esigua dote di 300mila scudi, una somma ben al di sotto delle aspettative toscane. Con le nozze ormai prossime, prima dell’imbarco sulla nave che l’avrebbe condotta in Toscana, con la complicità della madre Marguerite trascorse alcuni chiacchieratissimi giorni a Marsiglia assieme al suo amante Carlo di Lorena. Poi i due si separarono fra lacrime di disperazione. Il 12 giugno 1661 il sontuoso corteo francese, composto da nove velieri, arrivò a Livorno e giunse a Firenze dopo alcuni giorni di viaggio L’incontro fra Marguerite e Cosimo fu cordiale, mentre il rapporto della giovane con la suocera, la granduchessa Vittoria della Rovere, fu inizialmente affettuoso. Tutte le aspettative riposte in quell’unione, però, rivelarono ben presto la loro inconsistenza, con orrore, la famiglia Medici scoprì che la novella sposa continuava a intrattenere segretamente una fitta corrispondenza amorosa con Carlo V di Lorena e che, nel contempo, si lamentava dell’infelicità con cui viveva in Toscana sia con la madre sia con il re Sole. Ferito, il marito licenziò e rimandò a Parigi ventotto servitori di Marguerite. Lei ribatté chiedendo l’annullamento del matrimonio, contratto senza il suo consenso, e lasciò palazzo Pitti per ritirarsi nella villa di Poggio a Caiano, dove si consolò con balli e lunghe cavalcate. Preoccupato per la separazione, ormai di dominio pubblico, Luigi XIV inviò a Firenze alcuni mediatori, che riuscirono a riportare temporaneamente la pace: il 9 agosto del 1663 nacque il primogenito di Cosimo e Marguerite, il gran principe Ferdinando. Ben presto però gli scontri ripresero con maggior vigore e nemmeno le nascite di Anna Maria Luisa, 1667, e Gian Gastone, 1671, riportarono l’armonia. Anzi, dopo la morte del suocero e l’ascesa al trono di Cosimo, Marguerite iniziò a pretendere, in qualità di nuova granduchessa, la presidenza della regia consulta, ruolo ricoperto dalla suocera: ciò le valse l’odio di Vittoria, la quale riuscì a convincere il figlio a non accontentare la consorte. Ormai isolata, Marguerite lasciò la corte e si rifugiò di nuovo presso la villa di Poggio a Caiano. A nulla valsero le preghiere, le promesse e le minacce, la sua volontà era quella di tornare in Francia, l’unico luogo dove pensava di trovare un po’ di felicità: forse per esasperazione, o forse per pietà, alla fine sia Luigi XIV sia Cosimo furono costretti a cedere e nell’estate del 1675 le fu permesso di rientrare a Parigi. Quasi certamente a causa della damnatio memoriaepromossa da Cosimo III, dalle lettere e dai documenti archivistici superstiti Marguerite appare come una persona frivola e rancorosa. Eppure ebbe una notevole cultura: suonava la spinetta, cantava soavemente, amava il ricamo, la musica, il ballo e gli spettacoli, e fu lei a promuovere la costruzione del teatro, tutt’ora esistente, al pianterreno della villa di Poggio a Caiano, dove periodicamente si esibiva. Fu anche sensibile alle sorti di alcune dame del suo tempo e insieme alla suocera si adoperò personalmente affinché la marchesa Francesca Castellana de Taillades, illecitamente diseredata dal padre, ricevesse assistenza legale e ottenesse il rispetto dei propri diritti. Di ritorno in Francia Lasciata Firenze, a Pisa rese omaggio a una suora eretica, Francesca Fabbroni, forse anche come ultima ripicca verso Cosimo, uomo di grande e ostentata devozione. Ma il rientro in patria non le garantì subito quella pace che tanto agognava: costretta a vivere in clausura e sorvegliata nel convento di Montmartre, in un accesso d’ira inseguì con un’ascia la badessa Marie Anne d’Harcourt, rea di aver raccontato al re e a Cosimo dei suoi incontri privati con il valletto La Rue e il palafreniere Alexandre Gentilly. Per punizione, il marito sospese all’istante il mantenimento concordato. Nel 1680 Marguerite incendiò il convento, danneggiando in realtà solo il proprio appartamento. A causa di ciò le fu accordata la possibilità di frequentare Versailles, di ricevere un appannaggio mensile da Firenze e di vivere liberamente a Parigi: nella galleria del suo palazzo teneva ben esposto il ritratto di Carlo di Lorena. Marguerite Louise d’Orléans morì il 17 settembre del 1721, due anni prima di Cosimo. Tutti i suoi beni andarono ai figli e alla principessa d’Espinoy, sua cugina. Dell’odiato marito non fece alcun cenno.

Favria,  14.10.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita dovremmo prendere esempio dalla forza del fiume, scorrere  come l’acqua senza mai fermarci e sempre trasparenti  durante tutto il percorso, e  sempre pronti ad incontrare il mare. Felice sabato

Il Grande Dittatore

Chaplin si fa beffe di Hitler, esce  nelle sale statunitensi “Il Grande Dittatore”, il 15 ottobre del 1940, la pellicola più costosa e di maggior successo del grande attore e regista, una geniale parodia della Germania nazista e del suo Fuhrer Considerato uno dei capolavori della storia del cinema, “Il Grande Dittatore”, scritto, diretto e interpretato da Charlie Chaplin, rappresentò per l’autore un azzardo economico da due milioni di dollari. Seppur consapevole che la pellicola non avrebbe trovato distribuzione nella maggior parte dei mercati europei, come infatti accadde, Chaplin ritenne comunque doveroso in quel momento cruciale della storia far sentire la sua voce e, per la prima volta, quella del suo personaggio più famoso, Charlot, che fino ad allora aveva soltanto cantato ma mai affrontato dialoghi parlati. Nel film Chaplin/Charlot recita il ruolo di un barbiere ebreo costretto a vivere nel ghetto e subire le angherie della soldataglia del dittatore della Tomania, Germania,  Adenoid Hynkel, Hitler,  interpretato dallo stesso Chaplin, intento a progettare l’invasione della vicina Ostria, Austria, con la collaborazione del duce di Batalia, Italia, Benzino Napaloni, Mussolini. La straordinaria somiglianza del barbiere con il dittatore Hinkel porterà in seguito Charlot, per aver salva la vita, a calarsi nei panni del führer. In perfetta uniforme da condottiero, il falso dittatore è protagonista di un memorabile discorso davanti al popolo d’Ostria durante il quale, smentendo le aspettative, lancia al mondo un messaggio di amore, libertà e uguaglianza. Uscito nella sale americane il 15 ottobre 1940, il film ebbe una straordinaria accoglienza e negli anni divenne il maggior successo di Chaplin, ancora oggi considerato una pietra miliare della cinematografia per la capacità di affrontare dall’inedita prospettiva della satira la drammatica realtà sociale e politica dell’epoca

Favria, 15.10.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita bisogna camminare tanto e non sentirsi mai arrivati. La vita ci riserva traguardi. Bisogna avere un buon paio di scarpe: la strada è lunga. Felice domenica

L’acqua fonte di vita.

La FAO celebra la Giornata mondiale dell’alimentazione e commemora la sua fondazione il 16 ottobre di ogni anno. Quest’occasione è una delle più note tra le Giornate internazionali delle Nazioni Unite: sono infatti moltissime le iniziative promosse ogni anno in oltre 150 Paesi del mondo. Questi eventi contribuiscono a diffondere una maggiore consapevolezza e a spingere all’azione nella lotta alla fame e per promuovere la sicurezza alimentare. Il tema della sicurezza alimentare è strettamente connesso a quello del cambiamento climatico. Un numero crescente di agricoltori, pescatori e allevatori stanno subendo gravi perdite causate da temperature sempre più elevate e da una frequenza maggiore di disastri naturali. Tutto ciò a fronte della costante crescita della popolazione mondiale. Si prevede che entro il 2050 raggiungeremo i 9,6 miliardi e per soddisfare la domanda alimentare globale saranno necessari sistemi agricoli e alimentari in grado di adattarsi agli effetti negativi del cambiamento climatico:  più resistenti, efficienti e sostenibili. Il tema del 2023 è l’acqua indispensabile per la vita sulla Terra. Ricopre gran parte della superficie terrestre, il nostro organismo ne è composto per oltre il 50%, produce i nostri alimenti ed è fondamentale per i mezzi di sussistenza. Questa preziosa risorsa, però, non è infinita e non dobbiamo darla per scontata. Gli alimenti che consumiamo e il modo in cui vengono prodotti hanno ripercussioni sull’acqua. L’acqua è indispensabile per la vita sulla Terra: il nostro organismo ne è composto per oltre il 50% e ricopre circa il 71% della superficie terrestre. Solo il 2,5% dell’acqua è dolce, potabile e adatta all’uso in agricoltura e in diverse attività industriali. L’acqua è la forza motrice di tutti gli esseri viventi, dell’economia e della natura ed è l’elemento base della piramide alimentare. L’agricoltura è infatti responsabile del 72% del consumo d’acqua dolce a livello mondiale ma, come tutte le risorse naturali, l’acqua potabile non è infinita.  La rapida crescita demografica, l’urbanizzazione, lo sviluppo economico e il cambiamento climatico mettono sempre più in crisi le risorse idriche del pianeta. Negli ultimi decenni, inoltre, le risorse di acqua potabile pro capite sono diminuite del 20% e la disponibilità e la qualità dell’acqua stanno rapidamente peggiorando a causa di anni e anni di pratiche e gestione improprie, dell’eccessiva estrazione di risorse idriche dal sottosuolo, dell’inquinamento e del cambiamento climatico: si rischia di spingere questa preziosa risorsa sul punto di non ritorno.  Oggi 2,4 miliardi di persone vivono in paesi soggetti a stress idrico. Molti sono piccoli agricoltori già in difficoltà a soddisfare le loro necessità quotidiane, in particolare donne, popolazioni indigene, migranti e rifugiati: si fa sempre più aspra la competizione per l’accesso a questa inestimabile risorsa e la scarsità di risorse idriche diventa sempre più causa di conflitti armati.  Circa 600 milioni di persone dipendono, almeno in parte, da sistemi alimentari acquatici e sono esposte agli effetti dell’inquinamento, del degrado degli ecosistemi, delle pratiche non sostenibili e del cambiamento climatico.  E’ necessario produrre più cibo e altre materie prime agricole con minori quantità di acqua, garantendo al tempo stesso che venga distribuita equamente, salvaguardando i sistemi alimentari acquatici e senza lasciare nessuno indietro.  I governi devono istituire strategie basate su fatti, che sfruttino i dati scientifici, l’innovazione e il coordinamento intersettoriale per pianificare e gestire meglio le risorse idriche. Devono supportare queste strategie con maggiori investimenti, direttive, tecnologie e sviluppo delle capacità, incentivando al tempo stesso gli agricoltori e il settore privato, affinché collaborino a soluzioni integrate per l’uso più efficiente delle risorse idriche e per la loro tutela. Dobbiamo tutti smettere di dare l’acqua per scontata e iniziare a migliorare il modo in cui la utilizziamo nella nostra vita quotidiana. Gli alimenti che consumiamo e il modo in cui vengono prodotti hanno ripercussioni sull’acqua. Tutti possiamo migliorare il modo in cui la usiamo ogni giorno.  Insieme e uniti  possiamo passare all’azione a favore dell’acqua e partecipare al cambiamento. 

Favria, 16.10.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno la consapevolezza della nostra fragilità ci rende forti. Felice lunedì